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Autore: Anonimo9987465    02/01/2013    2 recensioni
[Hotline Miami]
Anche oggi è arrivata una di quelle solite telefonate. Prima di andare ad eseguire il suo "lavoretto", però, il protagonista decide di riflettere su tutto quello che gli è capitato di recente, e sulle sue emozioni al riguardo...
(Storia ambientata tra il Capitolo 4 e il Capitolo 5)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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Salve a tutti! È da un po’ che non scrivo, ma poco tempo fa ho finito di giocare a Hotline Miami, gioco indie molto tripposo e psichedelico uscito l’anno scorso che mi è piaciuto un sacco (e che consiglio a tutti di provare) per la sua atmosfera anni ‘80/’90 ben riuscita, il gameplay sia veloce e adrenalinico che riflessivo e strategico, la soundtrack grandiosa e ultimo ma non ultimo, il fatto che è addirittura riuscito a farmi riflettere su un argomento così spinoso come la violenza in maniera abbastanza seria, e non pochi giochi ci riescono! Ordunque, avere finito il gioco mi ha ispirato, e ho deciso di scrivere questa storia. Vi dico subito che qualche elemento dal gioco che non appare subito dall’inizio c’è, ma non penso siano così grossi da impedire la lettura, e infatti non ho nemmeno messo l’avvertimento da Spoiler. Sappiate però che, anche grazie all’inattività da scrittore di cui prima, questa storia probabilmente farà assai schifo, ergo bombardatemi pure di recensioni negative se volete! E ora vi lascio alla lettura…
 
 
 
Oggi, come al solito, ho ricevuto una di quelle solite telefonate.

Questa volta, la voce che da un mese circa mi lascia saltuariamente dei messaggi sul mio telefono, mi ha semplicemente informato che ci sarebbe stata una festa alla 134° abitazione della St. Avenue verso le 7 di pomeriggio alla quale ero stato invitato, e mi ha consigliato di venire vestito in maniera “discreta, ma efficace”.

Posato il telefono, sospirai. Ogni volta che finivo con uno dei miei numerosi “lavoretti”, mi chiedevo se magari quella fosse stata l’ultima volta, se forse, e calcavo molto nella mia testa quel forse, avrei smesso finalmente di fare quel che facevo, di tornare perlomeno ad una vita semi-normale, e puntualmente qualche giorno dopo appariva un altro di quei messaggi. Sospirai ancora.

Pensando a tutto ciò, mi chiedevo spesso se quello che facevo fosse giusto o meno. Sapevo che tutto questo, tutta questa violenza, tutto questo sangue, era sbagliato, tremendamente sbagliato. Eppure quello che mi si chiedeva era in effetti semplice. Non si sta mica parlando di gente innocente, ma di violenti, irragionevoli, criminali senza scrupoli, dei bastardi mafiosi la cui unica aspirazione nella vita è comprare la loro felicità con soldi e potere ottenuti con la forza da qualcun altro, un’enorme associazione a delinquere che trascinava chiunque ne venisse coinvolto, volente o nolente, in una spirale di violenza, disperazione e tristezza. Sembrava  un po’ ipocrita rispondere alla loro violenza con altra violenza, ma suppongo sia meglio così. In fondo, meglio che sia la loro vita a finire che quella di povera gente innocente insieme alle loro famiglie, no?

 Almeno, era per quello che mi iscrissi inizialmente all’organizzazione, la stessa che continua a recapitarmi messaggi in codice sul telefono da circa un mese. Di per me non ero molto violento, ma avevo un forte, fortissimo senso di giustizia, ed evidentemente fu lui ad avere la meglio quando mi proposero quel contratto. Da giovane disoccupato ad assassino sotto contratto. Non esattamente ciò che mi sarei aspettato di fare come lavoro quando ero piccolo, eh? Ma ormai non era più il tempo delle lamentele. Quel contratto ora porta la mia firma sopra, scritta con una penna rossa indelebile, perciò decisi di smetterla di giustificare le mie azioni, almeno per ora. In fondo avevo un lavoro da fare.

 Prima però, feci per andare in bagno a lavarmi la faccia, non so come mai ma quando sono stressato un po’ di acqua in viso mi aiuta sempre a rilassarmi, quando sentii un rumore di acqua che scorreva e mi ricordai che ormai non ero più da solo in casa.

Tutto ciò era divertente, nel suo particolare e morboso senso di divertimento. Una cosa in cui ho sempre creduto è nell’amore, e mi chiedevo se ora, che ero diventato da ragazzo che ero, un ragazzo leggermente più alto e con una sua casa, avrei mai trovato l’anima gemella, la mia dolce metà, insomma, quella cosa lì. Ma mai, e dico mai avrei pensato che avrei trovato una fonte di calore vicino a così tanti corpi freddi e senza vita.

Mi ricordo esattamente cosa successe quella volta: Avevo appena finito uno dei miei lavoretti in una piccola villetta, e stavo per andarmene, quando sentii, inaspettatamente, dei gemiti provenienti dal soggiorno, e ci andai immediatamente. All’inizio pensai fosse semplicemente uno di quelli là che era sopravvissuto, e andai a concludere definitivamente il lavoro, ma entrato, trovai ben altro. Lei era là, distesa su un comodo letto nero, che piangeva e piangeva, così tanto che addirittura le si era sciolto un po’ di trucco addosso, vestita, o meglio, svestita in quel particolare modo che avevo già visto centinaia di volte su altrettante centinaia di ragazze su Internet, ma, e immagino ovviamente, con un’espressione totalmente diversa dalla spavalderia ammiccante e lussuriosa delle suddette centinaia di ragazze.

Era un’espressione che non potevo dire di aver visto spesso, ma in un certo senso era molto familiare, quel mix di paura e rassegnazione che potevi trovare solo in un certo tipo di gente.

“Per favore, falla finita” disse, per poi tossire “L’ho sempre saputo che sarebbe finita così…” continuò, e chiuse gli occhi.

In mano avevo una mazza da baseball di un fine color marrone legno, ma quel bel colore si notava a malapena con tutto il sangue cremisi ormai incrostato che le era finito addosso. La maschera che avevo messo non mostrava niente del mio volto all’esterno, alle mie vittime e men che meno a questa ragazza bionda che ancora aspettava quello che per lei appariva inevitabile.

Non la biasimo. Infondo, dal suo punto di vista, io non ero altro che un estraneo che era improvvisamente apparso e ucciso tutti in quella bella villa in cui era venuta per compiere il suo lavoretto. Non riesco neanche ad immaginare cosa abbia pensato quando, subito dopo che il suo cliente era uscito dalla stanza per “risolvere la faccenda da solo”, sentì quei due spari e le grida di terrore e dolore mentre stappavo gli occhi a quel dannato figlio di puttana come due tappi di sughero da due bottiglie di champagne… Ma lei non c’entrava in tutto questo. Io capivo, semplicemente guardandola dai due buchi della maschera, da come si contorceva, da come ripeteva in maniera ossessiva quel Mi dispiace mamma, Mi dispiace papà, Mi dispiace, che lei era semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato e che con quella feccia non centrava assolutamente niente.

Penso si sorprese quando invece di un dolore improvviso alla testa, si sentì sollevata e portata in macchina dallo stesso sconosciuto con i vestiti sporchi di sangue e l’arma pronta in mano che era sicura avrebbe concluso la sua breve esistenza, ma non si lamentò in alcun modo e non tentò nemmeno di fuggire. Forse era semplicemente troppo stanca, o forse aveva compreso cosa pensavo, non saprei dire.

Da allora, ha vissuto qui, nella mia modesta casetta e nonostante all’inizio fosse comprensibilmente un po’ distante e restiva, adesso sembra essere sicuramente più rilassata. Mi ha anche raccontato un po’ della sua storia, e io a lei della mia, ed è lì che ho capito che forse si sta instaurando “qualcosa di speciale” tra noi, per dirla in maniera estremamente cliché. Chissà, forse, in futuro, quando e se finirò col mio lavoro… Per ora, riesce nell’ardua impresa di evitare che imploda sotto il peso dei miei stessi pensieri, e già questo è tanto.

Nel frattempo, già che c’ero, mi ero lavato la faccia nel lavandino della cucina, guardando un po’ distrattamente a svariati stralci di articoli di giornale che parlavano del mio operato che avevo ritagliato giusto per sfizio, e mi ero preparato, per così dire, in maniera “discreta ma efficace”, ad un’altra giornata di lavoro. Ormai mancava poco all’orario della cosiddetta festa, e stavo per andare in macchina per evitare di mancarla, quando sentii una voce familiare mentre salivo le scale che mi diceva “Ehi!”. Mi girai, e la vidi, con un espressione da cui traspariva preoccupazione, che però subito virò verso un mezzo sorriso, sincerissimo, ma un po’ triste implicitamente: “Per favore, stai attento.” Abbassai il volto per un attimo, poi lo rialzai e le sorrisi nel miglior modo che potevo, tanto bastò per tranquillizzarla.

Mentre guidavo per le strade della mia bella Miami, guardavo le strade, stando anche attento a ciò che era davanti a me, ovviamente, e pensai ancora al perché facessi ancora tutto questo. Oltre a quello che avevo analizzato prima, sapevo che c’era qualcos’altro, un fattore che  era entrato in azione solo dopo aver iniziato a lavorare, e che per qualche ragione non riuscivo mai a riportare perfettamente alla mente, ma che ero sicuro mi fosse ben chiaro mentre eseguivo detto lavoro. Chissà cos’era? Pensarci mi portava alla mente roboanti sintetizzatori e sinestetica psichedelica, ma forse quello è dovuto al fatto che proprio ora alla radio posso ascoltare canzoni dei Depeche Mode e dei The Jimi Hendrix Experience, due dei miei gruppi musicali preferiti. Ascoltare musica mi è sempre piaciuto, non so perché. Immagino che mi aiuti a concentrare meglio.

Sono arrivato. È una villa mediamente grande, e da fuori posso sentire musica elettronica sparata a tutto volume, quindi forse la parte della festa non era così metaforica come pensavo. Mi accosto al grande portone di entrata, per fortuna fuori non c’è nessuno, e accostandomi, tra il suono della musica, riesco a  sentire qualcuno che respira e che rotea in aria un qualcosa per ingannare il tempo, probabilmente una spranga di metallo o una mazza da baseball. Sta aspettando qualcosa... O qualcuno.
Mi stacco dalla porta e sospiro ancora. Dalla macchina ho preso una delle maschere da animale che ogni assassino dell’organizzazione si deve mettere mentre eseguiva il suo lavoro. Una cosa un po’ strana, lo ammetto, ma serve a non farmi identificare ed è abbastanza interessante come cosa. Oggi ho scelto la maschera del gufo, mi ispirava. Mettendola addosso, mi preparo mentalmente a ciò che accadrà da lì a poco. Inspiro… Ed espiro…

…È ora.

Apro violentemente la porta con un calcio, stendo la guardia, le prendo la spranga (lo sapevo io), la uso per spaccarle la testa e aprirla come un melone, osservo la succosa materia rosa che esce accompagnata da litri di sangue, corro verso sinistra, apro la porta, c’è un tizio seduto su una poltrona dall’altro lato della stanza, mi avvicino e gli spacco la faccia con una sprangata prima che possa fare alcunché, prendo il fucile a pompa che aveva accanto sulla poltrona e lascio cadere la spranga, mi giro e apro la porta accanto, poco distanti vedo una guardia col suo cane, fottuti cani, il cane si sta per avventare su di me quando BANG! e li secco entrambi con un solo colpo, sento parole di stupore da una stanza vicina, mi giro e torno alla porta della stanza della poltrona che dà sull’entrata, vedo tre tizi con dei mitragliatori, BANG! BANG! BANG!, uno sopravvive e ritorna nella stanza in cui era, lo rincorro dentro, gli lancio il fucile, viene stordito, mi avvicino, prendo il fucile e BANG! lo finisco.

Chiudo gli occhi mentre sento l’adrenalina alle stelle. Ecco cos’era quell’altro fattore, penso. Il fatto che sia così dannatamente figo.

Nonostante senta ancora quella certa vocina che mi chiede di continuare il massacro, la faccio tacere un attimo, e mi guardo attorno. Sembra che la stanza in cui sono capitato sia la stanza da ballo designata per la festa. In fondo, posso vedere un bancone con sopra svariate apparecchiature elettroniche, dei vinili e un set da DJ, mentre posso vedere, nascosta dietro il bancone, una schiena che trema. Immagino sia il DJ venuto per la festa. Mi sa che oggi è il suo giorno sfortunato!, mi dico, ed esco dalla stanza, ignorandolo, in fondo mica centrava con questa faccenda. Non sento nessuno, quindi immagino siano tutti schiattati, almeno al piano terra. C’è ancora un altro piano, però, e visto che sento della musica venire pure dall’alto, immagino che ci sia altra gente pure là. Avevo intravisto una scala alla fine del corridoio del cane e della guardia, quindi mi dirigo là.

Mentre mi incammino, faccio qualcosa che di solito non faccio fino alla fine dei lavori: Guardo i corpi delle mie vittime. Avevo già assaporato, anche se brevemente, la visuale del cervello spappolato della prima guardia, quella della spranga, ma guardando i corpi bucherellati e immersi in un lago di sangue rosso acceso, realizzo ciò che effettivamente avevo fatto in quei momenti di pura follia adrenalinica, se così si poteva definire: avevo effettivamente posto fine alla vita di sei individui, e un cane. Anche considerando la loro condizione di immondizia umana, era sempre un po’ triste considerare che era dunque là, inaspettatamente e crudelmente, che la loro esistenza finiva, e, considerando le loro ultime espressioni, non era stata una fine piacevole. In particolare, l’espressione del cane, che si era nel frattempo raggomitolato su sé stesso, il suo pelo marrone colorato di quel familiare rosso, faceva intendere che non era morto sul colpo, e che anzi aveva sofferto un probabile grande dolore nei suoi ultimi istanti. La guardia vicina invece si era allungata cercando di raggiungere una delle zampe del cane, ma senza riuscirci, rimanendo per sempre distante da essa di pochi centimetri. Che fossero stati molto affiatati, in vita?

Non posso fare a meno di assumere un’espressione un po’ triste al pensiero, ma ormai, il gioco era fatto. Prima di salire, però, vado in cucina, e scambio il fucile, ormai quasi scarico, con un coltello. Infondo è anche meno rumoroso, e visto che ormai l’adrenalina è scemata, tanto vale essere più cauti.

Appena salito, noto che il corridoio si apre in due direzioni. Sporgendo di poco la testa per evitare di essere visto, guardo sia a destra che a sinistra, a destra non sembra esserci nessuno, mentre a sinistra vedo che il corridoio si apre in una stanza nella quale una guardia con una pistola fa il suo percorso di routine fischiettando il motivo della canzone che continua a suonare in sottofondo. Mi avvicino piano piano, tentando di non farmi scoprire così da poterlo prendere di sorpresa da dietro… Quando inaspettatamente la guardia sembra notare qualcosa e inizia a girarsi! Dannazione!, esclamo pensando e, preso dal panico, lancio il coltello più forte che posso nella direzione della guardia. La suddetta non ha nemmeno il tempo di rendersi conto di cosa sta succedendo che ZAC! si ritrova un coltello piantato dritto in mezzo al petto. Accasciandosi a terra, lascia cadere la pistola, ma la prendo prima che colpisca terra e faccia rumore. Phew.

Vicino alla guardia, c’è una porta. Mi avvicino e guardo nel buco della serratura per constatare la situazione: quattro guardie, due parlano tra loro, mentre le altre ballano al ritmo della musica.

A dire la verità, un po’ mi dispiace interrompere la loro serenità, dico a me stesso, ma non tanto. Metto la mano sul pomello, e mi appresto ad aprirla per continuare la carneficina…

KA-CHIK.

Conosco questo rumore. Merda!, penso e girandomi scopro che le mie paure erano fondate: una delle guardie è proprio davanti a me con un fucile a pompa appena ricaricato. Dietro vedo una porta spalancata in lontananza. Maledizione! Non l’avrò vista quando guardavo a destra, cazzo!, penso frustrato.

La guardia ghigna sadicamente e inizia a dirmi qualcosa in russo, che non riesco a comprendere, ma quel che riesco a capire dal tono di voce è che ciò che sta dicendo è essenzialmente una condanna a morte. Invece di spararmi subito però, attende, il bastardo, e continua a ghignare e a parlare in russo, con una voce grave e pesante da cui traspare tutta la sua malignità. Forse non vuole uccidermi, in effetti. Forse vuole farmi prigioniero. Sì, forse questo stronzo mi conosce, ha sentito dai suoi compagni degli assassini con le maschere da animali e vuole farmi il suo fottutissimo trofeo. Approfittarsi delle debolezze altrui è facile, bello e divertente, eh? EH? Mentre continua a parlare, la mia rabbia aumenta ogni secondo che passa. No! Io non ti lascerò diventare famoso a mie spese, non dopo tutto quello che la tua bella associazione mafiosa ha fatto! Io non cadrò! Sarai tu a cadere! È ORA DELLA TUA FINE, FOTTUTO BASTARDO! Mentre la mia rabbia raggiunge dunque un climax, lui si avvicina, probabilmente pronto a mascherarmi e vedere la mia vera faccia, ma prima che lo faccia esplodo e, alzando improvvisamente la pistola-

BANG!
BANG!

Il proiettile gli finisce dritto in fronte, e quindi cade, probabilmente morto, ma che strano… Cado anche io… È solo dopo che finisco a terra che sento una strana sensazione che, piano piano, diventa sempre più intensa e insopportabile, fino quasi a farmi gridare, ed allora noto tre buchi nel mio petto e capisco. Gggh…! Il sangue esce copioso dalle mie ferite, e a terra inizio a contorcermi per il dolore, mentre inizio a non vedere più molto bene…

Dannazione… È così quindi che muoio? E va bene. In fondo come assassino c’era da aspettarselo. Mi dispiace solo di non esser potuto andare fino in fondo con questa faccenda…

Smetto di contorcermi e mi distendo pancia all’aria. Ormai il dolore è a livelli altissimi, e sento il mio corpo arrendersi all’evidenza dei fatti. Chiudo gli occhi, per l’ultima volta, mentre mi appresto, finalmente, a morire… Ma proprio quando la mia coscienza sta per spegnersi, vedo qualcosa

…!

E allora sorrido, con la poca forza che mi rimane perlomeno, perché, in fin di vita, mi è stato rivelato un qualcosa di così sorprendente e rinfrancante che non posso proprio fare a meno di sorridere!

 
Disteso per terra, totalmente immerso in quel sangue rosso che per una volta apparteneva a me, l’ultima immagine che vedo prima di morire è, semplicemente, una grande scritta fluttuante, colorata e psichedelica che dice “PREMI R PER RICOMINCIARE”.
  
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