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Autore: Depeep    24/12/2012    7 recensioni
Probabilmente ciò che aveva passato in cinque anni lì dentro aveva annullato i suoi sentimenti, oppure era lui che continuava ad intrappolarsi nel suo universo immaginario, tagliando i ponti con la realtà.
One-shot molto sofferta sul passato di Accelerator, ambientata quando ancora frequentava l'istituto di sviluppo dei poteri o come accidenti lo chiamano. Avrei altro da scrivere, ma sentivo un bisogno molto forte di espellere questa cosa, mi stava soffocando... Spero che vi piaccia.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Accelerator
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Per una volta, il sole aveva mostrato il suo risveglio anche a lui. Si ostinava ancora a nascondersi, con una certa indolenza, dietro ai numerosi grattacieli che fasciavano la strada, facendo però scintillare la neve ormai sporca di fango che era caduta la notte prima.
In quei frangenti, il piccolo non sapeva bene cosa fare, o meglio, cosa loro volessero che lui facesse. Forse doveva gioire per quell’inattesa boccata di libertà, doveva stupirsi per lo spettacolo che quell’alba cittadina gli offriva, dar loro la soddisfazione di averlo reso felice per un momento - sempre che a loro interessasse davvero; ma proprio non ne aveva voglia. Era rimasto inerme, a fissare i suoi occhi cremisi sull’asfalto, in uno sguardo vacuo e disinteressato.
-Ti piace l’alba?- aveva chiesto una di loro in tono quasi gioviale, avvicinandosi a lui e scompigliandogli dolcemente i capelli.
-Forse- aveva risposto lui con la sua voce sottile, senza voltarsi.
Loro volevano che a lui piacesse l’alba? Volevano che lui fosse contento di stare fuori dall’istituto, a guardarsi intorno, a studiare ciò che realmente lo circondava? Non era questo ciò che cercava. Non era nemmeno sicuro di star cercando qualcosa. Non faceva differenza per lui starsene davanti all’entrata dell’edificio a osservare una fila di palazzi illuminati dal sole sorgente o all’interno di quel grande posto anonimo, dietro la pesante porta di ferro che occludeva la sua stanza, buia e parecchio larga. Anche se sostanzialmente tutta la sua vita aveva luogo lì dentro, non sentiva l’impellente desiderio di uscire, forse perché non sapeva cosa aspettarsi. Né quegli insensibili scienziati si sarebbero effettivamente aspettati una richiesta del genere da lui.
 
Quando avevano in mente un nuovo esperimento o semplicemente veniva quello strano medico dalla bocca larga e gli occhi da rospo a visitarlo, la porta che aprivano con calcolata lentezza per soffocare sul nascere gli inconsolabili gemiti che questa produceva roteando sui cardini gettava sempre la luce esterna sulla minuscola branda del bambino, che giaceva come al solito sulle lenzuola lasciando penzolare un braccio e mormorando qualcosa di incomprensibile, quasi fosse un rituale. Non reagiva subito alla presenza di qualcun altro, preferiva essere chiamato. Solo allora alzava parzialmente il capo, tirandosi su a sedere e scendendo dal letto con calma meccanica, per poi dirigersi a passi misurati verso il proprio interlocutore.
In genere si trattava di applicargli alla testa degli elettrodi per vedere come reagiva a diverse scariche, ma lui non gridava nemmeno se siringhe o altri arnesi astrusi si presentavano al suo sguardo con lo scopo di violare il suo corpo per renderlo inviolabile.
 
-Diventerai forte- gli dicevano –il più forte. La gente ti temerà, l’idea di confrontarsi con te sarà a dir poco sconsiderata.
Per quanto ancora avrebbe dovuto continuare a credere in aspirazioni non sue? Lui era solo un involucro vuoto, una cavia da laboratorio che non si sarebbe mai ribellata.
 
Nessuno era mai interdetto nel vedere un cadavere vessato e disteso sul pavimento con un’espressione più intenerita che sgomenta in volto, almeno non più che nello scorgere, accanto ad esso, quel bambino dal viso bianco e delicato come porcellana rannicchiato a fissarlo, che alzava gli occhi solo quando si accorgeva di essere osservato da una platea in camice bianco dall’aria addirittura soddisfatta.
-A nessun bambino è concesso avere uno sguardo simile!- a volte qualcuno più sensibile si scandalizzava, appena il piccolo rivelava la vuota indifferenza nei suoi occhi –Specie se quel bambino ha… ha… ha appena ucciso una persona!
Spesso chi veniva colto da quell’improvviso attacco di terrore misto a compassione finiva per avere reazioni esagerate e per essere accompagnato in un’altra stanza da chi era disposto a non seguire i progressi del ragazzino.
-Ottimo lavoro- diceva chi invece restava a guardare, esibendo un sorriso compiaciuto –hai superato un’altra volta il test!
Il test. Mettere delle vite umane al servizio dei poteri in continuo sviluppo del bambino. Spesso si concludeva con quella scena. Il piccolo non si sognava di fare i conti con la propria coscienza. Nessuno gli aveva mai ordinato di farlo.

Quando gli esperimenti o i test terminavano, lui veniva accompagnato gentilmente nella sua stanza, dove poteva tornare a parlare da solo abbandonandosi in chissà quale mondo fittizio, che probabilmente era ciò che gli impediva di crollare definitivamente.
 
La sua presenza era intangibile, a tratti quasi inquietante. Non potevano mai prevedere le sue reazioni, forse perché lui non ne aveva.
Non si spaventava quando doveva sottoporsi a un altro esperimento, non si offendeva se qualcuno lo insultava, non contestava se gli veniva chiesto di smaltire un rifiuto. Probabilmente ciò che aveva passato in cinque anni lì dentro aveva annullato i suoi sentimenti, oppure era lui che continuava ad intrappolarsi nel suo universo immaginario, tagliando i ponti con la realtà.
Nessuno si sarebbe mai fatto carico delle sue colpe. Nessuno avrebbe mai provato affetto verso quel bambino candido ma già troppo sporco, come la neve che scintillava all'alba.

~

Note: Allora, immagino che dovrei dare un po' di spiegazioni su quest'indecente indecenza che ho appena pubblicato. Una serie di vicissitudini e circostanze varie mi hanno impedito di continuare il mio crossover fermo da sei mesi (sei mesi! Ossantamadonna, sei mesi!). Aggiungete il fatto che io sia un impiastro che non sa scrivere (avete letto la storia sopra? Bene, ve ne siete già avveduti u_ù) e a cui manca COSTANTEMENTE l'ispirazione ed ecco qui. Torno su EFP, e al posto di rimettermi all'opera con il crossover (sei mesi, santo cielo!) pubblico quest'orrore. Lapidatemi. 
Tornando alla storia in sé, è vero, era da un po' che mi era saltata in testa l'idea di scrivere una storia su Index, alimentata soprattutto dalla mancanza in questo sito di una sezione dedicata a quest'opera che io adoro. Volevo scrivere qualcosa tipo una slice of life ambientata in casa Yomikawa, con tanto di Last Order che distrugge credenze e Accelerator che parla in latino (?), ma poi ho optato per questa sciocchezzuola che racconta com'è che vedo io l'infanzia del Level 5 più forte nell'istituto dove lo hanno tenuto rinchiuso fino ai nove anni (di cui racconta in un lunghissimo dialogo con Yomikawa nel volume 12 della novel, dialogo a cui nell'anime è stata data volentieri una sostanziosa sforbiciata, anche se comunque il succo resta intuibile). Ora, dell'OOC non mi preoccuperei eccessivamente, visto che Accelerator assume il suo carattere da psicopatico sadico che-spesso-e-volentieri-si-abbandona-a-risatacce-nonsense dopo aver incontrato per la prima volta Kihara, cioè dopo, appunto, essere uscito dall'istituto. Durante il periodo in cui invece lo frequentava e veniva seguito da quegli scienziati (o demoni in camice da laboratorio, come li definisce lui) che avevano il compito di sviluppare i suoi già incredibili poteri, me lo sono immaginato così, assente e totalmente insensibile, il cui unico dovere era quello di eseguire gli ordini senza mai guardarsi dentro, isolandosi anche da se stesso. Nella novel viene detto che in realtà gli scienziati avevano paura di lui, ma qui li ho fatti un po' più spavaldi e sicuri del fatto che una ribellione da parte del bambino fosse impossibile. Una piccola licenza poetica, diciamo così... Ah, ho inoltre volutamente dato poco spazio alla descrizione del luogo, innanzitutto perché non ho idea nemmeno io di come sia fatto l'istituto e quindi lo lascio immaginare a chi legge, e secondo, per non appesantire troppo il tutto, dal momento che la fiction dovrebbe essere qualcosa di introspettivo. Credo comunque di aver implicitamente reso l'idea di esterno o interno, o della stanza del bambino. Se non è così, vi prego di farmelo notare, accetterò ogni critica con piacere! Per quanto riguarda il tempo, anche qui sono rimasta vaga, vi basti pensare che è tutto successo qualche anno prima degli avvenimenti raccontati nella serie (inoltre non mi sono soffermata su singoli episodi, ma ho raccontato la vita del protagonista in senso lato, eccezion fatta per l'inizio, che reputo solo un espediente per introdurre la vicenda). Spero non ne abbiate a male... Oh, e sia chiaro: con smaltire un rifiuto intendo uccidere una persona. Accelerator stesso nel dialogo con Yomikawa diceva di venir usato come una macchina di smaltimento per persone vive
Concludo dicendo che questa shot non mi piace per NIENTE, volevo scrivere qualcosa di interessante ma fa pena, io odio il mio stile di scrittura, lo detesto! E poi finisco per scoraggiarmi leggendo una qualsiasi fiction perché mi sembra sempre troppo per me. Sarei però comunque contenta se qualche anima pia leggesse qui, e sarei proprio al settimo cielo se qualcuno recensisse! Bene, ora che ho finito quest'interminabile sermone più lungo della storia in sé (ma poi le persone che vengono qui a leggere la shot e poi questo papiro si contano sulle dita di una mano monca, in stime ottimistiche) mi appresto a passare la più noiosa vigilia di Natale dei miei tre lustri di vita. Buona vigilia anche a voi!

  
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