The
Holiday
18 dicembre 2017, Upper
West Side, New York
Rachel Berry
aprì la porta del suo appartamento con un sospiro di
sollievo. Casa dolce casa.
«Tesoro?»,
esclamò mentre poggiava le chiavi di casa in un piccolo
svuota tasche. «Sono a
ca-». Le parole le morirono in gola quando svoltò
l’angolo e si trovò di fronte
il suo attuale ragazzo stravaccato sul divano. Nudo. Insieme ad una
persona che
non era lei.
«È
uno
scherzo vero?», riuscì a mormorare, un misto di
rabbia e nausea che iniziava a
salirle alla bocca dello stomaco.
«Ra-rachel».
Lo sfortunato si puntellò sui gomiti,
un’espressione estremamente colpevole sul
volto. «Tesoro, non è come se-».
«Non
provarci nemmeno, Jessie», sibilò Rachel,
grondando veleno. «Non provare
nemmeno a farmi credere che tu non sia appena andato a letto con una
delle mie
comparse, o ti sbatterò fuori di qui senza lasciarti nemmeno
la cortesia di
rivestirti».
Jessie
impallidì vistosamente di fronte alla furia di Rachel
– l’aveva provata su di
sé svariate volte e sapeva che quando la ragazza si
arrabbiava la situazione
diventava dannatamente seria.
«Ma
visto
che sono buona ti darò due minuti per metterti addosso
qualcosa e altri cinque
per fare le valigie. Dopodiché ti voglio fuori
da casa mia. In quanto a te», si girò
verso l’altro occupante del divano,
che fino a quel momento era stato immobile, un’espressione
assolutamente
terrorizzata sul volto. Strinse gli occhi nella sua direzione.
L’aveva notato
di sfuggita alle prove del giorno prima, quando Tina l’aveva
chiamato per
prendere le misure del suo costume. Brad… no, Brody.
«Sei
licenziato. Vattene più in fretta che puoi e
considererò di non rovinare per
sempre la tua carriera, ci siamo capiti?».
Brody
annuì,
recuperando i suoi vestiti a velocità record e uscendo
dall’appartamento ancora
senza maglietta.
«Non
c’era
bisogno di essere così crudele, Rachel. Non conduci tu lo
spettacolo e-».
«Tic
toc,
Jessie», replicò lei nel tono freddo che usava
esclusivamente per interpretare
Madame Giry.
«Dai
Rachel,
fai sul serio?», sbottò il ragazzo in tono
esasperato, per poi dileguarsi in
camera quando Rachel si tolse una delle scarpe che aveva addosso e fece
per
tirargliela dietro.
La ragazza
sospirò scoraggiata, rimettendosi la scarpa. Credere che
avrebbe lanciato per
aria una Louboutin tacco dodici? Sul serio?
“Ma
d’altronde Jessie non mi ha mai conosciuta
davvero”, considerò fra sé e
sé
mentre strappava le federe del divano e dei cuscini e le buttava fuori
dalla
porta. “Usciamo - uscivamo
insieme
solo per la pubblicità e per il sesso fantastico, e questo
è tutto. Non si è
mai preso il disturbo di conoscermi, figurarsi poi di innamorarsi di
me”. Smise
per un attimo di scaraventare i vinili di Jessie sul pavimento
– a pensarci
bene forse si sarebbe tenuta Il Mago di
Oz, era originale.
“Sarà
per
questo che fa così poco male? Perché non era
amore?”, considerò fra sé e
sé.
Rachel Berry
non poteva saperlo, visto che non era mai stata innamorata. Dalla
tenera età di
diciassette anni, cioè da quando aveva debuttato a Broadway
come una
giovanissima Anita in West Side Story,
aveva incontrato esclusivamente ragazzi egocentrici, competitivi in
modo
malsano o interessati solo alla pubblicità che forniva il
suo nome. O gay.
Jessie
riapparve sulla soglia della camera, strabuzzando gli occhi alla vista
dei suoi
dischi in quelle misere condizioni. Aprì la bocca come per
protestare, ma alla
fine scelse di tacere e scuotere leggermente la testa, dirigendosi
verso
l’uscita.
Aveva
indossato una t-shirt ed un maglione – scelta saggia visto
che Rachel aveva già
buttato la sua camicia nella spazzatura - ed aveva in spalla un borsone
leggero.
«Passerò
a
prendere il resto delle mie cose mentre non ci sei. Ho gli orari delle
tue
prove in agenda», borbottò mentre apriva la porta.
«Come
sei
organizzato, Jessie. Mi dispiace di aver interrotto tu ed il tuo
amichetto
tornando un’ora prima!», ribatté Rachel
sarcastica.
Jessie si
girò, sbuffando di esasperazione. «Sai, Rachel, se
non fossi una tale arpia-».
«Io
un’arpia!
Jessie, ti ho appena trovato sul nostro divano con un UOMO,
diavolo!», sbraitò
lei avvicinandosi pericolosamente al ragazzo. «Come dovevo
reagire? Offrendovi
un the?!».
«Prima
di
tutto, ti ho avvertito fin da quando ci siamo conosciuti che ero
bi-curioso».
Rachel considerò seriamente di usare la statuetta del
proprio Tony per colpirlo
in testa. «Secondo, non mi riferivo a quello. Non mi
infastidisce il tuo
comportamento di oggi, Rachel, ma quello di tutti
gli altri giorni. Sei fredda. Distaccata. Dopo otto mesi di
relazione non
ti conosco. Non mi lasci entrare nella tua corazza, non mi lasci
nemmeno
provare, diamine!».
«Forse
perché non ti amo», sibilò lei di
rimando. Jessie rise amaramente.
«Forse
potresti, se non fossi prevenuta nei confronti di tutti gli uomini di
New York!
Per te siamo tutti stronzi che aspettano solo di spezzarti il cuore, ma
se tu
provassi ad aprirti con qualcuno, se ti levassi quel cartello
“Vai a farti
fottere” dalla fronte-».
«Jessie,
ti
avverto!».
«-forse
saresti capace di amare, invece di costringere tutti ad
odiarti-».
La ragazza
gli sbatté la porta in faccia. Letteralmente: poteva sentire
i gemiti di dolore
attraverso i muri sottili e le strilla di Jessie a proposito del suo
naso. Scalciò
via le scarpe e corse in camera, dove si buttò sul suo
letto, coprendosi la
faccia con il cuscino. Non
voleva più
sentire la voce di Jessie.
Soprattutto,
non voleva sentirgli pronunciare ad alta voce gli stessi dubbi che la
affliggevano ogni giorno: che non meritava né amore,
né affetto, né relazioni.
Strinse i
denti e premette il viso contro il copriletto, sforzandosi di non
piangere.
Un’ora
dopo
aveva fatto una doccia bollente e si era spalmata una maschera
all’avocado sui
capelli, avvolta nel suo asciugamano più morbido e
più caldo. Fece un sospiro e
poi decise di prendere un barattolo di Nutella dalla credenza
– la sua agente
l’avrebbe uccisa se
avesse saputo che
teneva una cosa del genere in casa, ma tutti hanno bisogno di
cioccolato prima
o poi.
Piazzò
il
suo laptop sul tavolo della cucina, affondando un cucchiaino nella
Nutella
mentre aspettava che si accendesse.
Doveva
staccare la spina. Andarsene da New York per qualche giorno.
Amava
Broadway, e amava il suo lavoro di attrice, ma quel mondo era a dir
poco
sfiancante.
Si era
sempre ripetuta che era inevitabile che un mondo di attori fosse pieno
di falsità
e finzione, ma non aveva mai creduto di trovarne così tanta.
La maggior parte
degli individui che aveva incontrato nei suoi sette anni di carriera le
facevano venire voglia di vomitare. Solo l’amore per il suo
lavoro la teneva
sana di mente in quel covo di pazzia.
Tamburellò
le dita sulla tastiera.
Aveva
bisogno di un posto isolato, ma non troppo; rilassante ma non noioso, e
soprattutto dove non rischiasse di
incontrare nessuno che potesse conoscere. Aprì Google Maps e
diede un’occhiata
pensierosa alla carina degli Stati Uniti.
Gli stati
confinanti con New York erano esclusi a priori, e certo non poteva
andare in
California, né in Florida, troppo rischiose…
Lasciò vagare lo sguardo sulla
cartina per qualche secondo prima di avere un’illuminazione.
Ma certo,
Ohio! Chi andava in Ohio?
Avviò
velocemente una ricerca su Apartments.com cercando appartamenti
disponibili per
essere affittati nel periodo di Natale. Storse il naso. Erano quasi
tutti
occupati… A parte…
Cliccò
su
uno dei link che lampeggiava “Disponibile” in verde
acido sopra una piccola
fotografia.
«“Prairie
Oaks Cottage”», lesse ad alta voce dalla
descrizione che ne dava il sito. «“Una
tradizionale casa di campagna immersa nella tranquillità del
parco di Prairie
Oaks e nell’incantevole quartiere di Prairie
Oaks”», si interruppe per alzare
un sopracciglio. «Beh, di certo
l’originalità non è il loro forte.
“A soli
dieci minuti di cammino dal sentiero dei laghi e a trenta minuti dal
centro di
Columbus”».
Si
rilassò
contro lo schienale della sedia. Cosa c’era di meglio di una
casa in campagna
per rilassarsi e staccare la spina? Cliccò sul profilo
dell’utente, un certo
k-hummel, e scrisse velocemente un messaggio.
Sarei
interessata ad affittare la casa di Prairie Oaks per il
periodo di Natale. Spero sia disponibile. Potrebbe contattarmi al
più presto?
Quando
premette invio fu come se un peso le si fosse sollevato dal petto.
Fece partire
una delle sue playlist preferite e volteggiò verso la camera
da letto per
cambiarsi.
18
dicembre 2017, Prairie Oaks, Columbus, Ohio
Kurt Hummel
aprì la porta del cottage di Prairie Oaks sospirando di
sollievo.
«Casa
dolce
casa», commentò, rivolto al silenzio.
Appese il
cappotto ad un gancio sul retro della porta e posò la borsa
su di un tavolino
prima di affrettarsi ad accendere il riscaldamento centralizzato.
L’inverno era
rigido in Ohio, e dentro quella casa si gelava.
Era stata
una buona scelta, decidere di trasferirsi nel cottage durante le
vacanze di Natale,
rifletté fra sé e sé. Adorava Finn, il suo
fratellastro e attuale coinquilino, ma condividere una casa con lui dal
venti
dicembre in poi era come convivere con un cucciolo iperattivo: era
talmente
felice che fosse finalmente Natale che voleva assolutamente coinvolgere
il
fratello nei suoi festeggiamenti, e ora come ora Kurt non era
dell’umore giusto
per assecondarlo.
Le prove
erano state sfiancanti e la sua ultima audizione non sarebbe potuta
andare
peggio. Aveva bisogno di calma e solitudine.
Beh, forse
non sarebbe stato esattamente solo,
si corresse, mentre recuperava l’iPhone dalla tasca della
tracolla e lo
accedeva. Subito un avviso gli segnalò che c’erano
due messaggi nella
segreteria telefonica.
Si
buttò sul
divano mentre metteva il telefono in vivavoce e attendeva.
Clic. «Ehi
ragazzino, come stai?». Kurt sorrise fra sé e
sé, mentre la
voce allegra di suo padre riempiva il silenzio del salotto.
«Nassau è stupenda,
e Carole continua a dire che vi è debitrice a vita per
questa vacanza. Fallo
sapere anche a Finn per favore, non sono sicuro che abbia capito bene
come
funziona la segreteria telefonica».
Kurt
alzò
gli occhi. “Tipico di Finn”, pensò,
continuando ad ascoltare il messaggio di
suo padre.
«Comunque,
volevo solo farti sapere che va tutto bene. Il clima è
fantastico – sì, ci
stiamo mettendo la protezione solare, non provare nemmeno a
ricordarmelo. Siamo
solo dispiaciuti di non poter essere con voi, ma ovviamente saremmo
stati
stupidi a rifiutare un regalo del genere, vero tesoro?... Come? Ah,
Carole dice
che quando tornerà a casa farà a Finn una pila di
pancakes al cioccolato alta
quanto lui come ringraziamento. Il che è tutto dire, non
credi?». Kurt chiuse
gli occhi, ascoltandola risata burbera di suo padre.
«Beh,
Kurt,
questo è tutto. Ci mancate moltissimo ma ci stiamo
divertendo e vi pensiamo
molto. Stai attento a non sovraccaricarti di lavoro e passa un buon
Natale,
ragazzo. Ti voglio bene».
Clic.
«Kurt». Il ragazzo strizzò gli occhi
riconoscendo la voce. Non
era mai un buon segno quando c’era la sua
voce in segreteria, significava sempre imprevisti e inoltre faceva
tornare in
mente vecchi ricordi che avrebbero dovuto essere stati sepolti e
dimenticati da
un pezzo… «Mi dispiace, credimi, mi dispiace
tanto… non riuscirò a venire
stasera. I ragazzi del team di football mi hanno chiesto di uscire e-
beh, è
già qualche volta che gli do buca e potrebbero
insospettirsi, sai come sono
fatti i-».
Kurt spense
il vivavoce e cercò di non lanciare violentemente il
telefono contro la parete.
Si
rigirò
lentamente sulla schiena, premendo una mano sulle labbra.
Era la terza volta quella settimana. La terza
volta che Dave gli dava buca per uscire con i suoi amici. Amici che se
avessero
notato che Dave era più assente del solito avrebbero potuto
iniziare a
sospettare che avesse una ragazza, e avrebbero scoperto che invece
aveva un
ragazzo. Perché Dave non aveva ancora fatto coming out.
Kurt si
mordicchiò la nocca dell’indice, ripensando a
quando, un anno prima, aveva
rivisto David Karofsky per la prima volta dopo il liceo.
Era appena
uscito dalla lezione di tecnica vocale e stava chiacchierando con
alcuni
compagni, quando Dave aveva attraversato il corridoio, una felpa con il
logo
OSU e uno sguardo incerto sul volto.
Kurt era
impallidito, ritornando improvvisamente un sedicenne spaventato in uno
spogliatoio semibuio. Fosse stato per lui, non avrebbe nemmeno
riconosciuto la
presenza di Karofsky, ma si dava il caso che il ragazzo si stesse
dirigendo
proprio verso di lui.
«Kurt?»,
aveva chiesto in tono incerto. Non aveva risposto, non fidandosi della
stabilità
della propria voce in quel momento.
«Kurt».
Chandler,
uno dei primi ragazzi che aveva conosciuto a Columbus, gli aveva
poggiato una
mano sulla spalla con aria protettiva, lanciando un’occhiata
sospettosa a
Karofsky. «Tutto okay?».
“Calmati”,
si era ripetuto Kurt ignorando entrambi. “Non è
né il momento né il luogo per
farsi venire un attacco di panico”.
«Kurt,
posso
parlarti?», aveva insistito Karofsky cercando di incrociare
il suo sguardo.
Il ragazzo
aveva fatto un respiro profondo. «Io…»,
la sua voce era uscita più debole di
quanto avrebbe voluto.
«Te lo
chiedo per favore». Solo a quel punto Kurt aveva alzato gli
occhi su David, ed
era riuscito a vedere l’espressione triste e piuttosto
colpevole che aveva sul
viso.
«O-Okay»,
aveva acconsentito, rassicurando velocemente Chandler e facendo cenno a
Karofsky di seguirlo.
Si erano
ritrovati seduti davanti ad un caffè, Kurt che ascoltava
attonito una valanga
di scuse tardive e David che tratteneva a stento le lacrime.
Dopo quella
chiacchierata si erano incrociati qualche altra volta
all’interno del campus,
prima di riuscire a salutarsi e a parlare come persone civili; e ora
era da
qualche mese che si frequentavano.
Kurt
sbuffò
ad alta voce. Frequentarsi.
Durante
tutto il liceo aveva fantasticato di incontrare qualcuno che non si
sarebbe
vergognato di chiamarlo il suo ragazzo, che l’avrebbe
orgogliosamente tenuto
per mano in pubblico… qualcuno che non fosse niente di meno
che “out and
proud”.
Ma dopo
decine di appuntamenti finiti disastrosamente e altrettante avventure
di una
notte sola che poi mancavano puntualmente di farsi risentire, Kurt
aveva
iniziato a rassegnarsi all’idea che forse non era destinato
ad avere nulla di
tutto ciò.
David era
gentile, premuroso, e anche se non era quello che Kurt aveva sempre
sognato per
sé, teneva davvero a lui – e molto probabilmente
era il massimo in cui Kurt
poteva sperare in amore, visto come si erano concluse le sue esperienze
precedenti.
Accese il
laptop, rassegnandosi ad una serata di alimenti poco salutari e
solitudine.
Una spia
lampeggiante
al lato del desktop gli segnalò due nuove e-mail.
Cliccò sopra la spia e le
aprì, sperando in qualche buona notizia.
Sarei
interessata ad affittare la casa di Prairie Oaks per il
periodo di Natale. Spero sia disponibile. Potrebbe contattarmi al
più presto?
So
che è tardi per affittare durante il periodo natalizio, ma
la
prego di contattarmi se è interessato.
“Beh”,
pensò
Kurt, asciugandosi gli occhi leggermente umidi. “Questo
sì che è tempismo…”.
Diede
un’occhiata ai dettagli delle mail. Entrambe erano state
spedite all’incirca
un’ora prima. Forse…
Sono
molto interessato all’offerta, ma a dir la verità
questa casa
è disponibile solo per il servizio di home exchange. Tu
affitti la mia casa ed
io la tua. Ci scambiamo macchine, città, tutto per due
settimane. Io non l’ho
mai fatto ma delle mie conoscenze dicono sia molto divertente.
Premette
Invio, pregando qualsiasi forza superiore esistente
nell’universo che l’altra
persona fosse ancora al computer e che fosse interessata.
L’idea di andarsene
per due settimane…
Sobbalzò
sul
divano quando sentì il suono di una nuova mail.
Mi
sembra un’idea fantastica! Io abito a New York,
nell’Upper West
Side. Cosa ne pensi, potrebbe andare bene per te? Mi chiamo Rachel, a
proposito.
“New
York!”.
Kurt aveva perso il conto delle ore che aveva sprecato a fantasticare
su quella
fantastica città mentre era al liceo. Avrebbe voluto
trasferirsi lì per il
college, ma purtroppo le rette e l’affitto degli appartamenti
erano un costo
troppo alto, e Columbus era stato tutto ciò che aveva potuto
permettersi.
Mi
chiedi se va bene? Ho sempre sognato di vivere a NY. Senza
contare che potrei incontrare una certa Miss Bradshaw ed implorarla di
fare
shopping insieme. Io sono Kurt.
Il messaggio
successivo arrivò dopo pochi secondi.
Buona
fortuna, è da vent’anni che la cerco e non si
è mai fatta
vedere! È un piacere conoscerti Kurt. E lasciamelo dire, sei
davvero fortunato
ad avere un cottage in campagna. Dev’essere un balsamo per i
tuoi nervi.
“Tesoro,
abiti a New York, diamine”, pensò Kurt scuotendo
la testa. “Non la chiamano la
città che non dorme mai per niente”.
È
molto tranquillo, rispose invece. Allora, Rachel, abbiamo un accordo?
Spedì
il
messaggio, incrociando le dita.
Prima
posso farti una domanda?
Kurt
imprecò
a bassa voce.
Ma
certo.
Ci
sono uomini nella tua città?
Il ragazzo
rise amaramente, pensando a tutti gli appuntamenti orribili che aveva
dovuto
sorbirsi negli ultimi quattro anni, e al ragazzo tutt’altro
che perfetto che
stava frequentando ora.
Assolutamente
nessuno, rispose
velocemente.
«Ti
prego…
ti prego», sussurrò incrociando le dita.
«Dopo anni di questo schifo due
settimane a New York me le sono meritate, no?».
Il leggero
segnale di una mail in arrivo interruppe le sue preghiere.
Aprì il messaggio.
Domani
è troppo presto?
A/N:
Buonasera a
tutti :)
Vi presento
con orgoglio la mia prima long Klaine!
Come si
capisce dal titolo è ispirata al film L’amore
non va in vacanza, uno dei miei film preferiti, ed
è a tema natalizio – perché
adoro il Natale, yay :)
Spero
davvero che possa piacervi – per quelli che sono interessati
raccomando di
inserirla fra le seguite perché non so ancora bene quando/
quante volte alla settimana
sarò in grado di aggiornare, quindi vi sarà
più facile tenerla d’occhio :)
Complessivamente
avrà nove capitoli (prologo ed epilogo compresi) quindi con
un po’ di fortuna entro
la prima settimana di gennaio avrò finito di pubblicarla.
Baci a tutti
quanti, e grazie per aver letto!
MM