- Di grog, velluto e Oriente
In effetti non avrebbe saputo spiegare
perché l’avesse
notata, tra le luci di quella piccola
sala, la notte di Natale.
Sepolta in un enorme vestito di velluto rosso e con un bicchiere di
vino bianco
[?] tra le dita, quella ragazza avrebbe potuto confondersi con la
tappezzeria
un po’ retrò.
Eppure c’era qualcosa, nella linea rossa che si apriva sul suo
viso [quella che
avrebbe dovuto essere una bella bocca, a
pensarci bene] che un po’ lo seccava e lo inquietava.
La linea rossa di quella ragazza bionda, con il suo abito di velluto
rosso e il
suo bicchiere bianco di vino in mano, non si era mai piegata. Rimaneva,
rigida
e rossa, a segnare una linea dritta tra le mascelle serrate.
Shikamaru riempì nuovamente il bicchiere di grog, un acido e
disgustoso grog,
socchiudendo gli occhi.
Il Natale rispose al suo sguardo con un’infantile arroganza,
riempendo la sala
con la classica prepotenza di qualcosa che non si trova né al
suo posto, né a
suo agio.
Luci colorate, tavoli inzeppati più che imbanditi e musiche
esacerbanti per i
suoi nervi sempre troppo provati, rendevano quel buco di hotel nei
pressi del
Mar Nero ancora più piccolo e tedioso.
Natale in terra d’oriente, questo è
quello che la sua azienda gli aveva prospettato quell’anno.
Il lavoro per una compagnia nipponica di energia comportava ovvi e
continui
pellegrinaggi per il mondo, ma quell’anno, quando alla simpatica
e colorata
lettera di auguri per le festività dell’azienda, si era unita un’altra, più rigida
e rigorosa,
un brivido era corso lunga la schiena dell’ingegnere elettronico
Nara .
Sei mesi in Turchia, partenza sedici dicembre, spese pagate.
E Nara si era limitato a sospirare, sgranchendo le spalle anchilosate e
ignorando
il brivido che suonava le maracas con le sue vertebre.
L’attenzione di Shikamaru ritornò con inattesa ferocia
sulle voci e le luci
della sala gremita.
Ino, bionda e attraente in un mini-dress blu notte, non un semplice
vestitino
nero, come Shikamaru avrebbe – e aveva – detto, scartava
regali e proposte indecenti
con una noncuranza ammaliante.
Attorno alla tavola, attorno a Shikamaru e attorno alla ragazza di
velluto e
dalla linea rossa sul viso, figure sempre più rarefatte
parlavano e parlavano.
Tutti presi a festeggiare un Natale nel deserto –
c’è chi aveva ribadito che si, dai, è
un po’ più realistico rispetto al
Giappone, non trovate? Almeno siamo nei pressi del Medio Oriente,
consoliamoci
– tutti presi a fingere che le famiglie non fossero poi
così lontane, in fondo c’è il
telefono, twitter, facebook,
e poi, diamine, siamo ingegneri! Skype è solo l’inizio.
Shikamaru osservò Naruto e Sakura scambiarsi sguardi divertiti,
mentre il posto
accanto a loro rimaneva lugubremente vuoto. Masticando il terzo omino
di pan di
zenzero– preparato da chissà chi poi, lì in mezzo
al nulla – il ragazzo si
chiese per quanto a lungo Naruto avrebbe insistito nel lasciare vuoto
quel
posto.
E tra la folla, i tavoli, gli odori di zuppe, zucchero e cioccolato,
gli
assenti brillavano tanto quanto le luci sistemate un po’ a caso
sulla porta di
ingresso.
Hinata e Neji, cattolici di terza, quarta, mah,
generazione, non erano ancora tornati dalla Messa.
La ragazza aveva salutato tutti con un “buon Natale”
sussurrato, e aveva
sepolto lo sguardo tra le pieghe della sciarpa quando Naruto le aveva
stretto
la mano. Una ragazza strana. Ingenua nel supporre che nessuno avesse
notato la
sua cotta per il biondo. Una geologa decente, una ragazza forse
un po’ scialba. Buona per un matrimonio, forse.
O forse Shikamaru si era
semplicemente assuefatto alle donne forti. Sua madre prima, Ino poi,
gli
avevano spostato, con una certa ferocia, il suo centro affettivo verso
il polo
delle “matrone accentratrici”.
Avrebbe avuto bisogno di una terapia troppo costosa, estenuante,
impegnativa e
forse un po’ superflua per un genio come lui, per uscirne.
Gli conveniva tenersi le sue angosce sull’universo femminile e
sulle relazioni
complicate.
Quella con la Yamanaka, durata meno di una notte e
poco più
di una sbornia, gli aveva lasciato un retrogusto un po’ amaro.
Il pan di zenzero era, invece, decisamente troppo dolce – tanto
quanto il grog
era aspro - e l’omino che, una volta, si era erto atletico nel
cestino decorato
dal grosso fiocco, ora era ridotto ad uno zombie zoppo e arrabbiato.
Il pensiero di qualcuno arrabbiato a Natale, un pensiero che avrebbe
davvero
fatto irritare Naruto, Sakura, Ino, Hinata e persino Neji, nonostante i
suoi
perenni musi lunghi, lo riportò prepotentemente alla figura di
velluto seduta
accanto al tavolo, il bicchiere di vino tra le dita, ancora lo stesso,
ancora
mezzo pieno.
Sembrava non averne bevuta una goccia in tutto quel tempo.
Shikamaru provò a smettere di fissare gli occhi della strana
bionda,
orrendamente fissi al bicchiere di vino.
La malinconia di quello sguardo spento e la rabbia in quella linea
rossa, gli
strinsero uno strano nodo alla gola.
Shikamaru sospirò, mormorò qualcosa che sapeva di
“seccatura”, e afferrò un
vagamente brillo Kiba per la manica.
Quel suo “conosci quella bionda” fu mandato giù
assieme ad un sorso di grog, in
un vago tentativo di ingoiare curiosità e imbarazzo.
Kiba aveva annuito, prima di raccontare qualcosa che vagamente suonava
come un:
“credo sia la responsabile dell’hotel. Già, di
solito c’è una moretta, ma
stasera si sono riservati il meglio. O il peggio, considerando
l’umore della
bionda. Forse le è morto il gatto.”
O forse è il Grinch, aveva risposto
Shikamaru, liberandolo dalla stretta.
“Credo che non abbia tanta voglia di stare qui. E’ Natale,
forse le manca la
famiglia”.
Shikamaru aveva annuito, rimuginando su quella questione della famiglia.
A lui la famiglia mancava, in effetti.
Da bambino ,a Natale, Shikamaru poteva giocare fino a notte inoltrata,
mentre il padre si sdraiava sul divano e,
inaspettatamente, sorrideva ad una moglie insospettabilmente di buon
umore.
Nella mente di quel piccolo genio, seppur di soli cinque anni, il
Natale si era
inscindibilmente legato al sorriso di
sua madre e di suo padre.
“Non ti piace il grog?”
Shikamaru non avrebbe saputo spiegarsi perché l’avesse
notata, seduta
nell’angolo di quella sala, il vestito di velluto rosso e il
bicchiere di vino
bianco tra le dita.
E Shikamaru non avrebbe saputo spiegarsi perché non
l’avesse vista arrivare e
piantarsi davanti a lui, la linea rossa sul viso increspata e lo
sguardo inquietantemente
fisso sul suo volto.
“Non mi piace il velluto”.
La bionda aveva scrollato le spalle con un gesto incurante e seccato
“a me si”
e con un gesto inatteso si era quasi librata alla sua destra,
afferrando un
pasticcino e mostrando un’abissale scollatura sulla schiena.
“Suppongo ora piaccia anche a te” gli aveva detto poi, la
linea rossa sempre
più rigida e gli occhi assottigliati.
Shikamaru aveva sbuffato, rimpiangendo quella curiosità che non
gli era propria
“qualcosa deve non piacerti, del Natale, dico.” aveva
mormorato, in imbarazzo.
“Sono con un gruppo di sconosciuti la notte di Natale” la
bionda gli aveva
scoccato uno sguardo furente, prima di sollevarsi sulle punte,
indicando
qualcosa alle spalle del ragazzo: “anzi, conosco qualcuno. Se non
erro quelli
sono i due tizi dei Cullen. ”
Shikamaru osservò Neji ed Hinata entrare nella stanza, il
cappello di lei ed i
capelli di lui zuppi di pioggia.
“Non mi aspettavo che i vampiri festeggiassero il Natale. Ma
neanche i cinesi,
in effetti”.
Shikamaru e i suoi occhi a mandorla si sentirono inaspettatamente
chiamati in
causa: “Giapponese. Sono Shikamaru e
sono Giapponese”.
La ragazza incassò, storcendo la linea rossa: “Asiatico.
Avrei dovuto dire
asiatico.” Voltò le spalle, mostrando la scollatura e la
schiena bruna e
asciutta.
“Sei qui per lavoro?” Shikamaru si maledì ancora e
ancora. Avrebbe dovuto darsi
dell’idiota.
La ragazza lo squadrò, lo sguardo sempre assente “No.
L’hotel è di mia cognata.
I miei fratelli sono in ospedale, uno ricoverato, l’altro medico.
Qualcuno
doveva mandare avanti la bottega. Temari è grande abbastanza per
passare un
Natale con un gruppo di asiatici”. La
linea sul viso si era nuovamente arricciata “Gaara e Kankuro non
sarebbero
comunque di gran compagnia”. Il sorso di vino si portò via
l’ultima sillaba, in
un singhiozzo di rabbia, frustrazione e, no, non poteva essere. Derisione.
Il moro sbarrò gli occhi “oh, mi spiace.”
Temari scosse le spalle: “Per una gamba rotta e un turno al
pronto soccorso? In
ospedale i miei fratelli e mia cognata se la caveranno benissimo anche
senza di
me. Ma questa me la pagheranno.”
Derisione.
Shikamaru si chiese perché le labbra di lei fossero ancora
serrate in
quella profonda linea scarlatta.
“Un Natale orrendo” commentò, laconico.
“Più o meno.” e lo sguardo si abbassò,
seguito da quello di Shikamaru: “è
Natale e sono nel deserto con un bicchiere di grog in mano. E fino ad
oggi pomeriggio
neanche sapevo cosa fosse il grog.” Serrò la mascella:
“Quale imbecille di voi
ha davvero insistito per avere il grog? Sai quanto è difficile
trovare del lime
qui?”
il ragazzo si trovò a sorridere: “Devi annoiarti
molto.” Poi inclinò la testa “Io,
comunque. Lo trovo incredibilmente natalizio.”
Non era vero.
Il grog l’aveva voluto Kiba.
E il grog non era affatto natalizio.
“Il grog è una bevanda da pirati. Da quando babbo natale
indossa una benda
sull’occhio e ha un pappagallo sulla slitta?” Temari
sbuffò, arricciando il
naso quando Shikamaru le ondeggiò il bicchiere pieno sotto al
naso.
“E’ un Natale difficile per tutti” commentò
poi lui, conciso “capitàno”.
Temari si portò una mano tra i capelli, la bocca socchiusa
“che razza di
Natale.”
Shikamaru si limitò ad una scrollata del capo: “La mia
azienda mi ha spedito
qui per sei mesi. La Turchia ha il suo fascino…”
sollevò gli occhi “…questo
posto no” completò la ragazza: “Sei mesi? Neanche io
che ci sono nata ho mai
passato tanto tempo qui”.
Shikamaru colse una crepa nella riga rossa: “Non
saprei…anzi, sembra essere un
posto entusiasmante. Quasi quasi ci festeggio anche il capodanno.”
La ragazza spostò la mano sulle labbra, lo sguardo più
limpido: “Ottima scelta.
Quasi quasi ce lo festeggio anche io.” Shikamaru la
osservò stringere il
bicchiere: “I miei fratelli riusciranno comunque a rinchiudermi
qui anche
quella sera.”
“L’hotel non è male. Certo, il grog fa
schifo.” Commentò il ragazzo,
arricciando il naso in un’imitazione neanche tanto riuscita
dell’espressione
dell’altra.
“Se non fossi tanto disgustata dalla serata e da quella schifezza
di grog, ti
troverei un tipo simpatico, giapponese.” Ammise Temari,
arricciando con le dita
una ciocca bionda.
Shikamaru rimase incantato, notando ancora le labbra rosse, distese nel
solito
grugno.
“Perdonami, devo andare” ammise infine lei, strappandogli
il bicchiere dalle
dita: “Ho una cucina da sistemare e un pranzo di Natale da
allestire. Preparati
a litri di grog. Vi ci farò affogare.”
Shikamaru si ritrovò a sorridere, osservandole ancora e ancora
le labbra
scarlatte.
“Buon Natale” sbottò infine, lo sguardo serrato su
quella riga rossa ancorata
ad un ghigno esasperato.
Temari lo fissò, nel suo vestito di velluto rosso e con i
bicchieri mezzi pieni
tra le dita, inclinando la testa e facendo ondeggiare i pesanti
orecchini.
Il sorriso frantumò la profonda riga rossa, schiudendo le labbra
scarlatte.
E Shikamaru ebbe solo il tempo di
pensare che il Natale potesse davvero racchiudersi tutto in quel
sorriso.
Fiction partecipante al “I’m
deaming of
a black Christmas”
In occasione della fine del mondo –argh, pensavo di fare la furba
e non dover
più pubblicare, causa apocalissi! – un piccolo ritorno,
ovviamente oscurissimo!
Spero vi sia piaciuta.
Roberta