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Autore: jiujiu    14/07/2007    0 recensioni
[Dear Frankie]
[Dear Frankie] "..ed io percorrerò la via alta..e tu percorrerai la via bassa...ed io sarò in Scozia prima di te...ma io e il mio amore non ci rivedremo mai più..."
Una fanfiction ispirata ad uno dei film che più ho amato, Dear frankie. E' la prima ff che posto qui e spero che vi piaccia! :)
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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7- la clinica

7- la clinica

Il taxi li lasciò a pochi metri dall'ingresso della struttura medica vera e propria.

Si era immaginato un ospedale freddo, un luogo asettico, invece era circondato dal verde di un prato molto vasto, una lunga strada asfaltata violava la natura immobile di quel giardino, e conduceva all'edificio principale per buona parte del percorso, solo per biforcarsi a metà.

La strada secondaria lo avrebbe portato esattamente alla struttura per gli ospiti, gli chiarì Elisabeth, senza che l'uomo gli domandasse nulla.

Entrando in clinica la signora Emily si fece portare la sedia a rotelle.

Elisabeth rifiutò, sotto lo sguardo assorto e in parte stupito del signor "Sullivan".

- Non ne ho bisogno, signora Parker-

- Ma Lizzie, tu-

- Le mie gambe funzionano ancora..- e prese lo straniero sottobraccio, avanzando, cercando di sfuggire lo sguardo addolorato ed impotente della sua infermiera adorata.

Si preoccupava troppo, per lei...non vedeva che stava bene?

Quella espressione di sconforto sul volto dell'anziana donna parve colpire molto il nuovo arrivato, che non tardò di comunicare le sue perplessità al "boss".

- La tua infermiera è sempre così?-

- Così come?-

- Beh, sembra continuamente sul punto di scoppiare a piangere-

- Oh, si...è sempre così...da quando sono ricoverata qui-

e gli lanciò un sorriso smorzato prima di condurlo lungo i corridoi azzurrini dell'edificio.

L'atmosfera era tiepida, ma le persone sembravano adorare la piccola paziente che camminava tra loro.

E quegli sguardi caldi...divenivano gelidi, colmi di ripugnanza appena Elisabeth si voltava da un lato e l'uomo restava solo contro quegli occhi, che lo analizzavano dalla testa ai piedi.

Perchè lo fissavano così?

Perchè poi quei volti sembravano schiarirsi incontrando il sorriso della giovane Sullivan che li abbracciava tutti con cuore, presentando l'uomo come suo padre?

Loro lo disprezzavano.

Non era Elisabeth che guardavano sputando giudizi silenziosi.

Era lui che osservavano.

Era lui che giudicavano.

Non gli piacque quella sensazione.

Avrebbe potuto accettare la diffidenza.

A quella era abituato, lui straniero in quasi ogni porto...ma il disprezzo, perchè quello sentiva su di sè ad ogni passo, gli era incomprensibile e sgradito.

-Vieni papà...la mia stanza- e lo fece avanzare di qualche passo, prima di entrare a sua volta.

Lo vide ammirare l'ambiente.

La camera era come tutte le altre: armadi, mobili, sedie metalliche di un bianco- grigio talvolta deprimente ma ineccepibile nella sua funzionalità; un'ampia finestra si affacciava sul piano terra della clinica, ed era così vicino il mondo esterno che affacciandosi, la piccola Lizzie avrebbe potuto respirare l'odore di quell' erba costretta a rimanere verde tutto l'anno, immobile, senza poter crescere e sempre, comunque meravigliosamente bella, incredibilmente viva.

Le pareti erano bianche, pallide, ma rivestite quasi ovunque, in ogni angolo da foglietti di carta e tele dipinte.

Il signor Sullivan rimase immobile, in piedi, guardandosi silenziosamente attorno.

Tanti paesaggi, soprattutto di mare e di colline, alberi in fiore e cieli azzurri come dubitava esistessero...negò a sè stesso di essere rimasto incantato da alcuni di essi, per la semplicità e la ricchezza che comunque esprimevano attraverso tratti che vide via via migliorare, divenire più netti e precisi di soggetto in soggetto.

Tra tutti quei soggetti, solo un ritratto, uno solamente.

Ritraeva una giovane donna, il suo volto dai lineamenti longilinei ed indecifrabili, lunghi capelli biondi le incorniciavano il viso, e due gemme d'ambra sembravano i suoi occhi, disegnati da qualcuno pieno di talento, senza dubbio.

Lo prese in mano dalla scrivania, dove era poggiato insieme agli altri schizzi e dei colori di vari tipi, e lo analizzò curioso.

- Bello...chi è questa donna?-

Elisabeth si stava spogliando del suo cappotto, riponendolo insieme agli altri accessori indossati quella mattina, e non comprese la sua domanda fin quando non vide l'oggetto del suo interesse.

Fu rapida: quasi glielo strappò di mano, portandoselo al petto.

In quel momento, l'uomo la vide guardarlo come avrebbe dovuto sin dal primo momento in cui si erano incrociati.

Come uno sconosciuto...

Un estraneo.

Ma fu solo un attimo.

Subito Elisabeth ripose il disegno sulla scrivania, sul volto un'espressione mesta e solo un accenno del precedente sorriso.

- Questa è la mamma...-

****

Lizzie si sedette sul letto, togliendosi i mocassini e cercando le pantofole più comode che si erano nascoste in fondo al letto.

L'uomo si piegò per cercarle al suo posto e nel prenderle sfiorò con la mano una superficie solida e fredda.

- Cos'è? - domandò lui, tirandosi in piedi e scucendole un' occhiata diffidente.

- Il mio tesoro...-

rispose lei enigmatica e subito indossò le pantofole, si alzò e si affacciò circospetta alla porta.

Nessuno in vista.

- Bene...ora dobbiamo programmare la nostra giornata di domani!-

ed Elisabeth si sedette sul letto con una lentezza che non aveva mai visto in una ragazzina così giovane.

L'uomo si accomodò sulla sedia della scrivania, trovandosi faccia a faccia con lei, a distanza di meno di due metri.

- Domani voglio andare in tanti posti...prenderemo un taxi per tutta la giornata-

- Sarà costoso- inarcò il sopracciglio, lui, tornando a chiedersi se davvero avesse tutti quei soldi a disposizione.

- Non importa...- esclamò la ragazzina con tono divertito, - prima di tutto voglio andare al museo-

- Sarà noioso..-

- Per te, forse- ribattè lei, un sorrisetto malizioso increspava le sue labbra sottili, - poi voglio andare al ristorante...-

- Già va meglio- concluse lui, tirando fuori dalla tasca un pacchetto di sigarette.

- E poi a scuola-

- Ah, salti le lezioni, eh?- azzardò lui ironico, cercando una posizione più comoda.

- Non vado a scuola da un anno, papà...studio da sola con la signora Parker...- l'attenzione non più rivolta all'uomo, ma al sole pallido che le sorrideva all'orizzonte, irridendola.

- Capisco...e come mai vuoi ritornarci?-

Elisabeth scosse il capo, sollevandolo poco dopo sul suo interlocutore, un sorriso largo sul viso.

- C'è qualcuno che voglio rivedere...-

Lo straniero annuì appena, e portò la sigaretta alle labbra, pronto ad accenderla.

- Non si può fumare qui...-

- Non mi vedrà nessuno-

rispose franco, infischiandosene dell'espressione seria della bambina, che comunque non si mosse.

Aveva appena acceso e inalato la prima boccata di fumo, quando una donna si fece avanti senza bussare alla porta in parte aperta.

Indossava un camice bianco e la sua espressione lo rimproverava aspramente, più di qualunque parola urlata o sibilata.

Era imponente nella sua rigidità.

- In questa clinica è vietato fumare-

  
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