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Autore: Like_a_Skyscraper    06/01/2013    0 recensioni
"Immaginavo spesso che il Sole, in quelle giornate, si sforzasse a combattere le tenebre, si sforzasse a risplendere, con i suoi raggi, in tutta la sua unica bellezza e spesso io mi immaginavo come uno di quei meravigliosi raggi che doveva combattere per splendere nel bel mezzo del cosmo, doveva mettere tutte le sue forze e concentrarsi al massimo per farsi notare, anche solamente da un occhio umano, ma doveva brillare."
La vita esilarante di un adolescente di Madrid, ricco di sogni e di ambizioni da voler realizzare e raggiungere fino a quando però, la sua vita, verrà completamente stravolta da una persona che per lui diventerà il suo inizio e la sua fine.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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II Capitolo.
Carpe Diem.

Avevo parlato precedentemente di svolte significative nella mia vita una volta superato quel cancello nero e arrugginito dello Zurabaràn ,giusto? Ebbene, quello sarebbe stato solamente l’inizio di un lungo cammino che avrei dovuto affrontare non da solo, per mia fortuna, ma con affianco persone di cui mi fidavo ciecamente, persone che mi avrebbero supportato, aiutato in qualsiasi mio momento e che inoltre avrebbero accettato le mie decisioni, qualunque esse fossero state. Credevo che quella grande ed imperdibile opportunità, che mi era stata concessa, fosse solamente un frutto della mia grande ed infinita immaginazione. Ero talmente un sognatore perso nelle proprie immaginazione e fantasie che facevo fatica a credere di aver quella lettera dallo stemma blu tra le mie mani. Quella lettera che avevo aspettato per davvero molto tempo. Quella lettera che forse non sarebbe mai arrivata da me, che forse si sarebbe persa,  inviata per sbaglio a qualcun altro o peggio ancora, che forse non avrebbero mai spedito. Ma quello o era uno stupendo sogno, dal quale non avrei voluto assolutamente svegliarmi, o semplicemente era la realtà. 
Ma andiamo con ordine, tornando alla mia prima giornata scolastica in quell’affollato liceo di Madrid.
-CARPE DIEM!- risuonarono allora quelle due sole parole tra le quattro mura della mia aula formata da ben 21 banchetti singoli suddivisi in tre file: una che si affacciava alla finestra la quale dava al giardino, l’altra che si trovava nel bel mezzo della classe e l’ultima era attaccata alla parete. Io mi trovavo seduto al terzo banchetto della prima fila, ovviamente. Molto spesso infatti mi distraevo voltando lo sguardo fuori da quella finestra che dava sul giardino ricco di alberi non molto alti ma ancora completamente rivestiti di foglie rossastre e giallastre che, quando soffiava appena quel vento autunnale, si muovevano insieme verso un’unica direzione come se fossero cullate da una dolce melodia e come se stessero ballando un ballo di corte. Quelle poche volte che succedeva, era davvero uno spettacolo della natura che puntualmente non perdevo.
-Qualcuno sa per caso spiegarmi la filosofia del Carpe Diem del poeta latino Orazio?
La prima giornata di quel terzo anno stava infatti cominciando con due pesanti ore di filosofia della professoressa Irene, Irene Calvo che si domandava, anzi, ci domandava cose significasse quella famosa frase latina che tutti, nel bene o nel male, conoscevano. Quella professoressa alta, dalla carnagione bianca come il latte e dai capelli corti e scuri che le sfioravano a mala pena le spalle, stava passeggiando nel bel mezzo della classe con un piccolo libricino in mano dalla copertina nera che spesso apriva, ne leggeva appena tre righe e poi richiudeva velocemente, tenendo il segno con il dito indice della sua mano destra, continuando a passeggiare per i nostri banchi e aspettando una qualche risposta soddisfacente alla sua domanda.
-Carpe? Io preferisco le vongole prof!
Da chi sarebbe potuta uscire quella stupida battuta? Ovviamente dalla bocca di quell’ignorante ragazzo che si trovava nella fila di mezzo, all’ultimo banco, di nome Gorka. Avevo già passato due anni in classe con quella specie di energumeno dai capelli completamente neri e schizzati da ogni parte. Era un tipo del tutto disinteressato all’apprendimento e allo studio e la maggior parte delle volte non riuscivo a capire perché stesse ancora lì, nella classe, solo per riscaldare la propria sedia e per farsi vedere come il pagliaccio dell’intera classe. Infatti, a quella sua battutina squallida e, a dirla tutta, pessima, subito nell’intera aula scoppiò, come un boato generato dal suono di un cannone, una fragorosa risata che rimbombò per tutta la stanza.
-Gorka, vedo che sei in vena di scherzare stamattina eh. Mi fa piacere, così almeno durante la tua prossima interrogazione farai ridere un po’ anche me dal momento che sei così bravo a fare delle battute.
Rispose così, con un tono ironico, la professoressa che aveva tenuto nascosto per molto tempo la sua relazione con uno studente della nostra classe, o meglio, un vecchio studente della nostra classe: Isaac, morto purtroppo un anno prima, in seguito ad un pericoloso incidente in quad durante una gita di classe. Il ragazzo, con la sua morte, lasciò sua madre Loli, sua sorella Paula, Irene e Yoli, che nel frattempo si erano innamorate di lui, nella più cupa disperazione.
Il ragazzo dall’atteggiamento ribelle sbuffò ascoltando le parole di Irene per poi tornare ad inviare  messaggi, di nascosto, con il proprio cellulare alla sua fidanzata, Ruth Quintana, una ragazza alta e bionda, dal corpo esile e dagli occhi color nocciola, intenta a specchiarsi con lo schermo del cellulare mentre giocava con il chewingum.
-Allora?- continuò la professoressa che intanto si era seduta sulla cattedra a gambe accavallate, come faceva la maggior parte delle volte –Vedo che le vacanze estive vi hanno fatto un brutto effetto! -
Sì, da una parte Irene aveva completamente ragione: il mare, il Sole, il caldo, la fine della scuola, le serate di divertimento con gli amici avevano soppiantato gli studi e i compiti che ci avevano assegnati per le vacanze e che puntualmente si erano volatilizzati, quasi del tutto formattati dalle nostre menti, o meglio, dalle menti della maggior parte degli studenti. Sorrisi ripensando alle parole della professoressa ( legate alla mia Estate ) che in seguito continuò a spiegare anche se non le diedi molta attenzione perché ormai la mia mente non era più in quella classe, non era più seduta su una fredda sedia di legno ad ascoltare discorsi interminabili, anzi al contrario, la mia mente si ritrovava fuori da quella finestra dal vetro sporco, in un tempo e in uno spazio passato: stavo rivivendo i momenti indimenticabili della mia Estate che però non starò qui ad elencare per non farvi annoiare. Semplicemente, in quel momento, viaggiavo. Viaggiavo ripercorrendo il mio passato, tornando con i piedi sulla chiara e pulita sabbia di una spiaggia non molto affollata, dove il mare, dall’acqua limpida e cristallina, si infrangeva dolcemente sugli scogli. Era lì dove avevo passato l’Estate più bella della mia vita, divertendomi dalla mattina alla sera, non pensando a nulla e non avendo alcuna preoccupazione per la testa. C’ero solo io, me stesso ed il mare: un posto dove potermi concentrare,stare in pace e in serenità.
Eppure, quei miei ricordi vennero turbati, quasi distrutti in mille pezzi dal suono potente della campanella che segnava la fine della seconda ora. Pensando all’Estate, le due ore di Irene volarono in un batter d’occhio e non ci feci neanche caso.
-Bene ragazzi, per rinfrescarvi le idee a casa farete un tema sulla filosofia del Carpe Diem che porterete per la prossima lezione così ne riparleremo approfonditamente in classe. Mi raccomando, studiate visto che le vacanze sono finite. – e fu così che, dopo aver fatto un lieve sorriso, la mia professoressa preferita prese la sua borsa ed uscì poi dalla classe aspettando il cambio con il prossimo professore che sarebbe stato Rocco, il professore “svitato” di Arte.
Finalmente, dopo ben cinque ore struggenti di lezioni, la campanella dell’una e dieci si fece sentire e dopo aver salutato frettolosamente Yoli e Julio, il mio miglior amico, del quale vi parlerò in seguito, uscì dalla classe diretto come un razzo verso l’uscita. Stavo aspettando infatti con molt’ ansia la fine delle lezioni per poter poi andar a casa dove, probabilmente, mi sarebbe aspettato l’immaginabile.
Riuscì a varcare quel maledetto cancello con molta difficoltà dando a volte degli spintoni, visto che il cortile si era trasformato letteralmente in una giungla difficile da oltrepassare: tutti in quel momento stavano aspettando il suono della campanella e infatti, appena suonata si diressero fuori come un grande e ronzante sciame d’api.
-Fa attenzione!- mi sentì urlare da un ragazzo alto e muscoloso che avevo involontariamente spinto per l’agitazione.
-Oh, scusa. Mi dispiace!- risposi alzando di poco il tono di voce sperando che mi avrebbe sentito da lontano e poi, superato l’angolo mi misi a correre per tutto il marciapiede sotto gli sguardi incuriositi della gente. Correvo talmente veloce che le persone che mi stavano guardando, avrebbero potuto pensare che fossi matto, o qualcosa del genere ma fortunatamente la mia casa si trovava a pochi metri dalla scuola così, dopo una corsetta di circa dieci minuti, arrivai davanti alla porta blindata della mia casa.
“ Dove diavolo sono? “ domandai tra me e me cercando, nello zaino, le chiavi della porta che sbucarono poi dalla tasca interiore dello zaino.
-Eccole!- esclamai tenendole in mano e cercando la chiave giusta nervosamente. Non potevo più aspettare altro tempo, l’ansia e l’agitazione di quel momento mi stavano corrodendo dentro.
Velocemente introdussi la chiave, la feci girare per ben due volte nella serratura della porta e finalmente entrai in casa. Tutto era silenzioso: evidentemente non c’era ancora nessuno in casa e i miei genitori si trovavano ancora a lavoro così, feci scivolare dalla mia spalla lo zaino che cadde dolcemente sul pavimento e poi mi diressi velocemente in cucina. Arrivato sulla soglia della porta mi guardai intorno socchiudendo gli occhi per poi far cadere l’attenzione su una piccola lettera che si trovava sul tavolino. Deglutii rumorosamente restando in piedi, davanti a quel tavolo di legno di ciliegio, senza accennare una mossa, con lo sguardo dritto e fermo su quella lettera; sembravo davvero un palo della luce. Mi decisi a fare un passo in avanti e poi un altro e un altro ancora fino a sfiorare con le mie dita la lettera che presi definitivamente in mano. La girai e la rigirai tra le mie mani molte volte anche se avevo già capito di cosa si trattava: era la risposta alla mia domanda per entrar a far parte di un famoso stage di canto nella fredda Inghilterra. Tutto sarebbe stato deciso e programmato da quella risposta che tanto avevo aspettato e ovviamente immaginato. Guardai la perfezione racchiusa in un semplice stemma blu stampato su quella busta. Questo era uno dei miei tanti sogni: amavo cantare, più di ogni altra cosa. La musica infatti era l’unica capace di farmi alzarmi su di morale anche solo con una singola strofa di una canzone. Solamente lei c’era a farmi compagnia durante i miei continui momenti bui e tristi, malinconici e nostalgici. Quando nessuno era al mio fianco, la musica diventava per me una migliore amica che non avrei mai abbandonato e che lei, dal suo canto, non avrebbe mai abbandonato me. Era l’unico modo per potermi sfogare, l’unico modo per poter volare anche se solo con l’immaginazione. Io e lei, la musica, eravamo come due fratelli, come due amici per la pelle e anche se lei non lo poteva sapere, mi aveva aiutato tante di quelle volte dove pensavo che non ci sarebbe stata più una via d’uscita e dove il tunnel della mia disperazione sarebbe continuato per chilometri e chilometri senza mai trovare una fessura o un raggio di luce, capace di riportarmi alla vita. Ecco cos’era per me la musica: la vita. Mi mordevo continuamente il labbro inferiore travolto dall’ansia e dall’agitazione, posavo e riprendevo continuamente quella lettera che ancora non avevo aperto, per la mia mancanza di coraggio, e non ero quindi a conoscenza dell’esito. Decisi poi di mettermi seduto su una delle quattro sedie posizionate intorno al tavolo e, dopo aver fatto un lungo sospiro per calmarmi, aprì molto lentamente la busta di quella lettera che avrebbe cambiato letteralmente la mia vita, o almeno, una piccola parte della mia vita.
L’avevo tra le mani che intanto tremavano come foglie scosse violentemente da un vento impertinente. Avrei dovuto aspettare i miei genitori o no? Avrei dovuto immediatamente leggere la lettera o no? Mille domande in quel momento, tempestavano la mia mente, molti dubbi si affollavano nella mia testa ma non potei fare altro che leggere e sapere finalmente quella risposta a lungo aspettata.

“Caro signor Redondo Ruano, siamo lieti di informarla che lei ha diritto a frequentare lo Stage intensivo di musica, della durata di due mesi (oppure una mese) presso laWoodleigh School di Malton, Inghilterra. Ci saranno corsi intensivi di musica classica, rock e pop e corso di inglese integrato. Lezioni di musica singole e di gruppo in lingua inglese con docenti madrelingua. Storia del Rock: analisi letteraria dei testi delle più famose canzoni Rock.  Storia della
musica dal 1960 ad oggi ed in più, studi per chitarra classica ed elettrica, pianoforte classico e moderno ( Keyboard ) , basso elettrico, batteria e percussioni.
Qui accluso troverà il biglietto di andata e ritorno pagato personalmente dalla scuola.I corsi avranno inizio il trenta Settembre. Restiamo in attesa della Sua risposta e non oltre il quindici Settembre. Egregi saluti.

                                                                                                                            Mr. Michel England”
Dovetti rileggere quella lettera per più di cinque volte per realizzare in ultimo che mi avevano accettato in quella scuola prestigiosa d’Inghilterra. Avevo completamente gli occhi lucidi per via di quella risposta che da moltissimo tempo avevo immaginato con la mia fantasia e che adesso era lì, proprio tra le mie mani. Subito due lacrime scesero dai miei occhi rigando le mie guance rossastre. Tirai su con il naso facendo attenzione a non macchiare la lettera con le mie stesse lacrime continuando a rileggere nella mia mente ogni singola parola scritta con inchiostro e calamaio: quella lettera era perfetta in tutta la sua semplicità.
Non potevo assolutamente risponder di no, non potevo assolutamente rifiutare e perdere quell’occasione che mi sarebbe capitata soltanto un’unica volta nella mia vita. Era un’occasione imperdibile, finalmente una svolta significativa alla mia vita..
Mi alzai dalla sedia e, avendo fermato le lacrime, con la lettera ancora tra le mani mi spostai verso la finestra della cucina guardando oltre il vetro ed immaginandomi già lì, in Inghilterra, in quella fredda e piovosa terra.
Solamente due parole, due semplici parole, fecero volatilizzare ogni dubbio, ogni domanda, ogni incertezza che avevo riguardo al viaggio: CARPE DIEM.
Anche se non avevo dato ascolto alla lezione della professoressa Irene sul Carpe Diem, io ne sapevo il significato: “Cogli il giorno” letteralmente, “Cogli l’attimo” tradotta normalmente. Dovevo infatti cogliere l’attimo, quell’attimo che sarebbe potuto fuggire da un momento all’altro. Dovevo prendere al volo quell’opportunità e non lasciarla scappare dalle mie mani perché purtroppo è vero, si vive una sola volta.
Sentì in quell’attimo la porta aprirsi di scatto e un freddo spiffero di vento accarezzarmi lievemente la nuca. Mi voltai velocemente stando in piedi contro la finestra sentendo poi il rumore di alcuni passi farsi sempre più pesanti e più vicini a me.
-Mamma? Papà? Siete tornati?- Chiesi inclinando la testa verso destra cercando di scorgere chi fosse e aspettando una probabile risposta.

  
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