Storie originali > Giallo
Segui la storia  |       
Autore: JulietAndRomeo    24/12/2012    1 recensioni
Dalla storia:
Poco prima di varcare la soglia di casa sua, la signorina Cullen parlò con me per la prima volta.
-Accetto- mi disse. -Ci rivedremo- proseguì.
Questa è la seconda storia che pubblico in questa sezione. I personaggi sono gli stessi della scorsa storia e visto che era da un po' che ci pensavo ho detto "perché non pubblicare di nuovo?".
E così eccomi qui, spero vi piaccia anche se l'introduzione è un po' breve.
Genere: Avventura, Commedia, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La notizia.




Quando la signora Smith mi era venuta a chiamare, dicendo che un tipo di sotto voleva vedermi, avevo appena finito di vestirmi. Le dissi quindi che sarei scesa immediatamente, così lei chiuse la porta della mia stanza e percorse il corridoio al contrario, per tornare in salotto.
In fretta mi infilai le scarpe e aggiustai un attimo i capelli. Aprii poi la porta e mi affrettai al piano di sotto.
L’uomo che era seduto sul divano, era un distinto signore sulla quarantina, basso, ma elegante nel suo completo di tweed. I suoi capelli erano un ammasso di ricci incolti, somiglianti ad un cespuglio mal potato. Quello che però attirò di più la mia attenzione, a parte gli occhi, freddi e inespressivi, furono le sue dita: queste ticchettavano ritmicamente sul ginocchio destro, senza fermarsi mai. Scesi quindi le scale e mi sedetti sul divano, continuando a studiarlo: il mio sesto senso mi diceva che non era un rispettabile signore, come invece suggeriva l’apparenza. Gli feci un cenno col capo, per invitarlo a parlarmi del problema che lo aveva condotto da me e lui iniziò così: -Sono il professor Turner, docente di matematica all’Università della California qui a Los Angeles. Sono venuto qui da lei, per proporle un caso che sicuramente, data la sua… ehm, fama, non le dispiacerà. Vede, signorina Cullen, io ucciso tredici ragazze in meno di due anni e la quattordicesima è attualmente imprigionata in un posto che la sfido a trovare. Come avrà intuito la vita della ragazza dipende da lei- concluse.
Io non ci pensai due volte: balzai in piedi, di scatto, e mi avventai contro il primo telefono che trovai. Composi, quindi il numero di Lewis e in poche parole gli dissi che doveva venire subito a Saint Vicente Boulevard, poiché un assassino era seduto comodamente sul mio divano di casa. L’ispettore disse che sarebbe arrivato nel minor tempo possibile e chiuse la comunicazione.
Mi voltai verso Turner con diffidenza e, guardandolo con occhi assottigliati, mentre mi tornavo a sedere sul divano, gli chiesi perché lo stesse facendo.
-Gloria. Voglio che la gente mi conosca, signorina Cullen, ha letto per caso il quotidiano di questa mattina? No? Beh, la prima pagina era ricoperta da un articolo che parlava di un uomo che aveva ucciso la figlia, e allora mi sono chiesto: “Perché non posso raggiungere anch’io la gloria in questo modo?”. Ed eccomi qui adesso. Il suo ultimo caso era su tutti i giornali, (quello del ladro di Malibù, vero?) lei può farmi diventare famoso. Quindi la sfido: ha una settimana di tempo per trovare la ragazza, dopodiché lei morirà e voi non la troverete mai più. Come del resto non troverete mai le altre tredici, allora accetta?- disse sorridendo tranquillo.
Feci per aprire bocca, ma l’ispettore Lewis suonò il campanello e mi alzai in fretta per aprire la porta. L’uomo entrò, trafelato e con la pistola spianata. Gli feci un cenno con la testa, in direzione del divano e lui ordinò ai suoi uomini di prendere Turner.
Quest’ultimo si alzò con tranquillità e con altrettanta calma si fece mettere le manette. Gli agenti cominciarono a spingerlo fuori, mentre sia io che l’ispettore guardavamo sbalorditi alla calma dell’uomo.
Prima che varcasse la porta mi ricordai della domanda che mi aveva posto e a cui non avevo ancora risposto.
-Accetto- dissi. –Ci rivedremo- continuai.
Poi gli agenti chiusero la porta d’ingresso di casa mia e qualche secondo dopo si udirono le sirene delle auto della polizia, che si allontanavano giù lungo la strada.
 
-Tutto qui? Le ha detto solo questo?- chiese Lewis.
-Si, solo che per raggiungere la gloria, ha voluto confessare. Crede che i giornalisti possano venire a conoscenza della cosa…- risposi, accomodandomi sulla sedia, di fronte alla scrivania di Lewis.
Ad un certo punto sentii il cellulare vibrare nella tasca dei jeans e poco dopo la suoneria associata al numero di Nick.
Presi il telefono e risposi: -Ciao, Nick-.
-Dove sei? Stai bene? Ti è successo qualcosa? Sto arrivando con il primo volo per Los Angeles… sei ancora a Los Angeles, vero? Che diavolo è successo, Macy?- chiese tutto d’un fiato.
-Ma ogni tanto ti capita di respirare?- ribattei io.
-Oh, santi numi, per fortuna stai bene! Mi spieghi che è successo? Casa tua è sul “L.A. Times”, e c’è scritto che stamattina la polizia era lì davanti… aspetta un attimo: ti hanno arrestata, vero? Che hai combinato questa volta? E prima che tu possa giustificarti, l’effrazione è un reato!-.
-Non sono entrata in casa di nessuno… o almeno recentemente. Stamattina un tizio è venuto da me e mi ha detto di aver ucciso tredici ragazze e di aver rapito la quattordicesima, che entro una settimana morirà. Mi ha sfidata a trovare il posto in cui è rinchiusa la ragazza… prima che muoia ovviamente-.
-Stai scherzando!-.
-No, Nick, non sto scherzando… a te come sta andando in Italia?-.
-Oh, beh, mia madre sta tentando di strapparmi il telefono dalle mani, vuole parlarti-.
-Passamela allora!-.
Ci fu una breve pausa in cui Nick passò il telefono a sua madre e poi la donna parlò.
-Ciao, Macy! Come stai, tesoro? Nick ha deciso di tornare in America, digli anche tu che è meglio che rimanga qui!- disse Bonnie.
Prima che potessi rispondere, in sottofondo, sentii la voce di Nick che diceva “quella è capace di farsi ammazzare, non ho intenzione di rimanere qui”.
-Signora, dica a suo figlio che “quella” ce l’ha un nome e che sono del tutto capace di badare a me stessa-.
-La maggior parte delle volte- disse Lewis accanto a me.
-Vi siete alleati per caso?- chiesi scocciata girandomi verso l’ispettore.
-Alleata con chi, tesoro?- chiese Bonnie.
-Con nessuno, non si preoccupi. Mi passi Nick, provo a dissuaderlo-.
-Che vuoi, mostro?- disse lui appena prese il telefono.
-Adesso hai un motivo in più per non tornare in città, se ti prendo ti uccido. In ogni caso, so di non avere alcuna speranza di dissuaderti, quindi buon viaggio. Saluta tua madre e tuo padre da parte mia-.
-Ci vediamo tra una dozzina di ore, Macy, un bacio-.
-Anche a te, ciao- dissi attaccando.
-Adesso che si fa?- chiese Lewis.
-Si cerca di non perdere tempo. Devo capirne di più su quest’uomo, dove abitava?-.
-Al 7706 di Luxor Street, a Downey. Gli agenti l’hanno già perquisita… beh, una parte: la casa è grande e noi abbiamo scoperto tutto solo stamattina- disse l’ispettore.
-No, non voglio che ci sia nessuno, devo lavorare con calma. Ha altre informazioni su di lui?-.
-Allora… ecco qui- disse tirando fuori un foglio da una cartella, posizionata sulla scrivania. –Liam, Edward Turner, quarantasette anni, professore di matematica all’Università della California qui a Los Angeles. Divorziato da quattro anni e quindi precedentemente sposato con Ginevra, Katherine Bell e un figlio di nome James, Benjamin Turner. Per quanto riguarda la sua vita sino a questo momento, niente di particolare: arrestato una sola volta per guida in stato di ebbrezza a diciassette anni. Da quel momento in poi più niente-.
-Che significa “più niente”?-.
-Significa che l’unico reato che ha commesso da quell’arresto, sino ad oggi è stato caricare di compiti i suoi studenti. Nei nostri database non c’è più niente su di lui, anzi, le dirò di più: l’anno scorso ha partecipato ad una manifestazione di beneficenza come cittadino onorario… aveva donato infatti cinquanta mila dollari all’orfanotrofio di Hollygroove… era l’orfanotrofio di…-.
-Si, lo so, Marilyn Monroe. Nient’altro?-.
-Cosa vuoi che ti dica, Macy? Io lo avrei definito un uomo rispettabilissimo-.
-Già… avete parlato con il figlio o con la moglie?-.
-No, non ancora, vuoi andare tu?-.
-No, detesto parlare con la gente, mente sempre…-.
-Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca-.
-Andrò a prendere Nick all’aeroporto, ma quando i suoi agenti finiscono di perquisire la casa di Turner me lo faccia sapere- dissi alzandomi dalla sedia.
-Sarà fatto-.
Annuii velocemente e mi diressi a passo veloce verso il parcheggio. Appena salita in macchina mi soffermai a pensare a come un uomo con una laurea e un dottorato potesse così, di punto in bianco, assassinare tredici ragazze e rapirne una quattordicesima. Di sicuro non era pazzia, Turner era più che lucido, al momento della confessione, sembrava anche a suo agio con quello che stava facendo, come se fosse da sempre stato il suo scopo nella vita e lui lo stesse semplicemente perseguendo.
Avviai il motore dell’auto e uscii dal parcheggio del distretto, diretta a Santa Monica.
Poco prima di arrivare davanti al cancello di casa, notai l’auto di mio padre, ferma accanto al marciapiede.
“Oh, povera me!” pensai.
Mi fermai sul vialetto e spensi il motore, inserii il freno a mano e recuperai dalla borsa le chiavi di casa. Nel piccolo pezzo di sentiero acciottolato che dividevano la macchina dai gradini d’ingresso, avevo pensato almeno cinque volte alla fuga rapida e circa una dozzina di scuse che avrei potuto propinare a mio padre, per non farlo andare in paranoia.
Da quando era tornato dalla Spagna, mi teneva costantemente d’occhio, aveva paura che potessi farmi coinvolgere in un’esperienza suicida come quella avuta con la Mano Rossa.
In fondo, ma molto in fondo, lo capivo, ma il modo in cui lui mi teneva d’occhio aveva un che di seccante e di… inquietante.
Lui e Nick si erano praticamente alleati: non mi lasciavano mai un minuto da sola, in un certo senso era frustrante, non poter andare in giro per negozi da sola o anche a prendere qualcosa da mangiare senza la guardia del corpo. Poi, adesso, da quando Nick era partito per andare a trovare i suoi, Theo non mi mollava un secondo, sembravamo il cane con l’osso, piuttosto che padre e figlia. La situazione stava diventando insostenibile.
Prima che potessi riprendere la macchina e battere in ritirata, la porta si aprì e una donna che non conoscevo mi finì addosso, facendomi cadere all’indietro.
-Oh, scusa, mi dispiace così tanto… lascia, ti aiuto io- disse afferrandomi per un braccio nel tentativo di tirarmi su.
-Non si preoccupi, sto bene- dissi mezza intontita.
-Macy, amore, che ci fai lì per terra?- disse mio padre apparso sulla soglia della porta.
-Sono stata io, Theodore, l’ho urtata mentre uscivo- disse la donna.
Ora che la osservavo meglio, non sembrava proprio una sconosciuta… anzi, aveva un che di familiare.
Mi alzai, controllando che non fossero rimaste macchie di erba sui miei jeans e poi raccolsi la borsa e tutti gli oggetti che erano usciti fuori.
-Mi dispiace così tanto, Macy. Non ti avevo proprio vista- disse la donna, ancora una volta.
Mi voltai quindi verso di lei, per guardarla meglio, dato che la voce mi sembrava familiare. Era alta, circa un metro e ottanta, aveva i capelli neri e gli occhi dello stesso colore. La bocca era grande con labbra sottili, il naso piccolo e all’insù. Le avrei dato più o meno trent’anni se non avesse avuto quelle rughe marcate sulla fronte e ai lati della bocca.
-Senta, ci conosciamo, per caso?- chiesi io.
-No, Macy, lei è Hannah Morgan, una mia vecchia amica del liceo. Si è trasferita qui, prima che nascesse suo figlio, prima viveva a New York- disse mio padre.
-Aspetti, lei ha un figlio?-.
-Si, anche lui abita qui a Los Angeles… perché lo vuoi sapere?-.
-Per questo mi sembrava di conoscerla, lei e Jack siete due gocce d’acqua!- dissi scrutando la donna più da vicino.
-Come fai a conoscerlo?-.
-Oh, beh… noi siamo amici, lo incontravo spesso nel parco, lui faceva attività fisica e io camminavo, un giorno mi ha tirato una palla in testa, per sbaglio mentre giocava a basket, e mi ha invitata a prendere un caffè per scusarsi-.
-Capisco… beh, adesso io devo andare, Theodore. Mi ha fatto piacere rivederti dopo tutto questo tempo! Ciao, Macy- disse la donna mentre si allontanava sorridente.
-Papà!-.
-Che c’è, tesoro?- chiese lui sereno, mentre rientrava in casa.
-Ma che razza di cafone sei? Accompagnala a casa!- dissi spingendolo fuori.
-Ma non so neanche dove abita- rispose lui a mo’ di scusa.
-Non vale come scusa, devi solo camminare con lei, fin quando non arrivate a casa sua. Su, forza!- ribattei spingendolo attraverso il giardino e oltre i cancello d’ingresso.
-Ok, ok, ma nel frattempo non allontanarti da casa, o almeno chiamami e dimmi dove stai andando, ho letto stamattina l’edizione speciale del giornale, e so che ti ficcherai in qualche guaio-.
-Si, si va bene, adesso muoviti!- chiusi il cancello di ferro e tornai in casa.
Mi chiusi la porta alle spalle e uscii il telefono dalla tasca. Andai sul sito della American Airlines e controllai a che ora sarebbe atterrato il volo di Nick. La compagnia aerea segnava che il volo sarebbe atterrato a Los Angeles alle 00:37. Riposi il telefono nei pantaloni e mi passai una mano sul viso.
“Ho ancora dodici ore di completa solitudine per pensare a come affrontare Turner e le sue malattie mentali” pensai, lasciandomi cadere sul divano.
Presi a fissare il posto vuoto di fronte a me, che quella stessa mattina era stato occupato da uno psicopatico.
Ripresi il telefono e composi il numero dell’ispettore.
Al quarto squillo lui rispose: -Fammi indovinare: un altro psicopatico è seduto sul divano di casa tua?-.
-Sa che stavamo pensando alla stessa cosa? E comunque no, volevo chiederle di mandarmi per e-mail i nomi di tutte le persone scomparse, qui a Los Angeles, negli ultimi due anni-.
-Ma sono un’infinità!-.
-Ho dodici ore, prima che Nick ricominci a disturbarmi mentre penso, quindi io credo che farebbe bene a mandarmela il più in fretta possibile-.
L’ispettore sbuffò e poi lo sentii urlare: -Blossom! Mandi una copia di quella lista all’e-mail della signorina Cullen!-.
-Furbi! Avete in mano una pista e non mi dite niente… magari dovrei smetterla di aiutarvi- dissi con finta indifferenza.
-Si, così aggiungiamo alla lista la quattordicesima ragazza morta ad opera di quel pazzo… guarda le e-mail, dovrebbe essere arrivata. Divertiti- disse prima di attaccare.
Presi il computer e lo accesi. Andai a controllare il mio indirizzo di posta elettronica e l’ultimo documento, conteneva un file in pdf. Cliccai sull’opzione “scarica” e poi chiusi internet.
Quando aprii il file, la prima frase mi fece quasi sentire male.
27.436 persone scomparse a Los Angeles negli ultimi due anni.
-Porco cane!- esclamai con gli occhi fuori dalle orbite.












Ed eccomi con il nuovo capitolo, spero vi piaccia :)
Un abbraccio a tutti,
Juliet.
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Giallo / Vai alla pagina dell'autore: JulietAndRomeo