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Autore: zucchero filato    19/12/2012    3 recensioni
Albert e Candy: separati da cinque lunghi anni, lui sta per sposarsi con qualcuno che non sembra fare per lui, almeno a detta di Archie; chi arriva dopo così tanto tempo, piena di nostalgia e speranza, non sa cosa si troverà davanti...e un luogo magico come Lakewood a fare da sfondo a questo ritorno.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Signore, la cena è pronta.”

“Grazie Sebastian, scendo subito”, ma non si mosse dal suo posto, continuando a guardare lo splendido ritratto sopra il caminetto.

Era Candy: lo aveva fatto fare prima che partisse e l’aveva tenuto nello studio malgrado il dolore che aveva provato ogni giorno nel guardarla. Era stato il modo per ricordare a se stesso quanto fosse stato vigliacco e folle in tutti quegli anni.

Dopo aver conosciuto Ellen il quadro era stato portato a Lakewood e collocato nel salone dalle grandi vetrate insieme ai ritratti degli altri Andrew.

Il pittore aveva colto in modo spettacolare lo spirito e la luce interiore della ragazza: anche lui ne è rimasto stregato, come tutti, pensò. Non poté fare a meno di scorrere con la mente gli ultimi giorni. Che le sta succedendo?E’ come se mi sfuggisse e insieme come se volesse dirmi qualcosa.

In quel momento Ellen bussò sulla porta aperta: non era mai stata in quel luogo. La villa era talmente grande che ne conosceva solo una piccola parte. Si guardò intorno: le dimensioni della stanza erano incredibili così come il lusso che vi si respirava ma ciò che colpiva di più era la serie impressionante di dipinti che coprivano le pareti.

Entrò lentamente.

Presa alla sprovvista dal cambio repentino di umore di Albert, aveva reagito coprendolo di attenzioni e sfruttando ogni occasione per allontanare Candy e ricordarle qual’era il suo posto.

Non era servito a molto: entrambi si erano chiusi ancora di più in loro stessi ed Albert era divenuto sempre più suscettibile e scontroso. Il disagio che viveva era percettibile e mai prima d’ora era accaduto che non corresse tra le sue braccia a cercare sollievo e conforto. Le sue notti erano diventate solitarie, aveva atteso inutilmente che Albert venisse da lei ed ogni tentativo di ricordagli i piaceri che avevano condiviso fin’ora era stato inutile.

“Tesoro, tutto bene?”, gli chiese con voce dolce.

“Sì”, rispose distratto, continuando a fissare il ritratto.

“Mi hanno detto che eri qui…”, sfiorò la spalla con una mano per poi poggiarvi un bacio.

Seguì lo sguardo del fidanzato fino al ritratto e restò a bocca aperta. Era stato scontroso, era vero, ma quel dipinto era quanto di più bello potesse trovare per chiederle scusa.

“E’ magnifico! Quando l’hai fatto fare?”

“Molti anni fa…”, rispose voltandosi mentre riemergeva dai ricordi.

Ellen gli rimandò uno sguardo interrogativo: “Molti anni fa?”

“Sì”

“Vuoi dire quando ci siamo conosciuti”

“No, prima, prima che partisse…”, Albert non capiva.

“Non sono io?”, realizzò in un attimo e l’espressione di lei cambiò, insieme alla voce, fino a quel momento bassa e vellutata, “Vuoi dire che è Candy?”

“Sì”, continuava a guardarla con quell’aria innocente che le faceva venire il nervoso.

“Ah!”, l’ira avvampò in lei.

Albert capì e si sentì in colpa, annaspò in cerca di una giustificazione, non tanto per il ritratto, quanto per essere stato sorpreso a contemplarlo in quel modo.

“Vedi qui sono conservati i ritratti di molti membri della famiglia Andrew…”

“Sì, tutti morti tranne Candy!”, ribattè dopo aver scorso lo sguardo sulle pareti e letto i cartellini sotto i ritratti.

“Non capisco cosa vuoi dire…”

“So io cosa voglio dire… e ti dirò una cosa William Andrei”, puntandoli il dito sul petto, “non tollererò ulteriormente una situazione di questo genere!”

“Ellen, che stai dicendo?”, sapeva che c’era qualcosa di sbagliato in sé ma non poteva e non voleva ammetterlo

“Dico che hanno ragione tutti quelli che dicono che mi sposi perché ti ricordo lei!”, ed uscì sbattendo la porta prima che Albert potesse vedere le lacrime di rabbia.

 

La cena fu un disastro ma la colazione successiva fu ancora peggio.

Candy non si presentò a colazione.

“La signorina è partita”, disse Sebastian, osservando la reazione del padrone.

“E…”

L’uomo lo guardò senza capire.

“E’ andata alla Casa di Pony”, gli disse Archie, “L’ha accompagnata Mark ieri sera dopo cena, passeranno su qualche giorno, era ora che Candy andasse a trovare le sue mamme.”

“Ah”, fu l’unica risposta di Albert che bevve d’un fiato il proprio caffè e si alzò in silenzio per poi uscire senza aver toccato nulla di ciò che aveva nel piatto. Ellen lo seguì con gli occhi per poi riprendere ad imburrare la propria fetta di pane come se niente fosse ma soppesando la reazione del fidanzato.

 

“Candy non glielo ha detto?”, domandò Annie sotto voce.

“Evidentemente no”, rispose Archie pensieroso.

“Cosa sarà successo secondo te?”

“Non saprei proprio, ma ieri sera era così strana, mi preoccupa, sai?”

Annie guardò il marito, posando il mento sulla mano con aria meditabonda.

Archie sollevò un sopracciglio nel vederla in quella posa poco signorile.

“A cosa pensi?”

“Che vorrei poter fare qualcosa…”

Violet pensò la stessa cosa mentre fissava la sedia dello zio con occhi tristi.

Ellen strinse i denti con rabbia: Vi farò vedere io…

 

 

***

 

Inspirò profondamente e si appoggiò al tronco.

Un caldo umido soffocante era calato sul Lago Michigan e sui suoi dintorni. Dalla collina si poteva vedere il vapore formasi sulle acque del lago e spandersi sulle terre circostanti.

In lontananza si sentivano i campanacci delle vacche, i rintocchi della campana del vespro, il fischio del treno lungo la ferrovia. Era ora di cena e avrebbe dovuto rientrare ma indugiò ancora.

Il cielo era rosso fuoco fin dove l’occhio riusciva ad arrivare, fino al lago divenuto dello stesso colore.

Rosso come in Africa: mi sembra di essere partita un secolo fa e invece sono solo poche settimane. Devo decidere cosa fare, non posso restare qui ancora a lungo,gli Andrew non sono mai stati la mia casa, dopo il matrimonio lo saranno ancora meno… Miss Pony comincia ad essere stanca e Suor Maria avrebbe bisogno di aiuto, la cosa migliore sarebbe restare alla Casa di Pony ma è troppo vicina, troppo…anche se Albert non lo vedrò di certo così spesso, anzi, forse non lo vedrò più…

Un sorriso triste e tornò a guardare verso la piccola casa in legno dal tetto blu ai piedi della collina. Il campanile della chiesa del paese batté le sei.

E’ stato bello finché è durato, Candy. Finché non c’era Ellen. Come ho potuto essere così stupida da pensare che Albert…eppure...

Si strinse nelle braccia al ricordo del valzer nella loggia: sentiva ancora la stretta di Albert farsi possesso, i suoi occhi sempre più vicini, la respirazione mantenuta a malapena sotto controllo. Se non fosse stato Albert a stringerla a quel modo avrebbe giurato che stava per baciarla. Scosse la testa.

Ti sbagli di grosso, si disse dandosi un colpetto intesta, non gliene importa nulla di me…

Sentì le lacrime che salivano ma le inghiottì.

 

Quando era accaduto che Albert si era trasformato dall’amico nell’uomo che avrebbe voluto accanto a sé per una vita? Perché sempre la persona sbagliata doveva scegliere?

 

Mark la chiamò dalla base dell’albero.

 

Lo guardò e pensò ancora una volta che sarebbe stato bello poter partire con quel ragazzo dai modi gentili con cui condivideva tante cose ma sapeva bene, in fondo al cuore, che il lavoro soltanto non le sarebbe più bastato.

 

Voleva di più!

 

E quel di più stava per sposare un’altra che le somigliava come soltanto una gemella avrebbe potuto fare.

 

Non se ne capacitava.

 

E non capiva nemmeno le tensioni che si percepivano a Casa Andrew, soprattutto non capiva l’atteggiamento di Elroy, ultimamente molto conciliante e talvolta decisamente protettivo, soprattutto quando c’era il padre di Ellen in visita.

George osservava impassibile ma più di una volta si era lasciato sfuggire parole e gesti che facevano capire quanto Ellen non fosse gradita se non ad Albert ed Iriza, per non parlare di Archie che era perennemente in guerra, talvolta aperta, talvolta sotterranea, con la futura signora Andrew.

 

Non poteva seguire Mark, non sarebbe stato giusto, per Miss Pony, per Suor Maria, per i suoi amici e per sé stessa. Doveva mettere radici, ne aveva bisogno, ma non sapeva dove. Non alla casa di Pony ma non in Africa.

 

Infine scese e Mark l’accolse con un abbraccio.

Candy persa nei propri pensieri, gli sorrise ignara del biglietto della White Star che lui teneva in tasca e che aveva il suo nome.

***

“Zio!”

“Zio!”

“Zio Albert!”

I bambini arrivarono correndo ma non se ne accorse nemmeno. Gli occhi blu fissavano il lago ma non lo vedevano.

Un disagio sempre più pesante stava penetrando lentamente il cuore, come un’ombra che nemmeno i baci e le notti che aveva ripreso a trascorrere con Ellen tra le braccia erano state in grado di allontanare, un senso di soffocamento che lo faceva sentire debole: lo aveva già provato, anni addietro, e non voleva provarlo ancora ma Candy era partita già da dieci giorni e non riusciva a smettere di pensare a lei e alle parole di Ellen.

 

E ora quella lettera. Ma chi diavolo era Michel Didier? E perché scriveva a Candy?

 

“Zio”, Violet lo tirò per la camicia.

“Ciao cuccioli!”, il viso di Candy svanì mentre i bambini davano la scalata alle sue gambe. Li prese tra le braccia.

“Zio, non vuoi più giocare con noi?”

“Certo che sì…”’

“Ti sei dimenticato che ci hai promesso di portarci in barca?”, gli disse Lawrence.

“Veramente sì”,ammise, “mi perdonate? Vi ci porto stasera, che ne dite? Ora fa troppo caldo, stareste male…”

“Come Ellen?”, chiese Violet.

“Come Ellen”, confermò, “E come zia Elroy.”

“Zia Candy invece non sente il caldo…quando tu non c’eri andava sempre a cavallo a quest’ora.”

Albert sorrise: era l’Africa e l’abitudine al caldo asfissiante della savana, anche per lui era così.

Ellen da qualche giorno si sentiva particolarmente debole, le girava la testa, il giorno precedente aveva persino perso conoscenza facendogli prendere un grosso spavento. Ora andava meglio ma preferiva restare in casa nelle ore più calde.

Si concentrò nuovamente sui propri sentimenti: quello che stava provando era qualcosa di molto simile alla gelosia ed era un sentimento che non voleva provare, non nei confronti di Candy, non dopo che pensava di averla dimenticata, non a meno di tre settimane dal matrimonio con un’altra donna, non era corretto, non era leale.

Ma non poteva farne a meno e, soprattutto, le parole di Archie tornavano come un oracolo inascoltato: “L'hai forse dimenticata? Hai dimenticato quanto l’hai amata? Perché non vuoi vedere l'ovvio? Se così non fosse non avessi scelto una che le somiglia così tanto!”

“Mi manca tanto zia Candy”, sentì dire Violet.

“Anche a me”, le rispose sorridendo e dandole un bacio.

“Zia Candy ha pianto tanto, sai?”, proseguì lei ma fu interrotta dal fratello, seccato.

“Non lo dovevi dire! Avevi promesso!”

Violet si portò le mani alla bocca, guardando con gli occhi spalancati prima lo zio poi il fratello.

“Avevi promesso”, ripeté arrabbiato.

“E perché piangeva?”, le chiese Albert con dolcezza, trattenendo il respiro.

Violet tacque per qualche istante poi, sempre con le mani sulla bocca, “Quando Ellen è tornata…”, mormorò.

Albert rivide quel giorno in cui aveva preparato tutto per lei e per sé e l’arrivo di Ellen aveva scombinato tutto. Si era allontanata a cavallo senza una parola.

Da quel giorno la distanza tra loro era aumentata impercettibilmente ma costantemente.

“Stai zitta! Zia si arrabbierà!”

Ma Violet non sembrava disposta ad ascoltarlo.

“La fai piangere, zio, perché? Sei arrabbiato con lei? E’ per questo che è andata via?”

“Io non volevo farla piangere e non sono arrabbiato con lei”, le rispose.

Violet parlava senza capire la portata di ciò che diceva, era solo triste perché la zia che adorava era andata via e le aveva detto che lo faceva perché doveva allontanarsi da zio Albert.

E per la piccola, l’idea che le due persone che amava di più dopo i genitori non andassero d’accordo era doloroso.

Due lacrimoni apparve sulle ciglia scure.

Albert le asciugò lentamente gli occhi: “Sapete cosa facciamo? Domani andiamo da zia Candy ma non le diciamo che noi tre abbiamo parlato di lei, va bene?”

Violet assentì con forza, Lawrence, ancora imbronciato guardò male la sorella ma alla fine sorrise: “Va bene.”

Tornando verso l’edificio gli occhi di Albert erano scuri e pensierosi mentre richiamava le parole della bambina.

Doveva parlare con Candy, doveva vederla.

E doveva sapere se sarebbe partita di nuovo.

  
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