Spiegazione rapida e
concisa:
Allora, come potrete
vedere anche dal titolo pubblicato, questa
mega-shot è tratta da Scherzo del Destino, la mia long. I
personaggi qui citati
ovviamente sono Rob, Jude, più un altro po’ di
gente che ha più o meno a che
fare con la nostra coppia.
Quindi, ora
che sapete come orientarvi, vi auguro Buona
lettura!
Ci si rilegge
alla fine, a chi sopravvivrà......
Ah la storia
è interamente Pov Robert.
First
Meeting
Io
e il natale non abbiamo sempre avuto un rapporto facile.
Come tutti i
bambini, da piccolo ero fermamente convinto che
Babbo Natale esistesse. Lo vedevo come un buon signore, che spendeva il
suo
tempo per far contenti tutti i bambini del mondo in una sola notte.
Per me, lui
era l’unico che ogni anno non dimenticasse di
farmi il regalo. I miei genitori erano sempre troppo impegnati col
lavoro per
festeggiare con me il mio compleanno, o per fare tutte quelle cose che
le
famiglie fanno nel periodo natalizio, come montare l’albero,
abbellire la casa
con le decorazioni, o cucinare i biscotti allo zenzero da lasciare in
un
piattino per Babbo Natale.
A tutte queste
cose ci pensavano le persone della servitù.
Vedevo quindi
Babbo Natale, come l’unica persona che si
dedicasse esclusivamente a me, almeno una sera all’anno.
Detto questo,
potrete benissimo immaginare quanto ci rimasi
male, quando, per puro dispetto, quello che al tempo ritenevo il mio
migliore
amico mi rivelò che Babbo Natale non esiste.
Quell’anno,
se non vado errato, avevo circa quattro o cinque
anni. Mi arrabbiai moltissimo con il mio amico, e in un primo momento
non
voletti credergli.
Ma dovetti
ricredermi quando la successiva vigilia di
natale, provato ormai dal tarlo del dubbio, mi decisi a passare la
notte sotto
l’albero di natale, aspettando che Babbo Natale arrivasse.
Aspettai e
aspettai, finché non caddi addormentato sotto
l’albero. Fu solo alle prime luci dell’alba che un
leggero rumore mi fece
sussultare. Aprii leggermente le palpebre e vidi una figura indistinta
che si
avvicinava al grosso albero con qualcosa fra le mani. Misi a fuoco
l’immagine e
riconobbi la mia governante che appoggiava
un grosso pacco incartato fra gli altri regali.
Non so come
fece a non vedermi, probabilmente perché ero
nascosto dietro l’albero, o magari perché non ci
vedeva più così bene alla sua
età, comunque appena se ne andò balzai fuori dal
mio nascondiglio e andai a
leggere il cartellino, su cui era scritto il nome della persona a cui
era
destinato il regalo.
Vi stupisce
che a cinque anni un bambino sappia già leggere?
Posso solo dire che i miei genitori, anche se non facevano niente per
dimostrarmi il loro amore, erano abbastanza attenti e pretenziosi sulla
mia
istruzione, e avevano già chiamato un istitutore privato che
mi facesse
imparare delle prime nozioni basilari.
Ma torniamo al
mio rapporto travagliato col natale... presi
il pacco in mano e lessi il nome sul cartoncino.
C’era
scritto solo “A Robert, da Babbo Natale”.
In quel
momento credo che mi si spezzò per la prima volta il
cuore.
Mi sentii
tradito dall’unica persona a cui pensavo di
importare. Mi sentii preso in giro da tutti, e dovetti riconoscere che
il mio
amico aveva ragione.
Lasciai
immediatamente il regalo e corsi in camera mia, per
buttarmi sul letto e piangere tutte le mie lacrime. Da quel giorno in
poi non
credetti più in Babbo Natale.
Crescendo, poi, cominciai a vedere il natale come un periodo
dell’anno in cui tutte le persone si comportavano in modo
farlo, unicamente per
ricevere e fare dei regali che non sarebbero piaciuti a nessuno o che
sarebbero
stati riciclati come regali a persone che non si sopporta.
Mi chiedevo, perché comportarsi come tanti agnellini in
vista di soli due giorni, quando quotidianamente la vita non ti insegna
altro
che la dura legge della giungla, dove vive solo chi riesce a combattere
per la propria
salvaguardia.
Lo consideravo ipocrita, e lo considero tutt’ora...
A dir la verità, c’è stato un
avvenimento che per un lasso
di tempo abbastanza ampio, mi ha fatto riscoprire il piacere di passare
le
feste in famiglia, la nascita di Indio.
Quando mio figlio nacque, mi ripromisi che non avrei fatto
lo stesso sbaglio dei miei genitori, e che avrei sacrificato una parte
della
mia brillante carriera di avvocato, per essere una figura presente
nella vita
di mio figlio.
Ma la vita, come purtroppo so bene, gioca spesso dei brutti
scherzi. E l’ennesimo “scherzo” se
così lo si può chiamare, si
materializzò
sotto la forma del divorzio fra me e Deborah, la madre di Indio.
Probabilmente fu una decisione frutto di una serie di
sbagli, miei e suoi.
Per quanto cercassi di essere presente, il mio lavoro mi
obbligava spesso a spostarmi da uno stato all’altro
dell’America. E quando Val,
il mio socio, decise di aprire una filiale a Londra e di lasciare la
guida
della filiale americana a me, il carico di lavorò si
duplicò.
Cominciai così ad essere sempre più assente, e
questo fece
deteriorare i rapporti fra me e mia moglie.
Lei per altro, invece di parlare dei nostri problemi con me,
andava a confidarsi con il suo nuovo assistente e da cosa nasce cosa e
il passo
dalla fedeltà al tradimento è abbastanza rapido,
soprattutto se ci si
sposa non per
amore, ma per la voglia di
dare una famiglia ad un bambino in arrivo.
Quando scoprii il tradimento di Deborah, non me la presi con
lei ma anzi cercammo di mettere bene le cose in chiaro fra di noi e
quindi di
contattare un avvocato per la separazione.
Fu il proprio il primo natale senza mio figlio, a ricordarmi
quanto io odiassi quel periodo così falso ed infimo, e
decisi di chiudere per
sempre il mio cuore al natale.
O almeno così pensavo, fino all’incirca 10 anni fa.
Ed è proprio un episodio di 10 anni fa quello che vi voglio
raccontare...
Era
la notte della vigilia di natale e Debh mi aveva
trascinato a teatro.
Indio era ad
una festa con amici del liceo e io avrei
tranquillamente preferito passare la serata disteso sul divano a
guardare la
televisione. Ma la mia ex-moglie non era d’accordo, per cui
mi costrinse ad
uscire fuori di casa, con una tormenta alle porte, per andare a teatro
a vedere
l’Amleto.
Ora, vorrei
soffermarmi un attimo sugli attori della
compagnia...
Pensateci,
costretti a lavorare la vigilia. O dovevano
essere un branco di inetti, che non avevano altro nella vita che quella
produzione, o il loro agente doveva essere proprio un grande stronzo
per farli
lavorare persino il giorno che tutto il mondo generalmente passa in
famiglia.
Ma tornando a
noi... stavo dicendo che Debh mi costrinse ad
andare con lei, tra l’altro con una scusa patetica,
“Il regista è un mio
carissimo amico e mi ha riservato due biglietti”.
Sinceramente
non avrei voluto trovarmi li, ma dato che c’ero
cercai di trarre il meglio possibile dalla situazione. Inoltre gli
attori non
erano affatto male; soprattutto quello che interpretava Amleto,
veramente
bravo.
Purtroppo per
me, però, lo strazio non si esaurì con la fine
dello spettacolo, infatti la mia ex mi obbligò a farle
compagnia mentre parlava
col regista, un certo Jack Black.
Il suddetto,
dopo i classici convenevoli, ci invitò a
conoscere i membri del cast. Fu così che mi ritrovai nei
camerini, sommerso da
un infinità di persone che mi porgevano la mano per
salutarmi. Fra gli altri,
conobbi anche la costumista, Cameron, una biondina con un sorriso
enorme; il
scenografo, Ewan, alto leggermente più di me, scuro di
capelli e con una
parlantina niente male; e poi lui... un angelo sceso in terra.
Quella sera
aveva un jeans blu scuro, una camicia azzurra
lasciata fuori dai pantaloni e che si intravedeva sotto il maglioncino
ceruleo, che metteva in risalto i suoi
magnifici occhi azzurri. In quegli occhi ci si poteva perdere
all’infinito, e
non si sarebbe comunque stati capaci di esprimere a parole la loro
bellezza.
Rimasi
estasiato a guardarlo finché Debh non mi riportò
sulla terra facendomi capire che avevo fatto la figura del fesso.
Ah non vi ho
detto come si chiama l’angelo, bhe lui era, o
meglio è Jude.
A quel tempo
era un attore della compagnia, ora invece credo
che la diriga o una cosa simile, ma non ci giurerei.
Comunque,
tornando a quella sera di 10 anni fa... dopo le
presentazioni, Jake ci propose di andare tutti insieme a cena, e devo
dire che
non fui poi così tanto restio a quell’idea, anzi
tutto il contrario.
Ci dirigemmo
quindi ad un ristorante molto rinomato di New
York, e incredibilmente trovammo anche abbastanza facilmente un tavolo
libero.
Sinceramente credevo che sarebbe stato impossibile trovarlo, ma forse
quella
sera la fortuna volle aiutarci.
Ci sedemmo e
ordinammo, tutto nel silenzio assoluto. Solo
quando il cameriere se ne fu andato, dopo aver preso i nostri ordini,
Jack si
rivolse a Deborah e Cameron ed Ewan cominciarono a parlare fra di loro,
lasciando me e Jude nell’imbarazzo.
Cercai
più volte di cominciare una discussione, ma lui tutte
le volte rispondeva monosillabi o dava
risposte vaghe, facendomi chiaramente capire che non era intenzionato
ad
intavolare una civile conversazione.
In
più lo vedevo lanciare di tanto in tanto delle occhiate
preoccupate fuori dal locale, come se stesse cercando di controllare il
tempo,
che per altro era peggiorato ed era ormai chiaro che la tormenta ci
avrebbe
colpito da un momento all’altro.
La sua
impazienza era rivelata, inoltre, dal continuo
guardare il suo cellulare, come se aspettasse la chiamata di qualcuno.
Passai buona
parte della serata ad analizzare il suo
comportamento, che via via peggiorava, e proprio quando ormai avevo
perso le
speranze di creare una qualche via di comunicazione, lo vidi alzarsi
repentinamente dalla sedia e dirigersi velocemente verso il bagno.
Lo
seguì con lo sguardo finché non entrò
nei bagni e a quel
punto, dopo aver preso l’ultimo sorso dalla mia seconda
birra, decisi di
seguirlo per accertarmi che fosse tutto a posto.
Lo feci
presente ai miei commensali e mi diressi verso la
porta che recava la scritta “toilette”.
Quando entrai,
lo trovai con le braccia appoggiate al
lavandino, che prendeva delle grosse boccate d’aria per
cercare di calmarsi.
“Ehi
amico va tutto bene?” gli chiesi, e lui si girò di
scatto verso di me guardandomi spaventato. Quando sembrò
riconoscermi, attese
qualche attimo prima di parlare e poi disse.
“Si,
è tutto a posto. La ringrazio.”
“A
me non sembra che lei stia del tutto bene. E’ proprio
sicuro che vada tutto bene?”. Non so perché in
quel momento premetti tanto per
farmi gli affari suoi, ma di sicuro, pur essendo leggermente brillo per
le due
birre, non ero un mostro senza cuore, e se vedevo una persona in
difficoltà ero
portato a soccorrerla.
O forse in
definitiva era solo colpa di Jude, dato che
quella era la prima volta che mi ritrovavo a cercare di aiutare un
perfetto
sconosciuto.
Lui comunque
non rispose alla mia domanda, ma anzi guardò
ancora una volta lo schermo del telefono, e il suo sguardo si
rabbuiò.
No, proprio le
cose non gli stavano andando del tutto
bene...
“E’
solo che...” mi ero già diretto
all’uscita quando lo
sentii parlare.
Ritornai a
rivolgere la mia attenzione a lui e aspettai che
continuasse.
“E’
solo che... i miei figli sono con la mia ex-moglie
questa sera, e gli avevo detto di chiamarmi, e non lo hanno ancora
fatto. E ho
paura che Sedie li abbia lasciati ancora da soli.... E domani dovrei
tornare a
Londra, ma con questa tempesta alle porte non so se potrò
mantenere la
promessa, e...” ma non continuò perché
quell’ultima frase era stata interrotta
da un singhiozzo. In quel momento sentii un moto di compassione e
comprensione
verso quell’uomo apparentemente sconosciuto ma col quale
avevo appena scoperto
di condividere un’infinità di cose.
Passammo la
restante parte della serata a parlare. Era bello
stare ad ascoltarlo. Ed anche se ci dividevano sette anni, era
incredibilmente
maturo per la sua età.
Mi
raccontò della sua passione per il teatro, coronata col
lavoro alla compagnia. Dell’amore incondizionato che aveva
per i suoi figli.
Io da parte
mia, gli parlai di Indio, facendogli capire
quanto in realtà fossimo simili. E gli accennai anche del
mio lavoro e del
fatto che Val avesse deciso di aprire una filiale a Londra.
Quando toccai
questo tasto, vidi i suoi occhi illuminarsi.
Non so se quello che vidi fosse effettivamente gioia, ma mi piace
sperare che
così fu.
Non ci
accorgemmo neanche del trascorrere del tempo, e
quando tutti gli altri commensali del ristorante esultarono allo
scoccare della
mezzanotte, noi ci ritrovammo travolti da una baraonda di auguri. Dopo
aver
fatto gli auguri a Debh, mi girai per festeggiare con Jude, ma lo vidi
allontanarsi dal marasma generale con il telefono
all’orecchio.
Stavamo
già brindando, con i calici pieni di spumante,
quando tornò, con un sorrisone enorme in faccia, e per un
po’ mi persi a
guardare la sua figura che incedeva verso di noi.
Sembrò
quasi che il tempo si fosse fermato. In quel momento,
tutto si era annullato attorno a me, e riuscivo solo a guardare Jude
che mi si
avvicinava.
Ricordo il suo
sorriso, felice e sereno. I suoi occhi che
risplendevano di gioia. L’aura speciale che sembrava spandere
intorno a se, e
che ti faceva sperare, anche per un singolo istante che niente sarebbe
andato
storto.
Davanti a
quell’epifania di bellezza e magnificenza, mi
riscoprii a provare gratitudine verso quella magica notte di natale,
che mi
aveva dato la possibilità di conoscere una persona
così bella e speciale.
Non pensavo, a
quel tempo, che lo avrei mai detto, ma per
una volta ero felice che fosse Natale.
Purtroppo però non saremmo potuti rimanere in eterno in quel
locale, e di conseguenza arrivò anche il momento di
salutarsi. Non volevo fare
la donnina isterica e salutarlo piangendo o sventolando un fazzoletto
bianco;
ma allo stesso tempo non volevo neanche salutarlo con una semplice
stretta di
mano. In fondo era grazie a lui che mi ero goduto la serata. Ma vuoi
per
imbarazzo, vuoi per orgoglio, quando ci toccò salutarci me
ne rimasi lì
impalato come un perfetto idiota. Per fortuna però ci
pensò lui a salvare la
situazione.
Vedendo che ero restio a fare qualsiasi movimento, mi
abbracciò, stringendomi a forte a se. Non mi vergogno a dire
che, superato il
momento di stupore, sentii un leggero calore irradiarsi per tutto il
corpo. E
molto probabilmente avrei dovuto capire qualcosa già in quel
momento ma non lo
feci e invece di farmi un serio esame di coscienza, lo abbracciai a mia
volta,
godendomi quell’ultimo attimo insieme a lui.
“Grazie per la bella serata Robert. Grazie di
tutto”. Mi
disse lui, sussurrandomelo all’orecchio. Dovetti reprimere un
brivido per
evitare di fargli notare la mia reazione, ma non potetti impedirmi di
rispondergli con un sorriso.
Quella notte, al caldo delle mie lenzuola mi ritrovai a
sperare di poter rincontrare almeno una volta nella mia vita quel
bellissimo
angelo che mi aveva fatto riscoprire la bellezza del Natale.
***
E
chi mai avrebbe potuto immaginare come si sarebbe concluso
il nostro secondo incontro? Io non di certo.
Ero a Londra,
la sua patria, ma di certo non penavo che
sarei stato così fortunato da rincontrarlo.
Val mi aveva
obbligato a prendere
parte all’annuale festa di fine anno che davamo allo studio;
o che almeno lui
dava nella filiale londinese, dacché io ero più
propenso a non entrare neanche
nell’edificio della sede americana, non il 31 Dicembre
comunque.
Dicevo, Val mi
aveva obbligato a
fare quella traversata oceanica, e io avevo preso la palla al balzo per
concedermi qualche giorno di vacanza in più nella capitale
Britannica. Così, la
sera del
Caso volle che
mi ritrovai a
cenare all’Irish Pub.
Era un locale
davvero niente
male. Tavoli e sedute in legno, pareti ricoperte da scuri pannelli
d’ebano, e
un enorme bancone che correva per tutta una parete.
Per altro il
bancone era adibito
a bar e sulla superficie in marmo nero sostavano dei variopinti
cocktail.
Era un bel
posto, l’ho già detto?
Comunque, dopo essere entrato ed essermi torto la sciarpa, gli inglesi
tengono
i riscaldamenti a palla, lo sapevate?. Quindi dopo aver tolto la
sciarpa, ero
alla disperata ricerca di una cameriera, una cassiera, un cuoco, un
maitre,
insomma un qualcosa che mi indicasse un tavolo libero in cui potermi
sedere.
E poi, quando
stavo già pensando
di andarmene e cambiare locale, i miei occhi caddero sui sgabelli da
bar
posizionati davanti al bancone. E lì lo vidi... il mio
angelo caduto dal cielo.
Jude.
Era seduto su
uno sgabello, e
guardava dalla parte opposta alla mia. Ma evidentemente in mezzo a
tutta quella
folla non dovette riconoscermi.
Eppure era
lì, in tutto il suo
splendore, con quegli occhi magici in cui mi era così facile
perdermi.
Mi avvicinai a
lui
silenziosamente, e quando gli fui davanti, fu con un po’ di
esitazione che
alzai la mano per posizionarla sul suo braccio.
A quel tocco
appena accennato, lo
vidi girarsi verso di me, e spalancare gli occhi nel più
completo stupore.
Rimasi a fissare il suo volto, attraversato prima da sorpresa e poi da
gioia.
“Ciao!!!
Ma cosa ci fai qui?” mi
chiese, invitandomi a prendere posto accanto a lui.
“Ehm
impegni di lavoro. Anzi a
dir la verità festa di fine anno alla filiale. E tu invece?
Cosa ti porta
lontano dai tuoi figli?” sapevo quanto tenesse a loro, e mi
sembrò un po’
strano che non fosse con loro dato che mi aveva detto che quello era
uno dei
giorni in cui gli era permesso vederli.
“Bhe,
vedi, domani è il mio
compleanno, e dato che li avrò tutto il giorno con me, ho
deciso di prendermi questa
serata tutta per me.”
“Oh,
quindi domani è il tuo
compleanno?” chiesi imbarazzato. Veramente ero mooolto
imbarazzato, ma questo
non diciamoglielo.
“Si,
domani faccio 30 anni. Ma
non parliamo di questo, mi sento già abbastanza
vecchio” e nel dirlo abbassò
gli occhi timidamente.
Volevo
tirargli su il morale, in
qualche modo. Per di più non avrei neanche potuto fargli un
regalo come si
deve, e già questo mi metteva in forte disagio.
Per farla
breve, forse trovai
proprio il modo meno opportuno per consolarlo, dacché gli
alzai delicatamente
il volto con due dita e gli sussurrai.
“Non
dirlo neanche per scherzare.
Non sei vecchio, sei ancora un’adorabile ragazzino”
e dopo di che gli lasciai
un piccolo bacio all’angolo delle labbra.
Non so
perché lo feci, probabilmente
perché era da quando ci eravamo conosciuti che volevo farlo,
o forse perché non
sapevo in quale altro modo aiutarlo; da quel momento però
non riuscimmo più a
continuare a conversare come due semplici conoscenti.
C’era
una qualcosa in più, che
tutti e due avvertivamo, ma che nessuno dei due sapeva ben chiamare.
Lo vedevo dai
piccoli gesti che
inconsciamente ci scambiavamo, piccole carezze, o sguardi profondi e
indagatori. Lo capivo dalle nostre parole, sempre più
curiose ed allusive.
Eppure,
però, sembrava che ci
fosse ancora qualcosa che ci tratteneva. Forse la consapevolezza di
avere già
delle vite troppo complicate a cui dover far fronte. Forse il non voler
guastare un qualcosa che era, prima di tutto, nato come una stupenda
amicizia.
Forse la paura di mettersi in gioco. Sta di fatto che quando, a fine
serata,
decidemmo di salutarci e tornare ognuno alle proprie case, lui
sembrò salutare
quella decisione con un gran sospiro di sollievo.
Ma, quella
volta, io non ero del
suo stesso parere.
Era appena
scoccata la mezzanotte, e il Big Bang scandiva i
suoi rintocchi, quando con uno scatto repentino afferrai il suo braccio
e lo
spinsi contro il muro del vicolo nel quale stavamo camminando.
“Rob
ma cos....” provò a chiedermi, ma non gli diedi
neanche
il tempo di finire la sua domanda che gli chiusi le labbra con le mie.
Inizialmente
non risposte al bacio, forse frastornato dalla
rapidità degli eventi, ma dopo qualche attimo, in cui le
nostre labbra avevano
continuato ad essere le une sulle altre, lo sentii arrendersi e
rispondere al
bacio. Le nostre lingue entrarono in contatto e subito cominciarono a
scontrarsi e rincorrersi, in un gioco di passione e lussuria.
Ci ritrovammo
abbracciati, impegnati a percorrere il corpo
dell’altro con le mani, per esplorarci e conoscerci.
Percorsi tutto
il suo corpo, partendo dai suoi capelli
morbidi e setosi, per poi scendere giù alle spalle e
continuare oltre sul suo
torace muscoloso ed infine arrestarmi sui suoi fianchi, che artigliai
per
spingermelo maggiormente contro.
In quel
momento un gemito ci costrinse entrambi ad
interrompere il bacio per poter prendere il respiro, ormai fattori
sempre più
rapido. Decisi così di dedicarmi al suo collo, ma non prima
di avergli
sussurrato.
“Buon
Compleanno Jude!”. Già, non avevo assolutamente
dimenticato l’importanza di quella data.
Lo sentii
sorridere leggermente, e poi lui infilò una mano
fra i miei capelli, probabilmente per avvicinarmi ancora una volta a
se, ma
ancora una volta non ero della sua stessa opinione.
Scesi a
baciargli il collo, colpendolo con impercettibili
colpi di lingua, attraverso i quali potevo gustare a pieno il sapore
del suo
profumo. Era veramente meraviglioso!
Non saprei
come descrivervelo, nonostante io oramai conosca
tutte le sfaccettature di quel profumo, posso solo dirvi che su di lui
stava
divinamente.
Eravamo ancora
addossati al muro, quando il suono di un
telefonino si insinuò fra di noi. Fummo costretti a
sciogliere il nostro
abbraccio e a guardarci nelle tasche, alla ricerca
dell’infernale aggeggio che
ci aveva interrotti.
Era il suo a
suonare, e quando vide il mittente della
chiamata, i suoi occhi si oscurarono. Non rispose neanche, rifiutando
la
chiamata, ma quando i suoi occhi ritornarono a guardarmi, potetti
chiaramente
vedere in essi una nota di rabbia e rammarico.
“Robert
mi dispiace ma è meglio che non ci vediamo
più”
disse fermamente convinto delle sue parole. Non nascondo che rimasi
sbigottito
da questo suo cambio repentino.
“Ma...
ma perché?” balbettai; davvero in quel momento non
ci
stavo capendo più niente.
“Perché
è meglio così. Sarebbe troppo complicato andare
avanti.” rispose abbassando lo sguardo.
Per la prima
volta da quando ci eravamo conosciuti, pensai
che stesse scherzando. Non poteva essere che proprio quando la vita
sembrava
finalmente avermi dato un attimo di
respiro e felicità, arrivasse lui a distruggere tutto.
Ancora sconvolto,
mi avvicinai a lui e dopo averlo preso per le spalle, iniziai a
scuoterlo e ad
urlargli contro.
“No,
tu non stai dicendo sul serio. Non può essere finito
tutto così! Cosa è successo Jude?
Dimmelo!” lo implorai, anche con lo sguardo,
ma lui non mi diede risposta.
Rimanemmo nel
più completo silenzio per svariati minuti, mi
sembrava di essere tornati alla sera in cui ci eravamo conosciuti,
rinchiusi in
quel bagno nel quale lo avevo visto in preda all’ansia per i
suoi bambini.
Quella volta
però lui aveva deciso di confidarsi con me,
questa invece sembrava non averne alcuna intenzione.
Lo vidi
rialzare lo sguardo e guardarmi con dolore.
“Credimi,
è meglio smettere subito, prima di complicare
ulteriormente le cose” e così dicendo, dopo avermi
scoccato un bacio sulla
guancia, ed avermi sussurrato all’orecchio un
“E’ stato bello conoscerti”, si
liberò dalla mia presa e mi lasciò lì,
solo in quel vicolo oscuro.
***
I
due giorni seguenti li passai rinchiuso nella mia camera
d’albergo, nella più completa apatia. Non volevo
uscire, non volevo incontrare
nessuno, o parlare con qualcuno. Volevo solo poter ritornare a casa e
passare
un po’ di tempo con mio figlio.
Ma purtroppo
avevo promesso a Val che ci sarei stato alla
festa, così il pomeriggio del
Feci una
rapida doccia calda, che mi diede almeno un minimo
di calma in più, mi vestii e dopo aver lasciato la chiave
della camera alla
reception, fermai un taxi e mi feci accompagnare alla festa.
Quando arrivai
erano da poco passate le 20 e alla festa non
c’era praticamente nessuno.
“Oh
finalmente sei arrivato!” disse Val e senza neanche
darmi il tempo di appoggiare il cappotto, mi mandò a
sistemare gli ultimi
festoni nelle varie stanze.
Feci un rapido
giro di tutti gli uffici, che per l’occasione
erano stati dotati di comodi divani in pelle rossa, e sistemai delle
decorazioni qua e là. Dopo aver finito il giro, mi diressi
al bar per prendere
il primo di quello che sarebbe stata una lunga serie di cocktail, o
almeno così
speravo.
“Ancora
a rifugiarci nell’alcol eh?” chiese Val,
guardandomi
con commiserazione.
Gli avevo
raccontato a grandi linee dei miei problemi, e lui
molto gentilmente mi aveva consigliato di fregarmene e godermi la vita.
Infondo
è Capodanno solo una volta l’anno, ed è
proverbiale che in questa notte non si
debba pensare ai problemi.
Lo guardai
tristemente e dopo aver preso un sorso dal mio
bicchiere gli dissi.
“Sai
che se tu non mi avessi costretto a venire, ora io
sarei a casa con Indio, vero?”.
“Oh
su dai Rob! Pensa a tutte le belle ragazze che verranno
sta sera. Ti assicuro che ci sarà da divertissi”e
finendo di parlare mi strizzò
l’occhio.
Dei due Val
era sempre stato quello più frivolo.
Ci eravamo
conosciuti al college alla festa di inizio corsi,
e il giorno dopo ci eravamo ritrovati nello stesso corso. Abbiamo
passato tutti
e cinque gli anni di laurea a divertirci e bivaccare, e infine passata
la tesi
avevamo deciso di fare l’apprendistato nello stesso studio
legale.
Avevamo avuto
la stessa carriera brillante, il che ci aveva
permesso di aprire uno studio tutto nostro con doppia sede. Nonostante
questo
però, sapevamo ancora come divertirci, e organizzare una
festa a capodanno era
il modo migliore per svagarsi un po’.
Feci scontrare
il mio bicchiere col suo e sorridendo
leggermente gli dissi.
“Allora
sta sera tutto fracasso e spasso!”.
In quello
stesso momento sentimmo il campanello della porta
suonare. Gli ospiti stavano cominciando ad arrivare e lo show poteva
cominciare.
Erano le 21:30 e la sede era piena di gente che
chiacchierava, rideva, e ballava, intrattenuta dal dj che faceva il suo
lavoro
egregiamente.
Mi misi alla ricerca di Val, impensierito da fatto che non
lo avessi più visto dopo che erano arrivati il sindaco e la
sua signora. Lo
trovai alla porta d’ingresso, intento a guardare pensieroso
il suo orologio.
“Aspetti qualcuno Val?” gli chiesi incuriosito.
“Oh si, sto aspettando Ben. Mi ha chiamato poco fa dicendomi
che stava andando a prendere il suo accompagnatore, e che in dieci
minuti
sarebbe stato qua. Ma non è ancora arrivato. Sto cominciando
a preoccuparmi”
disse. Gli sorrisi benevolo e cercai di consolarlo.
“Non ti preoccupare, vedrai che sta per arrivare. Magari
avrà trovato traffico per strada, non è nulla di
che. E poi Benny ormai è
grande e sa badare a se stesso.” Per quanto io cercassi, ogni
volta, di
convincere Val ad allentare la presa su quel ragazzo, lui stava sempre
li a
preoccuparsi.
Val adorava indiscutibilmente suo nipote Benedict. Unico
figlio della sorella con cui aveva più legato, Ben era anche
il figlioccio di
Val, ed oltretutto era anche un nostro dipendente, se così
lo potevamo
considerare.
Il ragazzo non aveva mai fatto mistero allo zio di voler
seguire le sue orme una volta arrivato al college, e dopo che ebbe
preso la
laurea fu un piacere per Val prenderlo a fare il praticantato con se.
Avevo
conosciuto Benedict qualche anno dopo che aveva cominciato a lavorare
alla sede
londinese, e devo dire che era un bravo ragazzo, molto educato e
diligente nei
suoi incarichi.
“E se invece avesse avuto problemi col suo
ragazzo?” Val mi
richiamò dai miei pensieri con quella domanda.
“Ehi non sapevo che il piccoletto si fosse
fidanzato” dissi
sorpreso.
“Bhe l’anno scorso gli ho affidato un divorzio, e
lui ha
finito per innamorarsi del suo cliente. Ovviamente ha aspettato che il
caso si
fosse concluso prima di manifestare il suo interesse, nel pieno delle
regole
dell’etica, ma te lo devo proprio dire Rob, quel ragazzo
c’ha proprio gusto in
fatto di uomini. Se non fossi un etero convinto ci avrei fatto un
pensierino
anch’io su quel bel faccino.” e lo vedo alzare gli
occhi con sguardo sognante.
E quindi Benny ha trovato qualcuno con cui stare. Sono
proprio felice per lui. Se mi abbia stupito che il ragazzo fosse gay?
No, certo
che no, lo sapevamo da tempo ormai.
Mentre stavamo ancora parlando, sentiamo suonare alla porta
e Val va ad aprire.
“Oh Buona sera, siete arrivati finalmente!” lo
sento dire
allegramente, ma quando Val si spostò di lato per far
entrare i due nuovi
ospiti, io rimasi immobile a fissare atterrito le due persone che avevo
davanti. Perché...
... perché insieme a Benedict c’era anche...
Jude.
Rimasi esterrefatto a guardarli. Vedevo ben che alternava il
suo sguardo confuso fra me, lo zio e Jude. E vedevo Jude, bello come
sempre che
mi guardava sconvolto. Non so se per la spiacevole situazione in cui ci
eravamo
ritrovati, o semplicemente per quello che ci eravamo detti solo due
giorni
prima. Non so cosa stesse provando in quel momento, ma di certo
c’era molto
dolore nei suoi occhi, e questo mi fece pensare che ci dovesse essere
molto di
più di quelle stupide scuse che mi aveva rivolto.
Ma in quel momento non mi sentivo in condizioni di
chiedergli spiegazioni, volevo solo scomparire e ritornare a
crogiolarmi nella
mia disperazione.
Lentamente, molto lentamente, presi un respiro e poi parlai.
“Vogliate scusarmi, ma mi stanno chiamando e dovrei
andare”.
Non so come riuscii a pronunciare tutte le parole, senza mostrare il
turbinio
di emozioni che mi stava assalendo, ma dopo aver parlato, mi girai e
andai a
chiudermi nel mio studio.
Ogni volta che non sapevo affrontare una situazione, mi
rifugiavo nell’asocialità; ho sempre fatto
così e così continuo a fare ogni
volta, anche se dopo il mio più grande errore, ora sto
cercando di lavorare su
questo mio problema. Ma questa è un’altra storia,
torniamo a quella sera di
Dicembre.
Eravamo rimasti a quando mi ero rintanato nel mio ufficio
per sfuggire a Jude...
Bene, stavo ancora analizzando la dura realtà,
cioè stavo
prendendo coscienza che avevo dovuto mandare in fumo una potenziale
bellissima
amicizia, che magari si stava per trasformare in qualcosa di
più, il tutto per
uno stupido ragazzino. Ma proprio quando ero ormai deciso a lasciare la
festa e
a prendere il primo volo disponibile per l’America, bussarono
alla porta.
Non mi diedi nemmeno la pena di chiedere chi fosse. Non ero
in vena di chiacchiere in quel momento; ma i pugni alla porta si
intensificavano e intensificavano, finché non sentii
distintamente...
“Rob, lo so che sei li dentro. Fammi entrare, ti
prego!”.
Ovviamente era Jude, che ve lo dico a fare?.
“Vattene via Jude, non ho voglia di parlare” ed era
la santa
verità, dopo tutto.
“Lo so che non vuoi parlare. Sono io che voglio
farlo.” Mi
supplicò.
“E perché mai dovresti farlo? Per dirmi che fin
ora mi hai
preso in giro, e che il bacio che ci siamo dati non è stato
altro che uno
sbaglio? Grazie ma queste cose le so già da solo, non
c’è bisogno del tuo
intervento. E ora puoi anche andartene dal tuo ragazzo, per quanto mi
riguarda”
gli dissi sprezzante. Eravamo veramente in una strana situazione,
abbastanza
vicini da poter parlare, ma divisi da un oceano di incomprensione ed
orgoglio,
rappresentati da quella porta che ci divideva e che mi ostinavo a non
aprire.
“No, Rob. Se solo tu mi lasciassi spiegare...” ma
non
continuò, forse capendo che con me non avrebbe concluso
niente.
“Va bene. Come vuoi Robert, me ne vado” e non lo
sentii più
parlare. Mi sedetti sul divano ed aspettai una buona decina di minuti,
prima di
alzarmi e dirigermi alla porta per uscire.
Aprii leggermente la porta, lasciando giusto uno spazio
esiguo per permettermi di poter uscire, ma evidentemente dovetti fare i
conti
male, perché nell’esatto momento in cui aprii la
porta, due mani mi spinsero,
costringendomi ad indietreggiare, ed ebbi solo il tempo di udire lo
scocco
della chiave che veniva girata nella serratura prima di rendermi conto
di
essere bloccato all’interno della stanza insieme a Jude. Dove
si fosse nascosto
non volle mai dirmelo.
“Perché ci hai chiusi qui dentro?”
chiesi arrabbiato, mi
sentivo braccato, e questo non mi piaceva affatto.
“Perché sapevo che era l’unico modo per
parlare; anzi per
costringerti ad ascoltarmi.” Rispose con risolutezza.
“Bhe hai fatto i tuoi conti male, perché non ti
ascolterò lo
stesso.” e così dicendo mi andai a sedere alla mia
scrivania, dandogli le
spalle.
“Fa niente, tanto anche se farai finta di niente, so che mi
ascolterai” e si sedette sul divano iniziando a spiegare.
“Vedi, le cose con Ben non vanno più bene come
all’inizio.
Lui... bhe lui è stato il primo, dopo mia moglie di cui mi
sia innamorato, o
almeno così credevo” fece una pausa, probabilmente
per ordinare le idee e poi
riprese.
“Dopo il divorzio con Sadie, ero fermamente deciso a
dedicarmi unicamente al lavoro ed ai miei figli. Un paio di giorni dopo
aver
chiuso la pratica legale, Benedict mi propose di prendere un
caffè. In quel
periodo mi era stato molto vicino, e quindi non ci vidi niente di male.
Fu così
che iniziammo ad uscire. All’inizio era solo per una o due
sere la settimana,
ma ben presto questi appuntamenti diventarono più frequenti.
Ci rendemmo conto
che andavamo d’accordo e che insieme stavamo molto bene, e il
passo
dall’amicizia alla camera da letto fu molto breve.”
Tacque di nuovo, ed io
incuriosito dal suo silenzio, girai lentamente la sedia per poter
tornare a
guardarlo.
Si stava contorcendo le mani, in preda al dispiacere ed al
rimorso, ma non ebbi il coraggio di andare a fermarlo. Poi
però riprese a
parlare.
“Non nascondo che dopo quella prima serata, rimasi
sconvolto. Non tanto perché ero andato a letto con un uomo,
ma perché non
riuscivo a capire se lo avessi fatto solamente perché
sentivo il bisogno di
essere consolato o perché lo volevo davvero. Dopo quella
prima volta gli chiesi
del tempo per pensare, e lui fu così comprensivo da non
chiedermi niente.
Pensai per vari giorni a quello che era successo, e alla
fine arrivai alla conclusione che l’unica cosa che mi
interessasse veramente
fosse non perdere la sua amicizia.” Alzò gli
occhio verso di me, e lo vidi
sorpreso di vedermi lì intento ad ascoltarlo; ma
fortunatamente non accennò in
alcun modo alla cosa.
"Quando lo richiamai per dirgli cosa avevo deciso, lui
accettò di buon grado le mie parole, anche se mi fu subito
chiaro che non erano
quelle che avrebbe voluto sentirsi dire. Ricominciammo ad uscire, ma
ormai non
c’era più quell’alchimia che
c’era stata un tempo, e l’avevamo capito tutti e
due. Poi però, una sera, ci ubriacammo talmente tanto da non
capire neanche
quello che stavamo facendo, e ci ricademmo.
Quando la mattina dopo lo trovai ancora addormentato nel mio
letto, non riuscii più a capire niente, e molto
probabilmente presi una
decisione erronea, o magari no, ma non lo cacciai di casa, e da quel
momento...
bhe semplicemente aprimmo un nuovo capitolo nella nostra
storia”.
Rimasi fermo ad aspettare che continuasse a parlare, ma non
lo fece. Non riuscivo a capire perché avesse iniziato col
dirmi che fra lui e
Ben le cose non andavano più, per poi proseguire con questa
sdolcinata love
story, degna di una ragazzina adolescente.
“Perché mi stai raccontando queste
cose?” chiesi
sussurrando.
“Perché... da quando ci siamo conosciuti la notte
del 24, ho
cominciato a riflettere sul mio rapporto con Ben, e ho capito che in
tutto
questo tempo non ho fatto altro che illudermi di essermi innamorato
ancora una
volta; ma soprattutto ho illuso lui, che fin da subito è
stato sincero sui suoi
sentimenti per me. E non mi va più di continuare con questa
farsa. Per questo
avevo deciso di parlare chiaramente con Ben.” Prese un
respiro e poi
guardandomi fisso continuò.
“Poi ci siamo rincontrati due giorni fa, e più
capivo quanto
noi due avessimo in comune, più mi convincevo che avevo
preso la decisione
giusta, scegliendo di fare chiarezza nella mia vita. Ma poi mi hai
baciato, e
non ci ho capito più niente.”
Eccoci al dunque, sapevo che c’era qualcosa di più
a
spingerlo a scappare quella sera, ma da bravo codardo avevo preferito
pensare
solo a me stesso, senza chiedergli le adeguate spiegazioni.
“Ero... ero sconvolto! Nel preciso momento in cui le nostre
labbra si sono sfiorate per la prima volta, ho avuto la terribile paura
che
quando tutto sarebbe finito, io ti avrei perso. Pensavo che se avessimo
affrettato le cose, ci sarebbe andata di mezzo la nostra amicizia, e
questo non
lo volevo.” Si fermò ancora una volta, e lo vidi
mordersi il labbro inferiore,
preda dell’indecisione.
Vederlo così indeciso, preda della paura di distruggere
l’amicizia che eravamo stati capaci di costruire in
così poco tempo, mi fece
stringere il cuore in una morsa di tenerezza. Infondo fra i due sarei
dovuto
essere io il più grande, quello più maturo, ed
invece fino ad ora mi ero
mostrato solo un grande egoista, capace solo di pensare a me stesso.
Decisi di alzarmi dalla mia poltrona e di raggiungerlo.
Arrivato davanti a lui, mi inginocchiai fra le sue gambe, e gli presi
il viso
fra le mani, incoraggiandolo con lo sguardo a continuare a parlare.
Lui alzò lo sguardo su di me, senza dire niente, e
così
rimanemmo per molto tempo finché non lo vidi sospirare per
poi ricominciare a
parlare.
“Mentre mi stavi baciando, ho cominciato a sentire qualcosa
di strano e diverso allo stesso tempo. Una cosa che non avevo mai
sentito con
Ben. Una sorta di eccitazione, come quando si è bambini e si
riceve un regalo.
In quel momento pensavo veramente che tu fossi un regalo che la vita mi
stava
facendo e...” arrossii e abbassò ancora una volta
lo sguardo. Ma avete la
minima percezione di quanto fosse tenero in quel momento? No? Ecco!
Peggio per
voi... Perché vi siete perse proprio un bello spettacolo.
Ma torniamo a noi...
Gli accarezzai una guancia, e sporgendomi verso di lui gli
lasciai un bacio sulla fronte, per poi andargli a sussurrare
“Sei dolcissimo
Judsie! Va avanti”.
Ma non lo fece subito, o almeno non prima di avermi rivolto
un sorriso stupendo che mi riscaldò il cuore.
“Beh credo di non doverti dire che se non ci fosse stata
quella maledetta telefonata, ora non saremmo in questa
situazione.” E mi
lanciò uno sguardo malizioso, subito
sostituito dalla serietà che si impossessò ancora
una volta di lui.
“Ma la telefonata c’è stata, ed era
Benedict che voleva
farmi gli auguri.
Quel momento di lucidità mi fece capire che stavamo correndo
troppo, e che non ne sarebbe uscito niente di buono, per questo ho
preferito
scappare. Ma ti giuro Rob, me ne sono pentito subito!” e
parlando mi prese le
mani con le sue, e me le strinse, probabilmente per farmi capire che
era
veramente sincero.
“Ho passato questi ultimi due giorni a torturarmi per le
parole che ti avevo detto. Ho chiarito con Ben e ci siamo praticamente
lasciati, anche se avevamo già accettato di venire a questa
festa e non abbiamo
potuto mandare tutto a monte, dato che praticamente ci siamo lasciati
qualche
ora fa, ecco perché abbiamo fatto tardi.
E sinceramente non avevo idea che tu fossi il socio di Val,
e puoi benissimo immaginare la mia sorpresa quanto ti ho visto. Ma....
ma ora
sono qui, e ti sto chiedendo scusa Rob, scusami se mi sono comportato
come un
codardo!” disse le ultime parole senza neanche prendere
respiro, e io non
potetti far altro che rimanere ad ascoltare quel fiume in piena.
Quando finalmente lo vidi calmarsi, gli sorrisi dolcemente,
e gli risposi.
“Certo che ti perdono Jude. Tu avrai sicuramente le tue
colpe, ma anche io ho preferito pensare solo a me, nonostante avessi
percepito
che c’era molto di più di quello che mi avevi
detto. E anche io, poco fa, mi sono
comportato male verso di te, quindi io ti perdono ma solo se anche tu
perdoni
me”.
Non se lo fece ripetere due volte, dopo avermi gridato una
“Certo che ti perdono!” mi si buttò fra
le braccia, facendomi rischiare di
cadere, data la mia posizione di equilibrio precario.
Ora, per cortesia, qualcuno mi saprebbe spiegare perché non
abbiamo continuato sempre a confidarci tutto ciò che ci
accadeva? Invece di
cominciare con le bugie?
Forse perché siamo entrambi dei masochisti? O forse per il
troppo orgoglio? Non lo so, ma di sicuro una soluzione la dobbiamo
trovare,
siete d’accordo con me?
Ma come? Non sapete che problemi abbiamo al momento? Ah già!
Voi non avete ancora finito di leggere la storia.... No, non parlo di
questa,
parlo della storia in se, questo è solo un salto nel tempo.
Comunque, lamentatevi pure con la scrittrice, io non ho
colpa!
Ma tornando fra le braccia di Judsie, cioè... dai che avete
capito, tornando alla storia che vi sto raccontando...
Era veramente bello poterlo riabbracciare, mi era mancato,
anche se apparentemente ci conoscevamo da una decina di giorni,
più o meno.
Passammo qualche minuto in quella posizione, finché ormai in
equilibrio precario, molto precario, ripresi a parlare.
“Jude che ne dici di sederci come si deve? Sto per
cadere..”
e così facendo lui mi concesse di potermi sedere sul divano
di pelle rossa.
Una volta che mi fui seduto, Jude appoggiò la testa sul mio
petto e mi circondò il torace con le braccia.
All’inizio trovai la cosa
leggermente buffa, ma poi cambiai idea.
“Jude, cosa stai facendo?” chiesi sorridendo.
“Ti abbraccio, è bellissimo poterlo
rifare” rispose, ma
senza guardarmi.
Lo abbracciai a mia volta e iniziai ad accarezzargli i
capelli; era meraviglioso poter immergere le dita in quella coltre
morbida e
setosa. Mi stregarono da subito i suoi capelli, o forse è
meglio dire che mi
stregò lui, da subito.
“Che stai facendo Rob?” mi chiese con la voce che
leggermente gli tremava.
“Ti accarezzo i capelli, perché?” gli
chiesi, non capivo
quella reazione. Anche quando l’avevo baciato ero finito con
l’accarezzarglieli, ma non mi era sembrato che gli fosse
dispiaciuto.
“E’... e’ una cosa che mi
piace...” sussurrò sempre più
flebilmente.
“...ma non voglio correre, ricordi?” finii e
finalmente
tutto mi sembrò più chiaro. Sorrisi vittorioso, e
cominciai lentamente a far
scendere la mano che avevo nella sua testa, continuando con
l’altra a
trattenerlo su di me, in modo da impedirgli di potersi allontanare.
“E se invece io volessi correre un po’?”
gli sussurrai
provocante all’orecchio.
Percepii chiaramente il brivido che lo percosse quando gli
parlai.
“Rob, ti prego, non distruggiamo tutto ancora una
volta” mi
implorò, ormai col respiro alterato, ma io non cessai di
percorrere il suo
collo con la mano.
“E chi ha parlato di distruggere, Jude? Io voglio
costruire...” e così dicendo sostituii la mia mano
con la bocca, cominciando a
tempestare il suo magnifico collo di baci, mentre le mie mani
scorrevano sul
suo corpo, ancora imprigionato dalle mie braccia.
Era completamente in balia dei miei movimenti, potevo
percepirlo chiaramente, tant’è che quando una mia
mano iniziò ad esplorare ciò
che nascondeva sotto la camicia, lo sentii trattenere a stento un
gemito.
Sorrisi ancora una volta, certo che ormai mancasse
pochissimo alla sua resa incondizionata, e poi ricominciai a sussurrare.
“Hai dieci secondi per decidere Jude! Fa che sia la scelta
giusta”.
In quel momento, sentimmo arrivare un gran vociare fuori
dalla porta. Il conto alla rovescia verso il nuovo anno era appena
cominciato.
10...
Allentai la presa delle braccia attorno al suo torace.
9...
Feci risalire le mie mani sulle sue spalle e lo spinsi per
farlo distendere sul divano.
8...
Ricominciai a percorrere il suo corpo, sta volta cominciando
a slacciare i primi bottoni della sua camicia.
7...
Ad ogni bottone aperto, un bacio andava a ricoprire la parte
di pelle appena scoperta.
6...
“Rob, non vogl...ah!” tentò di dirmi
qualcosa, ma il piccolo
morso che gli lasciai all’attaccatura della spalla, lo
costrinse a tacere.
5...
“Voglio una frase completa Judsie” gli soffiai ed
in
risposta lo sentii avvinghiarsi ai miei fianchi.
4...
Ritornai con la bocca sulla sua; mi era mancato sentire il
suo sapore, era così buono che dubitai che me ne sarei mai
saziato.
3...
Nel frattempo le mie mani erano arrivate al capolinea. Aprii
la camicia e potetti godermi lo spettacolo di Jude a torso nudo.
2...
Ero seduto a cavalcioni su di lui, quando guardandomi con
occhi pieni di passione, si alzò e mi disse.
“Una sola notte!”.
Sorrisi trionfante a quella concessione.
1...
“Great decision Honey!” e ritornai a baciarlo.
Eravamo ancora persi nel nostro bacio quando un boato di
“Auguri!” e “Buon Anno!” ci
giunse dal di fuori. Conscio che la serata era
appena cominciata, come pure il nuovo anno, mi scostai da lui,
interrompendo il
bacio e mi alzai.
“Rob ma?” lo sentii chiedermi. Lo guardai ed era
ancora
accaldato, col fiato corto e la camicia aperta. Come resistere? vi
chiederete...
Mi riavvicinai a lui e quando oramai i nostri visi erano
separati solo da qualche centimetro, e io potevo sentire il suo respiro
sulle
mie labbra gli dissi.
“Non avrai pensato di farlo qui? Dai vieni! Ho una stanza
affittata all’hotel qui sotto” e con un sorriso gli
lasciai una piccolo bacio.
Lui mi guardò sbalordito. Infondo potevo capirlo, chi
prenderebbe una camera in affitto sotto il proprio ufficio? Diciamo che
io e
Val avevamo preferito avere un posto in cui poter passare le notti in
cui ci
capitava di fare tardi per studiare un caso, e così dato che
avevamo scelto
come sede degli uffici l’attico di un enorme grattacielo che
conteneva anche
un’ hotel, prendere una camera in affitto ci era sembrata la
cosa più semplice.
Diedi il tempo a Jude di rivestirsi, prima di aprire la
porta della camera ed inoltrarci nella marea di gente che stava
ballando il
tipico trenino di inizio anno.
Sinceramente non so come facemmo ad evitare che Val ci
bloccasse, magari la fortuna ci mise lo zampino, ma quando finalmente
riuscimmo
ad uscire dalla festa, quasi non ci credemmo.
Percorremmo di corsa il corridoio che conduceva
all’ascensore, e quando vi entrammo, avemmo giusto il tempo
di far chiudere le
porte, prima di scoppiare entrambi a ridere.
Eravamo insieme, eravamo felici e ci stavamo divertendo.
Cosa avremmo potuto volere di più?
Quando le porte si aprirono sul piano indicato, eravamo
ancora ansanti per le risate. Lo presi per mano e ci avviammo per il
corridoio,
certi che finalmente nessun problema ci avrebbe ostacolato. Arrivati
alla
porta, inserii il pass opportuno e la aprii. Feci entrare prima lui e
quando
infine potetti chiudermi la porta alle spalle, lo tirai per un braccio
e lo
feci scontrare ancora una volta contro di me.
“Ora ci divertiamo un po’.” sorrisi e
subito ricominciai a
baciarlo.
***
Quando
la mattina dopo mi svegliai aggrovigliato al lenzuolo
del letto e ancora nudo, non mi sorpresi di ritrovarmi da solo. Quello
che
invece mi sorprese, fu trovare il vassoio della colazione sul letto,
nel posto
che aveva occupato Jude tutta la notte.
Vassoio che
oltre agli usuali piatti conteneva anche una
rosa rossa e un biglietto ripiegato con su scritto il mio nome.
Lo presi
subito e lo lessi.
“Buon
anno Robert!
E’
stata
davvero una notte meravigliosa. Mi sarebbe piaciuto tanto rimanere, ma
oggi ho
i bambini a
casa, quindi non ho potuto.
Mi spiace solo di non averti potuto svegliare
degnamente.
Baci! Jude.
Ps. Ricorda: Chi fa sesso a
Capodanno.....”
Anche
a me avrebbe sicuramente fatto piacere trovarlo ancora
qui al mio risveglio, ma sapevamo tutti e due che i nostri figli
sarebbero
sempre venuti prima.
Certo era che
se pensava in quel modo di essersi sbarazzato
di me, si sbagliava di grosso. Perché da quello stesso
giorno, cominciò la
nostra personale lotta.
Una lotta
per...
«Informiamo i signori passeggeri che
l’atterraggio per
l’aeroporto di Heathrow
di Londra sta
per cominciamo, vi preghiamo di spegnere qualsiasi apparecchiatura di
natura
elettronica e di allacciare le cinture di sicurezza. Grazie per aver
viaggiato
con la nostra compagnia.»
La
voce dell’altoparlante si spegne, e io devo dare un
taglio netto ai miei pensieri.
Certo che
rimembrare il passato è sempre un buon modo per
passare le noiose ore dei viaggi in aereo, e io lo so bene.
Ma questa
volta il viaggio è di natura particolare. Sto
tornando a Londra, si, ma non per lavoro.
Cioè
non solo.
L’altro
giorno ho detto una piccola, piccola bugia a Jude, e
ora non mi vuole più parlare.
Ma sapete una
cosa? Quasi mi piace quando lo fa, perché poi
il nostro modo per fare pace, è sempre, come dire?
Speciale....
Ed ora, se mi
permettere, io avrei un viaggio da portare a
termine, quindi sono costretto a lasciarvi.
A rivederci
bella gente, è stato un piacere!
FINE
Note:
No,
grazie non
ditemelo che sono pazza, lo so già di mio.
Piaciuta
questa pazzia? No? Si? Oh poveri cari.....
Allora,
andando con ordine: Prima di tutto, lo so, questi
due sembrano completamente diversi da quelli che vi ho presentato nella
long. Ma
se avete ben letto, ciò che Rob racconta è quello
che è accaduto tra il 24
Dicembre e l’1 Gennaio dell’anno in cui si sono
conosciuti, quindi tanto tanto
tempo fa; e tra quei giorni e il momento raccontato nella long sono
successe
cose che voi ancora non conoscete, e che sono il perno su cui si fonda
Scherzo
del Destino e che per questo non vi ho ancora rivelato.
Altra cosa da
specificare, se qualcuno non avesse ben
compreso... Il tutto è raccontato da Rob mentre è
in aereo e si sta dirigendo a
Londra, quindi, almeno nella mia testa, le domande al presente o le
incursioni
del narratore onnisciente ci stanno a meraviglia e mi sono anche
divertita a
scriverle.
Ma se non mi
sono spiegata a dovere, chiedete pure. Io sto
qua anche per questo...
Ora passiamo
ai ringraziamenti:
Prima di tutto
ringrazio Judsie (la scrittrice non il
coccolo) che mi ha spronato a scrivere nonostante i miei enormi dubbi.
E che mi
ha anche permesso di utilizzare alcuni concetti espressi nella prima
parte
della shot, e che telepaticamente ci siamo passate, anche se lei
sostiene di
no. Grazie carissima!
Ti ringrazio
inoltre per quell’idea magnifica del bacio alla
mezzanotte del 28/29. L’ho adorata in “Life like a
Love Song” e me ne sono
innamorata. Scusami se non ti ho detto niente, ma è il tuo
regalo di natale. Mi
perdoni? *le fa gli occhi dolci*
Certo che mi
perdoni, vero? *-*
E parlando
sempre di “citazioni” rubate, la scena di Rob che
va a teatro a vedere Jude recitare l’Amleto.....
L’avete riconosciuta?
Ma certo!
E’ proprio lei!!!! E’ proprio ripresa da una
capitolo della magnifica storia “After School
Lover” di LadyElric. Scusami
anche tu se non ti ho chiesto niente, ma se lo avessi fatto non ci
sarebbe
stata sorpresa. Ti ringrazio inoltre per le bellissime storie che
scrivi e per
i pensieri nelle note. Grazie infinite!
Infine grazie
a voi che seguite la long, e che avete letto
questo delirio di storia. Grazie a tutti e Buon Natale (anche se in
ritardo) e
Felice Anno Nuovo (anche se in anticipo).
Baci a tutti!
Naky!!!