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Autore: Lady1990    11/12/2012    10 recensioni
Archibald è un ragazzino di quindici anni quando compie la scelta che gli cambierà la vita. Col passare del tempo, accanto al suo maestro, il signor Fires, scoprirà su cosa si fondano i concetti di Bene e Male, metterà in dubbio le proprie certezze, cercherà di trovare la risposta alle sue domande e indagherà a fondo sul valore dell'anima umana. Tramite il lavoro di assistente del Diavolo, riscuoterà anime e farà firmare contratti, sperimenterà sulla propria pelle il potere delle tenebre e rinnegherà tutto ciò in cui crede.
Però, forse è impossibile odiare il Bene e l'unico modo per sconfiggerlo è amarlo. Proprio quando gli sembrerà di aver toccato il fondo, la Luce farà la sua mossa per riprenderselo, ma starà ad Archibald decidere da che parte stare. Se poi si somma un profondo sentimento per il misterioso e affascinante signor Fires, le cose non si prospettano affatto semplici.
[Revisionata]
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Note dell'autrice (leggere con attenzione):
Prima di iniziare, vorrei fare qualche precisazione, giusto per mettere le mani avanti. Questa storia parlerà anche di religione, ma avverto che non vuole essere blasfema e non vuole riscrivere il credo cristiano secondo la mia ottica personale. Tutto ciò che scriverò è frutto delle mie malate elucubrazioni e della lettura del "Paradiso perduto" di Milton e del "Faust" di Goethe (ma non solo), a cui devo in parte l'ispirazione. Perciò, se sentite che la storia tocca un punto per voi delicato o se sapete di essere sensibili all'argomento, non leggete! 
A tutti gli altri do il benvenuto e auguro buona lettura!









Alcuni dicono che tutto avviene per una ragione, che c’è uno scopo dietro ogni singolo evento, una grande ed onnipotente Mente Ordinatrice che orchestra la nostra vita: guerre, pestilenze, malattie, violenze, tutto esiste per un motivo, forse per un infantile e crudele capriccio o forse per un disegno più alto e imperscrutabile. Leibniz affermò che tutto è per il meglio e che viviamo nel migliore dei mondi possibili, poiché Dio non avrebbe generato qualcosa se non nel modo migliore, essendo Egli il simbolo della perfezione assoluta. E poi ci sono altri che, invece, asseriscono che non è altro che un enorme caos, il favoloso e terribile regno delle coincidenze, dove ad un’azione ne consegue precisamente un’altra, in maniera del tutto fortuita.
Personalmente, mi sono convinto a credere ad entrambe le teorie, perché tutte e due hanno un fondo di verità: la prima ci permette di addossare ad un'entità superiore la causa delle nostre sofferenze e la seconda incarna il concetto del libero arbitrio - donatoci da Dio stesso -, per cui ciò che avviene è unicamente colpa delle nostre scelte. 
Ma, per conoscere la verità, anzitutto dovrete ascoltare la mia storia. Successivamente sarete liberi di elaborare una vostra eventuale opinione sull’origine dell’universo e sul destino dell’umanità intera, oppure potrete scegliere di ignorare le mie parole e distogliere lo sguardo, dimenticando ciò che avrete udito dalla mia bocca. Di certo quest'ultima sarebbe la via più facile, quella che ogni individuo assennato dovrebbe imboccare, tramutandosi in uno struzzo che a nulla agogna se non all’oscurità e al silenzio della terra. A volte, in effetti, il non sapere può rivelarsi una benedizione, perché avere accesso ad una moltitudine di informazioni riguardanti le leggi che governano il cosmo può destabilizzare, mettere in crisi le percezioni, le sicurezze, la convinzione di esistere veramente qui ed ora. Non è il sonno della ragione, ma è la conoscenza che genera mostri e chi mai opterebbe per essa, quando si è già felici e soddisfatti di vedere sorgere il sole al mattino? Non c’è forse quel famoso proverbio che recita “chi si accontenta gode”? Sarebbe una realtà comoda. Tuttavia, l’accontentarsi va contro la stessa natura umana, in un eterno rincorrersi e scacciarsi a vicenda, come l’olio che si mischia all’acqua. L’uomo non è fatto per accontentarsi, non si ribellò al dominio divino nell’Eden soltanto per accettare passivamente ciò che possiede, nient'altro che briciole se paragonate all'infinito oceano di possibilità che ci circonda. L’uomo desidera, l’uomo anela, l’uomo vuole. E questa sua brama non contempla mai una pace o una tregua: è perpetua, febbrile, incontrastabile e avida. Egli ricerca in ogni momento un qualsiasi appagamento alla sua fame, eppure ne vuole di più, sempre di più, non è mai abbastanza. Poi, quando cerca di sopprimere il desiderio, quando tenta di remare contro la sua essenza, soffre ed è infelice.
Si racconta che fu Satana, travestito da serpente, a indurre in tentazione Adamo ed Eva, ma mi domando se invece non sia stato Dio in persona a plasmare volontariamente delle creature imperfette, così che fossero soggette al fascino del male, della ribellione, della libertà da qualunque vincolo di obbedienza nei confronti di qualcuno al di sopra di loro. Mi domando se colui che noi chiamiamo Diavolo non si fosse precedentemente accordato con il Signore per il gusto di un gioco perverso. Un po’ come gli scacchi: i bianchi muovono per primi e Dio crea gli uomini, poi tocca ai neri e Lucifero fa la sua mossa. Di seguito, sta di nuovo a Dio, che colloca le sue pedine in una posizione di stallo, in cui una sola mossa azzardata potrebbe far pendere la bilancia dall’una o dall’altra parte. Tutto ciò soltanto per sfuggire alla noia, al perpetuo ripetersi del tempo. Per divertimento.
Secondo alcune teorie religiose del passato, l’uomo è votato al male e soltanto la fede può salvarlo. Ma se fosse davvero votato inconsciamente al male sin dalla nascita, perché mai il Signore dei Cieli avrebbe dovuto dar luce a una creatura sostanzialmente in contrasto con Lui? Non si dice, forse, che Egli modellò l’uomo a Sua immagine e somiglianza? Di conseguenza, se si dovesse dare adito a tali teorie, Dio dovrebbe assimilarsi con il Diavolo. 
E a questo punto, se Dio è il Male, cosa rappresenta Satana?
Non vorrei però che qualcuno prendesse alla lettera queste mie confuse disquisizioni teologiche, che il pensiero comune etichetterebbe come blasfeme. Non pretendo di convincere o indottrinare nessuno. Ciò che mi preme, al contrario, è narrare la mia storia così come l’ho vissuta, illustrando ogni passo compiuto fisicamente e spiritualmente su un sentiero impervio e misterioso, che nessuno prima di me aveva mai osato percorrere. 
La storia ebbe principio con poche, comuni ed innocenti domande: “Perché esisto?”, “Perché sono nato?”, “Perché soffro?”, “Perché Dio non mi ascolta?”. Chi non se le è poste? Il mistero della vita ha sempre assillato l'uomo, spingendolo ad affannarsi per trovare delle risposte. 
Ebbene, era una tranquilla notte di fine agosto. L’afa ricopriva come un velo soffocante le pareti color pesca della mia camera e la mia pelle, imperlandola di sudore. All’esterno, nascoste sui rami degli alberi, le cicale frinivano senza sosta, facendo un baccano infernale nonostante fosse mezzanotte passata. Il fuoco nel camino scoppiettava rinvigorito da nuovi ciocchi di legno. Nonostante il caldo estivo, per una qualche assurda ragione di cui ancora oggi non riesco fornire un logico movente, lo avevo voluto accendere, ne provavo un bisogno logorante e disperato. Il calore che si sprigionava da quel cunicolo rovente andava a mescolarsi con quello che saturava l’aria, trasformando la stanza nell’anticamera dell’Inferno. Avevo gettato la legna, afferrato un fiammifero e in un battito di ciglia le fiamme avevano lambito il piccolo bastoncino, che poi avevo buttato tra gli altri suoi simili. Quell’unica fonte di luce mi piaceva, mi affascinava come le lingue di fuoco facevano tremolare le ombre, rendendole vive davanti ai miei occhi vacui e spiritati e nella mia mente suggestionabile lasciata a briglie sciolte. La danza delle fiamme aveva sempre suscitato in me emozioni discordanti, come ammirazione e terrore, brama e ripugnanza. 
Avevo freddo, un insolito ed inquietante gelo mi era penetrato nelle ossa da giorni e non sapevo più come trovare sollievo. I medicinali che mi venivano somministrati con regolarità non facevano effetto e le mie vene pareva che si fossero ghiacciate. Tremavo e pregavo che almeno il fuoco mi abbracciasse e confortasse. Ero lucido, cosciente che la follia stava pian piano distruggendo tutte le mie difese, ma anche esaltato. Mi ero sempre chiesto cosa si provasse ad essere preda della pazzia e finalmente avrei presto potuto scoprirlo e sperimentarlo sul mio stesso gracile corpo da adolescente imberbe, un corpo che detestavo in maniera viscerale. Avrei voluto strapparmi la pelle di dosso, come un vestito troppo attillato, avrei voluto rasarmi a zero, estrarre gli occhi dalle orbite e bruciarli, trafiggermi le orecchie con dei coltelli così da non dover più sentire un accidente di niente. Avrei voluto tagliarmi la lingua. E così, cieco, muto e sordo, con le ossa scarnificate ed esposte, la semplice azione di addormentarmi non mi avrebbe più spaventato a morte. A quel punto l'universo sensoriale sarebbe stato lontano anni luce da me, eternamente irraggiungibile, ed io non avrei più visto, gridato, udito e sentito quando l'Uomo Nero sarebbe entrato in camera mia, strisciando nel mio letto come un serpente. 
Provavo un gusto insano e malato nel realizzare di essere uscito di senno, come se tale consapevolezza mi esonerasse dal tornare nelle gabbie sociali, dal farmi rimettere docile il collare, dal sottomettermi ulteriormente a individui abietti e accettare in silenzio il loro egoistico verdetto. Potevo dire ciò che pensavo, potevo urlarlo, potevo rivelare la verità ai quattro venti, insultare, imprecare, ballare nudo in mezzo ai boschi, bestemmiare e far finta di lanciare malefici. Tanto nessuno mi avrebbe mai preso sul serio. E se qualcuno, eventualmente, lo avesse fatto, di sicuro mi avrebbe concesso la grazia della morte, sgravandomi con un gesto misericordioso dal fastidioso fardello della vita. Sarei stato libero. 
E il bello è che, al risveglio di quella stessa mattina, non avrei mai creduto possibile che la mia routine potesse subire una svolta di proporzioni così drastiche. Inoltre, se qualcuno mi avesse detto che sarei finito a lavorare per il Diavolo, gli sarei scoppiato a ridere in faccia senza troppi scrupoli, dandogli del matto. Poi gli avrei dato ragione e mi sarei messo a cercare il Diavolo, da pazzo quale mi sentivo. E la cagione di tale inatteso e radicale cambiamento fu una preghiera, un desiderio espresso con tutta la forza della mia anima, uno di quelli che non possono venire ignorati, che sconvolgono e scuotono per la loro intensità. Era genuino, potente, capace di annullare qualunque altra emozione. L’unico errore che ho commesso, benché chiamarlo “errore” adesso non mi sembri più appropriato, è stato supplicare inconsciamente Satana, invece che Dio.
Così, una folle, straordinaria, spaventosa e rapida concatenazione di eventi, casuali o meno, mi ha portato qua, seduto sul sedile posteriore di pelle in una limousine di lusso, mentre vengo accompagnato dal signor Fires sul luogo del mio primo incarico in totale autonomia, privo della familiare e rassicurante supervisione del mio mentore. 
Fare l’assistente del Diavolo non è così male come può sembrare: vai lì, riscuoti il contratto e scaraventi le anime all'Inferno. Semplice come bere un bicchiere d’acqua.
In questo momento sto avendo un dejà-vu. Ricordo che ero seduto nella medesima posizione, di fronte alla medesima persona, quando tutto cominciò: la notte che conobbi colui che avrebbe assunto il ruolo di mio protettore, punto di riferimento in mezzo al caos, il mio maestro, il signor Fires. Ora ho ventitré anni, ma all’epoca ne avevo soltanto quindici. Se ci ripenso, rimango sconcertato. 
Il signor Fires è costantemente ammantato da un’aura così autoritaria che, allorché ti trovi al suo cospetto, sembra che ti manchi il respiro, che sia lui a risucchiartelo e strappartelo inesorabilmente via insieme al soffio vitale. Fu il signor Fires a tirarmi fuori dall’inferno che mi ero costruito intorno, per catapultarmi in un altro tipo di incubo con annessi i dolci gratis, dettaglio non da poco, dato che avrei potuto vendere l'anima per una tolta a triplo strato farcita di cioccolato. Anche lui sgobba per Sua Eccellenza Oscura, ma questa, se vogliamo, è la sola cosa che ci accomuna. Appena ho posato lo sguardo su di lui la prima volta, ho capito subito che aveva qualcosa di strano, qualcosa che stonava con tutto il resto, qualcosa di sbagliato. O forse è meglio dire qualcosa di “provvidenzialmente diverso”.
Siamo a Londra, l’anno corrente è il 2012. La destinazione della limousine è Piccadilly Circus, presso la dimora della famiglia Phelps. 
Emetto un lieve sospiro e stringo il manico della rigida valigetta nera che tengo sulle ginocchia fino a farmi sbiancare le nocche. Avverto il peso dei contratti riposti all’interno come se fossero appoggiati sulla mia anima. Il signor Fires mi scruta di sottecchi, iridi del colore delle braci ardenti accese come fari, come se un vero fuoco bruciasse dietro di esse, ed io gli rispondo con un sorriso tirato, anche se il risultato è una smorfia spaventata.
“Basta che tu sia convinto, Archie. Se lo sei, tutto avverrà in maniera naturale, neanche te ne accorgerai.” 
La sua voce mi culla, mi infonde coraggio, mi ammalia come un dolce e venefico incantesimo. È un timbro basso, roco, conturbante, pregno di richiami sessuali, irresistibile. So che ha ragione, come potrebbe essere diversamente? Ma l’emozione mi blocca il respiro in gola e il mio stomaco si attorciglia dolorosamente.
“Non ti agitare, sono certo che ci riuscirai. È il tuo primo lavoro, è normale che l’ansia di fallire ti paralizzi come una bestiolina pronta ad essere infilzata. Confido nella tua ferma decisione e anche Sua Eccellenza ci spera. Non deludere te stesso, quello che sei, quello che hai scelto di diventare.”
Annuisco e chiudo gli occhi, giusto il tempo per un altro sospiro, prima di aprire la portiera e dirigermi verso la porta della casa designata. Sono pronto, sento di esserlo sempre stato. Questo è il mio momento. Osservo con indifferenza l’ennesimo cognome stampato in maiuscolo sulla targhetta di ottone e premo sul pulsante del campanello, mentre gli occhi roventi e sadicamente divertiti del signor Fires mi perforano la schiena e risvegliano in me una scarica di brividi lungo tutta la spina dorsale, facendomi infine rizzare i capelli sulla nuca e venire la pelle d'oca. Finché lui mi permetterà di stare al suo fianco, non tentennerò, lo renderò anzi fiero di me.









 
  
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