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Autore: Beauty    14/12/2012    10 recensioni
E' il 1912. Sulla nave dei sogni si intrecciano i destini di Emma Swann, Regina Mills, Archie Hopper, Ruby Lucas, Mary Margaret Blanchard, il signor Gold, Belle French, Jefferson e molti altri, mentre il Titanic si avvia verso il suo tragico destino.
Chi sopravviverà?
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Belle, Emma Swan, Ruby/Cappuccetto Rosso, Signor Gold/Tremotino, Un po' tutti
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Angolo Autrice: ATTENZIONE!!! Nella parte dedicata a Hunter Swan c’è uno spoiler bello grosso sulla season 2, quindi se a differenza della sottoscritta non vi siete ancora bevuti tutte le puntate della seconda stagione, appena vedete che le cose diventano preoccupanti, saltate una decina di righe!

Questo per avvertire chi non vuole brutte sorprese…a tutti gli altri, buona lettura :)!

 

Gli alloggi di terza classe erano quanto di più squallido August avesse mai visto. Ormai aveva smesso di contare le scorribande dei topi, a cui all’inizio lanciava una serie d’imprecazioni assai poco signorili, rendendosi poi però subito conto che fulminare verbalmente quei ratti non sarebbe servito a nulla. Lui, suo padre e il dottor Hopper dormivano in dei letti a castello, a cui Marco aveva dovuto sostituire le lenzuola sporche e lise, le pareti trasudavano umidità che si mischiava con il puzzo del carbone e delle caldaie al di sotto di loro, e il soffitto era talmente basso che lui e Archie – chissà che fine aveva fatto, a proposito…che l’avessero scaraventato in mare insieme a Pongo? – erano costretti a chinarsi per non picchiarci contro la testa. August di tanto in tanto borbottava qualche imprecazione; Marco, invece, si limitava tutt’al più a sospirare, senza commentare nulla, con un’espressione rassegnata che al giovane uomo faceva ogni volta avvertire una stretta al cuore.

Negli ultimi tempi, August si era reso conto sempre di più di quanto suo padre fosse invecchiato. La moglie di Marco era morta appena due mesi dopo averlo dato alla luce, e da allora suo padre era sempre stato solo, con l’unica compagnia di suo figlio e di Archie che, fortunatamente, era un amico vero, su cui si poteva contare. Ad August dispiaceva che il dottor Hopper, pur potendosi permettere senza problemi un alloggio di prima classe, fosse costretto a sopportare tutte quelle angustie solo per amore di loro due poveracci, ma ancora di più gli dispiaceva che suo padre dovesse sopportare tutto ciò.

Erano anni, ormai, che August viveva pieno di sensi di colpa nei confronti di Marco, e ora più che mai si domandava se le cose sarebbero potute andare diversamente, se non avesse compiuto un errore madornale a non portare avanti l’attività di famiglia. La razionalità gli suggeriva che, se anche lui avesse continuato a lavorare alla falegnameria, non avrebbe fatto differenza, gli affari andavano male da tempo e sarebbe fallita comunque, eppure non riusciva a darsi pace. Gli sembrava quasi di aver abbandonato suo padre al proprio destino, solo per essere stato troppo egoista, per aver pensato a se stesso e alla propria carriera.

Appena dopo il diploma, August aveva iniziato a lavorare in falegnameria insieme a suo padre. Marco gli aveva insegnato bene i ferri del mestiere, e lui era anche bravo, aveva talento nel creare e aggiustare oggetti, ma sentiva che quella non era la sua strada. August aveva sempre puntato in alto, aveva sempre detto di non voler rimanere uno sconosciuto qualsiasi, ed era convinto che la sua fantasia e la sua bravura nello scrivere racconti lo avrebbero aiutato.

Marco aveva accettato senza obiettare la sua decisione, ma August non aveva fatto i conti con il clientelismo che vigeva negli influenti ambienti inglesi. Era riuscito a pubblicare solo qualche racconto sulle pagine di alcuni giornali minori, ma non appena proponeva un lavoro serio, subito veniva scalzato dal raccomandato di turno. Per anni si era visto chiudere una porta in faccia dopo l’altra, tornando ogni volta a casa sconsolato e con la certezza di non meritarsi in alcun modo il piatto di minestra che Marco gli poneva di fronte a cena.

Suo padre l’aveva sempre supportato, sia moralmente sia economicamente, e ora August voleva fare altrettanto. Quel viaggio, giurò a se stesso, sarebbe stato l’ultimo che Marco avrebbe trascorso nell’indigenza. L’America era il paese delle grandi opportunità, no? Lì il suo talento sarebbe stato riconosciuto, sarebbe divenuto uno scrittore famoso e avrebbe regalato a suo padre una vecchiaia serena, senza più preoccupazioni.

Incitato da questo pensiero, August prese a scrivere più freneticamente, e il rumore dei tasti della macchina da scrivere erano rapidi e secchi così come le idee nella sua mente.

- A che pagina sei?- s’informò Marco.

- Più o meno a centocinquanta. La storia è già nel vivo, ma il peggio deve ancora venire…

- E sei già a centocinquanta pagine?! Buon cielo, cosa stai scrivendo, un papiro?

- La genialità non ha limiti, papà.

- E nemmeno la modestia…Si può sapere almeno di cosa parla, questo capolavoro?

- Te l’ho detto, parla di una nave.

- E’ un po’ poco, per avere un’idea.

- Una nave, su cui s’imbarcano un padre e un figlio.

- E…?

- Beh, lo sai come sono i miei lavori. Non manca niente - August guardò suo padre e sorrise.- Ci sono duelli, misteri, e naturalmente la storia d’amore…

- E ci sono anche animali fuggitivi?- chiese ironicamente Archie, spalancando la porta della cabina e arrancando nel tentativo di entrare con Pongo al guinzaglio che si divincolava.

- No, ma posso sempre aggiungerceli…- fece August.- Che ha combinato di tanto grave, la nostra mascotte?

Archie tirò Pongo dentro la cabina con un ultimo sforzo, quindi chiuse la porta e vi ci si appoggiò contro.

- Indovinate un po’ dov’era finito?- ansimò.- Nientemeno che in prima classe.

- Uh, si tratta bene, il nostro Pongo…- commentò Marco, piegando un maglione.

- Sì, come no…- sbuffò Archie.- Pensa che ha quasi aggredito una cameriera…

- Aggredito?

- Beh, no, non proprio aggredito…- spiegò Archie.- A farla breve, lei aveva dei biscotti in tasca e Pongo…

- Capito. Strano, a noi qui di biscotti non ne hanno distribuiti…- ironizzò August.- Dovremo informarci meglio, papà, magari da qualche parte in terza classe servono il thé…

- Non è di terza classe. Viaggia in seconda - precisò Archie.

- Ah, allora ci hai parlato!- esclamò August.- Come si chiama? E’ carina?

Archie arrossì.

- Si…si chiama Ruby Lucas…

- Com’è? Bionda, mora? Com’è messa in termini di davanzale?

- August!- lo rimbrottò Marco.

- Che c’è? Questo furbacchione fa il Casanova in prima classe e non sei curioso nemmeno un po’?

- Non ho fatto il Casanova…- borbottò Archie.- Abbiamo solo scambiato due parole, niente di più…

- Sì, certo…E quando la rivedi?

- Non so se la rivedrò, non…

- Non vi siete dati appuntamento?! Papà, qui bisogna fare qualcosa…

- E dai, August…- implorò Archie.

- August, lascialo in pace…

- Ma scusa: conosce una bella ragazza, non si prende due schiaffi quando prova a parlarle, e non le da nemmeno un appuntamento! Ammetterai che la situazione è preoccupante…

Archie e Marco sospirarono all’unisono; l’uno si sedette e aprì un libro, l’altro riprese a sistemare i vestiti.

- E va bene, ho capito. Comunque, abbi la decenza di farci un fischio, quando busserà alla porta della nostra cabina e ti salterà addosso…Non vorrei trovarmi in situazioni imbarazzanti…

- August!

 

***

 

- Papà, non ti piace il thé?- Grace sollevò lo sguardo su suo padre, che non aveva ancora toccato la propria tazzina del servizio di plastica che la bambina aveva portato con sé. Jefferson si riscosse, perso nei suoi pensieri, e sorrise a sua figlia, bevendo un sorso di thé invisibile.

- E’ buonissimo, Grace.

- Già, è quello che ho appena detto a Mr. Bunny - la bambina sorrise, indicando un coniglio di pezza seduto accanto a lei. Era stato l’ultimo regalo che Jefferson le aveva fatto, prima d’imbarcarsi: un vecchio pupazzo tenuto insieme da stracci cuciti alla bell’e meglio che aveva trovato in una bancarella di oggetti usati alla periferia di Southampton.

Una delle tante cose di seconda mano che sole poteva permettersi.

Così come quella cabina di terza classe.

Jefferson sospirò, gettando un’occhiata tutt’intorno che comprendeva i muri umidicci e gli indumenti strappati. Per acquistare i biglietti per lui e sua figlia aveva impiegato la liquidazione che gli avevano rilasciato al momento del licenziamento dalla fabbrica in cui lavorava, e in più si era venduto un cappotto e un vecchio cilindro.

Tutto per quello squallore…

- Papà, dove andremo a vivere, una volta arrivati a New York?- domandò Grace.

Jefferson si sentì sprofondare; non aveva idea di dove sarebbero andati. Per qualche tempo, forse, avrebbero potuto chiedere ospitalità in qualche convento, ma poi? Aveva sentito dire che l’America era il luogo ideale per quelli come lui, dove i posti di lavoro abbondavano, e con dei salari da sceicco.

Jefferson sperava tanto che le voci fossero vere: la sua Grace aveva vissuto nella miseria insieme a lui in tutti i suoi dieci anni di vita, e se le cose fossero state identiche anche a New York, se non fosse riuscito a dare a sua figlia la vita che meritava…Jefferson sentiva che sarebbe morto, se così fosse stato.

Grace meritava il meglio. Solo il meglio.

Le sorrise, cercando di apparire sicuro.

- Chi lo sa…A te dove piacerebbe abitare?- chiese.- In una casa con un giardino? In un castello?

Grace ci pensò un po’ su.

- Non m’importa di come sarà la casa…- mormorò.- A me basta che tu stia con me, papà.

Jefferson sorrise, chiedendosi ancora una volta cos’avesse fatto di tanto buono nella vita per meritarsi una simile meraviglia com’era sua figlia.

- Io non ti lascerò mai, Grace. Te lo prometto.

 

***

 

- Va bene, voi laggiù: pausa!

Leroy gettò la vanga di lato, asciugandosi la fronte imperlata di sudore e sporca di carbone. Aveva la schiena a pezzi. Si avviò lentamente verso la scala che portava al di fuori della zona delle caldaie, pronto a godersi fino in fondo quella mezz’ora di riposo.

Sì, pensò. Appena sbarcato in America, si sarebbe cercato un altro lavoro.

- Disturbo?- fece una voce femminile, dolce e gentile.

Leroy sollevò lo sguardo: di fronte a lui c’era la giovane donna che aveva soccorso appena prima di sbarcare. Era veramente graziosa, realizzò ancora una volta, ma subito un pensiero fulmineo lo riportò all’ordine.

Sta andando a New York per prendere i voti. E’ una suora. E’ proibita.

Astrid sorrideva, reggendo in mano un involucro coperto con un tovagliolo bianco.

- No! No, certo che no. Sono in pausa - Leroy si sforzò di tirare fuori il sorriso più gentile e affabile di cui era capace.

- Bene. Io…ecco, volevo ringraziarla per avermi aiutata, oggi…- Astrid gli porse l’involucro, sorridendo.- E’ torta di mele. Una ricetta di famiglia. Spero che le piaccia…

- Sicuro! Ehm…volevo dire…io adoro le mele…- Leroy prese l’involucro.- Grazie…

- Non c’è di che…E’ in pausa, ha detto?

- Sì…Magari potremmo…beh, potrebbe farmi compagnia…- propose, indicando la torta.

Astrid sembrò sul punto di accettare, ma subito ci ripensò.

- Oh, mi dispiace…- fece, sinceramente dispiaciuta.- Vorrei tanto, davvero, ma fra poco è ora della messa…

- Certo. Certo, capisco…

- Ma…- disse Astrid.- Lei…lei quando inizia a lavorare?

Leroy si passò una mano sulla fronte calva.

- Io lavoro da mezzogiorno fino alle sei, e poi dalle nove fino all’una di notte…

- Oh, allora domattina è libero?- Astrid sembrava entusiasta.- Le andrebbe di fare una passeggiata sul ponte?

Le labbra di Leroy si distesero in un sorriso involontario.

- Sarebbe un vero piacere…

- Perfetto, allora - Astrid si voltò, iniziando a salire le scale.- Ci vediamo domani mattina alle nove. Ponte di seconda classe…

- A domani…

Leroy passò un quarto d’ora a fissare le scale oltre le quali era scomparsa Astrid. Quando assaggiò una fetta di dolce, pensò che non aveva mai gustato delle mele tanto buone in vita sua.

 

***

 

Emma aveva smesso di piangere – non era abituata a farlo, e aveva versato fin troppe lacrime nella sua vita, per averne ancora molte –, ma il senso di sconforto non se n’era andato. Non era arrabbiata, non con la signora Mills, almeno: Regina aveva detto solo la pura e semplice verità.

Che genere di madre era, una che abbandonava il proprio bambino?

Emma provava disgusto verso se stessa, e pensava che Henry fosse stato fin troppo buono a riaccoglierla dopo che lei l’aveva lasciato. Per anni, aveva cercato di raccontare a se stessa delle bugie per giustificare ciò che aveva fatto, per soffrire un po’ meno per le conseguenze del suo gesto.

Quando aveva partorito Henry, Emma sapeva già che non avrebbe potuto tenerlo con sé. Non aveva di che sfamare se stessa, figurarsi quella creatura bisognosa di cure e attenzioni continue. Non aveva denaro, non aveva un tetto sopra la testa, e non aveva un marito.

Emma ripensò a Neal Cassidy, il padre di Henry.

Neal era un vagabondo senza famiglia come lei, uno scapestrato che viveva di espedienti. Forse era stato proprio questo a farli avvicinare. Forse l’idea che, insieme, se la sarebbero potuta cavare meglio che in solitaria. Forse il loro amore era stato costruito sulla simpatia che nasce fra due esseri simili. O forse quello era semplicemente un espediente per sentirsi meno soli.

All’epoca, Emma aveva creduto davvero di essere innamorata di Neal Cassidy; ora non ne era più tanto sicura.

Lei e Neal avevano vissuto insieme per quasi un anno, dormendo dove capitava, girando in lungo e in largo per Southampton e dintorni, senza mai mettere radici in un posto per più di un paio di settimane. Emma non aveva un lavoro, e nemmeno Neal. Vivevano di piccoli furtarelli, cibo e vestiti, per lo più, e se andava bene di tanto in tanto anche qualche soldo.

C’era stato un periodo, ricordò improvvisamente Emma, un breve lasso di tempo, in cui lei gli aveva proposto più volte di smetterla e di mettere la testa a posto. Aveva detto a Neal che almeno potevano provarci, a trovare una stabilità, intendeva. Non dovevano per forza sposarsi e giocare alla bella famigliola, ma quantomeno trovarsi un lavoro e una casa e poi, chissà, se fossero arrivati anche dei bambini…

Ma Neal non ne aveva voluto sapere. Aveva liquidato la faccenda con il suo solito sorriso scanzonato, e le aveva detto di non preoccuparsi, cosa le veniva in mente di cambiare vita quando se la cavavano tanto bene in quel modo?

Emma non aveva replicato, né aveva più insistito, forse perché, in fondo, anche a lei andava bene così.

Tutto era cambiato quando aveva scoperto di essere incinta. Tutto. Anche Neal.

Emma rise di se stessa, ricordandosi di quanto fosse stata stupida a credere che Neal avrebbe fatto i salti di gioia, alla notizia che sarebbe diventato padre. Uno come lui come poteva essere felice di avere un figlio da curare e mantenere?

Uno sbaglio. Ecco come aveva definito Henry, quando ancora stava crescendo nel suo ventre. Per Neal, Henry era solo uno sbaglio. Solo un problema in più a cui pensare, un peso indesiderato, una responsabilità che lui non voleva.

Se n’era andato il giorno seguente. Da allora, Emma aveva continuato la sua vita di sempre, fatta di piccoli furti e lavoretti occasionali, ma non era più semplice come una volta. Senza Neal, costretta ad agire da sola, con la paura costante di venire presa e il ventre che cresceva sempre di più man mano che il tempo passava, tutto si era fatto più difficile. Era più impacciata, più insicura, un bersaglio più facile per le forze di polizia. E alla fine l’avevano presa.

Emma era uscita di cella al nono mese di gravidanza, ed erano passati solo due giorni fino a quando era stata costretta a trascinarsi fino a un convento di suore, dove aveva partorito Henry. Passati tre giorni, le suore, che avevano scoperto che lei era una ladruncola e per giunta ragazza madre, le avevano imposto di andarsene. Ed Emma se n’era andata. Senza Henry.

Nei mesi di detenzione, aveva riflettuto a lungo su quella scelta, rendendosi conto di non avere veramente una scelta. Come avrebbe mantenuto suo figlio? Dove l’avrebbe cresciuto? In mezzo a una strada? Che gli avrebbe dato da mangiare? E lui, che colpa ne aveva di avere una madre snaturata?

Se non altro, pensò, Henry aveva avuto ciò che lei sperava avesse, dandolo in adozione. Una casa e una buona madre che, almeno economicamente – Emma non era sicura che valesse anche dal punto di vista affettivo, dato che il bambino l’aveva cercata perché lei lo riprendesse con sé – non gli faceva mancare nulla.

L’unica nota stonata nella sua vita era lei. Lei, la madre che si era rifatta viva dopo dieci anni e pretendeva di strapparlo alla donna che l’aveva cresciuto, chissà in che modo e per portarlo chissà dove, crescendolo in chissà quale maniera.

Ancora una volta, stava commettendo un grosso sbaglio…

- Permette?

Emma si sentì toccare lievemente una spalla, e subito sollevò di scatto lo sguardo, sperando che i residui di lacrime intorno agli occhi fossero spariti. Le sue pupille si dilatarono leggermente per lo stupore, allorché si ritrovò faccia a faccia con il capitano Graham.

Graham le sorrise, tenendole una mano per aiutarla a rialzarsi. Emma accettò, un poco in imbarazzo, sistemandosi le pieghe dell’abito.

- Grazie…- mormorò.

- E’ da più di mezz’ora che la cerco, lo sa?- il tono di Graham era scherzoso, quasi una risata, ma Emma non colse questa sfumatura.

- Mi scusi…

- Si sente meglio?

- Sì…- Emma tentò di sistemarsi i capelli biondi, ma questi venivano puntualmente scompigliati dal vento.- Mi dispiace, è che…sa, è la prima volta che viaggio per mare, e oggi mi pare che le onde siano parecchio alte…Comunque…credo che sia solo questione di farci l’abitudine, sa, è strano, io in genere non…

- Non deve giustificarsi.

Le parole di Graham arrivarono come una doccia fredda. Emma boccheggiò, sentendosi impallidire.

- Sa, so riconoscere la differenza fra una nausea e un attacco di pianto…- Graham pronunciò queste parole con cautela, cercando di metterci tutta la delicatezza di cui era capace, ma non distolse lo sguardo dagli occhi castani di Emma. - La signora Mills non avrebbe dovuto dire quelle parole su di lei…

Emma indietreggiò di un passo, sconvolta.

No! No, non era possibile! Non era neppure passato un giorno, e già si era fatta scoprire! Che avrebbe fatto adesso Regina? L’avrebbe allontanata da Henry, di sicuro! Forse il capitano era venuto da lei proprio per arrestarla…

- Ehi, ehi! Calma, calma, calma!- sussurrò Graham, prendendole i polsi.- La signora Mills non ne sa niente, stia tranquilla…

Emma si sentì un poco sollevata, ma il panico non era ancora sparito.

- Come…coma ha fatto a scoprirlo?- gracchiò.

Graham le sorrise, cercando di metterla a proprio agio.

- Intuito, chiamiamolo così. Sa, c’è un motivo, se oggi in corridoio l’ho scambiata per la madre di Henry…Beh, scambiata forse non è la parola adatta…- Graham ridacchiò.- Henry non assomiglia per niente alla signora Mills. Certo, è stato adottato, ma…Henry ha il suo profilo…- il capitano scostò una ciocca bionda dal viso di Emma. - E i suoi stessi occhi…a prima vista molti dettagli non si notano, ma con uno sguardo attento le somiglianze diventano evidenti…

- La prego…- gracchiò Emma. - La prego, non dica niente…

- Sono uno sbirro, il ruolo della spia lo lascio a qualcun altro…- Graham sorrise.- Ma in cambio…- sussurrò.- Lei deve promettermi che mi racconterà tutto, dalla prima all’ultima parola. Intesi?

Emma annuì grata, sforzandosi di sorridere. Guardò il volto del capitano: non lo conosceva nemmeno, eppure sentiva di potersi fidare di lui. Emma diceva sempre di avere una sorta di “super potere”, come lo chiamava lei: capiva al volo se chi le stava di fronte mentiva o no.

In quel momento, pensò, il capitano Graham era sincero. Non l’avrebbe tradita.

- Capitano Graham! Signorina Swann!

Entrambi si voltarono all’unisono, riconoscendo la voce di Regina Mills. La donna si stava avvicinando a loro con passo svelto, Henry che le trotterellava dietro con aria pensosa.

- Finalmente! E’ da mezz’ora che vi cerco!- sospirò Regina.- Grazie per il suo aiuto, capitano - si rivolse a Emma. - Si sente un po’ meglio adesso, signorina?

- Sì…- mormorò Emma, gettando una breve occhiata a Graham.- Sì, molto meglio, grazie.

- Succede, quando si viaggia per mare la prima volta…- fece Graham.- E’ solo questione di abitudine, domani tornerà in gran forma…

- E’ sicura che non vuole che chiami un medico, signorina?- domandò Regina.

- Oh, no! No, non ce n’è bisogno, grazie.

- Molto bene. Direi che possiamo tornare in cabina, allora…

- Permettetemi di accompagnarvi!- propose Graham, al che Regina sorrise, compiaciuta.

Henry gettò una rapida occhiata a Emma, ma lei gli sorrise con fare rassicurante. Non appena sarebbero stati soli, sarebbe iniziata la tempesta di domande a cui, Emma lo sapeva, avrebbe dovuto rispondere, ma si sentiva pronta, e forte.

Camminando lungo la via di ritorno verso la cabina, Emma sentì che Graham, senza guardarla, le sfiorava una mano.

 

***

 

Ashley gemette, distesa sul lettino di terza classe, premendosi una mano sulla bocca e la fronte contro la parete della cabina.

- Amore! Che cos’hai, stai male?- Sean corse a sedersi sul letto accanto ad Ashley.

La ragazza inspirò a fondo prima di rispondere.

- Eppure credevo che le nausee fossero passate…- mugolò.

- Magari è solo mal di mare…

- Non importa, non cambia nulla - Ashley gettò il capo all’indietro sul cuscino.- Sono enorme…- gemette.- Perché non mi butti in mare? Potrei aggregarmi a un branco di balene…sono sicura che arriverei a New York prima di te…

Sean rise, e le posò un bacio sulla fronte.

- Sei bellissima…- sussurrò.- Per me sarai sempre stupenda, anche se dovessi diventare la nuova Moby Dick…

- Grazie, molto rincuorante da parte tua…- ironizzò Ashley.

- Meglio essere preparati al peggio, no?

Ashley sbuffò, tirandogli un cuscino e colpendolo in piena faccia. Sean rise del broncio della fidanzata.

- Non fare così…- le scostò una ciocca di capelli.- Vedrai che dopo il parto tornerai l’affascinante e snella fanciulla di sempre…

Ashley fece un sorriso forzato; sapeva che Sean scherzava, ma aveva altri pensieri per la testa, ben più gravi di quello di rimanere grassa.

- Sean…che faremo una volta arrivati a New York?- lo guardò.- Scusami se sono così poco ottimista, ma non credo a tutte le storie secondo cui in America ti danno un lavoro e una casa senza che tu nemmeno li chieda…

Sean fece spallucce.

- Neanch’io, ma confido nella mia bella faccia - scherzò. Vide che Ashley non aveva smesso la sua aria preoccupata, e le diede un bacio.- Sta’ tranquilla…- sussurrò.- Troverò un lavoro e una casa in men che non si dica…Tu ora non devi preoccuparti di questo, devi pensare solo a te e al bambino…

Sean si chinò fino a poggiare la guancia contro il ventre di Ashley.

- Ehi, piccolino!- bisbigliò, ridacchiando brevemente.- Mi senti? Sono quello svitato del tuo papà, e non vedo l’ora di conoscerti!

Ashley rise, spingendo via Sean. Il ragazzo si guardò brevemente intorno.

- Scusa, ma credo di aver lasciato il maglione sul ponte. Torno subito, va bene?

Ashley annuì, guardandolo uscire dalla cabina. Sean aveva il potere di strapparle sempre una risata, ma i brutti pensieri non se n’erano andati. Quel maledetto del padre del suo fidanzato aveva licenziato lei e sbattuto fuori di casa lui non appena aveva saputo che suo figlio aveva messo incinta una cameriera, e non solo!, aveva anche intenzione di sposarla.

Sean gli aveva urlato contro che non aveva bisogno di lui, che avrebbe provveduto di persona a mantenere lei e il bambino, ma Ashley era stata fin da subito dubbiosa. Amava il padre di suo figlio, non era pentita della scelta che aveva fatto e aveva la più totale fiducia in lui, ma rimaneva comunque realista. Sean era nato e cresciuto in una famiglia ricca, sin da piccolo aveva sempre avuto tutto ciò che voleva e non aveva mai lavorato in vita sua. Era colto e intelligente, ma non aveva particolari capacità, né un fisico da lavoratore. Quanto a lei, era stata una cameriera per tutta la vita, prima metaforicamente, dovendo stare appresso ai capricci della seconda moglie di suo padre e alle sue due figlie, poi a tutti gli effetti, quando era stata assunta in casa di Sean. Ma non avrebbe potuto lavorare, non per ora, almeno. Non in quelle condizioni, né con un neonato a cui badare.

Se non avessero trovato una soluzione, allora non sapeva proprio come…

Un’improvvisa fitta al ventre la colse, così forte da farla scattare seduta sul letto e piegarsi in due. Ashley sbuffò, ansimando, finché il dolore non si fu placato.

La ragazza boccheggiò, accarezzandosi il ventre. Una doglia, realizzò con orrore. Certo, il medico aveva detto che era normale, al nono mese di gravidanza, l’importante era che non fossero troppo ravvicinate. Fortunatamente, era solo una. Ma non andava bene. Non andava per niente bene.

Una doglia, ripeté mentalmente.

Mancava poco…

 

***

 

Belle aveva la sgradevolissima sensazione di trovarsi completamente fuori posto, sensazione che, si rese conto, era molto più vicina a una certezza vera e propria. Sperò di non sembrare troppo ebete, mentre si guardava intorno.

La cabina di prima classe del signor Gold era forse la più lussuosa di tutto il Titanic; non che la cosa la stupisse più di tanto, in effetti. Da un uomo come lui, non ci si poteva aspettare di meno.

Il solo salotto era più grande dell’intero negozio di fiori, e tutto profumava di fresco e di pulito, mentre le finestre regalavano una vista che nell’angusta cabina di terza Belle non avrebbe mai potuto ammirare, data la completa mancanza di aperture che non fosse la porta.

No, si disse. Quello non era decisamente il posto per lei. Così come non lo era la compagnia.

Belle chinò il capo, seguendo in silenzio il signor Gold e rimanendo ancora più stupita quando comprese che la stava guidando fuori, su una specie di terrazza. La ragazza capì che si trattava di un ponte di passeggiata privato, e si sentì ancor più fuori posto.

Vide il signor Gold farle un cenno con la mano, un chiaro segno di invito. Stava indicando un tavolino su cui era stesa una tovaglia bianca, preparato con tutto l’occorrente per il thé. Belle si avvicinò, ancor più vergognosa quando lui le scostò la sedia perché potesse sedersi.

La ragazza prese a fissarsi insistentemente la gonna del vestito, alla ricerca di qualcosa di intelligente da dire. Sollevò lo sguardo su Gold: l’uomo attendeva che dicesse qualcosa, e intanto la guardava con uno strano sorriso, quasi un ghigno. Belle si sedette in una postura più dritta, guardandolo negli occhi e sfoderando il sorriso più gentile che avesse: il signor Gold non le piaceva, non le era mai piaciuto, ma il comportamento di suo padre era già stato abbastanza villano, e lei non aveva alcuna intenzione di fare la figura della poveraccia in cerca di compassione.

Attese che la cameriera versasse loro il thé nelle tazzine di porcellana, prima di parlare.

- Ero venuta a scusarmi con lei, signor Gold - disse.- Per il comportamento di mio padre quest’oggi sul ponte…mi rendo conto che ha…esagerato.

Gold annuì, sempre quel ghigno stampato sul volto.

- Molto gentile da parte sua, signorina French. E, mi dica, cosa spera di ottenere, con questo?

La domanda la prese in contropiede; Belle arrossì, ma s’impose di non lasciarsi intimidire. Era chiaro che Gold stava cercando di metterla in difficoltà, ma lei non aveva alcuna intenzione di permetterglielo. Era venuta lì per scusarsi, non per implorare carità. Gli rispose con un altro sorriso; gli avrebbe dimostrato che, se i suoi giochetti funzionavano con chiunque, con lei no.

- Nulla; solo che sono una persona educata e che mi rendo conto dei miei sbagli.

- I suoi sbagli? Credevo fosse venuta a scusarsi in nome di suo padre…

- E’ così, infatti. Era linguaggio figurato. Mai sentito parlarne?

- Preferisco i discorsi diretti, signorina French. E, se posso chiedere, è stata una sua iniziativa o suo padre ha pensato di usufruire della sua buona volontà?

- No, è stata una mia decisione. A dire il vero, mio padre non sa che sono qui. Non la considera un uomo degno della nostra attenzione.

- Curioso, da parte di un uomo che viaggia in terza classe.

Belle si rabbuiò, bevendo un sorso di thé per prendere tempo.

- Lei è veramente maleducato - borbottò.

- Davvero?- di nuovo quel ghigno.- Lei ha appena affermato che io non sono degno della sua attenzione.

- Riportavo semplicemente il pensiero di mio padre. E non credo che una distinzione di classe sia sufficiente a giudicare una persona - lo guardò negli occhi.- Anzi, in vita mia ho conosciuto molte persone che non possedevano niente, ma che erano moralmente e caratterialmente splendide - sostenne il suo sguardo, con una lieve punta di sfida nella voce. - E altre a cui, pur possedendo tutto ciò che potevano desiderare, non avrei concesso nemmeno una tazza di thé.

- Oh! E sarei io, il maleducato?

Il signor Gold non aveva smesso il suo ghigno. Belle sospirò, abbassando lo sguardo. Si era fatta prendere un po’ troppo la mano, e aveva esagerato. Complimenti, signorina Belle French, era venuta a chiedere scusa e ha praticamente insultato il destinatario di tali scuse, davvero notevole!

- Mi scusi. Forse siamo partiti con il piede sbagliat…Oh!

La tazzina di porcellana le sfuggì di mano, e il thé si versò sulla tovaglia e sulla gonna dell’abito della ragazza. La tazza cadde a terra con un tintinnio.

Il signor Gold si sporse appena per vedere.

- Oh, Dio! Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace!- Belle si chinò in fretta, raccogliendo la tazzina da terra. Fece una smorfia sofferente, rimettendosi lentamente a sedere, la tazzina in mano. Guardò prima la propria gonna poi la tovaglia prima immacolata, e ora chiazzata di thé versato, tornando immediatamente a fissare la tazza che teneva fra le mani. Il suo volto appariva ancora sofferente.

- Mi dispiace tanto…- sussurrò, mostrando la tazzina. Gold la guardò: sul bordo spuntava una piccola scheggiatura.- Si…si è scheggiata…- mormorò Belle, rossa in volto.- Davvero, mi dispiace tantissimo, non l’ho fatto apposta…Non si vede neanche, a dire il vero, ma se vuole posso…

Il signor Gold aveva smesso il suo ghigno, ma in compenso la guardava come se avesse avuto di fronte una povera stupida.

- E’ solo una tazza. Non m’importa.

Belle si rilassò un poco, posando la tazzina sul tavolo, ma non smise di insultarsi mentalmente.

Era ufficiale: aveva combinato un disastro.

 

***

 

Il sole era ormai quasi completamente calato, e all’orizzonte una sfumatura arancio si stagliava contro il blu della notte e l’azzurro del mare. Ruby Lucas terminò il proprio turno alle sei precise del pomeriggio, liberandosi di quella ridicola crestina che era costretta a indossare e togliendosi il grembiule mentre correva lungo l’ingombro corridoio di seconda classe, diretta alla propria cabina.

- Ciao, nonna!- salutò allegramente, chiudendo la porta alle sue spalle.

- Ciao, Ruby…- salutò Granny, con un sorriso dubbioso che faceva il paio con il suo sguardo inquisitore.- Com’è andata oggi?

- A meraviglia, grazie!- sorrise Ruby.

Granny la guardò, sospettosa. Sua nipote non era mai andata matta per il suo lavoro nemmeno quando avevano ancora il Bed & Breakfast, e tutta quell’euforia non le piaceva. Ruby doveva aver combinato qualcosa, di sicuro.

- E tu? Che hai fatto oggi?

Per tutta risposta, Granny le mostrò il cappellino di lana rossa a cui stava lavorando.

- Tutto il giorno chiusa qui dentro a lavorare a maglia?- Ruby sbuffò.- Non credo che ti capirò mai…Hai bisogno di un po’ d’aria - dichiarò, afferrando il cappotto.- Vieni, facciamo una passeggiata sul ponte…

- Ruby, non so se…

- E dai!- implorò Ruby, troppo allegra, per i gusti di Granny. - E’ tutto il giorno che respiro polvere, un po’ d’aria fresca mi farebbe bene…

Granny acconsentì con un sospiro, gettandosi lo scialle di lana sulle spalle.

Ruby sorrise sorniona, lasciando scivolare cinque biscotti al cioccolato nella tasca del cappotto. Il gesto non sfuggì all’occhio di falco di Granny.

- Ruby…quelli dove li hai presi?

La ragazza fece spallucce.

- Oh, da nessuna parte…

- Stai cercando di darmi a bere che sono spuntati dalle onde?

- Più o meno. Ci speravo.

- Ruby!

- Scusa, scusa…li ho presi da un carrello di prima classe appena prima di venire qui…- spiegò frettolosamente Ruby, percorrendo il corridoio quasi senza curarsi del passo arrancante di sua nonna.

- Ruby Lucas, mi stai dicendo che li hai rubati?!

- Oh, andiamo, nonna! Vogliamo fare il conto di tutti i biscotti che ho rubato in vita mia?

- E’ questo che ti ho insegnat…Ehi, ma dove stiamo andando?- fece Granny, notando che la nipote aveva preso speditamente la via che conduceva al ponte riservato alla terza classe.- Il ponte di seconda è di là!

- Sì, ma da quello di terza si vede meglio il mare!

- E i cani di prima classe ci vanno a fare i bisogni…

- Oh, i cani! A te non piacciono i cani, nonna?

Granny si arrestò, furiosa, quindi prese a seguire Ruby con passo più deciso.

- Ruby Lucas, esigo di sapere immediatamente cosa sta succedendo, altrimenti…

- E va bene, va bene, calmati!- Ruby si arrestò a metà della scala che conduceva in basso, sul ponte di terza classe.- Ecco…diciamo che…oggi ho conosciuto una persona - concluse.

Granny sbuffò, esasperata.

- Avrei dovuto intuirlo…E chi sarebbe questo tipo?

- Come fai a sapere che è un tipo?

- Perché se fosse stata una donna me l’avresti detto subito, e non saresti così esaltata…

- Caspita, che intuito!

- Conosco i miei polli. E a una certa gallinella avevo anche raccomandato di stare lontana da nobili ricconi con le mani lunghe…

- Ecco che l’intuito fa cilecca! Se fosse un nobile riccone, per quale motivo credi ti starei trascinando sul ponte di terza?

- Perfetto. Un morto di fame.

- Possibile che non ti vada mai bene niente?!- Ruby sbuffò.- Per favore, nonna, cerca di mostrarti socievole per almeno cinque minuti, e non spaventarlo troppo…

Granny borbottò qualcosa di incomprensibile. Ruby prese a guardarsi intorno.

- Oh, eccolo!- esclamò, scorgendo un giovane uomo che passeggiava tenendo un cane dalmata al guinzaglio. Ruby balzò giù dalla scala con un salto, mentre Granny arrancava dietro di lei.- Ehi, Archie!

Il dottor Hopper sollevò lo sguardo, arrossendo repentinamente non appena vide la cameriera che aveva incontrato quel pomeriggio avvicinarsi verso di lui con un sorriso sulle labbra. Senza l’abito da cameriera e i capelli scompigliati dal vento era ancora più bella.

Ruby si avvicinò, e il suo sorriso si fece un poco più imbarazzato, ma non meno radioso.

- Scusami, non te l’ho chiesto…posso chiamarti Archie, vero?

Archie si aggiustò gli occhiali sul naso.

- Ehm, certo…Certo, naturalmente, signorina.

- E di nuovo con questa signorina! Ti ho già detto di chiamarmi Ruby…

- Avete fatto in fretta a entrare in confidenza, vedo…- borbottò Granny, raggiungendoli.

Archie la guardò; Ruby fece roteare gli occhi.

- Archie, lei è mia nonna. Mia nonna, lui è Archie.

- Archie, eh?- fece Granny, inarcando un sopracciglio.

Ruby annuì.

- Dottor Archibald Hopper…- precisò la ragazza; spostò lo sguardo sul dalmata.- Oh, Pongo!- esclamò, chinandosi ad accarezzare la testa del cane. - Ho qualcosa per te…- Ruby estrasse dalla tasca un biscotto e glielo porse; Pongo lo ingoiò, masticando soddisfatto, quindi prese a scodinzolare, facendole le feste. Ruby rise, ricompensandolo con un altro biscotto.

- Ora capisco il perché dei biscotti…- borbottò Granny.

Archie si sentì in dovere di dire qualcosa.

- Ehm…a Pongo piacciono molto…- lo sguardo dell’anziana donna a quell’uscita gli suggerì di aggiungere qualcos’altro.- Oggi sua nipote ne aveva alcuni in tasca e…beh…il mio cane le è quasi saltato addosso, poi…

- Suppongo che lei l’abbia fermato…

- Sì, certo! Certo, naturalmente!

Granny gettò un’ultima occhiata a sua nipote, quindi tese la mano ad Archie.

- Granny Lucas, molto lieta. Ha detto di essere un dottore?

Archie si affrettò a stringerle la mano.

- Sì, esatto. Uno psicanalista, per la precisione.

- Uno strizzacervelli, in pratica.

- Ehm…più o meno…

- Spero vivamente che non intenda fare il lavaggio del cervello a mia nipote…

Archie deglutì.

- Assolutamente no.

La stretta della donna era talmente potente che Archie temette stesse per stritolargli la mano.

 

Angolo Autrice: Va bene, vediamo di iniziare come al solito gli sproloqui…

Per la parte di Red Cricket (anche se in questo caso sarebbe più appropriato definirla una Archie/Granny XD), so che non è un granché, ma volevo aggiungerla 1 perché rimandarla ulteriormente mi avrebbe solo incasinato e avrebbe reso molto meno, 2 perché temevo ripercussioni fisiche da parte di Lady Deeks XD. Scherzo, dai :). Spero comunque che vi sia piaciuta…

Sempre mantenendoci sulla Red Cricket, il fatto che Ruby continui a fregare i biscotti per Pongo può sembrare banale e insignificante, ma occhio, perché in seguito avrà molto peso nel corso della vicenda…

Poco o nulla da dire sulla Hunter Swan, solo due paroline sul passato di Emma: per chi avesse visto gli episodi della season 2, si sarà accorto che ho cambiato un po’ di cose. Ciò è dovuto essenzialmente a due motivi: primo, esigenze di storia; secondo…andando contro a tutte le opinioni positive che ho letto su di lui e che (presumo) una Once Upon a Time fan dovrebbe avere, Neal Cassidy mi sta allegramente sull’anima e spero, spero con tutto il cuore, spero e spererò fino all’ultimo che tutte le voci siano false e lui non sia Baelfire! Scusate la mia poca apertura mentale, ma spero che Neal Cassidy venga investito da una macchina e che Rumpel ritrovi suo figlio ancora ragazzino…non so come, ma…Che poi, pensateci un attimo: Baelfire è sparito che aveva tipo 14 o 15 anni, no? Ecco, visto che è scampato al sortilegio, aggiungiamo i 28 anni e otteniamo 42 o 43…poi, scusate, che mi dite di tutto il tempo passato in FTL? Contiamo tutte le peripezie dei vari personaggi, se poi ci aggiungiamo anche il fatto che Rumpel era già il Signore Oscuro all’epoca della young Regina (e qui partono un’altra decina d’anni) e che tutta la faccenda della pozione data ad Archie che l’ha poi portato a diventare un grillo quando Geppetto era ancora bambino…all’epoca della maledizione, Geppetto quanti anni aveva? Una sessantina, volendo essere buoni?

Ora, il solo pensiero che Baelfire possa ricomparire e sembrare il padre di suo padre mi fa gelare il sangue, ma ciò toglie anche di mezzo l’eventualità Neal Cassidy…fatemi sapere se il mio ragionamento fila!

Scusate per questo mio divagare, è solo che era un dubbio atroce e sentivo il bisogno di condividerlo con qualcuno XD.

Anyway, tornando alla storia: la Rumbelle è iniziata male e sta proseguendo ancor peggio, lo so, ma migliorerà presto…Mentre con la Hunter Swan siamo messi meglio…

Dunque, come già anticipato, dal prossimo capitolo inizieremo con l’11 aprile, e avremo Snowing (domando ancora una volta perdono a tutti i suoi fan, ma credo che avrò bisogno di molta forza d’animo per svilupparla, sigh!), Leroy/Astrid, Hunter Swan e Red Cricket e un pochiiiino di Rumbelle (devo fargli far pace, sorry!).

Bene, ringrazio chi legge, chi ha aggiunto questa ff alle seguite, alle ricordate e alle preferite, e Lady Deeks, nari92, syriana94, jarmione, TheHeartIsALonelyHunter, Valine, Lety Shine 92, Avly, historygirl93 e LadyAndromeda per aver recensito.

Un grazie a parte va a syriana94 per questo fotomontaggio:

 

http://tinypic.com/r/33k9cb9/6

 

Ciao a tutti, al prossimo capitolo!

Bacio,

Dora93

  
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