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Autore: cheesecake94    07/07/2007    2 recensioni
Mi allontanai con un peso insopportabile sul petto. Mi aveva ringraziato per averlo baciato. Ma da quando si ringrazia una donna che ti da un bacio?
Con tristezza mi dissi che conoscevo bene la risposta. Succede quando pensi di non meritarlo, quando credi di non essere abbastanza per l’amore. Avevo atteso anche perché mai e poi mai avrei voluto che lui pensasse di non meritare appieno il mio affetto, quando fosse venuto il momento, ed ora, grazie a me, era andata proprio così.
COMPLETA!
Genere: Romantico, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cody Meyers
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mentre Cody si pettinava prima di raggiungere la mensa per cenare con tutti gli altri, pensava a Squib. Era dannatamente arrabbiata con lui. Nonostante capisse quanto quel torneo fosse duro per lui, quanto per lui fosse difficile confrontarsi ogni giorno con la memoria del suo illustre fratello, odiava il fatto che cercasse di nascondersi, di scappare e non affrontasse il problema. Non pensava che fosse davvero vigliacco, ma forse si era sbagliata sul suo conto. E poi fingere di stare male come un bambino della scuola elementare ed usare le sciocche scuse di un ragazzino per evitare l’allenamento era un comportamento davvero immaturo.

Da qualche mese tra loro stava nascendo qualcosa che andava decisamente oltre l’amicizia, e Cody pensava che in quel periodo Squib fosse cresciuto, maturato; oggi aveva scoperto di essersi ingannata.

Ancora più adirata, si diresse a passo di carica verso la mensa, ed afferrato un vassoio con malagrazia si servì e lo appoggiò sul solito tavolo. Erano tutti lì, Adena, Tanis, Cameron, persino Rick, ma Squib non c’era. Cody sentì il sangue ribollirle nelle vene.

“Dov’è Squib?” chiese allora rivolta a Cameron.

“Ha detto che non aveva fame. Dovresti parlargli, Cody. Si comporta come un idiota. Oggi in allenamento ha fatto pena, sembrava che non avesse mai visto prima una racchetta in vita sua.”

“Sì, e che non avesse più mosso le gambe da dieci anni a questa parte. Si muoveva come un’anziana signora con i tacchi.” aggiunse Tanis.

“Capisco quanto questo sia difficile per lui, ma comportarsi come un bambino e non allenarsi non farà che peggiorare la situazione.” concluse Adena.

“Non vi preoccupate, ora vado e lo uccido. A mani nude. Se vuole gettare il suo futuro dalla finestra, deve farlo lontano da me.” rispose lei alzandosi. Correndo, salì le scale diretta alla camera dei ragazzi, sempre più furiosa.

Squib aveva talento, lei non gli avrebbe permesso di sprecarlo.

“A noi due, Gary Furlong.”

Bussò, e, non avendo ottenuto risposta, entrò come una furia. Esattamente come quella mattina, Squib era a letto, nascosto sotto le coperte. Era coricato sul suo fianco sinistro e sembrava addormentato. Dalla sua posizione sulla porta Cody vedeva solo la sua schiena. Senza esitare si sedette sul ciglio del letto e lo scosse fino a svegliarlo.

Squib si sentì come se fosse caduto dall’alto ed avesse preso una brutta botta finendo a terra. Dormire aveva fatto sparire il dolore per un po’, ed ora era tornato con tutti gli annessi ed i connessi. Avrebbe voluto alzarsi per raggiungere il bagno nel più breve tempo possibile, ma la sua gamba destra protestò animatamente non appena cercò di muoversi. Mentre cercava di decidere cosa fare, notò che non era solo. Cody era seduta sul suo letto e lo fissava.

“Che. Diavolo. Hai. In. Testa. Se davvero ti tremano così tanto le gambe all’idea di partecipare al torneo, allora è decisamente meglio che tu ti ritiri, ma ti prego, finiscila con questi trucchi patetici ed infantili.”

“Ma Cody… perché mi tratti così?”

“Perché sei un dannato fifone, Gary Furlong, e mi hai deluso.”

“Cody… io sto male.” mormorò lui, pur sapendo che anche questa volta sarebbe stato inutile.

“No, mio caro, tu stai gettando la tua vita dalla finestra e io non te lo permetterò. Se vuoi rinunciare a tutto quello per cui hai sempre combattuto, sei libero di farlo, ma non davanti a me. Ora tu ti alzerai e insieme andremo a cena, dopo di che andrai a dormire e domattina parteciperai al torneo e vincerai, oppure puoi scordarti di rivolgermi ancora la parola. Chiaro?”

Al sentire quelle parole, Squib sentì il cuore fermarglisi nel petto. O la vittoria o Cody. In quelle condizioni non poteva vincere, e lo sapeva. Aveva sopportato l’allenamento solo grazie al nimesulene che Cameorn usava per gli stiramenti e di cui aveva fatto largo utilizzo nel pomeriggio.

Tuttavia, aveva scelta?

Anche Cody era dubbiosa. Forse aveva esagerato. D’altra parte, lei non lo avrebbe certo lasciato solo se lui avesse combattuto davvero e poi avesse perso, ma voleva che si mettesse in gioco, che desse il meglio, e perché lo facesse gli serviva uno stimolo.

Squib si alzò e, pregando di non cadere proprio di fronte a lei, si chiuse in bagno. Prese dal flacone altre due compresse di antidolorifico e le inghiottì sperando che facessero effetto in fretta, perché camminare era una vera e propria tortura. Respirando a fondo, seguì Cody al pianterreno. Durante la cena, nessuno gli rivolse la parola. Tutti i suoi amici lo guardavano con quello sguardo compassionevole, come si guarda la schiena di un codardo mentre scappa, e lui si sentiva così male. Il dolore era diminuito, ma ora era la testa a farlo impazzire, era sicuro di avere la febbre, e la cena non aveva certo fatto bene al suo stomaco. E ciò che era peggio, Cody lo ignorava, flirtava con Rick, rideva con Cameron e lo ignorava.

Chiudere gli occhi nel suo letto, quella sera, fu una vera e propria benedizione. Il sonno, tuttavia, non arrivò. Il dolore era diventato troppo intenso, ormai. Nessuna posizione riuscì a farlo sentire meglio. Passò tutta la notte a girarsi e rigirarsi e, occasionalmente, a correre in bagno facendo del suo meglio per non svegliare Cameron.

Era quasi l’alba, e stava così male che non aveva nemmeno pensato di chiudere a chiave la porta. Appoggiò il viso contro le piastrelle di maiolica del bagno, cercando nel loro fresco un po’ di sollievo, quando vide Cameron fermo sulla soglia.

“Non volevo svegliarti.”

“Addirittura questo. Pensavo che somatizzare fosse una cosa da femminucce. Sei davvero patetico, Squib.”

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La partita del girone eliminatorio stava per terminare, e Squib non aveva segnato nemmeno un punto. Non ricordava di avere mai giocato così male, nemmeno quando aveva tre anni e frequentava il corso per bambini con palline di gomma e racchette di plastica. I ragazzi della Brentwood si davano di gomito e ridevano, ed i suoi amici avevano lasciato gli spalti disgustati. Il girone eliminatorio era un pro forma, l’avversaria di Sunny non era nemmeno riuscita a toccare la palla, e lui stava perdendo.

Cody era seduta a bordo campo e lo fissava con uno sguardo che non le aveva mai visto prima.

Il suo avversario battè una palla corta e lui corse verso la rete per una voleè. Il dolore era così violento ormai che avrebbe voluto gridare e tagliare il suo corpo a metà per farlo smettere, sarebbe stato senza dubbio più gradevole.

Alzò il braccio, si sporse in avanti ed appoggiò tutto il peso sulla gamba destra. In quel momento, il dolore esplose. Squib non capiva più nulla, ed aveva la certezza che sarebbe morto nei minuti successivi. Per come si sentiva era impossibile che finisse diversamente.

Gettò la racchetta e corse via dal campo, in un profondo silenzio. Aveva la sensazione che una lancia stesse trafiggendo la sua gamba ed il suo addome. Sentiva freddo, nonostante fosse estate piena, tremava e non capiva come facesse a reggersi ancora in piedi. Tuttavia, gli occhi di Cody puntati sulla sua schiena mentre scappava facevano ancora più male.

Cody lo osservò allontanarsi. L’allenatore, il preside Bates e tutti gli altri scuotevano la testa, convinti che la paura avesse vinto. I ragazzi della Brentwood ridevano, ed anche alcuni degli allievi della Cascadia dei gruppi inferiori. Tutti si stavano prendendo gioco di Squib, tutti stavano pensando a lui come ad un incapace codardo.

Cody, invece, aveva paura. Gli aveva dato un ultimatum e sapeva quanto lei contasse per lui.

Cody sapeva che Squib era innamorato di lei, e lo ricambiava. Per questo aveva paura. Sapeva che se aveva lasciato il campo nonostante le sue minacce, allora doveva avere avuto un ottimo motivo per farlo.

Con il cuore in gola cominciò a cercarlo. Si guardò intorno, ma sembrava sparito. Corse a perdifiato per tutta l’accademia, ma di lui non c’era traccia.

“Rifletti, Cody.” si disse. “Pensa ad un luogo dove potrebbe nascondersi per avere la certezza di non essere trovato.”

Fu allora che le venne un’idea. Lo spiazzo erboso dove loro si incontravano in segreto per parlare, appena fuori dalla Cascadia. Lì nessuno l’avrebbe trovato.

Uscì dall’accademia correndo con tutto il fiato che aveva in corpo, sperando che nessuno la vedesse, poiché abbandonare la scuola era vietato a tutti gli allievi.

Quando arrivò e lo vide, si sentì morire. Era rannicchiato a terra, solo, in un angolo, tremava e respirava a mala pena. Se avesse avuto una verga Cody si sarebbe fatta tanto male da non dimenticarlo mai. Il senso di colpa era così violento da offuscare la sua mente, ma in quel momento doveva dedicarsi a lui e mantenere il sangue freddo; per odiare se stessa ci sarebbe stato tempo dopo.

Gli si avvicinò e poso una mano sul suo viso per attirare la sua attenzione. Scottava tanto da spaventarla ancora di più, e non credeva fosse possibile.

“Squib.” disse piano.

“Cody… fa tanto male. Fallo smettere, ti prego.” le disse lui, parlando come se ogni emissione di voce gli costasse uno sforzo inaudito. Sembrava confuso, e Cody si sentì stringere il cuore. In quel momento avrebbe dato qualsiasi cosa per potere dividere il suo dolore con lui.

“Dove?”

“Ho mal di pancia. Cody, fallo smettere, non ce la faccio più. Le pillole di Cameron, prendile. Sono nell’armadietto.”

Non sembrava rendersi esattamente conto di dove si trovasse.

“Hai preso delle medicine? Antidolorifici? Quando?”

“Stamattina.”

Se si sentiva così dopo le pillole, come si sarebbe sentito senza?

“Nessuna pillola, Squib. Bisogna che un dottore ti veda subito. Non ti preoccupare, ora chiamo un’ambulanza e poi vado ad avvisare il preside.”

“No… niente ambulanza. Non voglio muovermi. Fa troppo male.”

“Invece devi. Hai bisogno di un medico.”

“Però non chiamare il preside. Ti prego. Mi vergogno, penserà che l’abbia fatto apposta per non giocare.”

“Non è colpa tua se ti sei ammalato.”

“Nessuno mi crede.”

Cody non riuscì a trattenere le lacrime oltre. Prese il cellulare e chiamò il servizio di emergenza, senza smettere di piangere. Poco dopo si avvicinò di nuovo a Squib che tremava ancora di più e teneva le braccia strette spasmodicamente al fianco destro, e prese ad accarezzargli il viso caldo con tutta la dolcezza possibile.

“Fra pochi minuti sarà qui. Vedrai, loro sapranno cosa fare. Ti faranno stare meglio.”

“Cody, mi dispiace.” sussurrò lui a mezza voce, con fatica. “Ci ho provato, ma non ce l’ho fatta. Non lasciarmi solo, per piacere.”

Cody in quel momento avrebbe voluto uccidersi con le sue stesse mani.

“Non ti lascio, te lo prometto. Tu devi pensare solo a guarire.”

Baciò la sua fronte e continuò ad accarezzarlo ed a sussurargli parole di conforto fino a che non sentì la sirena dell’ambulanza in lontananza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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