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Autore: Lelusc    31/12/2012    4 recensioni
Ambra è da sola,ha un solo amico e uno stalker che un giorno al mese la molesta con una domanda, a cui lei risponde sempre negativamente,poi però... e così cambierà tutta la sua vita,che lei coraggiosamente aveva protetto da tanto tanto tempo.
Genere: Erotico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dopo un giorno di divertimenti in diversi locali, come tutti i miei giorni del resto, mi diressi verso casa. Era una sera d’inverno e il pomeriggio era caduta un po’ di neve, non tanta da non lasciar camminare, ma abbastanza da poter ricoprire con un sottile e delicato strato le strade di San francisco.

Ero vestita con il mio caldo cappotto nero lungo fino alle ginocchia, con il cappello circondato da una morbida pelliccia, com’erano vestite le tante persone che incrociavo per strada. In realtà metterlo o non metterlo mi era del tutto indifferente, ma non mi piaceva farmi notare e di certo se una per strada, nel bel mezzo di dicembre, con quel freddo, non avesse indossato un cappotto, avrebbe attirato subito l’attenzione e nel mio caso era meglio non accadesse.

Abitavo e abito tuttora in un appartamento di un palazzo vecchio e non proprio raccomandabile, dove tutti sapevano che non mi dovevano rompere le palle, perché purtroppo ero e ancora sono fumantina e per me quello era un vero problema, anche se da qualche tempo mi esercitavo per mettere in opera la sacra arte della pazienza e della tolleranza e in confronto a prima, mi reputavo garbata.

 Appena entrai in casa, sentii suonare il telefono, ma lo ignorai. Chiunque volesse parlarmi doveva attendere, così feci con comodo.
Accesi la luce e appesi accanto alla porta quell'inutile ma bel cappotto e andai nella mia camera arredata con un bel letto matrimoniale con una trapunta cremisi che mi attirava ogni volta che le guardavo, come la prima volta che la rubai per dispetto, no, anzi, perché era mio diritto.

Quindi, dicevo, il letto, l'armadio e la cassettiera, erano di legno d'ebano, come le mensole della libreria costruita nel muro, la mensola sopra la scrivania e quest'ultima stessa con la sua sedia e non dimentichiamo i tendaggi e i drappeggi rosso pompeiano e le candele.
Ogni tanto mi divertivo a creare una bella atmosfera rilassante.

Presi con calma un cambio e andai a farmi un bagno; uno dei miei esagerati, profumati, colorati e soprattutto lunghi bagni.

Lasciai la vasca riempirsi e mentre decidevo cosa metterci dentro, feci finta di non sentire il telefono che continuava a squillare imperterrito.

Quando tutto fu pronto, m'immersi nella vasca e cercai di rilassarmi, mentre i petali di rosa galleggiavano sul velo dell’acqua e il bagno schiuma m’inebriava con il suo intenso profumo di rosa.

Non so quanto tempo rimasi lì, so solo che avevo chiuso gli occhi e mi ero rilassata, per quanto naturalmente era possibile con lo stramaledetto telefono che continuava a squillare ogni minuto. Mi lavai i capelli e decisi di andare a rispondere, perché chiunque esso fosse era davvero insistente.

Tornata in sala, risposi, scocciata.

“Pronto?” Ringhiai reggendo il telefono fra orecchio e spalla, mentre con un asciugamano mi tamponavo la massa di spinaci che avevo al posto dei capelli.

“Che faceva, mio tesoro?”

“Niente che t’interessi”risposi e attaccai con una botta decisa.

 Stupido, ancora non si arrende, pensai irritata e continuando a strofinarmi i capelli con foga, andai in camera.
Dopo essermi asciugata, indossai una bella camicia rossa e nera di lana, le pantofoline in tinta e la vestaglia del medesimo tessuto e colori e cominciai ad asciugarmi i capelli con il phon.

Li lasciai ancora umidicci e cominciai a spazzolarli. Nonostante li avessi pieni di boccoli, grazie al balsamo non s'impigliavano molto nella spazzola, la sola cosa che odiavo e naturalmente odio anche adesso, è non potermi vedere allo specchio.
 Io e la mia natura, non è carino vedere la spazzola che pettina il nulla. Mi legai i capelli in una treccia lunga fino a metà schiena e mi diressi in cucina per prepararmi la cena.

Ero stata tutto il tardo pomeriggio fuori, quindi era ora di mangiare. In cucina aprii il sottofondo di un mobile, dove tenevo una piccola scorta di cibo e presi una sacca di zero negativo, il mio preferito, che mi procuravo rubando, o meglio, prendendolo in prestito dalle scorte dell’ospedale.

Lo riscaldai, lo versai in un bicchiere e mi sdraiai sul divano.
Accesi la televisione e presi il primo sorso che assaporai tranquilla, ma durò solo un attimo perché il telefono risuonò.

Rimasi a fissarlo indecisa.  E se poi è quell’idiota, che faccio? Mi chiesi, ma alla fine risposi esasperata.

“No!" Dissi categorica senza pensarci nemmeno o attendere che quella virile e piacevole voce mi parlasse.

“Ma, non ho ancora detto niente”

“non serve che tu dica qualcosa, so sempre quello che mi vuoi dire, o meglio chiedere, allora lascia che ti risponda per l’ultima volta e poi fammi il favore di andare al diavolo o lasciarti ammazzare”

“No! Assolutamente no! No! No! E no! E giusto perché a quanto pare non hai capito. No! E questa è la mia ultima parola, addio”e riappesi.
Ma perché non vuole capire e ancora mi rompe? Mi chiesi esausta e ritornai a cenare seduta sul divano.

Dopo un po’ di tempo cambiai posizione.

Non so perché, ma non mi rilassai.

Ok, lo sapevo, era che di solito non si arrendeva così facilmente, mi continuava a tartassare di chiamate per tutta la notte fino a che non staccavo il telefono, quindi quel suo improvviso silenzio, mi fece pensare ci fosse qualcosa sotto, ma cosa?


 
  
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