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Autore: _Nazariy_    12/12/2012    3 recensioni
Questo è un estratto del libro che sto cercando di scrivere, diciamo più o meno metà della storia. Tuttavia è una sorta di episodio auto conclusivo quindi ho deciso di pubblicarlo qui. Viktor è un immortale che viaggia e per ''sopravvivere'' fa il mercenario in giro per il mondo.
L'ispirazione l'ho presa da un racconto del Maestro Shigematsu ~
Genere: Avventura, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Viktor era un mercenario solitario, combatteva ormai da moltissimo tempo perché era la cosa che sapeva fare meglio. Combattere.

 

Il suo corpo però non presentava neanche una cicatrice. Il motivo è che Viktor era immortale. Viveva in mezzo agli uomini da centinaia di anni e si era dimenticato da dove provenisse. La sua missione di allora consisteva nell’assassinio di un criminale in fuga da tre anni e i suoi informatori gli hanno fatto sapere che sarebbe sbarcato su un’isoletta a sud di Kyushu, in Giappone, dov’era nato, a Novembre.

 

Viktor osservava ogni giorno la gente che saliva e scendeva dalla nave che arrivava ogni giorno nel porto, ma dell’uomo con la cicatrice a forma di ‘X’ sulla guancia non c’era traccia. 

«Anche tu stai aspettando qualcuno?», una signora con un kimono elegante si rivolse a Viktor.

Era quasi anziana, si vedevano dalle rughe in faccia, anche se erano coperte da molto trucco e ma non riusciva a camuffare bene le ciocche bianche in mezzo ai capelli neri, raccolti in cima alla nuca. L’uomo osservo anche le mani, mani da donna lavoratrice, probabilmente contadina, e sola. Non c’era alcun anello sulle sue mani e, in generale, non aveva nessun gioiello. Nei suoi lunghissimi anni di vita aveva imparato a valutare bene le persone per ogni minimo particolare.

«Sì, signora», rispose semplicemente. Non parlava da molto in giapponese, perciò non gli era facile comprendere tutto ciò che diceva la donna.

«Ti vedo qui ogni giorno che guardi la folla con ansia…», continuò a parlare lei abbassando lo sguardo. Poi guardò Viktor, che osservava il mare. «Scusa, forse ti ho disturbato…»

«No, signora. Mi scusi.», scusarsi era la prima cosa che aveva imparato in Giappone. La seconda era maneggiare la katana, che stringeva ora sotto il lungo vestito. La donna si tranquillizzò e continuò la conversazione.

«Non sei giapponese… vieni dall’Inghilterra? Ultimamente è pieno di quelli lì… non che voglia dire che mi danno fastidio, ma...»

«No, no, non sono inglese», disse Viktor interrompendola. Aveva conversato con migliaia di persone e sapeva che se lasciava parlare una donna di mezz’età, quella non la finiva più. Però le aveva detto la verità. Sapeva con certezza di non essere inglese, anche se non conosceva le sue origini. Aveva la sensazione di venire da un mondo che quella gente ancora non conosceva.

«Oh, ho capito», si creò una lunga pausa tra i due.

«Anche lei sta aspettando qualcuno?», questa volta continuò Viktor. Sul viso della donna si accese un sorriso. Alquanto inquietante, poiché con tutto quel trucco era un po’ ridicola anche senza che sorridesse. Sembrava che attendesse questa domanda da quando aveva iniziato a parlare con Viktor. «Mio figlio verrà a prendermi!», poi frugò nel taschino interno del kimono. «Ecco», porse una lettera a Viktor.

 

Mamma, sto venendo a prenderti. Scusa se non mi sono fatto sentire in tutto questo tempo, ma non avevo modo e il lavoro non mi lasciava scampo. Sono davvero felice che ci rivedremo. Sarò lì a Novembre, aspettami.                                                                                                       -Kazae

 

Viktor si fece aiutare dalla donna per capire alcuni kanji, il resto riuscì a leggerlo da solo.

«Ho venduto la casa e ora lo sto aspettando da sei giorni, dovrebbe essere qui a momenti», i suoi occhi luccicarono.

«Hai venduto casa?»

«Sì, con i soldi che ho ricavato vivo in quell’albergo, si affaccia sul mare ed inoltre il servizio è ottimo per le signore come me», si lasciò andare in una risata. Una risata alquanto forzata, secondo l’opinione di Viktor.

«Spero che arrivi presto. Io la devo salutare ora», aveva capito perché la donna parlava con lui.

«Te ne vai di già?», la donna cercò di trattenerlo ancora, ma vide solo l’uomo allontanarsi.

 

Il giorno dopo la scena si ripeteva. Nessuno con la cicatrice che scendeva dalla nave. L’imbarcazione ripartì e Victor fece per tornarsene in città.

«Anche oggi niente, ragazzo?», la donna era ancora lì.

«No…», la guardò con compassione e freddezza allo stesso tempo. Sentì di nuovo le storie che raccontava su suo figlio. Che non lo vedeva da più di trent’anni, non aveva avuto alcune sue notizie, per questo era felicissima del suo ritorno.

«Si sta facendo tardi, è meglio che io…», fece per dire Viktor.

«Vai via di nuovo? Ascolta, posso venire con te? Sai, mi sento un po’ sola in albergo, non ho nessuno con cui parlare», ora sorrise timidamente. Sembrava una ragazzina un po’ troppo vecchia agli occhi dell’uomo.

«Io dormo all’aperto. Il mio corpo è abbastanza resistente, tu invece devi tornartene in albergo», ribatté e si incamminò verso la città.

«Anche il mio lo è, non mi sono mai ammalata in vent’anni!», continuò a sorridere.

«Ho capito…», era praticamente un sì. Viktor aveva compreso che non aveva altra scelta. La donna non aveva altra scelta. Le decorazioni che aveva tra i capelli erano sparite e loro scendevano sulle spalle, un po’ scompigliati e le ciocche grigie non erano più nascoste.

 

Lei non aveva più soldi per restarsene in albergo.

  
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