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Autore: Teiresias    04/07/2007    9 recensioni
Un brutale omicidio per l'ispettore Rick Shaw, poliziotto simbolo di tutti i peggiori stereotipi americani esistenti: un caso che si rivelerà tanto breve, quanto orribile per lui e il suo aiutante.
PS: la dicitura 'commedia' è inserita per indicare che questo racconto può anche essere visto (in maniera molto malata) come intriso di humor nero.
PS2: Riveduta e corretta di molti errori ortografici. Scusatemi.
Genere: Comico, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MY MINI LITTLE PONY

TUTTA COLPA DI SUNNY MUFFINS ~ by teiresias


Con un gesto veloce, il detective Shaw si accese la prima sigaretta della giornata, inspirando la prima boccata di nicotina e risputandola fuori: la nuvola di fumo si perse nell'atmosfera sempre poco pulita che aleggiava intorno a lui, segno che il dipartimento spendeva soldi inutili per imprese di pulizie che non facevano il loro lavoro. Era ovvio che poi tutti si lamentassero che mancavano i fondi, finché c'erano coglioni che sprecavano dollari in quel modo.
Finché li spendevano per quelle stronzate, voleva vedere chi dei suoi colleghi avesse il coraggio di dire che lavorare per la polizia era il sogno di un'intera esistenza.
Calci nel culo e poche storie, era la sua personale filosofia di vita: disgraziatamente, non la condividevano né il suo capo, che quel giorno gli aveva assegnato una nota di demerito per un vecchio caso, né la sua ex moglie, pronta come un'arpia quel giorno stesso a spillargli i soldi che sarebbero dovuti servire a mantenere il loro figlio ormai diciottenne, e che invece spendeva lei per i cavoli suoi.
Comprensibile dunque che, sceso presso i suoi colleghi d'indagine, quella mattina fosse altamente incazzato.
La sua entrata fu accompagnata da quel silenzio di tomba che era stato un po' la colonna sonora dei suoi vent'anni di lavoro, e dagli sguardi di uomini che lo scrutavano attentamente per comprendere di che umore fosse quel giorno e decidere se azzardarsi a parlargli, o evitare anche solo di intavolare una banale discussione sulle condizioni meteorologiche; decisero che era meglio utilizzare la seconda opzione.
Troppo incazzato con se stesso per godere del potere che aveva sui suoi subordinati, l'uomo si avvicinò alla prima recluta che gli capitò sotto tiro, visibilmente tesa non appena si rese conto che era stata scelta come vittima sacrificale, mentre gli altri si scostavano discretamente da lui come se fosse stato un malato terminale di AIDS (tra parentesi, lui odiava i froci): la sua corporatura robusta, i pochi capelli rimasti a mettere in mostra la pelata come un trofeo, la pancia prominente che usciva dai pantaloni, i vestiti spiegazzati da tipico uomo americano che senza una donna non è in grado neppure di piegarsi i calzini, e lo sguardo furioso da pitbull in attesa del minimo cenno di debolezza per attaccare qualcuno fecero scattare sull'attenti il povero ragazzo. Gli parve anche di sentire un rutto e una scoreggia.
Pessima scelta.
Lui odiava chi ruttava e scoreggiava senza il suo permesso.
E proprio per questo, non aveva intenzione di rendergli la vita più facile o mostrarsi più dolce di quanto in realtà non fosse: cioè per niente.
- Allora, spiegami un po' in cosa cazzo consiste il caso Barney - proruppe con un grugnito.
Il ragazzo deglutì, vedendo i suoi amici che lo fissavano terrorizzati, e prese gli appunti: gli occorsero tre tentativi, prima di riuscire a parlare in tono normale. - A...Ecco...signor Shaw...qu...questa... -
- Ragazzo, o ti fai passare quella fottutissima balbuzie da solo, o farò in modo che i calci in culo che ti darò fra due secondi siano sufficienti a rimetterti in sesto -
Come risposta, l'altro cominciò a sudare, e mollò un altro rutto.
Gli fece segno di girarsi.
Fu sufficiente a farlo parlare senza respirare.
- Signore, questa mattina una pattuglia della polizia è stata avvertita di rumori sospetti in una casa fuori città, e ha trovato...beh...è stato scoperto un omicidio -
Shaw socchiuse gli occhi, cercando di soffermare la sua mente sulla parola "omicido". Detestava dover lavorare di mattina presto a casi tanto petulanti, ma siccome in vent'anni era stato talmente stronzo con i capi da non meritare mai una promozione, ne avrebbe avuto fino alla morte: in questo modo, ovviamente, accumulava altro rancore contro quegli stronzi che ce l'avevano con lui, che di conseguenza lo punivano ancora di più. Un fottutissimo giro vizioso da cui era impossibile uscire senza fare la prima mossa.
Cosa che certamente lui non aveva intenzione di fare.
- Spiegati meglio - fu il suo brusco complimento per essere riuscito a terminare la frase senza un balbettio.
Un po' più rincuorato, la recluta si permise di riprendere fiato e riguardare gli appunti. - Sembra che, verso le 3 e mezzo del mattino, siano stati uditi dei rumori simili a un litigio nella casa dei Barney, appena fuori dal centro cittadino: hanno un piccolo podere con giardino. Beh, quando gli agenti Trent e Barker sono arrivati sul posto, hanno trovato un vero massacro - Impallidendo visibilmente, tirò fuori una decina di fotografie, che gli porse liberandosene con una nota di sollievo; Shaw le fissò impassibile, bestemmiando fra sé sul fatto che la sigaretta stava già per finire. - Non ci sono segni di lotta, o di effrazione. Hanno trovato il signore e la signora Barney, di quaranta e trentotto anni, fatti a pezzi nel salotto della loro casa, presumibilmente con un'accetta poi ritrovata nelle vicinanze. Hanno seguito le tracce di sangue che portavano al retro, e hanno scoperto che anche il piccolo cavallo che tenevano per la figlia è stato ucciso brutalmente... -
Bla, bla, bla. Per quanto lo riguardava, del caso non gliene poteva importare niente: stava già pensando a come spiegare alla sua ex moglie che non aveva più intenzione di pagarla e che aveva deciso di assumere un avvocato per sputtanarla davanti a tutti, da quella gran troia che era, altro che allegra famigliola squartata nella notte.
Senza chiedere, prese il resto dei documenti in malo modo, prima di parlare. - Testimoni? -
- C'è la figlia di otto anni, Michelle, che si trovava nella sua camera da letto. Sembra che non abbia sentito nulla, quindi l'abbiamo mandata all'ospedale per delle analisi, perché c'è il dubbio che sia stata drogata -
Ok, un altro caso rognoso per il detective Rick Shaw: c'era da farci su una bella sit com televisiva, di quelle che censurano le sparatorie e i morti ammazzati con luci soffuse e cambi di inquadratura. Davvero una prospettiva di lavoro splendida, se soltanto avesse avuto trent'anni in meno e la faccia da finocchio come quelle che si vedono sulle copertine di quelle riviste maschili sempre più gay.
Mentre il ragazzo continuava a parlare imperterrito, Shaw uscì dalla stanza e andò dal suo capo per sapere come aveva intenzione di farlo muovere per quella volta: udì chiaramente che, non appena la porta si richiuse dietro di lui, ritornò la solita, gioiosa atmosfera da omicidio plurimo.


- Insomma, capo, mi stai dicendo che devo interrogare questa Michelle? - chiese sgarbatamente, buttando a terra la cicca ancora fumante e riaccendendone un'altra: ormai il capo della polizia si era arreso a combattere le Lucky Strike di Shaw, e non faceva più nulla per impedirgli di abusarne, nonostante all'interno dell'ufficio campeggiasse a lettere cubitali il divieto a non fumare. Forse sperava che un giorno crollasse a terra, strozzato da un cancro ai polmoni, e in realtà era ben felice che si spianasse in anticipo la strada fino alla tomba.
Il capo Garresh, due metri di altezza per cento chili di peso, annuì in silenzio: in vent'anni Shaw non lo aveva mai visto alzare la voce, né prendersela con qualcuno. Per quel compito c'erano i suoi sgherri. Era convinto che quello fosse un comportamento da codardi, perché un capo deve essere disposto a sporcarsi le mani all'occorrenza e non lasciare il lavoro ad altri.
Era sottinteso che odiava Garresh, ma siccome era il suo superiore cercava, per quanto possibile nella sua natura, di non attaccare briga.
Fece una risata roca, volutamente antipatica. - No, cazzo, vuoi dirmi che una bambina di otto anni potrebbe sapere qualcosa di questo? E' una fottutissima mocciosa. Chi ti dice che potrebbe aiutarci? -
- Adesso è di ritorno dall'ospedale, ed è molto scossa - Lo fulminò con lo sguardo. - Mi aspetto che utilizziate la massima cura nel parlarle, visto che non le abbiamo detto nulla dei... -
Un attimo! Aveva detto voi? - Che è questa stronzata del voi? Non vorrai dirmi che me la devo sbattere con qualche stronzetto ansioso di farmi le scarpe? -
La risposta fu un fascicolo gettato sulla scrivania, che il detective Shaw degnò di uno sguardo disgustato per puro masochismo. - Albert Meyers. E' arrivato nella nostra sezione da appena un paio di mesi, ed è un ragazzo in gamba. Ho bisogno di qualcuno che gli dia un'occhiata e gli spieghi un po' il mestiere -
- Non contare su di me -
- Sei l'unico rimasto - Lo fissò in cagnesco, convinto che il suo volto rubizzo e panciuto lo rendesse più spaventoso, mentre in realtà lo mostravano solo per l'obeso codardo che era. - Altro da dire? -
La risposta fu una sonora bestemmia.


La verità era che mancavano i grandi uomini di una volta: la generazione di ragazzini che popolava la stazione di polizia era di quelli cresciuti con stronzate come le Barbie Zoccole e Sailor Moon, riducendosi come suo figlio a vestirsi da donna quando nessuno poteva vederli. Rick Shaw era convinto che un bambino dovesse crescere con sani modelli, non con tutte quelle puttanate e quelle pubblicità idiote che passavano in televisione; il mondo avrebbe sicuramente avuto meno ricchioni e meno puttane, se tutti avessero seguito il suo esempio.
Uscendo dall'ufficio, lo stesso poliziotto che aveva tartassato prima si avvicinò timidamente, a occhi bassi: Shaw notò solo in quel momento che non poteva avere più di venticinque anni e che era vestito perfettamente. I casi erano due: o aveva già avuto la splendida idea di mettere incinta una donna, o a casa mammina si premurava di stirargli le camicie e preparargli il caffè la mattina prima di andare al lavoro, in un fioccare di "tesoro" e "il mio ragazzo".
Ovviamente, detestava le allegre famigliole come quelle.
- Signor Shaw... - disse con voce flebile la recluta, alzando il dito come un piccolo scolaretto.
L'uomo lo squadrò da capo a piedi, prima di rispondergli sgarbatamente. - Che cazzo vuoi? -
- Signore, credo che il signor Garresh le abbia parlato di me...sono il detective Meyers -
Perfetto. Lo aveva già inquadrato e aveva capito che quel ragazzo non sarebbe durato a lungo lì dentro: oh, sì, e se si fosse dimostrato troppo duro di comprendonio, gli avrebbe dimostrato lui che non c'è posto nella polizia per i ragazzi perfettini usciti dall'università con il massimo dei voti. Perciò, ignorandolo palesemente, si diresse verso la sala d'aspetto al piano di sotto, seguito a ruota da quella sorta di cagnolino servizievole con la giacca sulle spalle e gli appunti in mano.
Arrivato a destinazione, era già sicuro che quel caso lo avrebbe obbligato a sedute speciali davanti alla televisione a bucarsi con stronzate horror come i film di Carpenter, condite da fiumi di birra, per poter estrarre dalla sua testa a viva forza quell'indagine.
Il mostro era lì, ignaro del loro arrivo, seduto su una sedia troppo grande per lui al punto che i piedi spaventosamente minuscoli e più simili alle zampette di una gallina monca dondolavano come quelli di un impiccato: la semplice vista delle calzette bianche e delle scarpette di un colore rosato simile alle chiazze di sangue rappreso lo fece rabbrividire, ma a vincerlo fu il disgusto, non appena risalì al resto del corpo. Al vestitino di raso bianco e rosa pallido (disumano) che stava a indicare a quali orribili pratiche esso fosse solito dedicarsi, alle braccine rachitiche che spuntavano dalle maniche a sbuffo, al corpicino che dondolava al minimo movimento, ottimo per trarre in inganno le sue prede, al nastro sempre di colore rosa che teneva indietro i capelli rossi e perfettamente acconciati come quelli di una parrucca spaventosamente finta, ovviamente, che lasciava la libertà di vomitare davanti al visetto angelico e modellato su ceramica e tutte quelle altre stronzate lì che la rendevano ancora più orribile.
Sentì l'immediato bisogno di un'overdose di insulina alla sua sola vista, e capì subito che quella cosa non era assolutamente normale: cos'è, il colpevole si era costituito e nessuno glielo aveva detto? Con un brivido di puro disgusto, Shaw ricacciò indietro il vomito e si fece avanti.
- Michelle Barney? - chiese a fatica, trattenendo i conati.
La piccola creatura si voltò verso di lui con due occhi cisposi e irrealmente grandi da Bambi con la congiuntivite e scoprì la fila di piccole zanne bianche sotto le labbra arricciate, come a fiutare quello che le stava intorno.
Oh. Mio. Dio.
- Dove sono la mia mamma e il mio papà? - E ovviamente, anche la sua voce era stridula e petulante come quella di un gatto morente.
Rick Shaw, più di ogni altra cosa, aborriva i bambini.
E per questo, non appena fu davanti a quell'orrore, impallidì e si tirò indietro, agguantando per il colletto il suo fedele cagnolino e lanciandolo praticamente verso il piccolo predatore, sibilandogli: - Fai tu - Magari quell'idiota credeva anche che lui lo avesse fatto per compassione, o perché era stato toccato dalla dolcezza di quella piccola innocente.
Quando fu a distanza di sicurezza, si permise perfino di ascoltare il dialogo spaventoso che aveva luogo.
Albert Meyers. - Ciao, Michelle. Io mi chiamo Albert, e sono un poliziotto -
Il mostro. Occhi umidi, labbro tremante e vocina sottile da attrice di soap-opera buona solo a scoparsi i produttori. - Signore...cosa ci faccio qui? -
Il pirla di Meyers, abbassandosi alla sua visuale: un errore che a molti suoi colleghi era già costata la vita. - Michelle, i tuoi genitori sono...partiti, e hanno detto che dobbiamo occuparci di te... -
La tragedia. La piccola strega si mise a piangere. Una sirena ambulante che ispirava i sentimenti più disgustosi nei cuori di tutti, che si fermarono a guardare lei, e poi lui come se fosse stato il motivo di tutto ciò; Rick Shaw l'avrebbe fatta piangere per molto più, ecco cosa non sapevano quei piccoli e insulsi colleghi, perché non avrebbe mai rischiato di vomitare in pubblico come un debole. - Mamma! Papà! N...non...sarebbero mai... -
Poteva non cascarci il suo cagnolino? Ovviamente no. - Michelle, può succedere...sono cose che i grandi fanno... -
Altre sirene. Altre occhiate. Ne aveva già piene le palle.
- Mammaaaaaaaaaaaa!!! -
Stoccata finale. Dai, Meyers, signor massimo dei voti e lode all'università, falla tacere! - Michelle, sai cosa facciamo noi adesso? Andiamo a cercarli. Li andremo a chiamare e gli diremo che ti mancano tantissimo, e allora torneranno da te. Va bene? -
- Sigh...sigh... - Oh, no, ti prego, non ancora l'espressione da trota appena pescata.
- Sono partiti stanotte, tesoro. Potresti dirci se hai sentito qualcosa? -
Le passarono un fazzoletto, facendogli scatenare un'altra ondata di brividi: il rumore di quel naso smoccolato lo fece saltare su due piedi, lasciandolo orripilato. E il fatto che il suo collega rimettesse il quadro di stoffa nella tasca lo convinse pienamente che non gli avrebbe più preso la mano finché non si sarebbe fatto fare l'antirabbica. Quel giorno non sarebbe riuscito a mangiarsi il tuo solito hot dog con doppia senape neanche se lo avessero legato e costretto.
Di nuovo quegli occhi malati di congiuntivite. - Sniff...no...ieri sera sono andata a letto, mi hanno raccontato la favola della buonanotte e mi sono addormentata... -
- Che favola? - E quello che cazzo voleva dire?
- "Sunny Muffins e il mondo dei Giganti Birichini" -
- E' bella? -
- Oh, sì! E' la mia preferita! -
Era sufficiente. Rick Shaw si allontanò a passi barcollanti, e fece un cenno per dire a qualcuno che avrebbe aspettato fuori, per poi chiudersi nel bagno e vomitare tutta l'anima.
Rick Shaw, più di ogni altra cosa, aborriva i bambini.
Ma quel mostro era peggio di qualunque incubo.


Il piccolo Meyers rientrò nell'abitacolo con in mano due panini fumanti accompagnati da altrettante lattine di birra fresca, e il semplice odore gli ricordò che era meglio mangiare perché quella sera sarebbe stato troppo occupato a prendersela con sua moglie per poterlo fare; vinse il senso di nausea, e prese quello che gli veniva dato. Dopo il primo morso, si scoprì incredibilmente affamato.
- Signore... -
- Che c'è? - grugnì scorbutico, sporcandosi la bocca di ketchup. Si guardò nello specchietto, e si rese conto che con lo sguardo assatanato e la bocca contornata di rosso sembrava uscito da un film di cannibali: si ripulì con una manica della camicia. - E allora, che cazzo vuoi? -
Sembrava che non avesse più tanta paura, dopo tre ore a fare avanti e indietro per interrogare e controllare gli ultimi movimenti della coppia; gliene dava nota, era quello più resistente fra i (pochi) che si erano azzardati ad accompagnarlo in qualche indagine. - Signor Shaw, perché se n'è andato mentre stavo parlando con la bambina? Insomma, è il suo caso e... -
- Che cosa hai tirato fuori dal discorso? - lo interruppe, non affatto desideroso di descrivergli le capovolte e i salti mortali che il suo stomaco aveva compiuto nei quindici minuti d'inferno passati dentro il cesso puzzolente della polizia. Mise in moto l'auto, e con una grattata mostruosa partì sgommando per il centro cittadino, diretto verso la periferia dall'altra parte della città. - Anche perché dobbiamo passare ancora dai suoi zii. Hanno detto che volevano fare domanda di adozione, visto che la stanno ospitando loro, no? -
L'altro annuì, aprendo il blocco degli appunti come un fottutissimo conferenziere: buttava male se a quel mondo i letterati diventavano poliziotti e gli uomini di strada politici. Serviva una bella purga universale. - Sì, signore -
- Per aver preso una decisione così in tronco, bisogna dire che ne avevano intenzione da tempo -
- Sì, signore -
- Insomma, magari in quella famiglia c'era già da tempo sentore di guai -
- Sì, signore -
- Magari i genitori erano d'accordo -
- Sì, signore -
- La pargolina pure -
- Sì, signore -
- Tsk - borbottò lui - Fottuta puttanella -
Meyers si accigliò, conscio che non poteva rischiare troppo con le sue affermazioni ma deciso a far valere la sua posizione. - Signore, non crede di stare esagerando? E' solo una bambina. E ha appena perso i genitori! -
Perso nei suoi pensieri, Shaw non rispose, impegnato in una manovra piuttosto impegnativa ai danni di un camion che gli bloccava la strada: stava ancora pensando. - Fammi un favore, piantala di parlare e raccontami di questa cazzo di discussione - Due ragazzotti di colore nelle ridicole divise da gangster di strada seguaci di rapper fecero la loro comparsa. - Ma tu guarda che stronzi... -
- Beh, dai suoi discorsi non è saltato fuori nulla di interessante. Insomma, è andata a letto come tutte le solite giornate: favola della buonanotte, bacio da parte di entrambi i genitori, lucina accesa perché aveva paura del buio...tutto normale e confermato dagli agenti - Adesso era apparsa una vecchietta: ma perché tutti gli anziani arrivati a una certa età si rincoglioniscono? Shaw pregò che a lui non succedesse mai di ritrovarsi a ottant'anni in balia di giovinastri che non avrebbe potuto riempire di piombo perché già in pensione; al contrario, avrebbe preferito una bella morte eroica sul lavoro.
Girò l'auto, avvicinandosi.
- La mattina gli agenti sono saliti, e l'hanno trovata nella stanza che dormiva, senza nessun indizio che potesse avere assistito all'omicidio, e...signore, che sta facendo? -
Rick Shaw continuò ad avvicinarsi di soppiatto. - Tu continua a parlare -
- Dicevo, signore - disse il giovane Meyers, scuotendo la testa e chiedendosi probabilmente cosa aveva fatto di male per meritarsi un simile superiore, lui che era uscito dall'università con il massimo dei voti, convinto di ripulire il mondo dalla merda con la forza della retorica, - che la bambina si è svegliata alla presenza dei due poliziotti, senza sapere nulla. L'hanno fatta uscire senza farla entrare nel salotto, dove si era consumato il crimine, e le hanno detto che erano stati mandati dai genitori per prendersi cura di lei: un'idea senz'altro utile, se posso permettermi -
- Come no, utilissima... - borbottò fra sé il detective, rilassandosi sul sedile. Aveva capito che i due stronzetti dal cervello bacato avevano serie intenzioni di derubare l'innocente e cogliona vecchietta, e ne era felice: era un buon modo per distrarsi, a suo parere. Gli scocciava soltanto che ci fosse un'altra persona a bordo, la quale probabilmente non sarebbe stata d'accordo con i suoi "metodi" per rilassarsi.
- La bambina ha chiesto se stavano tutti bene, perché il giorno prima Sunny Muffins era sembrato molto stanco e non pronto a fare un viaggio, e... -
L'auto inchiodò istantaneamente. Rick Shaw spuntò fuori dal finestrino, gridando: - POLIZIA!!! - con tutto il fiato che aveva in corpo, e i due delinquenti lo fissarono, le loro facce brufolose da sedicenni troppo spaventate per reagire.
Meyers strillò di rimando un: - Signore, che cazzo sta facendo?! - prima di gettarsi sotto il sedile con l'arma in mano, pronto a ripararsi da una sparatoria; guardandolo con aria di compatimento, il detective parlò seccato.
- Dicevi, Meyers? Se era una cosa importante ripetila, perché altrimenti dovrai aspettare dopo che avrò sbattuto dentro questi bastardi figli di puttana -
I due ragazzi, all'esterno, si erano messi a litigare, lanciandosi fra di loro la borsetta della signora che poteva contenere al massimo trenta dollari, bersagliati dalla vecchietta che si era tolta una scarpa dal tacco basso e sanitario e stava dispendendo loro diversi lividi provocati dalla suola di quelle calzature malefiche.
Il giovane deglutì, e tornò normale, non fosse stato per l'alone di sudore che gli era spuntato sotto le ascelle e i capelli biondi freschi di parrucchiere che puntavano da tutte le parti: tempo dieci anni, e sarebbero stati come i suoi. Ne era sicuro. - Dicevo, signore, che la bambina ha chiesto come stavano i genitori e il cavallino... -
- E come si chiamava questo animale? -
Uno dei ragazzi cadde a terra, inciampando nei pantaloni troppo grandi.
- Sunny Muffins -
- Intendevo il pony -
Sospirò. - Signore, il suo animaletto si chiamava Sunny Muffins, come quello della favola che... -
Oh, merda.
Questa volta diede gas all'auto, e fece retromarcia per riprendere la strada: cazzo, erano davvero nei guai.
Sentì una piccola botta sul parafanghi, seguita da una serie di improperi e di urla di dolore, ma se ne fregò beatamente; in quel momento l'unica cosa che gli importava, mentre sgommava sull'asfalto, era arrivare alla casa dei coniugi Barney/2 in pochissimi minuti. L'auto si ribaltò quasi, ma resistette all'impatto.
Attirato dalle urla, Meyers guardò verso l'esterno: il volto gli divenne giallastro. - Signore!! - strillò con una vocetta molto simile a quella del piccolo mostro. Indicò l'esterno. - Ha appena investito un ragazzo! -
- Lo so -
- Ma gli ha rotto una gamba! -
- Ah, giusto. Scusa - Fece ancora retromarcia, e udì nuovamente lo strillo del piccolo stronzo, quasi coperto da quello del suo collega.
- MA E' IMPAZZITO, SIGNORE?! -
Finalmente in carreggiata, Rick Shaw estrasse la radio e avvertì una pattuglia dell'accaduto; poi, si voltò verso la recluta, visibilmente sconvolta (gli bastava davvero poco per stare male, pensò stizzito).
- Senti, ragazzo, in questo modo avrà più tempo per rilassarsi a casa sua e riflettere su cosa fare della sua miserabile vita. Senza contare che una gamba non conta nulla per l'assicurazione, ma due sono un ottimo affare -
Si gettò in strada.
- E adesso andiamo -


La casa era avvolta nel silenzio, e Shaw si vide costretto a sputare per terra nel vialetto davanti alla casa: la bocca si era subito riempita del sapore dolciastro della morte non appena era sceso dalla macchina. E se le sue previsioni erano giuste, forse erano arrivati davvero troppo tardi.
Si voltò verso Meyers, che sembrava essersi ripreso dopo lo spettacolo di prima, che lo affiancò immediatamente, come se il suo istinto di poliziotto avesse parlato per lui: non l'avrebbe mai ammesso davanti ad anima viva, ma quel ragazzo stava guadagnando grossi punti nella sua graduatoria.
Si chiuse il cappotto, nascondendo la pancia, e si voltò verso la recluta, tirando fuori la pistola dalla fondina. - Ragazzo, spero che tu abbia la pistola con te -
- Sì, signore... - disse l'altro, passandosi un dito nel colletto della camicia grondante sudore. Si indicò il fianco sinistro. - Ma non vedo a cosa... -
- Caricala, e forse avremo qualche speranza -
Al silenzio fece seguire il rumore della sicura che veniva tolta: apparentemente pronto a uccidere, Meyers fece lo stesso con la sua arma. Una nuova luce negli occhi stava a indicare che probabilmente aveva capito e che era ansioso di gettarsi nella mischia, altro che il suo strillo da femminuccia di prima.
Si fece più vicino, e gettò uno sguardo davanti a lui, verso l'edificio: sembrava una copia della casa in cui era avvenuto l'omicidio, con la sola differenza che non aveva un cortile esterno e una stalla. Al contrario, l'esterno sembrava incredibilmente curato, mura dipinte di bianco e fiori vicino all'uscio, un tappeto marrone con la scritta "Benvenuti" ad attenderli per pulirsi i piedi.
Meyers deglutì. - Signore, è convinto che...che l'assassino voglia finire il suo compito? E' per questo che siamo qui? -
- Già - replicò Shaw, tastando la durezza del caricatore di riserva nella tasca dei pantaloni. Sperava di non averne bisogno. - Hai mai partecipato a una sparatoria, Meyers? -
Il poliziotto si voltò verso di lui. - No, signore -
- Tu stai dietro a pararmi il culo. Se vengo preso, scappi fuori e chiami i rinforzi. Chiaro? -
- Cristallino, signore -
- Bene - Sospirò. - E adesso entriamo -
- Signore...? -
- Che cazzo vuoi ancora? -
Erano davanti alla porta.
La recluta gli indicò il tappeto a terra, di un inquietante colore rosso scuro, e con un gesto vi poggiò sopra una delle scarpe di marca che aveva ai piedi, producendo un orribile rumore di risucchio: fu sufficiente perché il piede si bagnasse subito di rosso e il primo gradino cominciasse a tingersi del colore del sangue. L'odore dolciastro della morte si fece ancora più forte.
Il piccolo lago si avvicinò ai loro piedi.
- Signore, sappia che sono onorato di poter fare questo con lei - proruppe con incredibile serietà il ragazzo.
L'altro lo guardò in cagnesco, poggiandosi una mano sotto la cintura. - Beh, io no. Non portare sfiga, che non ho ancora intenzione di morire in mezzo a questa merda -
Diede un potente calcio alla serratura, sperando che crollasse sotto il suo peso.


Le sue preghiere furono esaudite.
La porta cadde come se fosse stata di cartapesta, il rumore dei cardini non oliati venne amplificato attraverso le pareti della casa e un paio di viti schizzarono via dal loro posto, finendo come cadaveri sul pavimento di legno: nessun segno di vita. Nessuno si era precipitato come una furia per vedere che razza di terrorista avesse fatto quell'entrata alla Chuck Norris. Nessuno aveva strillato per la paura.
La casa era silenziosa come una stanza dell'obitorio.
Era un pessimo segno.
Senza far rumore, il detective Shaw fece un gesto al suo collega per indicargli la strada che avrebbero seguito nella perquisizione: la casa era disposta su due piani, quindi avrebbero salito le scale ed esplorato prima le zone superiori, visto che la zona giorno dove si trovavano era apparentemente vuota.
Apparentemente.
Il suo collega annuì. Nel suo sguardo si leggeva tutta la determinazione nel voler fermare un pazzo deciso a uccidere una innocente bambina. Si spostò proprio dietro di lui, imitando i suoi passi come un'ombra, e avvicinò la pistola al volto: era un pessimo errore, da vero principiante,e Shaw glielo fece notare dandogli una ginocchiata nel fianco e facendogli vedere a gesti che la canna doveva stare rivolta verso il basso.
Cominciavano malissimo.
L'uomo più anziano diede uno sguardo nuovamente verso l'alto, su per la tromba delle scale di legno che si stagliavano minacciose sopra le loro teste, e fece il primo passo: la scarpa non produsse particolari rumori, ma in compenso lasciò una macabra orma di sangue rappreso sulla superficie liscia e lucida. Al primo passo ne seguì un secondo.
Dopo un minuto, dietro di loro vi era come indizio del passaggio una scia di piccole impronte che sembravano perfette per essere calcate con il gesso: sperò vivamente che non ce ne fosse bisogno alla fine di quella giornata, almeno finché non arrivò sull'ultimo gradino.
Si fermò.
Senza voltarsi, fece segno a Meyers, che ubbidiente si appiattì contro il muro, per poi mollare un verso disgustato e ritrarsi verso la ringhiera.
Voltandosi, vide il motivo del suo turbamento, e rimase a bocca aperta.
Una chiazza di sangue di grandi dimensioni si stagliava sui mattoni a vista, scivolando quasi sensuale sulle curve spigolose e gocciolando in piccoli rivoli rossi fino al bordo delle scale: e non si stupì neanche quando, rendendosi conto che non si erano accorti di nulla perché la zona era in ombra ed erano stati attenti solo alle porte e non ai muri, vide poco sotto un ammasso di carne che doveva essere appartenuto a qualcuno.
Le sue poche nozioni di anatomia imparate col mestiere gli dissero che era un piede.
Troppo scosso per l'accaduto, Meyers scattò superandolo e gridando: - Polizia! - su per le scale.
- Torna indietro, idiota! - gli sibilò contro, provando a fermarlo per un braccio. Troppo agitato per ascoltare un consiglio che avrebbe potuto salvargli la vita, il ragazzo gli diede una spinta per allontanarlo.
Cadendo per le scale, Shaw sbatté la testa.
L'ultima cosa che vide fu il riflesso della luce che si dibatteva sopra la pozza di sangue dalla porta rimasta aperta.


Meyers non aveva mai chiesto nulla nella sua vita, se non di poter fare qualcosa di utile per ricambiare il mondo di averlo fatto nascere.
Colmò in pochi istanti i passi che il suo collega più anziano aveva fatto con estenuante lentezza e si precipitò al piano di sopra: la parte più razionale del suo cervello sapeva perfettamente che Shaw, per quanto stronzo con tutto ciò che lo circondava, sapeva quello che faceva, ma il semplice pensiero che in quella casa ci fosse un assassino e che, dai segni che avevano avuto modo di vedere, questo non fosse certo riluttante a torturare altre persone innocenti che non c'entravano nulla con quello che stava facendo, lo spronava a ragionare in maniera tutt'altro che prudente, al punto da farlo accorrere senza la minima protezione. Si fermò un attimo, giusto per rendersi conto che era senza giubbotto antiproiettili e che aveva al massimo dieci colpi.
Per la prima volta si rese conto che forse, ma proprio forse, non aveva agito nel modo più opportuno, anche se la sua testa era contornata da orrende visioni di bambini mutilati e seviziati nei modi più orribili.
Prese un lungo respiro: la prima porta era a meno di un metro da lui. Schiacciato contro il muro, attento a non fare mosse false, la aprì con un delicato tocco della maniglia, cercando di non farla cigolare; scivolò lentamente fino a gettare un occhio all'interno.
Il bagno. Pulito e lindo come ogni bagno.
Si rilassò un attimo, contento che una delle tre porte non contenesse una sorpresa come in uno di quei quiz televisivi che hanno sempre qualcosa di macabro, e si avvicinò all'uscio opposto, appena socchiuso.
Alzò la pistola, puntata dritta sulla linea di tiro, e aprì la porta toccandola con la punta delle scarpe.
L'odore di sangue lo accolse a braccia aperte, costringendolo ad arretrare mentre i suoi sensi già protestavano prima di aver visto lo spettacolo che si prospettava: con un incredibile sforzo di volontà, e trattenendo i conati mentre si tappava il naso e la bocca con una mano, Meyers entrò nella stanza, sempre più terrorizzato.
Non era la prima volta che vedeva una scena del crimine, come aveva creduto Shaw nelle poche ore in cui si erano visti; era molto più esperto di quanto sembrasse, visto che da ragazzo gli era capitato di fare da testimone in una rissa fra suoi compagni ubriachi che era terminata in una lotta all'ultimo sangue in cui uno aveva perso un occhio e l'altro era finito in coma. Certo, non aveva mai partecipato a una sparatoria, o gli avevamo mai assegnato una missione in solitario, ma un po' di esperienza l'aveva.
Ma non era certo pronto a quello che stava vedendo.
Doveva essere stata la signora Amanda Karlington, la zia di Michelle Barney, almeno a giudicare dal vestito blu che a stento si intuiva sotto il sangue, ma non si sarebbe affatto sbilanciato, senza contare che non gradiva il doversi avvicinare per controllare meglio: giaceva riversa sul letto, il volto pacifico con gli occhi azzurri spalancati verso il soffitto, la bocca atteggiata in un sorriso tranquillo. Lo scempio che era stato compiuto sul suo corpo, mutilato dei quattro arti e coperto di tagli visibili nei punti in cui gli indumenti erano stati strappati da qualcosa di appuntito, era orribile: il copriletto verde era diventato nero dopo aver assorbito tutto il liquido sanguigno, che in quel momento usciva a piccoli rivoletti dai moncherini, e Meyers non voleva affatto sperimentare la consistenza del materasso tanto zuppo.
Voleva vomitare.
Voleva scappare via.
Ma, cazzo, era un poliziotto, e per prima cosa doveva chiamare i rinforzi e portare in salvo la piccola Michelle.
Si voltò verso l'uscio, e sentì dei piccoli passi per il corridoio seguiti da una porta che si richiudeva rimbombando in risposta.
E dei lamenti.
Uscì ricordandosi che c'era un killer in giro per la casa, guardandosi attentamente, e giunse davanti all'ultima stanza, quella in cui aveva appena sentito i rumori di qualcuno che si nascondeva: decise di tentare.
- Michelle - chiamò con la voce più vellutata di cui fosse capace, la voce di un uomo abituato a trattare con i bambini piccoli da anni. Poggiò una mano sulla porta, preparandosi ad aprirla. - Michelle, sono io. Albert - specificò, respirando forte. Intorno sembrava tutto tranquillo. - Ci siamo incontrati stamattina, ricordi? -
Non sentì niente. Si preoccupò.
- Posso entrare? -
Un singhiozzo di bambino in risposta.
Convinto, l'uomo entrò in quella che doveva essere una cameretta per gli ospiti, convinto di trovarvi un altro cadavere, teso come la corda di un violino e ad armi spianate.
La piccola Michelle, chiusa in un angolo e coi vestiti in disordine, era in un angolo a piangere: istantaneamente Meyers abbassò l'arma e la rimise nella fondina dopo aver inserito la sicura con il gesto esperto di chi si allena tutti i giorni a sparare. Si avvicinò lentamente, con tutta la grazia di cui era capace, fino a portarsi al suo livello.
- Michelle, sono io. Mi riconosci? -
Alzando gli occhi, la bambina lo guardò attraverso il velo dei capelli rossi che le ricadevano in volto, singhiozzando. - Zio... -
Deglutì. - Non...lo so. Tua zia è... -
Michelle abbassò lo sguardo.
Gli stava nascondendo qualcosa.
- Zio Mike è scappato prima che potessi finire -
Non fece in tempo a capire quello che aveva detto.
D'improvviso il rumore delle ossa che si spezzavano e il dolore che gli scorreva come un fiume in corpo lo fecero gridare e cadere all'indietro, sul pavimento. Le mani gli dolevano da matti.
Se le portò al volto, prima di rendersi conto che entrambe non c'erano più, e al loro posto i tendini tagliati e le ossa sporgenti dalla carne sanguinolenta lo salutavano grotteschi, muovendosi al minimo tocco e facendo cadere polvere di osso a terra.
Sconvolto.
Guardò la bambina, in piedi, sporca di sangue, in mano un coltello elettrico da arrosti che sfrigolava come in attesa di tagliare un altro po' di carne, mentre quella che aveva già tagliato e che era rimasta attaccata alla lama seghettata cadeva in piccoli schizzi di sangue seguendo un ampio cerchio, a seconda della forza con cui veniva sbalzata.
Sorrideva, felice.
- Ma dopo andrò a preparare anche lui! -
Era felice come davanti a un giocattolo nuovo.
Prima che potesse riprendere a strillare di terrore, la piccola si gettò su di lui brandendo la sua arma.


Quando si riprese, si rese conto che erano passati più di cinque minuti.
Con un grugnito, Rick Shaw alzò la testa indolenzita, quasi intontita come non gli era mai capitato dopo una botta come quella che aveva ricevuto. I casi erano due: o a quarantotto anni era davvero troppo vecchio per quelle cose, oppure c'era qualcosa di più.
Dovette optare per la seconda ipotesi quando si rese conto che era in mutande, aveva una corda a tenergli fermi i piedi al divano, le mani avvolte nel nastro adesivo e che non lontano c'era una boccetta che in passato doveva contenere dei sonniferi in gocce e che era vuota.
Quanto cazzo era stato addormentato? Dalla finestra, ormai, non proveniva più nessuna luce, a parte quelle lontane dei vicini ignari.
E soprattutto, dove diavolo era finito quell'idiota di Meyers? Sta' a vedere che l'aveva lasciato lì come un idiota e aveva preso troppo alla lettera le sue istruzioni: va bene che aveva detto di uscire e chiamare i rinforzi, ma sperava che un minimo di aiuto potesse darglielo, che cazzo!
- Ecco! Ti sei svegliato! -
Oh, no. Non quella voce.
Con un terrore crescente a invadergli il corpo, mentre la pelle d'oca gli ricopriva la cute come la superficie di una grattugia, il detective alzò gli occhi, velati di sonno drogato, rabbia e disgusto.
L'essere si era rivelato in tutto il suo orrore, e adesso era lì, davanti a lui, il vestitino terrificante imbrattato di sangue e quell'espressione di grottesca gioia a contemplare il dono che si era appena presentato a casa sua: batté le mani, facendo gocciolare il liquido nero a terra, un sorrisetto maligno sulle labbra, facendo gridolini di gioia.
Rick Shaw capì perfettamente che Meyers non ce l'aveva fatta.
Ciononostante, e nonostante la nausea che montava e rischiava di fuoriuscire dal suo corpo come un vomito indemoniato con il solo effetto di peggiorare la situazione, non le diede soddisfazione e non parlò.
La puttanella inclinò la testa a sinistra, guardandolo attentamente, poi scomparve per un paio di minuti, lasciandolo solo: quando tornò, reggeva in mano un barattolo di vernice rosa e un pennello da muratore. Il vedere quegli oggetti fece nascere immediatamente il sospetto al detective che era davvero troppo vecchio se non si era subito accorto che in quella bambina c'era qualcosa che non andava. Come in tutti i bambini, d'altronde.
Lo aveva sempre saputo, da quando aveva beccato suo figlio a emulare le guerriere Sailor Moon con addosso la gonna e la biancheria di sua moglie, che nessun ragazzino prima dei quindici anni aveva le rotelle a posto.
Ma questo, pensò mentre la carnefice gli passava il colore sulla faccia e lasciava uno strato spesso e impossibile da togliere di vernice sulla sua pelle piena di capillari rotti e ormai ingrigita dal fumo, era troppo.
Che razza di abominio avevano creato i suoi genitori?
Alla fine, l'orrore si allontanò per rimirarlo, e fece un verso per esprimere la sua soddisfazione che era molto simile al rantolo di di condannato a morte alla prima delle tre iniezioni letali.
- Ooooh! Sei davvero troppo carino!! -
Il detective Shaw, troppo furioso e disgustato per fare qualunque cosa, abbassò lo sguardo. - Maledetta, piccola troia... - sibilò dolorante, sentendo la vernice mettere in atto una qualche reazione allergica sulla sua epidermide. Sembrava che gli stessero staccando la pelle con una paletta da dolci, e non si stupì quasi nel vedere in certi punti dove c'erano vecchie ferite delle strisce rosse che stavano a indicare che si erano riaperte.
La bambina si avvicinò. Si attaccò al suo collo, facendolo quasi soffocare per il vomito che era ormai salito a bloccargli la trachea e i brividi che lo scuotevano, e lo accarezzò con la stessa dolcezza di un gatto che gioca con un topolino, sguainando le unghie. - Oh, Sunny Muffins! -
Eh? Come l'aveva chiamato?
La stretta fra i pochi capelli si fece tanto forte da strapparglieli, mentre la voce riecheggiò macabra alzata di due ottave. - Sei il mio più grande grande grande amico!! - Alla fine della frase, l'uomo era sicuro di essere diventato sordo.
E, oltre il velo della vernice che gli era scesa sugli occhi e glieli stava facendo lacrimare di sangue, decise di ribellarsi.
- Vaffanculo, stronzetta. Il mio nome è Rick Shaw! -
Lo schiocco sul suo naso fu talmente veloce e doloroso da strappargli un gemito più di sorpresa, che di dolore: ma quando questo fu finito, e sentì il suo respiro farsi più affannoso per la rottura del setto nasale, fu capace perfino di vincere la nausea.
La nausea, il dolore e tutto quello che i bambini gli avevano causati in vent'anni di vita.
Quella troia non avrebbe vinto; non contro di lui.
La frusta si arrotolò obbediente, seguendo i voleri della sua padrona, lasciando una piccola scia rossa per terra: mosse un dito da una delle sue zampette rachitiche in segno di diniego, e sorrise.
- No, no. Sunny Muffins -
Il secondo colpo volò sullo stesso bersaglio di prima, facendolo quasi svenire per il dolore: quando rialzò lo sguardo, si chiese se per caso il suo naso non stesse facendo bolle di sangue come nei film, pronte a scoppiare al minimo tocco.
Ringhiò in risposta. - Rick Shaw! -
Il volto mutò, rivelando la sua anima crudele, e la frusta volò nuovamente, colpendo una spalla: lo squarcio si aprì in meno di un secondo, bruciando a contatto con la vernice quasi corrosiva e lasciando scivolare via altro sangue dal suo corpo.
- Il tuo nome...è Sunny Muffins! - replicò, caricando le ultime due parole con una nuova frustata.
- Rick Shaw! -
Cinque. Sei. Sette.
Il mostro ora si mostrava davvero per quello che era, mentre lo guardava sotto il sudario di sangue, il sorriso ancora più largo a mostrare le piccole zanne appuntite.
Lo prese sulle labbra, spezzandole a metà: e questo sì, fece male.
- Sunny Muffins... - Altro colpo, seguito da altro sangue e altre urla. - Dimmi il nome... - Si sporse in avanti.
Sorrise ancora, e notò che uno dei suoi denti si era macchiato del sangue che stava schizzando tutto intorno a loro: la piccola richiuse le labbra, e quando le riaprì, era scomparso. Il suo vestito era più rosa che bianco.
- Suuunny Muffinsssss... -
Adesso sì che respirava attraverso bolle di sangue e aria, ed era perfino cieco da un occhio.
Schifosa. - Puttana! - ebbe finalmente la forza di urlarle contro, troppo preso dalla nausea.
- Non ho finito... - Sciaff. - Continuerò fino alla fine... -
Sciaff. Sciaff. Sciaff. - ...dimmi il nome... -
Sciaff. Sciaff. - ...dimmi il nome... -
Sciaff. Sciaff. Sciaff. Sciaff. - Qual è il tuo nome?! -
Ecco, era al capolinea. Ancora poco, e sarebbe crollato davanti ai suoi occhi; piuttosto la morte.
Piuttosto l'umiliazione.
Piuttosto.
- Dimmi il tuo nome...! -
- SUNNY MUFFINS!!! -
La frusta si bloccò a mezz'aria.
La bocca del mostro era aperta in una piccola O di meraviglia, stupita.
Si avvicinò lentamente, porgendogli un orecchio come per capire meglio. - Qual è il tuo nome...? - chiese con una vocina carezzevole che istigò tutti i suoi istinti omicidi e i più orripilanti bisogni di un cesso per vomitare.
No, ti prego, no!
- I...il... - cercò di dire, trattenendo i conati. E' quasi finita, coraggio. - Il mio nome...è...Sunny...Muffins... -
Crollò a terra, troppo debole anche solo per respirare.
- Ooooh, Sunny Muffins! -
Si avvicinò. Oddio, no. Non quello.
No, il colpo di grazia, no!
Avvicinandosi, la piccola sussurrò teneramente: - Ti voglio bene! - come una piccola amante focosa, prima di ricoprirgli la faccia ormai piena di piaghe e sangue di piccoli bacetti bavosi e schioccanti.
Fortunatamente, trotterellò via canticchiando Sunny Muffins, Sunny Muffins il grande orsetto amico di tutti prima che lui potesse finalmente vomitare tutto quello che gli era rimasto in corpo: libero da quel peso, si gettò a terra, troppo terrorizzato da quell'incubo.
Quando si sarebbe potuto svegliare? Poteva davvero essere così orribile la realtà, oppure era semplicemente finito dentro uno show idiota che rideva delle sue disgrazie?
L'occhio sano gli cadde verso sinistra.
Un uomo, tinto di viola scuro e con la testa rasata, restava mogio e in silenzio, le orecchie tese ad aspettare il ritorno del mostro, per poi guardarlo sospirando, ormai rassegnato.
- E tu chi cazzo sei? - chiese Sunny Muffins, prendendo fiato e respirando il suo stesso alito fetido, mentre lo squadrava e gli sembrava di ricordare il suo volto. Qualche altra vittima della piccola killer?
Aveva importanza, ormai, arrivati a quel punto?
L'uomo sospirò, rivelando nello scuotere la testa un trattamento molto simile a quello cui era appena stato sottoposto l'ex detective e un orecchio mozzato che penzolava inerte, attaccato alla pelle da pochi millimetri di cane, ora valvola di sfogo per una bambina omicida che aveva deciso di trasportare i suoi sogni malati in realtà. - Horny Flakes, sembrerebbe -
- E che cazzo di fai qui? -
La testa rasata si mosse di nuovo, rassegnata. - Sono il compagno di giochi di Sunny Muffins -
Si accigliò.
- E chi cazzo è Sunny Muffins? - pensò.
Tutta colpa di quella stronzata di fiaba, dopotutto. Che fine avevano fatto i sette nani della sua infanzia? E la Bella Addormentata?
...un momento, chi gli diceva che sarebbe stato meglio finire con le gambe segate a imitare Brontolo, piuttosto che una sorta di orsetto monco tinto di rosa?
Horny Flakes guardò verso la porta, sentendo i passi felpati del mostro avvicinarsi: il suo sguardo rivelava il fatto che si era arreso, e che per lui ormai quella fiaba, per quanto orribile, era la realtà.
- Presto potrà scoprirlo di persona -
La porta si richiuse dietro la loro carceriera.



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Nota dell'autore


Ok, fa schifo come esperimento, ma l'idea mi ha colpito come un fulmine a ciel sereno e non ho resistito: e la cosa più incredibile è stata che l'ho scritta nel giro di un pomeriggio (e si vede, ma questa è una cosa a parte...), un miracolo per i miei standard. Ecco a voi la dimostrazione che Robot Chicken può nuocere molto gravemente alla salute...
L'ispirazione mi è venuta guardando l'11esimo episodio della seconda serie, lo spezzone dedicato ai "My Little Pony": seriamente parlando, se volete cercare qualcosa di davvero idiota e non vi offende la violenza esagerata, le stronzate più assurde e le prese in giro più orribili contro ogni argomento scottante come la religione e il razzismo, guardatevi questa serie, è una delle cose migliori in circolo sul web ultimamente!
Detto questo, vi saluto con la promessa che fra poco (per chi già mi conosce) tornerò ad aggiornare la mia storia di "Les Sept Vieillards": non sperate in un'altra puntata come questa se non fra molto, molto, molto, molto tempo (vi vedo giù tirare un sospiro di sollievo, infatti. Bravi, continuate così e vivrete a lungo).
Almeno finché non mi sarò laureato.
Ora potete anche tirare un sospiro di sollievo, chiudere questa pagina e mandarmi a quel paese per aver rovinato la sezione più seria di tutto l'EFPFanfictions...
Nota: seguendo il consiglio di ReaderNotViewer, ho riguardato la storia, accorgendomi che la prima stesura era piena di errori. Mi dispiace moltissimo di non essermene accorto prima, spero che la correzione sia stata fatta a dovere; in caso contrario, avvertitemi pure.

  
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