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Autore: cheesecake94    12/07/2007    8 recensioni
Breve one-shot dolceamara. Perchè Sunny si comporta così? Tanis e Cody stanno per scoprirlo, in un momento per lei molto importante.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cody Meyers, Sunny Capaduca, Tanis McTaggart
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si dice che la vita sia colma di ostacoli ed avara di certezze: le uniche offerte ai poveri sventurati che dividono con noi il pianeta che respira sono la nascita e la morte, inutile negarlo.

Vivere alla Cascadia, in questo senso, era d’aiuto nell’offrire un’altra piccola certezza al marasma di ogni giornata; infatti, per ogni allievo, erano tre i punti fermi che consentivano al sole di rimanere nella propria orbita: la nascita, la morte e l’imbattibilità di Sunny.

Si vociferava che, all’età di sei anni, avesse perso un match contro un ragazzo di dodici, ma la notizia non era mai stata confermata. Che Sunny vincesse non era più una sorpresa per nessuno; se avesse perso, quello sì che avrebbe fatto notizia.

Tuttavia, la ferocia con la quale sbaragliò quel giorno la sua avversaria lasciò tutti senza fiato. Si disputava la finale di un torneo nazionale, un traguardo di poco conto se si considera che gli allievi del gruppo A si impegnavano di frequente in competizioni internazionali ed intercontinentali. Per questo nessuno capì perché Sunny avesse deciso di umiliare, letteralmente, la povera ragazza croata.

Negli ultimi set non aveva nemmeno toccato la palla, e dire che Katarina Lobacevic era una delle migliori tenniste di Brentwood.

Tuttavia, ciò che davvero lasciò tutti gli allievi a bocca aperta fu il vedere Sunny scomparire dopo l’incontro e non presentarsi sul podio. Non era accaduto mai, a memoria d’uomo, che Sunny rifiutasse l’attenzione dei media.

Quella bambina ci viveva letteralmente, per quei quarti d’ora di gloria.

Corse via talmente in fretta che nessuno la vide rifugiarsi al vecchio campo da allenamento e sfoderare il telefono portatile rosa acceso.

“Segreteria telefonica di Amanda e Dimitri Capaduca. Per appuntamenti o comunicazioni chiamate lo studio, 9987-12544-119. Orari di segreteria: 08.30/12.30, 15.00/19.00. Per informazioni o richieste su progetti avviati o conclusi, chiamate il 9987-36649-388. Gli assistenti sono disponibili ogni giorno in orario d’ufficio. Per contattare personalmente gli architetti lasciate un messaggio e sarete richiamati.”

“Mamma! Sto cercando di contattarti da due giorni. Nel caso non riconoscessi la mia voce e nel caso il fatto che ti abbia chiamato mamma non ti suggerisse niente, sono tua figlia Sunny. Capelli biondi, occhi azzurri, odiosa, ti ricordi di me? Nell’eventualità che ti venisse in mente chi sono, avessi uno scrupolo di coscienza e trovassi un attimo di tempo tra un cliente e l’altro in questo secolo, vorresti essere così gentile da richiamare? Sono disposta a pagare il tempo che sprecherai con me invece di fatturare. Ciao.”

Con un moto di stizza, Sunny chiuse il cellulare e lo gettò sulla sedia accanto a lei. Ma dove diavolo era finita, sua madre? Va bene che le era stato insegnato fin da piccola ad arrangiarsi, va bene che sua madre era una donna in carriera con poco tempo a disposizione per la figlia -anche se il tempo per il marito in effetti lo trovava sempre- , va bene che pagava profumatamente la sua agente perché soddisfacesse le sue richieste senza seccare lei, va bene tutto, ma per una volta che la cercava dopo sei dannatissimi mesi di silenzio poteva anche sforzarsi di richiamare!

A Sunny non piaceva sua madre, non particolarmente almeno. Era una donna affascinante e sicura di sé, intelligente e capace, il tipo di donna, per intendersi, che guida durante i viaggi in macchina con la famiglia, il tipo di donna che impone al terzo - o quarto?- marito il suo cognome perché è stufa di dover sostituire i biglietti da visita. Era la donna che accidentalmente l’aveva messa al mondo, e questo faceva di lei, quantomeno biologicamente, sua madre, ma non era mai stata la sua mamma.

Non che lei perdesse del tempo a piangersi addosso per questo. Aveva altro a cui pensare, lei. Tuttavia, talvolta, le capitava di invidiare le altre, le cui madri almeno si ricordavano il compleanno delle figlia o di farle gli auguri per Natale. Non l’aveva mai ammesso, e mai l’avrebbe fatto, ma le sarebbe piaciuto avere un adulto a cui poter chiedere consiglio, di tanto in tanto.

Pur avendo solo dodici anni, Sunny aveva una grande consapevolezza di sé, che molti adulti avrebbero invidiato. Era la conseguenza di essere cresciuta da sola, autonomamente. A volta aveva l’impressione di essere stata allevata come un pitt-bull, assetata di sangue e pronta all’attacco, e soprattutto con un solo scopo: il successo. Il tennis era stato una scelta casuale. Probabilmente intorno ai due anni aveva espresso interesse, ignaro ed infantile, per una pallina da tennis, e la strada era stata segnata: sarebbe diventata una grande tennista. Se avesse espresso interesse per un costume da bagno o una scarpetta da ballo, sarebbe diventata una grande nuotatrice o una grande ballerina, per i suoi genitori era assolutamente lo stesso, l’unica cosa importante era che diventasse la numero uno.

E lei lo era diventata, la numero uno, o almeno lo stava facendo. Ma questo non aveva mai portato sua madre ad interessarsi di lei più di quanto facesse in passato, nemmeno una volta. Se davvero la rabbia la portava alla vittoria, allora sua madre era sicuramente la ragione della sua storica imbattibilità, ma a volta accadeva che sentisse il bisogno di una parola o un consiglio, ed allora la tristezza prendeva il posto della rabbia, e lei decideva di umiliarsi e chiamava sua madre. Raramente veniva richiamata.

Questa volta, però, era diverso. Aveva davvero bisogno di lei. In quel momento odiava sua madre con tutta se stessa.

Quando alla fine la rivide, all’ora di cena, Nina, la sua agente, fuori di sé dalla rabbia, le fece una tale scenata che l’intera scuola rimase allibita ad osservare la scena. Qualcuno, indubbiamente, fu soddisfatto di vederla in difficoltà, per una volta, altri, che la conoscevano meglio, si allontanarono, terrorizzati al pensiero della sua reazione.

Lasciando tutti a bocca aperta, Sunny si scusò e lasciò la mensa di corsa.

Pur essendo stata sgridata di fronte a tutti, l’unico suo pensiero in quel momento era la tristezza. Aveva vinto, aveva stracciato l’avversaria, che altro volevano da lei? Perché qualcuno per una volta, tanto per cambiare, non poteva dirle che era stata brava e non aspettarsi altro?

“Facile.” si rispose. “Perché a nessuno importa che io sia stata brava. A loro importa solo che io vinca, se rappresento la scuola, e che perda se gioco contro di loro.”

Non che potesse dar loro torto. Era una bambina intelligente, e capiva che, se fosse stata Adena o Tanis o chiunque altro nella scuola, si sarebbe odiata, esattamente come loro odiavano lei. Se lo meritava, in fondo. Non riusciva, però, a farsi una colpa del suo atteggiamento: lei era, semplicemente, programmata per vincere, con ogni sistema, come una macchina ben congeniata.

Inoltre, non ci si doveva fidare di nessuno. La sua agente le ripeteva sempre di essere scortese in modo che gli altri lo fossero con lei: chi è gentile vuole solo ingannarti o sottrarti qualcosa. Chi vuole arrivare primo deve lasciare indietro gli altri.

Doveva avere ragione, in fondo. Chi era gentile con lei voleva solo ingannarla. Se la sua stessa madre non voleva occuparsi di lei, perché avrebbe dovuto desiderarlo un estraneo che non era nemmeno pagato per farlo?

Di solito, quando per qualche motivo indulgeva in questi pensieri stupidi, la sola idea della vittoria la rallegrava. Quella sera invece scoprì che non le importava nulla di avere vinto.

Nella sua camera, con la schiena appoggiata alla parete, per la prima volta da che ricordasse pianse disperatamente.

***

“Ma che diavolo le prende?” disse Adena.

“Non è da lei perdersi il podio. E nemmeno essere così remissiva, se è per questo.” continuò Tanis.

“Penso che dovremmo andare a vedere se sta bene.” propose Cody.

“Tu sei fuori di testa!” rispose Adena. “Dico, hai presente come ci tratta di solito? Se ha qualche problema, che se lo risolva da sola. Di certo la cosa non mi tocca.”

“Se non ci andiamo noi, non lo farà nessuno.” insistette Cody.

“Ha ragione Cody.” le fece eco Tanis.

“Liberissime di andare dalla iena a farvi sbranare. Io me ne starò qui ad aspettarvi con lo iodio per curare i morsi che vi accoglieranno.”

Mentre salivano le scale, anche Cody e Tanis cominciarono ad essere dubbiose.

“Dai, che male può fare? In fondo è solo una bambina.” si fece coraggio Tanis.

“Molto in fondo.”

Che male poteva fare fu chiaro appena entrarono. Non avevano ancora varcato la soglia che furono travolta da oggetti di ogni sorta e da urla disumane che intimavano loro di andarsene.

“Smettila!” disse Tanis afferrando al volo un cuscino. “Volevamo solo controllare che stessi bene”.

“E a voi che importa, se sto bene o no?” rispose lei leggermente placata. “Voi mi odiate.”

“Veramente, di solito è il contrario. Sei tu che sputi veleno addosso a tutti.”

“Per questo non hai motivo di interessarti di me. Io vi odio.”

“Ok, è stato una sbaglio.”

“Infatti, andiamocene.”

Non erano ancora arrivate in fondo al corridoio che la sentirono piangere, un pianto inconsolabile, disperato, straziante. Ciò che metteva più tristezza era il fatto che quel suono, la voce di una bambina, accompagnava un sentimento diverso, che assomigliava alla disperazione vera e propria, un’emozione adulta, che non dovrebbe avere nulla a che fare con l’infanzia.

Dopo essersi guardate negli occhi, le ragazze tornarono sui propri passi.

Questa volta non vennero accolte da urla o strepiti. A dire il vero, Sunny non le guardò nemmeno. Seduta a terra in un angolo, continuava a piangere disperata.

Timorose come uccellini che si avvicinano al gatto, si sedettero sul pavimento, l’una alla sua destra, l’altra alla sua sinistra. Non proferirono parola, attendendo in silenzio che smettesse di piangere.

I minuti passavano ma nulla accadeva. Se da un lato non erano state aggredite, e questo era senza dubbio un successo, dall’altro sembrava che ignorasse la loro presenza, continuando a singhiozzare senza alzare il viso.

Sfidando la sorte, Tanis le scostò i capelli dagli occhi.

Quella che vide, tuttavia, non era la stessa persona di poco prima, non era la persona che conosceva. Gli occhi rossi e congestionati, le labbra tremanti ed il viso inondato di lacrime facevano sì che apparisse, per una volta, come la bambina che era. Sembrava giovane e fragile, indifesa persino.

“Quasi quasi la preferisco così.” pensò sentendosi immediatamente in colpa. Ora che erano lì dovevano almeno tentare di capire che cosa l’avesse ridotta così.

“Non vorresti dirmi… Perché piangi?”

“No.” ripose lei.

“Perché no?”

“Perché dovrei? Voi mi odiate. Siete felici di vedermi così.”

“Però non ci hai mandate via.”

Per un attimo la belva riemerse.

“Quella è la porta.”

“Ok, ok.” intervenne Cody prima che la situazione degenerasse. “Ascolta, noi non ti odiamo. E non siamo felici di vederti piangere. Non saremmo qui altrimenti, no? Però devi ammettere che tu non sei mai gentile, con nessuno. Anche volendo fare amicizia con te, la cosa risulta impossibile.”

“Mi dispiace.” fece lei piano.

Questa risposta le lasciò entrambe di stucco. Decisamente, c’era qualcosa che non andava.

“Wow, sembra di sentir parlare il tuo clone.”

“Comunque, di questo potremmo parlare in futuro. Perché non ci vuoi dire perché piangi?”

Ancora, fece di no con la testa, e riprese a singhiozzare. Non ci fu modo di farla smettere fino a che non sentì un sonoro tono di avviso provenire dal suo cellulare. Allora, come una molla, si buttò verso il letto e lo afferrò. I suoi occhi si soffermarono per un attimo sullo schermo, poi con rabbia gettò il telefono sul letto e affondò il viso tra le mani.

Tanis pensò che, nonostante fosse di Sunny che si parlava, le si stringeva il cuore nel vedere una bambina così disperata. Prendendo il coraggio a quattro mani, le si avvicinò e l’abbracciò. Prima la sentì irrigidirsi tra le sue braccia, e si preparò ad urla disumane, poi, inaspettatamente, percepì i suoi muscoli che si rilassavano, ed in un momento si abbandonò completamente a lei. Entrambe si sedettero nuovamente a terra mentre Sunny nascondeva il viso nell’incavo delle sue spalle, e le sue lacrime calde le bagnavano la pelle. Anche Cody si avvicinò e, dopo aver recuperato il cellulare, cominciò delicatamente ad accarezzarle i capelli mentre con l’altra mano controllava che cosa l’avesse fatta disperare così.

Non era molto leale, ma in un modo o nell’altro bisognava pur svelare il mistero no?

Per prima cosa controllò l’ultimo messaggio ricevuto, il fautore del riacutizzarsi della crisi.

“Sono in Svezia con Dimitri. Hai dodici anni, Sunny, non due. Hai vinto oggi? Ad ogni modo sai che non devi seccarmi quando parto per lavoro. Hai Nina no?”

Il messaggio era stato ricevuto da “mamma.” Allo stesso numero, presumibilmente sua madre, c’erano decine, letteralmente decine di chiamate.

“Oh, Sunny.” disse allora Cody. “E’ per questo che piangi? Non riesci a parlare con tua madre?”. Cody dovette ammettere che, se le apparenze non la ingannavano, era davvero una cosa molto triste. Probabilmente anche lei si sarebbe sentita arrabbiata con il mondo se suo padre l’avesse ignorata.

“Si.” rispose Sunny. “No. Non proprio. Ho cercato… ho cercato di chiamarla. Tutto il giorno. E anche ieri. Mille volte.” Era difficile capire le sue parole intervallate dal pianto. “Le ho lasciato messaggi. Lei non vuole parlarmi. Ma io ho fatto come voleva. Ho vinto. Perché non vuole parlarmi?”

Sembrava davvero smarrita, e profondamente convinta di essersi meritata l’attenzione della mamma per avere vinto.

“Avete litigato?”

“Ma quale litigare? Sono sei mesi che non le parlo. Che non la secco. Oggi avevo bisogno di lei…”

“Perché?”

“Non posso dirlo.”

“Sì che puoi.”

“No, non posso.”

“Perché no?”

“Mi vergogno.” ammise lei a malincuore.

“Hai fatto qualcosa di male?”

“No!” esclamò lei. “Non più del solito.” ammise poi. “Ma non è questo.”

“E allora? Avanti, se non ce lo dici non ti possiamo aiutare.” la incoraggiò Cody.

“Ok.” disse lei, ed era la prima volta che dava ragione a qualcuno. “Ok.” ripetè, e parve che si calmasse.

“Io, insomma, ieri…” Sembrava che davvero non sapesse come dirlo. “Ieri… ecco, io ho dodici anni e… sai che..”

“Che?” le fece eco Tanis, che iniziava a preoccuparsi.

“Mi è successo qualcosa, e io lo sapevo che sarebbe successo, ma…”

“Cosa ti è successo?” chiese Cody che continuava a non capire.

Lei deglutì. “Io.. Non so come dirlo. Quella cosa che… succede alle ragazze, ad un certo punto.”

Mentre Tanis continuava a fissarla con espressione interrogativa, Cody intervenne.

“Oh mio Dio, ho capito. Era la prima volta? E’ per questo che piangevi?”

Annuì. “Io… non so cosa fare.” sussurrò prima di nascondere di nuovo il viso contro Tanis e scoppiare di nuovo a piangere.

“Non ho capito!” disse Tanis piano perché solo Cody potesse udirla.

“Tanis, come fai a non capire?” disse di rimando, attenta a non farsi sentire. “Ha avuto il ciclo per la prima volta.”

“Oh. Oh, ma è una cosa dolcissima.” disse allora, ad alta voce, e la strinse forte.

“E’ una cosa che dovresti festeggiare.”

Sunny alzò il viso. Sembrava troppo esausta anche per continuare a piangere.

“Sì, con mia madre. Che è In Svezia con il suo trentacinquesimo marito, o giù di lì. E poi… non so cosa fare. Non so come si fa.” rispose guardandole con occhi pieni di tristezza.

“Non vorresti festeggiare con noi invece?”

“Perché voi due vorreste fare questo per me?”

“Perché ne hai bisogno. E perché da domani cercherai di essere più gentile con noi.” disse Cody.

“Allora, che ne dici? Potresti venire giù, in camera mia e di Adena. Potrei darti qualche… indicazione, e poi potremmo fare un pigiama party, per sole ragazze. Ti piace l’idea?”

Il primo istinto di Sunny fu di dire di no. Bisogna diffidare di chi è gentile. Poi, però, annuì timidamente.

Tanis le mise un braccio intorno alle spalle, ed insieme scesero le scale. Due ragazze e una bambina, sorridenti.

***

La mattina dopo, avendo saputo che Cody aveva dormito con Tanis e Adena, Squib andò a cercarla.

Quando aprì la porta, per poco non gli venne un attacco di cuore, Per tutta la stanza erano sparsi oggetti alla rinfusa, abiti, accessori per il trucco, riviste, ed ogni sorta di strumenti femminili che Squib preferì non osservare oltre.

“Sono impazzite? Mica hanno dodici anni.” si disse Squib.

Quando poi vide Tanis, a letto, che dormiva con Sunny, che addirittura abbracciava Sunny, capì che doveva essersi svegliato in un universo parallelo. In men che non si dica se la diede a gambe.

“Non c’è più religione.” pensò mentre si allontanava.

NDA Domani aggiornerò “Io non ho paura.”. Questa è stata solo un’idea estemporanea, Sunny mi mette sempre tristezza. Mi rendo conto che la caratterizzazione non è molto accurata ed è troppo sbrigativa, ma spero mi perdonerete. Che ne dite di lasciare anche un commentino? A presto!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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