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Autore: fanny_rimes    27/12/2012    3 recensioni
Lo stesso autobus, la stessa strada verso casa; ma qualcosa è cambiato… il posto accanto al mio non sarà mai più vuoto.
[2a classificata al contest: Delusioni e soddisfazioni di giacopinzia17]
[Partecipa al contest del "Non so..." di jennyvava95]
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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PROSSIMA FERMATA, AMORE

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Martedì, 3 giugno
Autobus 21/bis Linea verde

 

L’autobus frena di colpo con un fastidioso stridio, svegliandomi di soprassalto. Dall’altro lato del finestrino scorgo il “Suor Orsola”, il liceo classico femminile della nostra città. Mi ha sempre messo i brividi quel posto: un antico edificio costruito in pietra, con le sbarre alle finestre e un enorme cancello in ferro all’entrata.
Mi raddrizzo sul sedile e mi strofino il viso con le mani, tentando di mandare via la stanchezza.
E’ stata una lunga giornata di scuola, come al solito, e ora mi aspettano quaranta minuti di autobus per tornare a casa.
Fortuna che almeno c’è Lei. Marianna.
Le porte si aprono cigolando e una decina di ragazze salgono in fretta, accomodandosi sui sedili rimasti liberi.
Marianna si siede a un paio di posti accanto al mio, in fondo all’autobus.
Senza farmi notare, la osservo. E’ vestita di nero, come sempre: la gonna a pieghe le arriva al ginocchio, lasciandole scoperte le gambe. Sopra indossa una camicia dello stesso colore, abbottonata fino al collo, su cui brilla una piccola collana rosario in argento.
Pesca un libro dalla borsa e, scostandosi una ciocca di capelli bruni dagli occhi, inizia a leggere.
L’autobus riparte; Marianna scenderà tra due fermate, quindi non ho molto tempo.
Lancio un’occhiata alla copertina del libro: “Così parlò Zarathustra” di Friedrich Nietzsche.
“Dio, non saprei nemmeno come si pronuncia, figurarci prenderlo come spunto per iniziare una conversazione!”
«Fa caldo oggi» dico a voce alta, poi mi volto a guardarla.
Lei alza appena lo sguardo. «Già» mormora solamente, ma i suoi occhi sembrano dirmi: “Siamo a giugno, sono le due del pomeriggio e ci troviamo su un autobus pieno di gente… che razza di affermazioni cretine fai?”
Mi schiarisco la gola e ci riprovo. «Ti piace la filosofia?»
“Mi sembra di ricordare che Nietzsche sia stato un filosofo… oppure no?” Prendo a mordermi le unghie, come faccio sempre quando sono nervoso. “Dio, ti prego, fa che Nietzche sia un filosofo!”
«È solo una lettura per la scuola; in realtà, lo trovo tremendamente noioso» risponde senza entusiasmo, ma per un attimo ho l’impressione che sia a disagio. Poi stringe il libro più forte e riprende a leggere.
“E ora cosa mi invento?” penso, mentre l’autobus rallenta e accosta verso la prima fermata.
«Neanche a me piace la filosofia» rivelo.

Lei mi guarda annoiata. «Mi dispiace» si scusa, «ma mia madre non vuole che parli con gli sconosciuti.» Ripone il libro nella borsa e si alza in fretta, raggiungendo le porte in attesa della fermata successiva. L’autobus accosta al marciapiede dopo qualche minuto ed io rimango a fissarla, mentre scende gli scalini e si allontana. Arrivata all’angolo, però, si ferma e si volta a guardarmi per un istante, poi riprende a camminare, mentre l’autobus riparte.


Mercoledì, 4 giugno

Autobus 21/bis Linea verde


Il caldo è asfissiante. Mi guardo intorno: qualcuno chiacchiera animatamente col suo vicino di posto, qualcun altro sta usando le mani come “ventaglio improvvisato”, nella speranza di un po’ di tregua dall’afa.
Alzo un po’ il volume dell’Ipod e mi sistemo meglio le cuffiette nelle orecchie. Marianna è seduta davanti, subito dietro il conducente. Dal mio posto riesco a scorgere soltanto le sue trecce scure.
Percorriamo ancora qualche metro, poi l’autobus inizia a rallentare per effettuare la prima fermata.
Noto che la signora seduta accanto a lei si sta preparando per scendere e decido di approfittarne. Velocemente, mi faccio largo tra un gruppetto di ragazze in piedi e, non appena la signora si alza, occupo il suo posto.
Marianna leva lo sguardo dal suo libro e alza gli occhi al cielo, ma in realtà la sua espressione è divertita.
«Ho una soluzione al problema!» annuncio.
Lei aggrotta le sopracciglia e chiude il libro di scatto. «Non sapevo avessimo un problema.»
«Sì, invece.» Tendo una mano nella sua direzione per presentarmi. «Io sono Marco.»
Mi fissa per un istante, diffidente, poi però sorride e me la stringe.
«Io sono Marian…» inizia a dire, ma la interrompo. 
«Lo so.» Sembra divertita dal fatto che conosca il suo nome. «Ora che non siamo più due sconosciuti, potremmo andare a prenderci un gelato insieme» propongo.
Mi stupisco da solo del mio coraggio. Ai suoi occhi devo apparire molto sicuro di me, ma in realtà sto trattenendo il fiato.
«Beh, mia madre non vuole che mi trattenga in giro dopo la scuola.» È tornata alla sua espressione di sempre, seria e scostante. «E poi non credo di conoscerti abbastanza.»
L’autobus sta rallentando: siamo quasi arrivata alla sua fermata. Ripone il libro nella borsa e fa per alzarsi.
«Aspetta, a questo possiamo rimediare.»
Marianna si avvicina alle porte, poi si volta un attimo. «Forse» risponde. «Un giorno o l’altro.» Poi scende dall’autobus allontanandosi di corsa.


 

Giovedì, 5 giugno
Autobus 21/bis Linea verde

 

La settimana è quasi terminata ed io non ho concluso un bel niente. Inizio a pensare che non riuscirò mai a convincerla ad accettare un appuntamento.
Forse dovrei lasciarla perdere; è una ragazza troppo “seria” per uscire con uno come me… Il pensiero svanisce immediatamente, non appena la vedo salire. Il mio cuore aumenta il ritmo e, colpa anche del  caldo, rischio quasi di avere un collasso; soprattutto perché lei si guarda un po’ giro, e poi decide di sedersi nel posto libero accanto al mio.
L’autobus riparte sulla strana sconnessa. Rimango a fissare il rosario al suo collo che, a ogni buca, fa un piccolo saltello sul suo petto.
Apre il suo solito libro, scostandosi una ciocca di capelli leggermente umida dalla fronte. Non riuscirò mai a lasciarla perdere.
«Mi chiamo Marco» inizio a dire. Lei si volta e mi guarda divertita.
«Questo l’hai già detto ieri, non serve che me lo ricordi tutti i giorni» mi prende in giro.
«Già, ma hai detto che non era abbastanza.» Ricomincio il mio discorso: «Mi chiamo Marco, ho sedici anni e sono nato il ventotto agosto. Mi sto diplomando per diventare geometra, e dopo mi iscriverò alla facoltà di architettura, proprio come mio padre. Mi piace la musica » Indico l’Ipod che ho tra le mani, «…e mi piacerebbe tanto uscire con te, qualche volta.»
L’autobus ha già effettuato la prima fermata.
«Io mi chiamo Marianna, ma questo lo sai già. Studio…»
«Al “Suor Orsola”.» Termino la frase al posto suo. «Hai quindici anni, ti piace il nero, sei molto cattolica e… odi la filosofia, anche se leggi Nietzsche sull’autobus.» Lei sorride un po’ imbarazzata.
«Sei uno stalker?» chiede fingendosi preoccupata.
«È solo che ti ho osservata per tanto tempo.»
Lei resta in silenzio per un momento. Sembra lusingata. «Però non sai quando è il mio compleanno» mi fa notare. «È oggi.»
Ora sono io a essere imbarazzato. Sono sicuro di avere un’espressione da ebete stampata sul viso. Non me lo aspettavo proprio. Infilo le mani nel mio zaino e inizio a rovistare tra i libri. Soddisfatto tiro fuori un pacchetto di caramelle. «È tutto quello che ho» mormoro, offrendogliene una. «Buon compleanno!»
Le sorrido ma, notando la sua espressione, inizio ad avere un brutto presentimento.
“Ti prego, non dirlo, non dirlo…” inizio a ripetere mentalmente.
«Mia madre non vuole che accetti caramelle dagli sconosciuti.»
«Ma noi non siamo sconosciuti! Non più» protesto. Mi sembra che le sue labbra si pieghino in un sorriso, mentre si accorge di essere quasi arrivata alla sua fermata. Inizio a pensare che mi stia prendendo in giro.
Si alza di scatto e il libro che ha sulle ginocchia si rovescia cadendo sul pavimento.
Mi piego a raccoglierlo, ma la copertina mi rimane tra le mani. Faccio per prendere il resto dei fogli rimasti a terra, quando mi accorgo che c’è qualcosa che non va: hanno un formato molto più piccolo, come se appartenessero a un libro diverso. Riesco a scorgere solo un paio di parole, prima che lei me li strappi dalle mani: “Cinquanta sfumature…”.
Arrossisce quando capisce che sono riuscito a scorgere il titolo; le porte dell’autobus si spalancano proprio in quel momento e lei corre giù per gli scalini, allontanandosi in fretta.
Rimango immobile, ancora piegato sul pavimento, paralizzato dalla sorpresa.


 

Venerdì, 6 giugno
Autobus 21/bis Linea verde


 

Scatto in piedi, appena la vedo salire sull’autobus. Lei mi guarda per un istante, poi abbassa la testa e va a sedersi in uno dei posti più lontani dal mio. Rimane a fissare il panorama fuori dal finestrino; nessun libro.
Velocemente la raggiungo.
«Marianna» sussurro, ma non so bene cosa dirle.
«Mi dispiace» mi dice lei in risposta. «Forse non sono quella che pensavi io fossi.» Non mi guarda, ma continua a tenere gli occhi sulla strada.
Lentamente mi siedo accanto a lei. «E chi ha detto che non mi piaci lo stesso?» le rispondo con sincerità.
Finalmente si volta verso di me, gli occhi lucidi.
«Mi chiamo Marco» le dico ancora una volta tendendole la mano. «Odio la mia scuola e, soprattutto, odio la matematica. Non voglio fare l’architetto; mi piace disegnare e mi sarebbe piaciuto fare il liceo artistico, ma mio padre non avrebbe mai approvato…» resto lì con la mano tesa, in attesa di una sua risposta.
Marianna resta ferma per un momento, combattuta sul da farsi. «Anch’io odio la mia scuola» inizia, prendendomi la mano. «Odio il nero e questi abiti che devo indossare; mi piace il rosso, invece.  Mia madre mi sta sempre addosso, vorrebbe che io fossi come lei, ma non sempre faccio tutto quello che mi chiede. Mi sarebbe piaciuto ballare; la danza classica mi ha sempre appassionato.» Termina la sua confessione, aspettando una mia reazione.
«Perché non potevi fare la ballerina? Cos’ha che non va la danza classica?»
Inaspettatamente scoppia a ridere. «Tutù, body aderenti, gambe scoperte e atletici ballerini che ti palpeggiano… a mia madre prenderebbe un colpo.»
Rido anch’io. «Ora che ci conosciamo davvero bene, potremmo anche vederci domani…» propongo.
«Il sabato vado a lezione di violino. Mia madre vuole che impari.»
«Non hai detto che non sempre fai quello che vuole tua madre?»
«Infatti» mi risponde sorridendo.
 

 
Sabato, 7 giugno
Autobus R1 Linea rossa


 

Siamo seduti in fondo all’autobus, diretti in centro. La lezione di Marianna dura un’ora, il che vuol dire che non abbiamo tanto tempo da passare insieme, purtroppo.
Quando le porgo il mio regalo di compleanno – stavolta uno vero, anche se un po’ in ritardo – spalanca gli occhi sorpresa: è un carillon rosso.
Gira la manovella per dargli la carica e la ballerina in tutù posta in cima, inizia a volteggiare sotto le note de “La fata Confetto”.
Mi butta le braccia al collo. «E’ bellissima!» esclama.

Si stacca da me un po’ imbarazzata e il suo viso è a pochi centimetri dal mio.
Faccio un respiro profondo e mi avvicino, fino a che le mie labbra non si posano sulle sue. E’ tesa, ma non si scosta e mi restituisce il bacio. La dolce sensazione che provo, è valsa l’attesa.


Lunedì, 9 giugno

Autobus 21/bis Linea verde

 

Marianna è seduta di fronte a me. Mi fermo con la matita sul block notes, sui cui sto disegnando un suo ritratto e rimango a fissarla. E’ così bella mentre legge: le guance arrossate dal caldo, gli occhi dischiusi, le gambe accavallate. Improvvisamente alza lo sguardo su di me.
«A cosa pensi?» mi chiede curiosa.
Sapevo che le cose ottenute dopo averle desiderate a lungo, sono le più belle… ma non credevo di provare una simile sensazione. Sono felice e innamorato.
«A quanto sono fortunato» rispondo, poi mi allungo a baciarla.

   
 
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