Storie originali > Noir
Ricorda la storia  |      
Autore: Gualtiero93    06/01/2013    3 recensioni
Avevo appena finito di seppellire il suo corpo nel giardino sul retro, sotto il cespuglio di fiori gialli che piantammo insieme diversi anni fa, quando eravamo ancora felici. [...] Quei fiori custodivano un grande segreto e, con le loro radici conficcate in esso, se ne sarebbero cibati.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Avevo appena finito di seppellire il suo corpo nel giardino sul retro, sotto il cespuglio di fiori gialli che piantammo insieme diversi anni fa, quando eravamo ancora felici. Il sole era sorto da poco, ma le prime luci del mattino tardavano ad arrivare per colpa della fitta coltre di nubi temporalesche che si erano addensate la sera prima sulla città e che rifiutavano ad andarsene, anche se non mi dispiacquero; quella notte nessuno aveva sentito le urla e le imposte delle finestre dei vicini erano ancora chiuse data l'ora, tuttavia non volevo correre rischi. La pioggia fine ed incessante era fastidiosa, opprimente, ma faceva scorrere via il sangue dalle mie mani. Le mie mani... Il suo sangue. Come si era arrivati a quel punto? Ero agitato ma lucido, sapevo cosa dovevo fare, eppure ricordare gli avvenimenti di qualche ora prima mi risultava così difficile. Finii di coprire la buca e con il badile feci pressione sulla terra fangosa per comprimerla meglio. Sì, così poteva andare. Non era molto grande come fosso, i suoi pezzi non occupavano molto spazio, ma, guardando tutto l'insieme, trovavo strana e fuori luogo quella zona di terra smossa in un giardino così curato. Il cespuglio la copriva un po', ma se i vicini avessero fatto domande? Sapevano che io ci tenevo molto a quel giardino e con quanta pazienza mi dedicavo per ore e ore nella sua cura. Non mi preoccupava tanto il signor Zaninsky, povera anima decrepita e solitaria, ma della signora Hudson, vecchia e acida, che tra l'altro passava le intere giornate appollaiata a quella finestra. Chissà se aveva visto qualcosa... No. Probabilmente no. Lei era a conoscenza di molte cose, era un'impicciona. A mia moglie era capitato qualche volta di scambiare quattro parole con la signora e mi disse che sapeva tutto di tutti. Le persone così le trovo inquietanti. In ogni caso, il lavoro fuori era completato, non mi rimaneva altro che togliermi quei vestiti fradici e luridi da dosso e lavare la cucina. La cucina... Lo spettacolo davanti a cui mi ritrovai era peggiore di quanto ricordassi: il sangue era schizzato sulle pareti e sui mobili e il telo di plastica che misi sul tavolo per non sporcarlo maggiormente era colmo di enormi macchie di sangue, la maggior parte ancora fresche. Non mi stupii degli enormi schizzi che uscirono mentre la accoltellavo - il cuore continuava a pulsare in quei momenti e, per effetto dell'adrenalina, ancora più velocemente -, ma del sangue che fuoriuscì mentre suddividevo il suo corpo in vari pezzi, in modo da trasportarla con maggior facilità. Divisi ogni arto in due parti, separai la testa dal collo, ma il busto lo lasciai intatto per paura di poter far uscire i vari organi, cosa che mi faceva alquanto ribrezzo. Per prima cosa rimossi il telo, racchiudendolo e facendo scorrere il grosso sangue nel lavandino della cucina, poi con cura lo portai, cercando di non far cadere gocce per il corridoio, nella vasca da bagno e lì lo lasciai in ammollo nell'acqua calda, poi con un secchio pieno d’acqua e detersivo ed uno straccio pulii il pavimento della cucina, facendo particolare attenzione alle incanalature delle mattonelle e sotto i mobili; non doveva restare neanche una traccia dell'accaduto, doveva essere un lavoro pulito.
Finito di lavare gettai via l'acqua sporca nel water e controllai il telo di plastica: il sangue si stava staccando, dopo gli avrei fatto un'altra lavata. Tornai in cucina - il coltello, l'arma del delitto. Non era rimasto molto sangue sulla lama - con quanta velocità ho spinto e tirato via il coltello dal suo petto e per quante volte? La sua carne era come burro. Mi ricordo la sua pelle, soffice e morbida, stretta contro di me nelle fredde notti d'inverno. Ma ora è finita. Non ricordo
quante gliene diedi; cinque, forse dieci. Sì: dieci coltellate dritte al petto.
La cattiveria e la scelleratezza di quel gesto si mescolavano con la bellezza e delicatezza di quei fiori, attraverso la carne e le radici, formando quella completa perfezione tra gli opposti. O quasi.
Per fortuna è tutto passato, tutto finito.
La pioggia era cessata e il sole si faceva spazio tra le nuvole, penetrando con i suoi raggi invadenti attraverso le finestre, fin dentro la cucina, schiarendo il mio volto sudato. Erano passate quasi tre ore da quando avevo finito le faccende nel giardino. Il mio lavoro era terminato e la stanza sembrava quasi brillare grazie al sole. Una doccia era d'obbligo, quindi mi recai nel bagno, tolsi il telo dalla vasca e lo misi ad asciugare vicino al calorifero, dopodiché dedicai i venti minuti successivi al mio corpo. Ogni doccia era una sensazione indescrivibile - i muscoli che si rilassano, l'acqua che ti scorre in testa e che ti isola dal mondo, facendolo scivolare sempre più lontano fino a quando non resti solo - e questa più di tutte, perché riuscì ad evitare anche il più piccolo pensiero riguardante gli ultimi avvenimenti. Non mi sentivo in colpa, non ero un mostro e non avevo nessun motivo per esserlo; le mie azioni erano più che giustificate, chiunque mi capirebbe, chiunque comprenderebbe la mia reazione - è semplice, è pura sopravvivenza. Se solo trovassi le parole per spiegarlo...
Bussarono alla porta. Fui preso dal panico, il cuore iniziò a battere veloce nel petto, a saltare, e la mente si annebbiò, persi la lucidità. "Se non apro se ne andranno. Se non mi muovo... " Restai immobile aggrappato al lavandino a fissare il mio riflesso confuso nello specchio appannato per il calore. Chi poteva mai essere? I vicini avevano chiamato la polizia?
Improbabile, nessuno aveva potuto sentire nulla o vedere qualcosa, ero da solo e ho fatto tutto nel più assoluto silenzio possibile, lei non ha neanche urlato! A mano a mano che il tempo passava senza che bussassero di nuovo, il mio respiro rallentava, come il battito del cuore, e i muscoli tornavano a rilassarsi; la presa delle mie mani attorno ai bordi del lavandino si attenuava. Ma all’improvviso il campanello suonò, di nuovo, più insistentemente. Il cuore iniziò a battere di nuovo, più velocemente, pompando nelle vene più adrenalina possibile. Mi voltai di scatto: presi delle forbici da manicure da una mensola, le misi nella tasca dell’accappatoio e tenendole strette uscii nel corridoio di corsa diritto verso l’ingresso, dove aspettava l’inatteso e non voluto visitatore. Appena mi avvicinai alla porta e feci per aprirla, l’insistente scampanellio s’interruppe e rimasi fermo, immobile, con una mano stretta sulla maniglia, l’altra in tasca che impugnava le forbici. Attesi qualche secondo, poi aprii lentamente.
Il signor Zaninsky, un uomo molto anziano, magro con la testa piccola e tonda, curvo su se stesso, si voltò verso di me con fare lento, portando avanti il bastone prima della gamba. Aveva un’aria annoiata, quasi infastidita. Non ci avevo mai parlato prima d’allora.
- Signor Zaninsky?
- Perché c’ha messo tanto?
Lo guardai con aria incredula e mi trattenni da sbattergli la porta in faccia.
- Ero sotto la doccia, da come ben può vedere - non nascosi un certo tono di sfida e di stizza.
- Certo… - disse squadrandomi l’accappatoio da capo a piedi; mi sentii molto a disagio.
- Desidera qualcosa?
- Sapere cos’erano quelle urla stanotte.
Cazzo.
- Di quali urla parla?
Si spinse verso la porta ed entrò facendomi da parte con il bastone. Quell’uomo doveva aver lasciato le buone maniere a casa, o forse - molto probabilmente - non le aveva mai avute. Sbuffai e mi lanciò un’occhiata disgustata. Superò la piccola anticamera, poi si guardò intorno, sempre lentamente, facendo passare lo sguardo dalla cucina al salotto di fronte.
- Questa notte ho sentito delle brevi urla provenire da questa casa, urla di donna. - Spinse la testa all’indietro, voltandosi un po’ verso me. - Dov'è la signora?
- Quale signora? - dissi così, all’improvviso, senza pensarci.
Zaninsky fece uno scatto veloce verso di me e, dalla breve ma percettibile smorfia di dolore che fece, capii che alla sua gamba costò un bel po’, poi venne verso di me.
- Giovanotto, lei sa che ho passato ben quarantacinque anni della mia vita nella polizia come capitano, prima che un proiettile mi colpisse a questa maledetta gamba? So riconoscere delle urla quando le sento, non sono un vecchio rimbambito, e quelle di stanotte erano, ne sono sicuro, urla di donna e so anche che lei abita in questa casa da tre anni, insieme ad una bella e graziosa signora. Ora, dov’è la signora in questione?
- Non le nascondo che io e mia moglie questa notte abbiamo avuto un diverbio molto acceso - la menzogna usciva fluida dalla mia bocca, come se fosse la verità, senza neanche il bisogno di pensarci - e questa mattina presto lei ha fatto i bagagli e se ne è andata.
- E su cosa verteva la vostra lite?
- Questi, con tutto il rispetto, non sono affari che le riguardano, signor Zaninsky.
- Abito in questo quartiere da più di settant’anni, non me ne sono mai andato e mai lo lascerò e tutto quello che accade in questa zona mi riguarda. Ha capito bene?
Mentre diceva quelle parole, cercavo di convincere la mia mano sinistra a lasciare la presa delle forbici e di rilassarsi e, con un grande sforzo di volontà, riuscii a scogliere il braccio. Come le vedevo bene quelle forbici, conficcate nella sua giugulare…
Il vecchio si avviò verso la cucina.
- Vorrei del caffè, se non le dispiace.
In quel momento avrei voluto avere delle affilate forbici da sarto, altro che quelle da manicure!
Misi a preparare il caffè in silenzio, non guardando mai in faccia Zaninsky; ero ancora in accappatoio.
- Mente il caffè si prepara vado a vestirmi. Torno subito.
Il vecchio fece un grugnito d’assenso, poi appoggiò entrambe le mani al bastone e fu come se si chiudesse letteralmente su se stesso, si piegò.
Entrare nella stanza da letto mi diede da pensare: quel letto sarebbe sembrato così enorme e così vuoto la notte senza di lei al mio fianco, ma oramai ogni scelta era stata fatta, seppur impulsiva, e non si poteva più tornare indietro. Mi vestii in fretta perché avevo paura a lasciare Zaninsky da solo, in cucina; poteva mettere il naso ovunque e il pensiero che avesse trovato qualcosa che avevo dimenticato di pulire mi turbava alquanto. Mentre percorrevo il corridoio, cerava di insinuarsi in un angolo della mia mente l’idea di far fuori il vecchio…
In cucina lo trovai come l’avevo lasciato, appollaiato sul suo bastone. La caffettiera fumava, così spensi il fuoco e riempii due tazzine con la bevanda bollente; ne porsi una a Zaninsky.
- È bollente, faccia attenzione. Zucchero?
- Le sembro forse una femminuccia?
Dopo quell’ultima e così scorbutica battuta, bevemmo il caffè in silenzio per un po’. Speravo fortemente che il caffè bollente gli ustionasse quella sua rinsecchita e appiccicosa lingua…
Mi sedetti dinanzi a lui, posai la tazzina alla mia destra e, tenendo la testa leggermente abbassata per non incrociare il suo sguardo, dissi: - Che cosa ha intenzione di fare ora? Ha trovato le risposte che cercava… Cos’altro vuole da me?
Zaninsky abbassò la tazzina con mano tremolante: - La verità, voglio che lei mi dica la cazzo verità!
- La… cazzo di verità è… - mi alzai, lentamente – è che lei non è una persona gradita in questa casa.
Il vecchio mi guardò con aria sorpresa, mentre io mi fermavo dietro di lui; appoggiai le mani sulla spalliera della sedia.
- Ma come… come osa! Lei non sa chi sono io! Non può parlarmi in questo modo! Lei non sa cosa sia il rispetto e il suo comportamento mi lascia così…
- Se ne vada. Ora.
- Sei solo un maleducato figlio di puttana che non ha capitaargh!
Presi la sua testa con una mano e la spinsi violentemente sul tavolo per un paio di volte, mandando la tazzina di caffè in frantumi, lasciando la sua faccia sfigurata e sanguinante. La sua pelle era così secca, fragile… Caricai il corpo senza vita del vecchio sulla spalla e lo poggiai con la testa nel lavabo, per
evitare che il sangue finisse ovunque - no, non mi andava di pulire tutto di nuovo - e lo fermai spingendogli contro una sedia. Pulii con uno straccio umido il sangue e il caffè dal tavolo, raccolsi i frammenti della tazzina in un tovagliolo e li gettai nel pattume. Sapevo già cosa farne del corpo, ma lo avrei sezionato direttamente nella vasca da bagno, così il sangue sarebbe fluito nello scarico senza dare problemi: una veloce sciacquata con l’acqua calda e tutto si sarebbe risolto tranquillamente. Presi il seghetto dalla cassetta degli attrezzi e iniziai a tagliare, ma le ossa erano così deboli e sottili e il corpo era così piccolo, che non c’era bisogno di tagliarlo in tante parti: lo sezionai in meno di quanto ci misi per lei, e fui anche più pulito. Raccolsi i pezzi in un sacco di plastica, con la testa in cima e, mentre lo chiudevo, ebbi come l’impressione che i suoi occhi, ora così bianchi e vuoti, si muovessero… Scavai la fossa, affianco alla prima, vicino al cespuglio di fiori gialli, ma meno profonda, così l’avrei ricoperta prima. Quei fiori… Sembravano più grandi rispetto alla mattina; ne accarezzai uno, delicatamente… Quei fiori custodivano un grande segreto e, con le loro radici conficcate in esso, se ne sarebbero cibati. Solo io e loro siamo a conoscenza della verità. Un po’ mi dispiaceva averli coinvolti, per aver deturpato il loro candore, la loro innocenza, averli macchiati di un crimine così empio. Ne avrei presi altri, e altri ancora; quei fiori gialli di cui non sapevo il nome sarebbero diventati i miei unici amici, i miei confidenti, non avevo bisogno di altro, tranne quei fiori.
Sentii dei passi provenire dalla strada, mi voltai e intravidi la signora Hudson che veniva verso la mia porta – oh, no…
- Signora Hudson, buongiorno.
- Salve, salve…
- A cosa devo la sua visita?
- Vorrei porle alcune domande, se non le dispiace.
- Nel giardino c’è ancora un po’ di spazio…
- Come scusi?
- Niente… Le andrebbe di vedere da vicino i miei fiori gialli?
   
 
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Noir / Vai alla pagina dell'autore: Gualtiero93