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Autore: DarkPenn    02/07/2007    1 recensioni
Raccolta di spin off dedicate alla bellissima "Dark Beautiful Life" di Keylovy, realizzata previo consenso dell'autrice. La prima spin off è incentrata su Vincent ed i suoi ricordi della sua vita trascorsa con Tifa. Oltre a questa ne abbiamo aggiunte altre, speriamo che vi piacciano^_^
Genere: Triste, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Tifa Lockheart, Vincent Valentine
Note: Alternate Universe (AU), Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Il sangue dei Valentine

Il sangue dei Valentine


La fedeltà, la devozione, lo spirito di sacrificio, il coraggio indomito e quell’aura di serietà e mistero quasi sacra.

Tutti elementi che contemporaneamente potevano trovarsi solo loro sangue.
Il sangue dei Valentine.
In particolare in quei due precisi esponenti.
Entrambi, padre e figlio.
L’uno accanto all’altro in una camminata assorta, seria e cupa.
Una qualunque persona che li avesse visti camminare così silenziosi e seri tra la folla del centro commerciale avrebbe pensato due cose.
La prima: che erano padre e figlio.
Beh, innegabile.
Stesso colore di capelli: nero come la notte più scura.
Stesso colore di occhi: rossi. Rossi come il tramonto. Rossi come l’esplosione di una meteora nella notte.
Stessa carnagione: chiara, quasi pallida, come se nessuno dei due avesse mai conosciuto la luce del sole.
Certo, anche la madre aveva i capelli scuri e gli occhi di quella particolare sfumatura rossa. Ma non erano come i loro. Il loro colore era rosso cremisi.
La seconda: che sembravano due pantere in caccia.
Stesso passo, stesse movenze, stessa andatura, stessa eleganza.
Un pantera. Non c’era felino che si accostasse di più alla personalità di Vincent.
Una pantera dal manto nero e gli occhi cremisi, un predatore della notte dalla sensualità e l’eleganza innata.
E tale stava divenendo anche suo figlio.
Era evidente dall’espressione seria del volto, dall’ira trattenuta a stento, ma trattenuta, dallo sguardo fiero ed arrabbiato che lo rendeva più simile ad una adulto che ad un bambino.
Ma era normale che fosse così.
Quello era il sangue dei Valentine.
“…e poi?” Domandò la pantera adulta al suo giovane cucciolo con un tono all’apparenza privo di emozioni ma che racchiudeva in rimorso e sofferenza..
“E poi le ho detto che erano i tuoi.” Rispose l’altro con tonalità simile, ma non abbastanza esperta da nascondere quella rabbia e quella tristezza.
“E l’ha bevuta?” Chiese allora Vincent mentre entravano nel negozio di videogiochi e articoli informatici.
Vincent avrebbe dovuto prendersi un cellulare nuovo che avrebbe tenuto alla larga di Reeve, Rei il seguito del suo gioco preferito. Si soffermarono entrambi ad osservare gli espositori di telefoni, ma era uno sguardo che in realtà non vedeva ciò che gli stava di fronte. Era uno sguardo che tentava di seguire un corso di pensieri.
“Si, non è una tipa molto sveglia.” Rispose alla fine il cucciolo infilando le mani nelle tasche dei pantaloni neri, dalla foggia simile a quella di Vincent.
Aveva insistito così tanto con sua madre per farsi acquistare quei precisi calzoni nonostante lei li giudicasse troppo seri ed eleganti per lui che aveva l’abitudine di sporcarsi di gelato da capo a piedi.
Era da poco più di una settimana che l’atteggiamento di Rei era mutato in alcuni aspetti, a partire dai capi di vestiario che diventavano sempre più sobri e dai colori che oscillavano tra il rosso e il nero, fino ai capelli.
Proprio il giorno prima si era categoricamente rifiutato di farseli tagliare. Voleva portarli lunghi.
Lunghi come quelli di suo padre.
Dire che Tifa ci era rimasta a bocca aperta era poco, ma non fece storie.
In fondo era normale che ad una certa età i bambini smettessero di stare attaccati al genitore di sesso opposto per emulare quello del proprio sesso.
E nel suo intimo, la donna fu felice che il padre di suo figlio fosse Vincent e non…l’altro.
Mpfh…” soffocò una risata ironica nel sentire che anche suo figlio si era reso conto di quanto ingenua, troppo buona o forse direttamente scema, fosse quella donna.
Si, perché era difficile stabilire se Aerith fosse ingenua, scema, o buona oppure tutte e tre le cose.
Non ci sarebbe riuscita Shalua, non ci sarebbe riuscita Shelke, nonostante il loro ottimale lavoro di squadra come scienziate alla WRO, non ci sarebbe riuscito neppure Leviathan forse.
“Sei stato in gamba, Rei.” Disse alfine Vincent emettendo un silenzioso sospiro, socchiudendo gli occhi a ripararli dalla luce troppo bianca e forte dell’espositore che rischiarava i volti delle due pantere.
“Grazie, papà.” Rispose Rei con un sorriso lieve e decisamente triste. Vincent se ne accorse e riaprì gli occhi di scatto girandosi a guardarlo. Era sull’orlo del pianto, ma lo stava trattenendo con una dignità tale che ad un bambino uno sforzo simile non era richiesto. Lentamente appoggiò la mano destra sul capo del figlio.
“Hai fatto ciò che ritenevi giusto fare.” Gli mormorò amorevolmente, sperando di calmarlo, ma due lacrime nonostante gli sforzi uscirono lo stesso dagli occhi della piccola pantera mentre nelle tasche le mani si stringevano a pugno con forza sino a farsi sbiancare le nocche.
“Io non lo sopporto, papà!” Sibilò trattenendo i singhiozzi prima di continuare. “Da quando è arrivato, la mamma... la mamma è cambiata! E sempre triste! E’ sempre distratta! E poi…non voglio…non voglio! Non voglio che le stia vicino! Me ne accorgo sempre quando le è vicino, sempre! Quando torno a casa da scuola e si china a darmi un bacio, o quando mi abbraccia…io sento sempre l’odore di quello! Non mi piace! Non lo sopporto!” Sbottò infine in un pianto a dirotto correndo a rifugiarsi sotto il mantello del suo genitore.
Subito le braccia del Turk si strinsero delicatamente attorno al corpo del suo bambino, stringendolo contro di sé mentre ripensava alle sue parole.
L’odore di Cloud… lo aveva sentito anche lui quel giorno quando era passato a salutarli. Aveva sentito il suo odore, aveva visto la fretta di lei e il suo abbigliamento troppo scollato. Ed aveva lottato contro l’impulso di cercarlo come un predatore per tutto il locale riversandogli contro la sua rabbia e il suo dolore. Una rabbia ed un dolore simile eppure diverso a quelli che ora il suo cucciolo stava riversando nelle lacrime.
Ma lui non aveva dato la caccia a Cloud.
E Rei non era rimasto a guardare quando Aerith aveva visto gli occhiali di suo marito.
Perché la fedeltà e lo spirito di sacrificio verso la persona amata era nel sangue dei Valentine.
Guardò suo figlio in lacrime nascondere il volto contro il suo addome ed anche i suoi occhi si inumidirono appena. Ma lui non poteva permettere alla sua sofferenza di sopraffarlo. Doveva essere forte. Per Tifa, per Rei. Ma la vista del suo piccolo ometto in quello stato era una visione troppo straziante per non impedire ad una singola lacrima di scivolare via lungo la gota sinistra.


Povero bambino mio…
In modo diverso e tanto simile devi condividere il mio stesso fardello.
Un fardello che ti sta rendendo già uomo nonostante tu abbia ancora sette anni.
Che sia una maledizione, figlio mio?
Una maledizione che quell’uomo ha scagliato su noi tre rendendoci tutti sue vittime?
Non pensarci ora.
Piangi pure, figliolo
Sfogati, piangendo tutte le tue lacrime.
Perché ogni giorno che passa sarà sempre più difficile da affrontare.
Piangi quanto vuoi, senza vergogna.
Perché il dolore che provi, anche se in maniera diversa lo provo anch’io.
Ogni giorno, Rei, ogni giorno…
Quando un Valentine ama, da figlio o da amante, lo fa con l’anima ed il cuore, con ogni singola fibra del proprio essere.
Come facciamo noi.
A discapito dei nostri desideri, della nostra stessa felicità.
E’ il nostro pregio?
O la nostra maledizione?
O forse è una benedizione per quanto male faccia.
Perchè quando noi veniamo feriti per l’altra persona, sebbene questa non lo sappia, l’atra persone è felice.
E a noi va bene così.
E’ per questo che hai inventato quella scusa per gli occhiali vero, figlio mio?


“Papà…portagliela via! Ti prego! Portala via da quel tipo! Prima che le dia ancora fastidio!” Singhiozzò ancora il bambino portando Vincent a sospirare più profondamente.

Portarla via da quel tipo... tornare a vivere insieme come un tempo…vorrei farlo, Rei, vorrei tanto farlo ma…

“…non posso.” Rispose infine nascondendo il dolore nel suo sguardo.
“Perché?!” Domandò quasi gridando, piantando i suoi occhi in quelli di suo padre, e attirando l’attenzione di vari clienti che, credendo si trattasse di un bambino che faceva i capricci per farsi a tutti i costi comprare qualcosa, non ci prestarono più di tanto attenzione.
Sorridendogli con tristezza che stavolta non riuscì a nascondere, estrasse da una tasca del calzone un fazzoletto pulito con cui asciugò con cura le lacrime di suo figlio.
“Per lo stesso motivo per il quale tu hai detto che gli occhiali erano i miei.” Rispose a bassa voce, lasciando il bambino con la bocca leggermente aperta dallo stupore di quell’affermazione.
“Lo sai anche tu, Rei… la mamma sarà felice solo se potrà frequentare quell’uomo. Per quanto quell’uomo la faccia star male.” Cominciò a spiegare con voce bassa e calma.
“Ma non è giusto… non è giusto papà…” Mormorò il cucciolo, il cui pianto si era infine placato, abbassando lo sguardo mentre Vincent riponeva il fazzoletto prima di continuare a parlare.
“Lo so. Lo so, Rei. Ed è per questo motivo che dobbiamo starle vicino. Perché lei sappia che se qualcuno la ferisce c’è è pronto a curare i suoi graffi. Capisci cosa
intendo dire.?” Chiese infine tornando a posargli la destra sul capo, senza perdere quel sorriso malinconico.
Rei alzò di nuovo lo sguardo andando ad incontrare quello della pantera adulta.
“Che dobbiamo vegliare su di lei e alleviare il suo dolore anche se noi ci facciamo male?”
Il Turk annuì.
I due rimasero per lunghi attimi in silenzio, immersi nei rumori del negozio, dal chiacchiericcio dei presenti alla musica alle offerte via altoparlante.
Quando Vincent ritirò la sua mano dalla testa del figlio, quest’ultimo tornò a parlare.
“Papà?”
“Si?”
“Tu vuoi ancora bene alla mamma anche se ti fa soffrire vero?”
A quella domanda, le labbra di Vincent si distesero maggiormente ed il suo sorriso da addolorato, divenne dolcemente malinconico.
“La amo come l’ho sempre amata.”
Ancora una volta il silenzio regnò sovrano tra loro due, prima che il cucciolo parlasse di nuovo.
“Papà?”
“Dimmi.”
“Da grande voglio diventare anche io un Turk. Voglio essere forte come te. Che anche se soffri, non ti lamenti mai. E sei sempre pronto ad aiutare la mamma. Voglio somigliarti.” Affermò Rei con una serietà e decisione che non ammettevano replica alcuna.
Quell’affermazione lasciò l’uomo decisamente spiazzato per qualche istante, ma poi scosse la testa mantenendo un sorriso calmo e gentile.
“Non sarà necessario che diventi un Turk. Già mi somigli abbastanza. Ora andiamo a prendere quel videogioco, prima di vedere i telefoni, vuoi?” Chiese porgendogli la mano. Rei annuì ed insieme si incamminarono verso la sezione apposita.
Camminando tra gli scaffali un ulteriore pensiero, che non sarebbe stato l’ultimo della giornata né tantomeno della sua vita, si fece strada nella mente di Vincent.

Diventare un Turk per somigliarmi?
Non c’è ne bisogno , Rei.
Ad accomunarci e renderci simili c’è il nostro pregio. La nostra benedetta maledizione.
Siamo dei Valentine.







Fine

  
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