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Autore: fragolottina    17/12/2012    9 recensioni
«Non lo senti?» mormora, tanto vicino al mio viso che non resisto alla tentazione di baciarlo, con le sue parole che vibrano sulle mie labbra. Io non resisto mai alla tentazione di baciarlo. È così bello, ha il viso che ho sognato di trovare per tutta la vita. Ha il naso perfetto. Adoro i suoi dreadlocks castani. Ha gli occhi più grandi e blu che si siano mai visti. E brillano, come la prima neve sotto un raggio di sole mattutino. Brillano di quello che è, nel suo intimo più profondo.
Dio, il ragazzo che mi ama è perfetto.
«Cosa?»
Si appoggia coi gomiti ai lati della mia testa e prende a giocherellare con i miei capelli. «La neve.» solleva il mento ed annusa l’aria intorno a noi. «La prima neve di quest’anno.»
Genere: Commedia, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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profumo di neve
fragolottina's time
AHHHH! ma siamo in ritardo!
oh, mio dio così non ce la faremo mai per Natale!
il che è un problema che si presenta un po' in tutti i racconti di Natale quindi ben venga...
cmq, no, in realtà sono pochi capitoli, quindi se mi metto sotto ce la dovremmo fare... è un grande 'se', non vi assicuro niente!
prometto, però, di farcela per la fine delle vacanze!



PROFUMO DI NEVE

III parte

La tavola calda dove lavoro era dei genitori di Nick, lui non l’ha mai toccata. Ha lasciato che Mrs. Durden, la capo cameriera, la gestisse come ritenesse più opportuno. Solo quando io sono venuta a vivere da lui ed avevo bisogno di un lavoro, ha chiesto che venissi assunta.
    Il mio impiego mi piace, mi fa sentire utile anche se gli avventori non sono molti ed io servo solo caffè. Ho imparato che vivere qui è una scelta coraggiosa, per tutto l’inverno la neve isola il paese da tutto il resto del mondo e bisogna essere forti per superarlo. La proprietà privata viene quasi considerata un delitto, c’è la comunità ed è giusto condividere per aiutare tutti.
    Tutti sanno chi è Nick, perciò nessuno si sorprende che, nonostante l’ospedale dove lavora sia a centocinquanta chilometri da qui, lui riesca comunque a venire a pranzo da me ed ad arrivare in tempo per il turno pomeridiano. La limousine di Nick corre veloce.
    I miei concittadini mi vogliono bene. Dal primo giorno che sono venuta qui. Hanno assimilato solo tre cose di me: primo, che sono la fidanzata di Nick; secondo, che mi chiamo Maggie; terzo, che vengo da fuori città.
    Tutto il resto non li ha mai interessati.
    Ed anche il terzo punto, per loro si tratta solo di un’indicazione per suggerire che devono spiegarmi alcune cose.
    «Secondo me dovrebbe lavorare qui anche lui visto che ha te.»
    Il signor Jackson è sempre un po’ scorbutico, ma so che è solo una posa. Nick mi ha raccontato che quando i suoi genitori se ne sono andati è stato proprio lui ad aiutarlo ad organizzare tutto quanto. A quanto pare lui e suo padre erano molto amici.
    «Se ai miei tempi ci fosse stata una cameriera tanto carina, di certo non mi sarei fatto problemi per il suo ragazzo. Soprattutto se non c’era mai.»
    «Oh, smettila Tom!» sbotta Mrs. Durden, servendogli la sua omelette. «Il ragazzo fa un lavoro di cui tutti dovremmo essere fieri. Ed è un bel giovanotto, se anche ai tuoi tempi Maggie ci fosse stata, di certo non si sarebbe fatta rubare da te.»
    «La lascia sola per Natale.»
    Mrs. Durden lo fissa omicida. «Oh, questa poi.» sbotta indignata, scappando a sfogare il dispetto nella cucina, dove suo marito prepara i cibi. «Scordati che ti serva qualcos’altro.» la sentiamo gridare.
    «Mi lascia sola soltanto per la Vigilia, signor Jackson.» lo correggo.
    «Non va bene comunque.»
    «Oh, su Mr. Jackson! Mi dia un po’ di tregua.» lo supplica Nick entrando nella tavola calda.
    Ci guardiamo e riesco quasi a vedere una specie di aura luminosa intorno a lui: non so se sia perché è lui o se i miei occhi innamorati lo rendano più luccicante. Mi sorride e fa alcuni passi nella mia direzione, come se non vedesse altro. Mi raggiunge dietro il bancone e mi abbraccia prima di darmi un bacio. Tra i suoi dreads sono rimasti intrappolati dei fiocchi di neve, che si sciolgono a contatto delle mie dita; ne ha uno anche sulla guancia, che gli cola sul viso come una lacrima, ma i suoi occhi luccicano: se fosse una lacrima, sarebbe di gioia.
    Mi stringe forte, sovraeccitato come un bambino con troppo zucchero in corpo.
    «Sei bella.» mi sussurra ad un orecchio, sfiorandolo con il naso gelato. Le sue labbra però sono calde.
    Lo abbraccio a mia volta. «Anche tu.»
    «Non è tutto più bello quando c’è la neve?» chiede un po’ a tutti sorridendo.
    «Dio, come lo odio quando entra nella parte.» borbotta il signor Jackson.
    Ma la felicità di Nick è molto, molto dura da scalfire, non basta certo un po’ di cinismo. «Vedrà Mr. Jackson, anche lei sarà contento per Natale.» prognostica e si siede accanto a lui.
    «Se lo dici tu.»
    «Che mangi?» gli domando.
    Io suoi occhi dicono “Te” e sento un brivido caldo scivolarmi sulla schiena. «Pancake, con tanto zucchero a velo, tanto sciroppo d’acero, mirtilli ed una spruzzata di cioccolata.»
    Il signor Jackson lo studia aggrottando le sopracciglia. «Che mi venga un colpo! Morirei di diabete solo a pronunciare una roba del genere e questo qui, invece, è magro come un chiodo!»
    «Faccio tanto attività fisica.» spiega tranquillo.
    «Ma non prendermi per il…»
    «Signor Jackson!» lo interrompe Mrs. Durden rientrando attivamente in servizio prima dell’inevitabile.
    Io rido, perché questo è il mio posto.

La seconda volta che ci incontrammo fu in un caffè, di pomeriggio.

Trovai un mazzetto di vischio fuori la porta, con attaccato un cartoncino. Mio padre mi prese in giro, elogiando le mie conquiste amorose, mentre io rimasi a fissare la grafia ordinata e tonda che diceva: “Ti aspetto allo Sugar Smell alle 17:30. Nick C.”
    Conoscevo il locale, era una caffetteria molto carina a pochi minuti di cammino da casa mia.
    Portai in camera con me il mazzetto ed il cartoncino e mi sedetti sul letto, di fronte all’armadio. Era passata una settimana da quando si era intrufolato in casa ed io non ero ancora riuscita a sbrogliare la mia mente ed il mio cuore. Una cosa era stata certa, però: dopo di lui, nessun ragazzo aveva toccato la mia anima o, molto meno poeticamente, il mio interesse.
    Riportai, ancora, alla mente ogni dettaglio che ero riuscita ad immagazzinare di lui. Piccoli frammenti di bellezza ognuno diverso dall’altro ed ognuno unico ed irripetibile, come i fiocchi di neve. Nessuno parlava, si muoveva, sorrideva come lui. Nick, se poi quello era davvero il suo nome, sapeva di speranza, di cose buone e belle, di futuri rosei e radiosi. Di vita.
    Ed io non sapevo cosa indossare.
    Alla fine mi decisi per una gonna di jeans lunga fino al ginocchio, un paio di stivali, calze lunghe a righe sui toni del marrone ed un maglione color panna. Mi tirai indietro i capelli con un fermaglio e completai tutto con cappello, guanti e sciarpa, sempre bianco panna.
    Quando scesi in soggiorno, mio padre non commentò il mio abbigliamento più curato del solito, si limitò solo ad augurarmi “Buona Fortuna” prima che uscissi.
    Nick era già lì quando arrivai, nascosto sotto un giaccone pesante. Non appena mi vide i suoi occhi si illuminarono così tanto, da farmi arrossire e sorridere, e sentire prepotente la voglia di abbracciarlo.
    «Credevo non venissi.» le sue parole si condensarono in nuvolette, mentre parlava. Faceva freddo, nonostante le strade pulite, sui marciapiedi c’era neve accumulata.
    Strinsi i pugni guantati dentro la mia giacca. «Perché?»
    Si strinse nelle spalle. «Non lo so.» sorrise ancora e, se è possibile, di più. «Però sono contento che sei qui.»
    Non dissi niente, perché non sapevo cosa dire.
    Lui mi guardò per qualche secondo con le mani in tasca, poi si morse il labbro e lanciò un’occhiata dietro di sé. «Entriamo?»
    Annuii.
    Lo “Sugar Smell” era un locale carino e dolce. Caldo e speziato per tutti i tè o le cioccolate profumate che venivano servite. La cameriera – Viola diceva la targhetta appuntata al suo petto – ci mostrò un tavolo libero per due, proprio di fronte alla vetrina.
    «Posso portarvi qualcosa?» ci domandò cortese.
    Nick mi guardò in attesa.
    «Un tè all’arancia, per favore.»
    «Per me uno alla cannella e…» assottigliò lo sguardo per studiare la vetrina di dolci anche da quella distanza. «Biscotti al pan di zenzero?»
    Viola annuì con un sorriso. «Arrivano.» ci assicurò.
    Mi accomodai su una sedia e lui davanti a me.
    «Cannella e pan di zenzero?» chiesi divertita.
    «È Natale.» si limitò a rispondere lui con una scrollata di spalle.
    «La prendi molto sul serio questa festa.»
    «Il Natale è bello. Le persone cercano di essere migliori, i bambini pregano e sperano di essere abbastanza buoni davanti alle vetrine dei giocattoli, le città sono illuminate. Non ti fa sentire calda?»
    Sbattei le palpebre e mi sfilai cappello e guanti. «Sono appena tre gradi. Nessuno può sentirsi caldo!» la mia voleva essere una battuta, ma lui mi fissò per qualche secondo, poi allungò una mano a palmo in su. La guardai incerta, poi ci posai sopra la mia: era bollente. «Wow.» commentai.
    Non avevo il coraggio di alzare gli occhi su di lui, perché sentivo di arrossire.
    «Meg, che hai fatto in questi giorni?»
    «Come?» gli lanciai appena un’occhiata, poi presi a guardare la vetrina, il suo riflesso non quello che c’era fuori.
    Nick sollevò il gomito sul tavolo e ci si appoggiò con il mento. «Raccontami della tua vita.»
    Mi strinsi nelle spalle. «Ho diciassette anni, vado al liceo. Non…» lo guardai incerta, preoccupata del suo giudizio. «Non ho molti amici, mi sembra di essere sempre fuori posto. Anche se forse è colpa mia.»
    «Le sensazioni non sono mai una colpa.»
    Non risposi. «E tu che hai fatto in questi giorni?»
    Viola la cameriera ci portò le nostre ordinazioni, i biscotti di Nick erano a forma di albero di Natale. Presi una bustina di zucchero e la versai nel mio tè.
    «Ho lavorato un sacco, è un brutto periodo.» rise e scosse la testa. «Cioè, è un periodo bello, ma ho un sacco da fare e neanche un po’ di tempo per me. E ti ho pensata, sempre.» mi sorpresi di come non si facesse remore a dirmelo, sincero in modo totalizzante.
    Lo fissai. «Hai preso un giorno di ferie per me?»
    «Qualcosa del genere.» rispose tranquillo, come me, anche lui scelse lo zucchero, due bustine. «Mi sono innamorato di te e penso che tu ti possa innamorare di me. Quindi, ho intenzione di starti dietro finché non sarà troppo pazzo portarti a vivere da me.»
    Sgranai gli occhi stupita. «Oh, beh…» scossi la testa. «Ma non mi conosci!» obbiettai.
    «Si, ma certe cose si capiscono subito.» afferrò un biscotto e lo addentò sempre guardandomi, sfidandomi a dire il contrario.
    «Hai una visione particolare dell’amore.» commentai.
    «L’amore è semplice, sono le persone a complicarlo.»
    Bevvi il mo tè all’arancia più per nascondere il viso che per effettiva necessità. Avevo sentito alcune ragazze, con le quali pranzavo a scuola, lamentarsi di fidanzati troppo silenziosi e pragmatici, ma anche avere a che fare con un ragazzo così loquace non era semplice.
    «Ti va di fare qualcosa insieme dopo?» mi chiese, passando ad un altro biscotto.
    Posai la mia tazza e lui spinse il piattino verso di me per offrirmene uno. Scelsi il più piccolo. «Tipo?»
    Sorrise nei miei occhi. «Ti ho portato un regalo.»

Fuori dal locale lo aspettava una limousine nera con i vetri scuri.
    «Rudolph, mi apri il bagagliaio.»
    Rudolph, un uomo di circa sessant’anni che era sceso dal posto del guidatore non appena ci eravamo avvicinati, recuperò le chiavi e raggiunse il retro dell’auto. «Subito, sir.» quando mi passò davanti mi fece un leggero inchino. «Miss, è un piacere conoscerla.»
    Io arrossii perché, dacché ricordassi, nessuno si era mai inchinato davanti a me.
    Diedi una leggere gomitata a Nick che mi lanciò un’occhiata. «Oh, lui è Rudolph. È l’autista della famiglia.»
    Chiusi gli occhi poi li sgranai. «Tu hai un autista che ti scarrozza in limousine?!» domandai incredula.
    Nick annuì, semplicemente.
    «Quindi, sei ricco.» dedussi.
    Ancora un cenno del capo.
    Gli afferrai un braccio e lo scrollai. «E vieni a rubare i biscotti a casa mia?!»
    Scoppiò a ridere e mi prese il viso tra le mani per lasciarmi un bacio sul naso. «Non sono cose di cui si può parlare prima del terzo appuntamento.»
    Recuperò una scatola dal bagagliaio, mentre io ero tutta intenta ad arrossire ed imbarazzarmi, e la aprì sotto i miei occhi. Dentro c’erano un paio di pattini da ghiaccio a fiori blu e rosa. «Ti piacciono?»
    «Mi porti a pattinare?» domandai contenta, troppo contenta per mantenere lo stesso livello di disagio di poco prima. «Io sono sempre voluta andare a pattinare.» li sfiorai piano e ritirai la mano, quasi potessero sparire sotto i miei occhi. Non ero mai andata a pattinare, anche se ricordavo mia madre ripetermi che da grande mi avrebbe insegnato.
    Nick rise divertito e bellissimo. «Lo so.»
    «Lo sai?» scossi la testa e gli afferrai un braccio. «No, ti prego, non dirmi cose che non voglio sapere.»
    Mi avvolse le spalle. «Non prima del terzo appuntamento, tranquilla.» mi guidò piano verso lo sportello della limousine, mentre Rudolph riprendeva il suo posto.
    «Non sono capace, però.»
    Una volta, anni dopo che era morta, avevo chiesto a mio padre e lui mi aveva guardato così addolorato che mi sarei rimangiata tutto quanto: “Mi dispiace, Maggie, io non so pattinare.”
    «Ti insegno.» promise.
    Lo spazio all’interno dell’auto era grande circa quanto la mia cameretta. Niente a che vedere con il fuoristrada da mio padre, che, ad ogni modo, era una macchina molto spaziosa.
    «Ma qui in paese non c’è una pista da pattinaggio.» riuscii a fargli notare, quando la meraviglia per tutto quello che mi circondava fu passata.
    Lui mi lanciò un’occhiata carica di sottintesi. «Sai dove c’è una straordinaria pista di pattinaggio?»
    Lo studiai timorosa, senza capire esattamente dove andasse a parare. «Dove?» finii per chiedere.
    «A Mosca.»


cioè vi prego, ma la limousine guidata dall'autista Rudolph è o non è una genialata?!
non posso dire altro.
cmq, probabilmente nel prossimo capitolo Nick farà outing, d'altronde sarà il terzo appuntamento, no?
fatemi sapere che ne pensate!
baci

ps. as always Lamponella...

   
 
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