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Autore: EmaEspo96    27/12/2012    4 recensioni
Questa OS ha partecipato al contest "The Original's Family".
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Firenze, 1973. Elijah è ancora alla disperata ricerca di Katerina Petrova per poter soddisfare i capricci di suo fratello Niklaus. Ma quando, una volta giunto in Italia, si imbatte in un sorriso in grado di sciogliere il ghiaccio della sua anima sembra dimenticarsene totalmente. Una OS raccontata in prima persona dal mio Originale preferito in cui parla dell'unica persona della sua vita che è stata in grado di estrarre il lato umano che albergava in lui.
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Questa è la OS dalla quale ho preso spunto per la mia FF She never dies. Troverete il link diretto all'interno del capitolo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Elijah, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Ti sei mai chiesto da cosa sia dovuto fermarsi improvvisamente a pensare a qualcuno in particolare? Qualcuno che hai conosciuto, a cui hai voluto bene, qualcuno per il quale avresti dato la tua anima corrotta dalla malvagità, qualcuno che hai amato e che inevitabilmente hai perso. Perché quando meno te lo aspetti il pensiero che le riguarda ti torna in mente, proprio quando ricordi cosa si provava a sentirsi vivo. E lei mi è tornata in mente proprio adesso, dopo anni di ricordi ammassati sotto altri ricordi per non soffrire eternamente. Perché è questo il mio problema, vivere per l'eternità.
 
Italia. Firenze 1973
Non ricordo precisamente perché fossi sbarcato in Italia, a quel tempo. Stavo cercando di aiutare Niklaus nelle ricerche di Katerina come segno della mia devozione nei suoi confronti ma ignoravo totalmente che non avrei trovato lei, ma qualcun'altra. Uno dei pregi del vivere per sempre è che puoi sempre rimandare un viaggio, una ricerca, per andare alla scoperta del mondo. Non vi era problema, in fondo, se io avessi rimandato la ricerca di Katerina ad un altro tempo, un altro secolo. La conobbi in quel periodo e non so ancora spiegare cosa provai la prima volta che la vidi. Non si distingueva molto da tutte le altre donne agli occhi di un vampiro, ma io ne rimasi incantato sin dalla prima volta in cui la vidi. Boccoli biondo platino le popolavano la testa e sul viso aveva un paio di occhi verde prato che gelavano l'anima di chiunque li incrociasse. Ricordo ancora la prima volta che mi sorrise e se avessi saputo quanta sofferenza mi avrebbe portato, le avrei impedito di sorridere con tutte le mie forze.
 
Era ferma alla stazione di Firenze con in mano una grande valigia che teneva ai suoi piedi. Ricordo ancora cosa indossava: un vestito color panna sovrastato da piccoli merletti con una gonna larga ed un busto stretto, faceva ancora abbastanza caldo per indossarlo. Con quel suo sguardo così puro sembrava cercare qualcosa ed io non potei fare a meno di guardarla incuriosito. Quando incrociò il mio sguardo piegò le labbra tinte di un rosso acceso in un ampio e limpido sorriso, un sorriso in cui vidi tutto forché tutto ciò che questo mondo racchiudeva di negativo. Fu un sorriso che mi lasciò confuso per svariati secondi durante i quali la guardai attentamente, stranito, e la vidi avvicinarsi a me trascinandosi dietro quella grande valigia. "Non credo passerà più adesso." mi sussurrò, un po' delusa, senza lasciarmi comprendere immediatamente di cosa stesse parlando. "Forse fareste meglio a tornare a casa adesso, non vale più la pena aspettarlo" aggiunse, sorridendomi. Mi persi in quel sorriso più e più volte e più volte mi soffermai a fissarla senza spiccicare nemmeno una piccola parola. Capii poco dopo che era il treno il soggetto delle sue frasi ma non riuscii a risponderle in tempo che la vidi avviarsi verso l'uscita della stazione con quelle esili braccia che trascinavano un oggetto grande quasi quanto lei, ed era una scena tanto buffa da farmi sorridere. Avanzai di qualche passo verso di lei e le tesi una mano, spinto da un altruismo che mi aveva caratterizzato quand'ero in vita e che non mi aveva mai abbandonato; non totalmente. "Vi prego, permettetemi di aiutarvi." chiesi gentilmente attirando nuovamente la sua attenzione guardandola mentre mi guardava con quegli occhioni verdi e curiosi, sorpresi. Mi sorrise di nuovo, riusciva a farlo con una semplicità davvero ammirevole. Si spostò dalla valigia e me la pose con accortezza, "Vi ringrazio" mi sussurrò delicata. La presi e la aiutai a trasportarla verso l'esterno della stazione. Nonostante io fossi una creatura delle tenebre, nonostante potessi essere la persona di cui quella donna avrebbe dovuto avere più paura durante la notte, io volli pensare che esistevano troppe creature nell'ombra che attendevano soltanto una donna indifesa come lei. Ci ammutolimmo entrambi mentre le camminavo al fianco con quella grande valigia e lei fissava dritto davanti a sé lungo una delle strade di Firenze. Era l'ora perfetta per non vedere più nessuno in giro, l'ora perfetta per compiere l'atto più naturale di un vampiro senza che qualcuno se ne accorgesse, l'ora perfetta per nutrirmi di una donna indifesa e lasciarla inspiegabilmente morta sul bordo della strada. Ma non lo feci, non ne riuscivo nemmeno a captare il pensiero. "Il mio nome è Sofia." mi disse improvvisamente, interrompendo quel silenzio che si era venuto a creare. "Elijah" le sussurrai, guardandola di sottecchi, "Da dove venite, Elijah? Dal vostro modo di parlare non mi sembra siate di queste parti." affermò sicura di sé, guardandomi per pochi istanti. "L'America. Vengo da lì." risposi in un sussurro mentre la scrutavo. Per pochissimi istanti mi persi con lo sguardo sull'incavo del suo collo leggermente scoperto dai capelli ma quando mi accorsi che aveva voltato il suo sguardo verso di me ritornai a fissare i suoi occhi profondi. Quel suo viso si era acceso di una luce inspiegabile di cui mi nutrivo come se fosse sangue, con la differenza che invece di usare i denti usufruivo dei miei occhi. "E' bella? Sogno di andare in America, un giorno." ammise con tono di voce infantile, un tono di voce che mi fece scappare un sorriso "Era lì che stavate andando con questa grande valigia?" le domandai di conseguenza, sorridendole divertito. La vidi gonfiare le guance, probabilmente non accettava il fatto che ridessi di lei nonostante fosse in maniera totalmente scherzosa "Stavo andando da mia madre. Mi aveva detto di non partire troppo presto, ma forse ho confuso un po' le sue parole. Sicuramente non intendeva che io partissi così tardi." affermò imbarazzata, un imbarazzo che coglievo dal modo in cui batteva le palpebre ed evitava di guardarmi direttamente "Quindi ora state tornando a casa vostra?" domandai inconsapevolmente invadente, lei annuì. Se mi avesse invitato, sarei potuto tornare di nuovo. Se l'avesse fatto, sarei potuto tornare anche in preda alla fame, ero un vampiro dopotutto. "Trovo che Sofia sia uno splendido nome." le sussurrai un complimento dalle intenzioni limitatamente limpide. Quanto potrebbero essere mai state limpide le intenzioni di un vampiro? Lei mi sorrise, poi ridacchiò sommessamente ed attirò la mia attenzione "Io trovo che Elijah sia un nome davvero strano." mi rispose, probabilmente offendendomi. Si, mi sentii offeso in un primo momento e la cosa era tanto amplificata da farmi desiderare di sbranarla ma quando riuscii ad incrociare nuovamente il suo volto ed il suo sorriso sinceramente divertito, mi sentii così stupido di aver anche solo pensato di ucciderla per una cosa così futile. Ci fermammo nei pressi di una umile dimora e lei si voltò verso di me, sorridendomi "Sono arrivata a casa." ammise. La sua voce era chiara, giovane, era una viva melodia alle mie orecchie. Si voltò verso la porta d'ingresso e la aprì, girandosi nuovamente a guardarmi "Volete..." mi stava dicendo, ma la interruppi "No, non voglio entrare." le risposi immediatamente. Se l'avesse fatto, se mi avesse invitato ed io sarei tornato affamato, non mi sarei fermato ad ammirarla ed avrei strappato al mondo una delle poche cose che aveva di bello. Si, lei era questo per me, nonostante non capissi per quale motivo sentivo una cosa del genere: lei era un tesoro prezioso per il mondo e per la vita degli uomini. Restò delusa dalla mia risposta e si voltò spalancando la porta "Capisco, è troppo tardi per invitare un uomo ad entrare in casa." sussurrò per autoconvincersi e prese la sua stessa valigia, trascinandosela verso l'interno. Si fermò poi alla soglia, guardandomi come se aspettasse che io avessi cambiato idea "Vi ringrazio, Elijah." sussurrò, sorridendomi. Scossi il capo istintivamente "Non dovreste ringraziarmi. Ma soprattutto, la prossima volta che ci incontreremo, non siate così formale con me." le risposi, sorridendole a mia volta. Lei annuì "Pretendo che voi..." si fermò, ripensò a quanto stava dicendo e ridacchiò come una bambina "...Che tu faccia lo stesso con me." si corresse. Indietreggiò verso l'interno salutandomi e poi sparì richiudendosi in casa. Sarei dovuto andare via in quel momento ma sollevai lo sguardo verso la finestra che stava proprio sopra la porta d'ingresso, la finestra della sua camera. Era coperta da delle tendine bianche, riuscivo a vederlo anche stando all'esterno, e rimasi un po' sorpreso quando le vidi scostarsi e mostrare un pallido mezzo viso sbucare dall'interno: era il suo. Mi guardava, così insistente, e quando incrociammo gli sguardi mi sorrise un'ennesima volta. Era un sorriso che riusciva a farmi sentire di nuovo vivo, un sorriso che mi permetteva di dimenticare ciò che ero e ciò che avrei dovuto odiare. Mosse le labbra senza pronunciar parola aspettandosi che io riuscissi a leggere dal movimento ciò che lei stava dicendo, e la capii: mi disse "Buonanotte, Elijah.", prima di richiudersi all'interno. Quando mi guardai intorno mi resi conto che tutto si era spento non avendola più al mio fianco, come se quella donna splendesse di luce propria. L'avevo incontrata più e più volte i giorni seguenti, ero passato volontariamente sotto casa sua la mattina presto per aspettarla e lei non si era mai stupita troppo di questo. Un giorno si fece accompagnare al parco di Firenze, lì dove le persone si incontravano per chiacchierare o semplicemente per portare a spasso i loro animali domestici. Si accomodò su di una panchina incitandomi a sedermi al suo fianco come se fossimo amici di vecchia data. Guardava tutto ciò che la circondava con stupore, ammirazione, malinconia ed io non riuscivo a spiegarmelo soffermandomi soltanto su quanto fosse piacevole stare in sua compagnia. "E' una bella giornata." sussurrò ed io mi incantai a guardare la sua pelle bianca venir illuminata dai raggi del sole, quei suoi occhi immersi nella luce sembravano più verdi del solito: dava l'impressione di essere una di quelle bellissime bambole di porcellana. "Lo penso anch'io. Sai, mi stavo chiedendo..." iniziai a dire, e lei si voltò a guardarmi con una curiosità infantile "...Non avevi detto che saresti passata da tua madre? Mi pare tu non ci sia più andata." terminai. Lei sorrise come se avessi fatto una domanda che, in fin dei conti, si aspettava. "Doveva essere una sorpresa, non ci resterà male. E poi..." i suoi occhi si persero nei miei, rimasi attratto da ciò "...Ho trovato qualcosa di troppo interessante per sparire per un po' di tempo. Se tornassi e non ti trovassi più, non riuscirei a perdonarmelo." ammise schietta. Mi lasciò senza parole tanto che le regalai un paio di smorfie del mio viso ed un silenzio innaturale. Non ero preparato ad una simile dichiarazione e la cosa era palese, lei rise di conseguenza. Rise di gusto seppur contenendosi, era una risata cristallina e melodiosa che mi lasciò maggiormente perplesso "Non c'è bisogno che tu dica che lo pensi anche tu, tranquillo" mi disse in tutta tranquillità, guardandomi e sorridendomi. "No, è solo che...sono sorpreso." sussurrai dando voce ai miei pensieri, lei rise ancora una volta. Sorrisi divertito, "Stai ridendo un po' troppo di me, non dovrei permettertelo." le dissi e lei mi guardò ancor più incuriosita "E perché me lo permetti?" mi chiese, come se fosse la cosa più normale del mondo "Perché sei così bella quando ridi, Sofia." le risposi. Mi lasciai trascinare dalla situazione confessandogli quello che vedevo coi miei occhi, qualcosa di indubbiamente bello. Bellissimo. Ecco cos'era, lei era bellissima. Mi accorsi tardi che il suo volto si stava avvicinando al mio avvertendo il morbido tocco delle sue labbra su una mia guancia: era fredda, ma era irrimediabilmente, indescrivibilmente piacevole. Quando si scostò si accorse di aver lasciato un po' di quel rossetto acceso sulla mia guancia "Ops, scusa." mormorò stando attenta a ripulirmela ma quella vicinanza scatenò in me ben altre sensazioni che semplice emozioni. Sentire il suo profumo stava alimentando la mia fame e non riuscii ad accorgermi dell'oscurità che stava venendo a formarsi nei miei occhi. Si stavano scurendo, stavano morendo per lasciar spazio al mio volto da vampiro e lei lo notò, guardandomi stranita. "Elijah...I tuoi occhi..." sussurrò, perplessa ma non spaventata. Sembrava piuttosto preoccupata per me, invece. Mi scostai bruscamente nascondendo il mio viso "Credo sia meglio che vada ora, ho da fare." bisbigliai, irritato contro me stesso. Lei si alzò di scatto dalla panchina e mi raggiunse con passo svelto, anche se a me parve stanco. Mi afferrò una mano e mi costrinse a bloccarmi nonostante mi sarebbe bastato spingerla con più forza per allontanarla definitivamente da me, evidentemente non volli farlo. "Elijah, che cos'hai? Con me puoi parlarne." sussurrò insistente. Sentii il mio cuore esplodere, avrei davvero dovuto dirle che cosa ero? O meglio, che cosa sono. Lei non mi avrebbe accettato e tutto il sogno sarebbe finito lì, egoisticamente non lo volevo. Mi lasciò la mano quando si accorse che non le stavo rispondendo e mi allontanai lasciandola immobile nel mezzo del parco, con quell'abito da bambolina di porcellana che si abbinava perfettamente con la sua persona. L'aveva capito che le nascondevo qualcosa ma io speravo che lei non mi cercasse più, perché era meglio così e perché io dovevo trovare Katerina per mio fratello Niklaus. Nonostante mi fossi allontanato abbastanza sentivo ancora la sua presenza immobile e delusa dietro di me ed avvertivo ancora il freddo e piacevole tocco sulla mia mano. Era troppo fredda e troppo pallida per abbinarsi alla stagione che era in atto, l'inizio dell'autunno non rendeva le persone così. Quando mi girai a guardare indietro, però, lei non c'era. Calò la notte in poco tempo, davvero poco tempo, ed avevo colmato la mia fame con la prima persona che mi era capitata davanti purché non fosse Lei, purché non fosse Sofia. Ma non potevo starle lontano, non riuscivo a starle lontano e mi avviai a casa sua. Non entrai dalla porta, non bussai, sapevo che l'avrei trovata dormendo visto l'orario e sapevo che lei mi aveva invitato ad entrare pochi giorni dopo il nostro incontro nonostante io non avessi mai sfruttato di questa possibilità per nutrirmi di lei. Mi ritrovai nella sua camera a guardarla dormire avvolta in quella bianca camicia da notte, con quel volto limpido perso nei sogni. La fissai per lunghi istanti avvolta nella semioscurità della stanza ma lei si svegliò di scatto accorgendosi di me. "Che ci fai qui?" mi domandò tenendosi il petto con una mano, mi guardava dubbiosa. "Volevo chiederti scusa." le sussurrai, fissandola. Lei abbassò lo sguardo e si scoprì meglio per sedersi sul letto e farmi cenno di accomodarmi al suo fianco "Non ti chiederò come sei entrato, non mi importa. Non pretendevo delle tue scuse, nemmeno di quelle mi importava ma..." si fermò a guardarmi mentre mi accomodavo di fianco a lei "...Elijah, non pensare che tu debba nascondermi delle cose per paura del mio giudizio. Non ti giudicherò, qualunque cosa sia. Anche se tu fossi un assassino, non cambierà mai niente di ciò che sento per te." mi disse guardandomi con un'espressione seria. Il mio cuore perse un battito, nonostante fosse un cuore morto da tempo, ed io abbassai lo sguardo a quelle parole. Ero titubante, non avrei dovuto dirle ciò che ero, non mi avrebbe accettato, non avrebbe capito. Lei era un'umana, dopotutto. Come poteva mai comprendere pienamente l'esistenza dei vampiri? Sussultai leggermente quando sentii il freddo tocco della sua mano su una mia, come se mi incoraggiasse. "Sono un vampiro." dissi, lei non rispose e si limitò a guardarmi. La guardai "Sono un vampiro e non dovrei sentire quello che sento per te." continuai "Non dovrei provare emozioni umane, non l'ho mai fatto." aggiunsi. Non riuscivo a cogliere la paura sul suo volto, non c'era nonostante quello che le stessi dicendo, nonostante avesse dovuto prendermi per pazzo ai suoi occhi ero semplicemente una persona da ascoltare. "Potrai anche non criticarmi, Sofia, ma non è possibile che tu trova tutto questo normale." continuai a dirle e lei scosse il capo "Non lo è. Non è normale ciò che tu stai dicendo Elijah ma...non importa." mi disse "Non puoi tenerti tutto dentro. Hai bisogno di parlare ed io ho bisogno di ascoltarti." mi guardò ancora una volta, quegli occhi erano così immensamente belli che mi pentii di averle rivelato una cosa del genere. In che vita oscura e corrotta la stavo portando? "Voglio vedere." mi disse nonostante io inizialmente non avessi capito cosa intendesse "Voglio vedere ciò che oggi hai cercato di nascondermi." continuò, facendomi comprendere quel che stava dicendo. Abbassai lo sguardo e lo feci, sollevandolo per mostrare il lato più orribile di me, quel lato che si mostrava con due occhi iniettati di sangue e quei canini che bramavano sangue. Sentii un battito accelerato nel suo petto, lo sentivo grazie ai miei poteri ma non sembrò spaventata, non lo diede a vedere. Sollevò una mano e carezzò quelle piccole venature che si erano venute a creare sotto i miei occhi constatando quanto fossero concrete, che quelle mie parole nascondevano una realtà "Come è possibile?" mi chiese ed io non seppi cosa risponderle, avrei dovuto spiegarle cose che nemmeno io ho mai capito. "E' lunga da spiegare." le dissi e lei scosse il capo, accarezzandomi delicatamente una guancia. Mi sorrise, come solo lei sapeva fare. Mi stava dimostrando che potevo fidarmi di lei, probabilmente. "Cosa provi adesso?" mi chiese, non le risposi perché non trovai una risposta "Paura? Disprezzo? Mancanza di sicurezza?" continuò "Pensi di aver fatto un errore a dirmelo? Pensi di essere un mostro, adesso?" mi chiese ancora. Nonostante cercassi di non darlo a vedere, lei stava elencando tutte le sensazioni che provavo in quell'istante "Resti pur sempre Elijah, la persona che ha aiutato una povera donzella in piena notte. La persona che ogni sera si mette ad aspettare sotto la sua finestra che lei sia totalmente chiusa dentro così da evitare che qualcuno minacci la sua vita. Resti sempre quella persona che la fa sempre sorridere e che accetta il suo sorriso, la cosa interessante per la quale quella ragazza è rimasta a Firenze invece di andare da sua madre." mi disse, ed io provavo delle inspiegabili sensazioni ad ogni sua parola. Pensavo quello che non avrei dovuto pensare, quello che non avrei dovuto sentire: pensavo e sentivo di essere innamorato. "Adesso Elijah, sfogati. Abbiamo un'intera notte davanti." mi disse sicura di sé, sorrisi divertito lasciando sfumare via i particolari terribili del mio volto "Dovresti dormire, potremo parlarne domani." le risposi, non volevo che lei non dormisse a causa mia "Potrebbe non esserci un domani, Elijah. Voglio ascoltare tutto stanotte, voglio conoscerti stanotte." mi disse ancora, sorridendomi. Non potei più obiettare, mi lasciai trascinare dalle sue domande e le dissi tutto, qualunque cosa mi riguardasse e qualunque cosa riguardasse la mia famiglia. Le raccontai di Niklaus, di Finn, di Kol, di Rebekah e di mia madre e di mio padre, di cosa ci avevano resi per non perderci e del fratello che persi a causa di un licantropo. Le spiegai del mio essere vampiro, le dissi dei miei poteri e della mia fame e lei mi ascoltò in silenzio commentando solo di tanto in tanto. Fu alla fine che mi disse una cosa che non dimenticherò mai, una cosa che mi si è impressa in mente: "Da oggi in poi dovrò mettere il cartello fuori casa mia 'Psicologa Vampirica'". Passammo la notte a parlare di tutto ciò che ci riguardava, nessuno dei due aveva più segreti; o almeno, ne ero convinto a quel tempo. Passarono giorni in cui mi aspettava a notte tarda per guardarmi prima di addormentarsi, per dirmi quanto fosse speciale per lei conoscere qualcosa di così misterioso e sovrannaturale, qualcosa di strano. E andavo da lei ogni notte per accontentarla, entrando da solo. Quando una notte passai da lei come al solito, non la trovai nel suo letto o nella sua camera. Mi aggirai per casa sua cercandola, cercavo il suo respiro e la sua presenza ma tutto ciò che trovai fu un corpo disteso sulla pavimentazione della sua cucina tra pezzi di vetro di un piatto sporco: era svenuta. Mi cadde addosso un senso di paura che non avrei mai immaginato di provare mentre mi avvicinavo a lei di corsa, raccogliendola e cercando di svegliarla in qualsiasi modo. Avrei usato il mio sangue se lei non avesse aperto gli occhi prima che io potessi farlo. Mi guardava, era stanca, era praticamente bianca e si muoveva lentamente. "Sofia..." sussurrai paralizzato e sconvolto. Lei batté le palpebre con calma e forzò un sorriso "Che stupida, ho rotto un altro piatto." commentò come se fosse la cosa più normale del mondo. Si alzò pian piano da terra con le sue sole e deboli forze, cercando di non calpestare i pezzi di vetro con mani o piedi ed accusando dolore in una parte del corpo che io ignoravo. La sentivo stringere i denti e gemere in maniera sommessa per nascondermelo "Che cos'hai, Sofia? Dovrei portarti da qualcuno, sei svenuta." le dissi e lei mosse una mano, una volta in piedi "No, tranquillo. E' stanchezza...è...solo stanchezza." mi disse, piegandosi sui resti del piatto al suolo. La fissavo inginocchiato al suo fianco mentre cercava di restare impassibile al dolore che avvertiva o cercava di non dare a vedere quanto stesse soffrendo: ma io lo vedevo. Sentii un improvviso odore di sangue, era l'odore del suo sangue, e quando me ne accorsi notai che il suo naso gocciolava sangue ma lei non lo interrompeva o se ne preoccupava. Pensava solo ad asciugarselo con un polso mentre raccoglieva i pezzi di vetro in un solo punto del pavimento. La sentii singhiozzare, il sangue non cessava ed io non sapevo che fare "Sofia, fermati. Fermati!" le urlai, alzandomi in piedi e prendendole le mani per invogliarla a portarsi in piedi. Aveva gli occhi pieni di lacrime, si stringeva un labbro tra i denti. "Mi...Mi dispiace." sussurrò lasciandosi scappare una lacrima. La tenevo in piedi accorgendomi che lei non riusciva a farlo "Ti porto da un dottore." le dissi raccogliendola in braccio ma lei oppose debolmente resistenza "No, Elijah, ti prego. Non voglio, è inutile. Ti prego, è l'ultima notte, poi non dovrai più preoccuparti per me." affermò, guardandomi. Mi guardava dritto negli occhi ed io non riuscivo a non farmi contagiare dalle sue lacrime. Era strano per un vampiro avere gli occhi pieni di lacrime per qualcun'altro, delle lacrime che trattenni con forza per non peggiorare la situazione. Perché lo feci, perché decisi di ascoltarla non l'ho ancora capito ma la portai in camera sua e la adagiai morbidamente sul suo letto, con la testa su quel cuscino e mi accomodai al suo fianco carezzandole i boccoli. "Sofia, perché non me l'hai detto?" le domandai e lei si sforzò a guardarmi. Il suo viso si era fatto cupo, stanco, consumato, i suoi occhi ed i suoi capelli avevano perso quella magnifica lucentezza che aveva i giorni precedenti. Sorrise debolmente chiudendo nuovamente gli occhi. Sentivo le mie mani tremare a contatto con la sua pelle fredda e bianca. "Non avresti fatto quello che hai fatto, se te l'avessi detto. Non mi avresti regalato i giorni più belli della mia vita." mi rispose sottovoce. Strinsi i denti mentre la guardavo: lei stava morendo. "Sono..stupida. Avrei dovuto dirtelo, ti saresti preparato almeno." pronunciava quelle parole con un tono di voce basso e stanco, sembravano soffiate da un vento debole ed un normale essere umano avrebbe faticato a sentirle; ma io no. "Elijah...io non voglio diventare come te. Non voglio che tu mi sopporta per l'eternità." mi disse ed io la ascoltavo in silenzio per impedirmi di scoppiare a piangere da un momento all'altro. Ero un uomo, ero un vampiro, ero forte ed avevo affrontato a testa alta altre situazioni, avevo affrontato a testa alta la morte di mia madre e la scomparsa della mia famiglia per mano di Niklaus, ma non potevo sopportare la sua morte. Non riuscivo a farlo, non riuscivo a respirare e la cosa che mi aiutò di più fu il mio essere immortale. "Però...Permettimi di parlare con te per quest'ultima volta, per quest'ultima notte, Elijah. Permettimi di chiudere gli occhi e sentire la tua presenza vicino a me come ultima tappa della mia vita." aggiunse ed io annuii sotto il suo sguardo spento. "Elijah, mi dispiace per la tua famiglia. Mi dispiace per quello che ti è successo e probabilmente non mi dispiacerà mai abbastanza purché copra tutti i tuoi anni di sofferenza che ti sono stati donati." mi stava dicendo, sforzandosi a parlare "Non...devi parlare, Sofia." le dissi ma lei scosse il capo "Devo, invece. Elijah, non odiare mai Niklaus. Promettimi che non lo odierai mai, qualsiasi cosa lui ti faccia. Lui è...tuo fratello, ed io avrei pagato per averne ancora uno." sussurrò. "Tuo fratello è morto?" le chiesi, con un fil di voce strozzata "La mia famiglia...è morta." mi rispose. "Da chi stavi andando allora quella sera?" domandai sfiorandole il viso. Era improvvisamente calda, come se avesse la febbre. Strinse gli occhi mentre si muoveva per mettersi meglio tra le mie braccia, come se sentisse dolore da qualche parte "Io...sapevo di dover morire. Volevo solo morire a modo mio ma forse era destino che io ti conoscessi quella sera, che il treno non passasse e che tu, Elijah, fossi il modo migliore per morire felicemente." rispose, tossendo. Non riuscivo a capacitarmi di quanto stesse improvvisamente peggiorando ogni secondo che passava. La strinsi di più, seppur non delicatezza "Va bene Sofia, te lo prometto. Non odierò mai Niklaus." le risposi, accarezzandole il viso. Mi scappò una lacrima sentendo il suo respiro affaticato "Promettimi che tu non ti farai mai corrompere da quello che sei, che dimostrerai che si può essere diversi, che si può essere migliori." mi sussurrò a fatica ed io annuii permettendole di parlare senza interromperla, gli stavo promettendo tutto. "Promettimi che un giorno...ti dimenticherai di me. Che non porterai il mio ricordo con te per l'eternità. Che non soffrirai per me fino alla fine dei tuoi infiniti giorni." aggiunse. Non potevo farlo, non mi sarei mai dimenticato di lei, non avrei mai dimenticato il suo magnifico sorriso o tutto ciò che l'aveva vestita nei giorni in cui siamo stati insieme. Non potevo dimenticare i suoi profondi occhi ammalianti e vivi che in quel momento restavano nascosti dalle palpebre per non distruggere la mia visione di essi, per impedirmi di ricordarli così morti e stanchi. Ma nonostante fossi consapevole di quello che pensavo, consapevole del fatto che non l'avrei mai dimenticata, annuii. Volevo solo che lei riposasse in pace, volevo solo che morisse senza alcun rimpianto. La vidi sorridere per l'ultima volta, un sorriso che cercava di essere come tutti gli altri ma che non lo era, un sorriso che cercava di essere radioso ma risultava soltanto stanco e flebile, stanco di vivere, stanco di soffrire. Ma lei era felice, ed era questo che mi importava di più. "Ti aspetterò, Elijah. Per l'eternità. Perché potrò farlo...perché esplorerò qualsiasi cosa ci sia dopo la morte per poterti trovare nonostante la differenza che ci sia fra di noi." continuò a sussurrare ed involontariamente scossi il capo, come se non mi capacitassi di quello che stava accadendo, come se non volessi quello che veramente stava accadendo. Avrei dovuto trasformarla, potevo farlo, non avrei sofferto in questo modo. Non l'avrei persa. "Grazie." mi sussurrò infine. Nella stanza cadde il silenzio, sentivo solo il mio respiro. Non riuscivo più a sentire niente, il suo cuore aveva cessato il suo battito. Solo in quel momento mi lasciai andare stringendola con più vigore ed accasciandomi su di lei. Ricordo ancora il sapore amaro delle lacrime che versai come non le avevo mai versate in vita mia e rimpiansi a lungo il mio essere immortale, perché se non lo fossi stato non l'avrei mai incontrata. Non avrei mai sofferto in quel modo. Non l'avrei mai persa.
 
Ancora oggi mi fermo a pensare a com'ero in quei giorni, a come mi ero sentito ogni volta che sentivo la sua voce, ogni volta che la vedevo sorridere. Non sono mai riuscito a mantenere la mia promessa, non sono mai riuscito a dimenticarmi di lei o a cancellare il ricordo indelebile che lei aveva impresso nella mia mente. Non sono mai riuscito a parlare con qualcuno come avevo fatto con lei o vivere un giorno intero come se io fossi un essere umano. Ancora oggi sento la mancanza della sua morbida pelle e del suo cuore che batteva così limpidamente, vivendo i suoi ultimi giorni senza rimorsi. Ancora oggi, mi ripeto che se solo l'avessi trasformata a quel tempo non mi sarei mai sentito vuoto come mi sento adesso e come mi sentirò per l'eternità.

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Note dell'autrice:
Come anticipato nella sezione dell'introduzione, questa è la OS dalla quale ho preso spunto per scrivere la mia nuova fanfiction. Ho voluto esplorare il lato più umano di Elijah, per cui spero vivamente che la cosa non vi dispiaccia! Dopotutto abbiamo potuto vederlo in Damon, Klaus, Stefan...ed ora toccava anche a lui. v.v Spero vivamente che questa piccola OS possa piacervi. :) Inoltre, per coloro che vogliono leggere anche il 'seguito' (chiamiamolo così, va) ecco a voi il link per leggere She never dies. A presto!
   
 
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