La
Via che porta a Est
L'ombra
della sera si intorpidiva sulle
Colline Vento, colonne di nebbia vaporosa esalavano dai cespugli
della boscaglia, le stelle erano chiare e limpide, proprio come
quelle che sovrastavano i Monti Azzurri.
Erano nove giorni che si erano lasciati
alle spalle le bianche terre del Lindon, ma la luna che sovrastava i
monti scintillanti e silenziosi dell'Ered Luin continuava a seguirli,
come a voler indicare loro la strada.
Le Terre Selvagge erano impervie e
scoscese, brulicavano di pericoli e di soffi malvagi, in particolar
modo quando scendeva la notte, allorché i nemici potevano
avvantaggiarsi nella tenebra e divenire ombre, ombre sfuggenti come
acqua e fumo.
Ma la terra è sempre amica a un nano,
per quanto questo sia giovane e avventato, e per quanto abbia ancora
tanto da imparare.
Kili si piegò sulle ginocchia,
strappando un ramo di salvia dal terreno brullo. L'annusò
percependo
il suo odore vellutato mischiarsi a quello acre del fango, le fibre
stesse delle foglie erano imbevute di sporcizia, e la pianta madre
era spezzata, piegata da un'impronta ostile e, certamente, non
scaltra né leggera.
«Fili»,
chiamò a voce bassa. Il fratello era impegnato ad ascoltare
i rumori
della notte, anche lui era in allerta.
«Hai
sentito qualcosa?» gli chiese nuovamente, accarezzando le
piume di
storno che adornavano le sue frecce.
Passarono
alcuni minuti, intervallati dalle strida delle civette. Poi Fili
rilassò il braccio e ripose la spada nel fodero.
«Niente,
siamo soli».
Dopo
essersi scrollati ogni timore di dosso i due nani ripigliarono la via
maestra, la Grande Via Est che attraversa la vastità della
Terra di
Mezzo, nasce cullata tra le rapide del Bruinen e muore presso i Porti
Grigi, nell'estremo ovest, là dove ogni creatura elfica
ospite di
questo mondo desidera nascostamente andare.
Il
cammino era sgombro, talvolta percorso da uomini vagabondi che
trovavano rifugio a Brea, o più a sud verso Tharbad, presso
il luogo
in cui le acque del Cardolan e del Glanduin si abbracciano.
Il
viaggio procedeva tranquillo e muto al punto da istigare una canzone,
una nenia, una ninna nanna leggera. E le loro labbra si aprirono
all'unisono, senza che avessero bisogno di scambiarsi un'intesa,
né
uno sguardo.
I
rumori della natura, le strida degli uccelli notturni, gli ululati
dei lupi provenienti dalle vicine lande a sud, il vento che piegava le chiome
degli alberi e accarezzava la lana della brughiera erano un
accompagnamento più che sufficiente per il loro canto. Le loro voci basse si
fondevano e si accordavano a vicenda, ricalcavano note nostalgiche,
inni al viaggiatore che ha perduto la sua casa e guarda alla luna
come sua guida. La canzone di un esule, di un perpetuo viandante.
E
la luna, sospesa davanti a loro, rischiarava la Via. Quella Via che
li avrebbe portati sui passi gelati delle Montagne Nebbiose.
«Il
vento ci chiama, la montagna ci aspetta, la neve più chiara,
cade
ora sulla vetta.
Al
focolar bramiamo, alla perduta porta di tornar, ma intanto cantiamo,
per la Via non dimenticar».
«Per
la Via non dimenticar»,
gli fece eco Fili. La sua voce traballò nell'intonare gli
ultimi
versi della canzone.
Kili
allora si arrestò, gli afferrò un braccio e lo
guardò negli occhi.
Erano bagnati, colmi d'acqua salata, scintillanti alla luce fredda
degli astri come due gemme incastonate nelle profondità
della terra.
L'oscurità
e il silenzio li avvolgeva. Un vento proveniente da oriente muoveva
le frasche e disegnava onde sull'erba bassa dei prati, un vento
freddo, odoroso della neve dell'Hithaeglir.
«Fili,
non la perderemo, te lo prometto».
La
strada era spianata sotto i loro piedi affaticati.
La
Via che li portava ad est.
«Il
vento ci parla, il vento vola così alto che è
nato nelle nude e
sterminate terre del Rhûn ed è passato oltre le
cime
dell'Hithaeglir.
Il
vento ci richiama a casa».