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Autore: CoCoRouge    18/12/2012    1 recensioni
Scesero dal taxi con fare elegante, non badando agli scatti dei fotografi che le avevano circondate.
“Rose, ma viene anche tua sorella stasera?” Chiese Carol preoccupata.
“Non credo proprio…! Non è il suo genere, questo!”
Erano bellissime, e Samantha – presente all’apertura del locale – quando le vide incedere verso l’entrata fece una piccola lacrimuccia di commozione.
“Ragazze… siete bellissime… sembrate noi quattro quando eravamo più giovani!” Esclamò, salutandole con un grande abbraccio.
--tutto quello che potrebbe succedere DOPO carrie bradshaw... uomini compresi--
Genere: Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Movieverse | Avvertimenti: Triangolo
Capitoli:
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Sabato 18 Agosto
 
 
FullOut-FourIn – vol. II
 
 “I tuoi sono a casa?” Gli domandò Alex, fermandosi un istante.
“No, sono fuori, ma se ti sbrighi potremmo darci un mossa entro l’una!” Ridacchiò Jr, afferrandogli la testa e tornando a baciarlo con foga.
Mentre il giovane biondo gli sfilava la giacca, Jr fece tintinnare le chiavi dalla tasca dei pantaloni e cercò la serratura a tastoni.
Infilò la chiave con forza e Alex si bloccò: “Li trovi in fretta i buchi, eh?”
“Quasi sempre.” Ribatté Jr, aprendo l’uscio.
Si catapultarono in corridoio facendo sbattere la porta per via della corrente. Jr subito non ci fece attenzione, ma una delle finestre era aperta, e non per caso.
Andarono verso la camera, ma Alex lo sbatté prima sul muro, aprendogli la camicia.
“No, non così…” disse Jr, con un lamento.
“Che?”
“Mi spogli come se fossi una prostituta! Questa camicia è firmata, se non te ne sei accorto, quindi non strapparla – grazie!” Continuò Jr scocciato.
Alex gli sorrise e lo prese per il collo, sulla nuca: “Va bene, piccolo putto, allora facciamo a modo tuo…”; il biondo lo baciò dolcemente, e con la stessa dolcezza gli sfilò la camicia dalle spalle magre, arrivando al bordo dei pantaloni.
D’un tratto Jr sentì un calpestìo di tacchi nel soggiorno e si bloccò, guardando terrorizzato Alex.
Non fece nemmeno in tempo a rivestirsi che Carrie apparse in corridoio, lanciando un gridolino di sorpresa.
“Oh, ragazzi, scusate, io…” cominciò a dire, coprendosi gli occhi e voltandosi di lato; “…non sapevo, perdonate! Non volevo interrompervi!”
“Mamma! Che cazzo ci fai qua?”
“Jr non usare questi termini con me!”
“Ma ti pare il momento?”
Alex si lasciò sfuggire una risatina soffocata.
“Scusami Jr, stavo aspettando tuo padre – come vedi ho messo la vestaglia che piace a lui, e quindi…”
“Non voglio sapere altro, ti prego. Comunque noi ce ne andiamo, vero?” Disse Jr, guardando eloquentemente Alex.
“Oh no, noi restiamo.” Rispose lui, cominciando a sbottonarsi la cintura dei jeans.
“Mi scusi, signorino, ma tutto questo non sotto ai miei occhi.” Disse Carrie, puntando il dito contro il biondo; “Jr, per me non è un problema, davvero. Ora chiamo tuo padre e gli dico di aspettarmi al Ritz…”
Jr sbuffò: “Perché non me ne va mai una di giusta?”
In quel momento la porta d’entrata s’aprì e fece il suo ingresso Big.
Descrivere la sua faccia nel vedere il figlio ‘ambiguo’ senza camicia e la faccia devastata, davanti a lui un bonazzo biondo con la cintura slacciata e un’aria da prendere a schiaffi, e la moglie in vestaglia nera e tacchi vertiginosi che osserva la cosa, non sarebbe cosa facile.
Mettiamola così: una monaca in un club di stripper.
Lo stupore iniziale venne seguito da un ribollire di sangue che partì dai talloni e arrivò in un nano-secondo alle mani, già chiuse a pugno. La bocca si contorse in una smorfia di disgusto e gli occhi si fecero pazzi di rabbia.
“Big, aspetta, ora ti spiego…” tentò di dire Carrie, ma quello non l’ascoltò.
Si tuffò sul bonazzo e lo scansò con una manata, poi rivolse il dito al figlio: “Tu… sei… un disonore… Tu devi andartene, e sarà meglio che finisci i tuoi studi al più presto, perché una volta preso il diploma, te ne andrai da questa casa!”
Alex fece per difenderlo, ma Big lo bloccò di nuovo: “Quanto a te, non importunare mai più mio figlio e non farti rivedere mai più in sua compagnia, o per te sarà la fine, chiaro?!?” Urlò l’uomo, senza lasciare il tempo di rispondere.
Prese il figlio per il braccio e lo scaraventò nella sua camera, sbattendo la porta.
“Big, ma che diavolo stai facendo? Sei impazzito? È tuo figlio! Lascialo stare!”
“Levati, Carrie. Ancora una volta mi stupisco della tua indifferenza verso quel ragazzo!”
“Indifferenza? Io sarei indifferente? Tu lo vuoi ammazzare di botte e io dovrei capirti?”
Alex era terrorizzato. Carrie lasciò il marito un istante e accompagnò il biondo all’ascensore: “Perdonalo, per lui è difficile accettare Jr. Hai intenzione di richiamarlo o era solo una serata?”
Alex rimase atterrito.
“Non è un interrogatorio, è solo per sapere se hai bisogno del suo numero! So come vanno queste cose, non mi offendo se era solo una serata, fidati.”
“No. Non era solo una serata. Mi fa solo ridere che sia sua madre a fare tutto ciò…”
“Ti fa ridere?”
“Sì, perché la mia non l’avrebbe mai fatto. E stia tranquilla, ce l’ho il suo numero. Ma non so se lo richiamerò. Arrivederci.”
Le porte si chiusero e Carrie tornò in casa.
“È ora che affrontiamo questa cosa una volta per tutte. John James Preston Junior, porta il tuo culo in salotto!” Urlò Big, camminando avanti e indietro a ridosso delle vetrate.
“Big, datti una calmata, non puoi aggredirlo ogni volta così. È tuo figlio!”
“Quello non è il figlio che ho cresciuto!”
“Tu vorresti che lui fumasse i sigari come te, che si cercasse una fidanzata, che prendesse in mano l’azienda, ma non è la tua versione ridotta, lo capisci?”
D’un tratto si zittirono. In salotto fece il suo ingresso Jr, mortificato, gli occhi devastati dal pianto.
“Scusa, papà.”
“E di cosa? Chiese Carrie, Sei uscito, hai conosciuto una persona che ti interessava e te la sei portata a casa per pomiciare, cosa c’è di strano? Lo fanno tutti i ragazzi…!” Esclamò esasperata Carrie.
“Ma non in casa mia!” Urlò Big, “Ricordati che tu qui sei un ospite, questa casa è mia e di tua madre, e tu ci stai crescendo, ma non è veramente tua.”
“Ma cosa dici?” Continuò lei, sconvolta.
“Sei ancora un ragazzino, non sai a cosa stai andando incontro. Sei confuso, e questo posso anche accettarlo, ma io non accetto in nessun modo che le tue porcate da checca sfocino in masturbate nel corridoio del mio appartamento, chiaro?”
“Quindi dovrei scopare in un vicolo buio e lercio?” Disse Jr, svogliato.
“Non ci pensare nemmeno! Non farmi sentire un verme! Io sono tuo padre, Cristo Santo, ed esigo che mi si rispetti!”
Jr si voltò e andò verso la camera.
“Dove vai adesso? Dove cazzo stai andando adesso?”
Carrie era mortificata, le mani alla bocca, le lacrime agli occhi.
Il figlio si voltò verso l’uomo: “Mi fai solo pena. Perché sei tanto in alto, eppure tanto in basso.”
 
 
Jade s’era rintanata in una delle nicchie del locale, nascosta da un trench di Burberry che profumava stranamente di fragola. Mentre storceva il naso in una smorfia di disgusto, cercò il telefono nella borsetta.
Aveva perso le amiche e non c’era nessuno a recuperarla. Era umiliante rimanere fuori ad aspettare qualcuno che non sarebbe arrivato.
Piano strategico: avrebbe giocherellato col telefono mentre andava a rifornirsi di alcol. Almeno aveva un ‘alibi’ fino al centro sala.
Sgambettò veloce fuori dalla nicchia e si tuffò nello schermo del telefono, smanettando lungo tutta la rubrica, intuendo la strada in mezzo alla gente senza sbattere contro nessuno.
Arrivò al bancone, distolse lo sguardo dal telefono e fece l’occhiolino al barista: “Un Martini, grazie.”
“Subito…”
Jade si appoggiò al bancone e diede uno sguardo in giro, e giocherellando con una ciocca di capelli sbuffò, annoiata.
“Non dovresti sbuffare, non sta bene ad una signorina come te.” Le disse una voce, arrivando alla sua sinistra.
Lei si pietrificò.
“Ciao Jaime. Sei tornato in città?”
“Come potevo mancare?”
“Beh… sai com’è… sei mancato per un anno e mezzo, potevi… fare bingo!, e rimanere fuori dai piedi!”
“Quanta ostilità!”
“Io? Ma che dici?” Ridacchiò lei, agguantando il bicchiere di Martini e scolandosene metà.
“Come vanno le cose qui, JD?”
Lei inspirò lentamente, una mano sul fianco, nell’altra il bicchiere tremolante, e gli occhi più imbarazzati di Manhattan: “Sono Jade. E, da amica, non dovresti essere qui.”
Lui si avvicinò all’orecchio di lei: “Da amico, non dovresti arrossire. Sembrerebbe che te ne freghi qualcosa di me.”
“Finiscila, Jaime.”
“Ehi, calmati, non sono venuto qui per litigare…! Però posso essere sorpreso?!”
Jade sorseggiò ancora, cercando tra la folla uno sguardo amico che la salvasse da quell’impiccio.
“È vero, io me ne sono andato, ma cos’avrei dovuto fare? La mia ragazza mi aveva radiato dalle amicizie più in vista di Manhattan…”
Jade cominciò a tremare.
“…mi ha lasciato senza dare spiegazioni…”
La ragazza appoggiò il bicchiere al bancone, e ne ordinò un altro.
“…offro io.” s’intromise Jaime, facendo un cenno al barista; “E i pochi amici che mi erano rimasti, mi hanno consigliato di andarmene.”
Il giovane le si parò davanti. Lei non lo guardò nemmeno in faccia.
“Mi spieghi ora, per favore, che diavolo ti è preso quell’inverno?”
Jade batté un tacco a terra e guardò verso le vetrate: trovò Robbie che la guardava, preoccupato.
Con lo sguardo più eloquente che poteva, lo pregò di portarla via, ma quello subito non capì.
Jaime continuò: “Credo sia passato il tempo sufficiente per esigere delle ragioni, Jade.”
“Sì, è vero.” Disse lei, la voce tremante.
“Mi guardi, almeno?”
Jade prese il secondo bicchiere e ne sorseggiò un po’: “Credimi, Jaime, non ho mai voluto farti del male o cacciarti via, ma era l’unico modo…!”
“Per cosa?!” Esclamò lui, battendo una mano sul bancone.
Alcuni si voltarono, ma non diedero troppo peso alla cosa. Robbie si mise sull’attenti. Qualcosa non andava.
Si avvicinò piano alla coppia, discreto.
“Fidati se ti dico che è meglio non rivangare…” sussurrò lei, imbarazzata.
“No, cara mia, ho ventisei anni, non quindici, posso benissimo affrontare una conversaz…”
“Jaime, no. Ascoltami. Lascia stare.” Disse lei, poggiandogli una mano sul petto, cercando di calmarlo.
Quello se la tolse con forza e le strinse il polso: “Non puoi farla franca così!”
In quel momento Robbie intervenne: non toccò nemmeno il ragazzo, ma prese Jade per una mano, mentre quella lasciava sul bancone il bicchiere, e la portò via, verso i guardaroba.
“Devi prendere qualcosa?” Le chiese, controllando che Jaime non fosse dietro di loro.
“No…” disse lei, mortificata.
Jaime, da lontano, sbuffò scontento e mollò un altro pugno sul bancone, per poi uscire in terrazza.
I due scesero veloci al piano terra e Jade cercò di sistemarsi i capelli spettinati.
“Grazie Robbie, non dovevi.”
“Fa’ niente, intanto siamo fuori. Tu stai bene?”
Lei lanciò indietro la testa e sorrise, cercando di tornare normale: “Ma ceeeerto! È stata solo una visita inaspettata!”
“Un tuo ex…?”
Lei annuì: “Era… il mio primo ragazzo.”
Robbie le accarezzò una guancia.
Jade sorrise ma non disse nulla. Doveva assolutamente andare a casa.
“E perché ce l’aveva tanto con te? L’hai lasciato?” Chiese lui, curioso.
In quel momento sentì Carol, alle sue spalle, correrle incontro, preoccupata: “Jaaaade! Stai beneeee?!?”
“Merda…” sussurrò lei, cercando una scusa.
La ragazza li raggiunse: “Jade, ho visto Jaime…! Stai bene?”
“Sì, sì, tranquilla.”
“Ma che ti ha detto?”
“Nulla, solo un saluto…”
“Non era arrabbiato?”
Jade lanciò un’occhiata a Robbie: “No, no, era sorpreso, ecco tutto.”
“Ma sei sicura di stare bene? Davvero non ti ha detto niente? Insomma… era Jaime! Il tuo Jaime!”
“Carol, è tutto a posto.”
Robbie ridacchiò: “Come la fate lunga, voi ragazze. Era un suo ex! Mica il diavolo!”
Carol si voltò verso di lui: “Ma tu hai idea di cosa ha combinato quel pezzente?”
“Taci, Carol. Io sto bene, lasciami andare a casa adesso… torna dentro, Betty sarà in giro a cercarti!”
Carol annuì, non molto convinta: “D’accordo, vado. Robbie, portala a casa se hai un briciolo di palle in più rispetto a quel deficiente di Jaime!”
I tre si salutarono e Jade fece per chiamare un taxi.
“No, lascia stare, andiamo a piedi…!”
Dopo due isolati di silenzio, Jade non poteva trattenersi ancora a lungo.
Robbie non osò chiederle niente, ma la domanda era nell’aria.
Jade si fece coraggio: in fondo era Robbie, l’amico di sempre, un dettaglio come quello poteva saperlo.
Ma si sa, sono i dettagli che fanno la differenza…!
“L’ho lasciato io.” esordì lei, coraggiosa.
“Mmh… corna?” Propose lui.
Lei scosse la testa.
“Allora litigio?”
“In parte.”
“Colpa sua?”
“No.”
“Tua?”
“…non saprei.”
Ripiombò il silenzio.
Ormai erano a un isolato dalla casa di Jade, e la curiosità lo stava uccidendo.
Lei rallentò il passo: “Ok, senti, io te lo dico ma tu non sai niente, d’accordo? L’ho superato, è passato del tempo, non era noto allora e non lo sarà adesso. Chiaro?”
“Certo.”
“Bene. Io e lui stavamo insieme da un pezzo – circa sei mesi, e io avevo diciassette anni, lui ventiquattro. Una sera sono andata a trovarlo dopo una partita in tv, e aveva bevuto un po’, ma decisi di stare da lui a fargli compagnia. Lì conobbi un lato di lui sconosciuto, simile alla violenza ma mescolato alla passione. Per carità, divertente, finché non ti sbatte come una zampogna contro un armadio…! Comunque, il fatto è che dopo quella notte de fuego, ero rimasta incinta.”
Robbie si fermò.
“…capiscimi, aldilà della notizia, ero incazzatissima per il modo – così cattivo, da ubriaco, eccetera. Io avevo diciassette anni, potevo denunciarlo e sbatterlo dentro, ma non l’ho fatto. L’ho lasciato, facendo in modo di fargli lasciare la città – così mia madre non l’avrebbe trovato.”
Il ragazzo inspirò profondamente.
“Io… ho abortito, per forza. Non avrei avuto la forza di crescere… insomma, hai capito. Lui però non sa niente di tutto ciò. Sa solo che l’ho mollato, l’ho fatto cacciare dalla città, e quindi ora io sono la stronza.”
Robbie sentì le braccia incanalare tanta energia da sradicare un albero della Quindicesima.
“E questa è la mia triste storia.” Concluse Jade, imbarazzata, gli occhi bassi a guardarsi le scarpe; “Sono stata una stupida, forse, ma non avevo altra scelta.”
Robbie la prese a sé e la strinse piano, tuffando la mano nei capelli morbidi di lei.
Jade rimase attonita: non si aspettava quella reazione.
“E quella testa di cazzo non ci è arrivato da solo?” Chiese Robbie, a denti stretti.
“Pare di no… stasera mi ha attaccata di nuovo, senza capire.”
Robbie fece due passi indietro, lasciandola alla luce della città: “Forse dovresti dirglielo.”
“Forse dovrei, ma che cambierebbe adesso?”
“Eviterebbe di romperti le scatole…”
“Lo farebbe lo stesso, come qualunque uomo ferito e lasciato.” Rispose Jade, sbuffando; “Beh, non facciamone un dramma! È passato, ormai! Robbie, non serve che mi accompagni a casa… ci arrivo da sola!”
“Scherzi? Devo dimostrare a Carol che ho un briciolo di palle in più rispetto a Jaime!!! Ah, ah, ah!!!” rise lui, alleggerendo la situazione.
“Ah, ah, ah, sì, hai ragione! Il mio araldo senza macchia e senza paura!”
 
 
“Carol, davvero, non posso restare.”
“Betty, che ti succede? Vuoi lasciarmi qui da sola?”
“Certo che no! Sto pensando a come fare!!!” Sbuffò la bionda, lisciandosi i capelli e camminando avanti e indietro per il marciapiede.
Carol la fermò e la fissò dritta negli occhi: “Ora tu mi dici chi è, quanti anni ha, se lo conosco e perché ne vale tanto la pena…!”
Betty fece la finta tonta: “Che…? cos…? No, no, niente… ma chi? Ti sbagli… chi, io? pff…!”
Carol inarcò un sopraciglio: “Ma mi credi così tonta? Prima ‘l’uscita smutandata’, poi il vestito super glam dorato, il rossetto rosso fuoco, snobismo verso il tuo Milo…”
“…abbassa la voce…!”
“…e adesso hai fretta di andare via? Ma per favore, mi credi una cretina? Avanti… chi eeeè?!?!”
“Non è nessuno, devo solo tornare a casa.”
“D’accordo, ti accompagno.”
Le due si misero di fronte l’una all’altra, le braccia conserte: era una sfida all’ultimo tacco.
“Non serve, c’è il taxi.”
“Io non rimango da sola ad una festa. Ti accompagno.”
“Ma non sei sola, c’è un sacco di gente. È una feeeesta.”
“Sì, ma le mie amiche si sono volatilizzaaaate.”
“Io sono qui.”
“Ma vuoi andare via.”
“Non è che voglio… è che devo.”
“Devi lasciarmi sola?”
“No, devo andare via.”
“Ma non vuoi.”
“No, cioè, sì… cioè… uff!”
Carol inarcò di nuovo il sopracciglio: “Betty, stai perdendo colpi.”
“Non sono costretta ad andare via, ma lo vorrei fare, però non voglio lasciarti da sola.”
“Quindi?”
“Prendi il taxi?”
“Lo prendi anche tu?”
“No, uso la metro.”
“Allora la prendo anch’io.”
“Sei allergica alla polvere.”
“E tu alla metro.”
“Carol, non mi seccare!”
“Tu chi sei?”
“Betty Johnston.”
“E lui chi è?”
“È Poppy,suasorellaèunastilista… OOOOOOOOOOOOHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!” Betty si mise le mani sulla bocca, e arrossì come un pomodoro.
Carol sbarrò gli occhi e tacque. La guardò bene. Betty continuava a fissarla, senza spiccicare parola. Avrebbe voluto morire piuttosto che ammettere che Poppy la stava aspettando da qualche parte nella città.
“Poppy…? L’amico di Brady?”
“No! No! Ho sbagliato a parlare! Non è lui!” Ribatté Betty, squittendo isterica.
“E quindi ieri sera non è successo niente, uhm?”
Betty schiaffò un bacio sulla guancia dell’amica e scappò via, logorata dalla vergogna.
Carol ciondolò il capo, facendo vibrare il caschetto mogano sotto le luci al neon della strada. Si mise a posto il tubino nero e ridacchiò tra sé e sé: “Oh, Carol, a te non la si fa!”
“Cos’è, parli da sola adesso?” Le chiese Jeremy, appena uscito dal locale.
“Sono stata letteralmente abbandonata dalle mie amiche, causa sesso maschile, quindi sì, parlo da sola perché non c’è nessun altro ad ascoltarmi.”
“Beh, non se l’unica, i ragazzi han mollato anche me… Brady ha portato a casa Rose – era piena come un uovo!, e Robbie è svanito.”
“Ha portato a casa Jade.”
“Ah, ecco… e la biondina?”
“Eh-eh… è scappata. Ma è troppo presto per spiegare con precisione la storia… che fai, rientri?”
“Nah, senza compagnia un locale diventa inutile!”
“Sono d’accordo. Anch’io mi stavo incamminando verso casa.”
Jeremy abbassò lo sguardo: “Su quei cosi?”
“Ehi, quei cosi costano un sacco di soldi, e in più sono bellissimi… mi sento molto Dorothy del Kansas con le sue scarpette di rubino!”
“E io chi sarei, il Mago di Oz?”
“No, tu sei Toto, il cane!” Ridacchiò lei, dandogli un colpetto sulla spalla. “Dai, accompagnami, non fare lo scorbutico.”
“Io non sono scorbutico! Sei tu la schizzata che urta la gente per niente!”
Carol era troppo stanca per ribattere e annuì, proseguendo per la sua strada.
“Con te al mio fianco sono sicura che la grande città cattiva non mi mangerà!” Rise lei, cominciando ad appoggiarsi a lui.
“Miss, so che sono irresistibile, ma non sei la mia ragazza, quindi giù le zampe.”
Carol lo guardò: “No, non sei affatto scorbutico. Come mi è venuto in mente?” Sbuffò lei; “Avanti, reggimi un secondo… mi levo questi trampoli e proseguiamo.”
La ragazza si slacciò le scarpe e le prese in mano, un po’ goffa e decisamente più bassa di prima.
Jeremy rimase lì, di stucco: “Cioè, scusa, ti levi le scarpe così?”
“Sì, non voglio che si rovinino camminandoci sopra.”
“Ma davanti a me? Così? Come se fossi tuo fratello?”
Carol lo fermò e lo guardò da sotto la frangia brillante: “Ehi, non siamo insieme, quindi dov’è il problema? Non devo flirtare con te, giusto?”
“Sì, ma un minimo di femminilità…!”
Lei riprese a camminare: “Ecco, vedi, tu fai parte di quella graaande schiera di uomini che pensa che una donna sia Donna solo su tacco 12, con gambe scoperte e scollatura vertiginosa fronte/retro. Mi sbaglio?”
“Beh, di certo aiutano ad essere più figa!”
Carol ridacchiò: “E tu saresti un tipo raffinato? Ma ti senti?!? E comunque, tornando alla mia teoria, io ti assicuro che una ragazza può essere femminile anche su scarpe basse, pantaloni, e canotta semplice.”
Lui la guardò storto.
“Certo, non sarà una bomba sexy, ma credo sia meglio che lo scopra solo tu se sotto le lenzuola ci sa fare oppure no, o sbaglio? Preferiresti uscire con una che appena mette piede fuori casa lobotomizza ogni passante con tette, culo e gambe?”
“Beh, ci si gusta l’occhio…!”
“Bingo!” Disse lei, per poi tacere.
Proseguirono un altro centinaio di metri, senza dire una parola, e la cosa stava irritando Jeremy.
La guardò, cercando di capire dove voleva arrivare.
Lei taceva ancora.
“Insomma ti spieghi? Bingo in che senso?”
“Non lo vuoi sapere, fidati…”
“Lo voglio sapere.”
“Mmh, nah.”
“Mmh, si!” Disse lui con fare ironico.
“Ok, d’accordo, è chiaro che il tuo pirolo laggiù non lavora da un bel po’!”
“Che cooosa?! Ma che cazzo dici?!?!? Ma come ti permetti!?!? E come fai a dirlo? Ma senti questa…! È pazzesco!!!”
Lei gli si parò davanti, le mani pronte a spiegargli con gesti aerei i suoi concetti, pollici e indici uniti tra loro: “Osservare una bella ragazza che passa e fare apprezzamenti, è un conto – anche mio padre lo fa, figurati, è normale!, ma preferire e aspettarsi un flirt con una donna del genere – s’intende, flirt che non avverrà MAI!, è indice di scarso utilizzo del pene. Perché per quanto tu possa correre dietro a quella ragazza così scosciata e volgare, non ti si filerà mai!; e può esserci una piccola percentuale di brave ragazze che il sabato sera si conciano così, ma è molto rara in questa zona dell’Universo, credimi. È chiaro come il Sole che tu, quello lì, non lo usi da un po’.” Concluse lei, sussurrando le ultime parole.
“È chiaro che tu, stronzetta, non mi conosci.”
“Ceeerto, non ti conosco, mi pare ovvio! Appena una ti si avvicina la allontani dicendo ‘giù le zampe’…!”
Proseguirono ancora, senza spiccicare parola. Lui, ferito nell’orgoglio, lei, con una voglia irrefrenabile di spaccargli la testa.
Finalmente arrivarono sotto casa di Carol, in Bleecker Street, e quella si rimise le scarpe: “Beh, grazie per la chiacchierata, davvero illuminante. Non ti stupire se da domani sarò lesbica!”
“Sì, certo, attenta che forse da domani ti riuscirà di essere più simpatica!”
Carol tornò dal ragazzo e gli puntò il dito contro: “Ricordati bene, Jeremy – non che sia un’esperta in materia – ma ricordati bene che le modelle, oggi, sono solo delle grucce. E se vuoi perdere tempo dietro ad una gruccia, baciare una gruccia, scoparti una gruccia, allora è meglio che fai da solo, in cinque contro uno, perché la soddisfazione di un battibecco costruttivo con una stronzetta che si toglie le scarpe in mezzo alla strada, non la troverai in una gruccia. Specialmente in Lily Goldy. Buonanotte.” Concluse lei, aprendo la porta di casa e sbattendola alle sue spalle.
Jeremy rimase lì, interdetto. Ricominciò a camminare, cercando di non pensarci, ma era impossibile. Si voltò più volte verso l’appartamento di Carol, cercando di capire cosa gli desse più fastidio: lei, o la verità che gli aveva appena aperto gli occhi.
Si maledì perché quella sera, al FullOut, dopo aver chiacchierato con degli amici, aveva intravisto uno stacco di coscia davvero spiazzante, e con l’occhio aveva seguito quella linea sottile salire dalla caviglia adornata di scarpe rosse fino alle cosce, coperte da un tubino nero. Ma quando quella ragazza si era girata, scoprire che quella bellezza mozzafiato era Carol l’aveva lasciato senza parole. E adesso, dopo quella camminata, l’incazzatura era doppia.
 
 
  
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