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Autore: Annika Mitchell    06/01/2013    4 recensioni
Una storia d'amore, forse. Una storia che parla di chi resta e perde tutto, di un Jimmy che fugge lasciandosi alle spalle la vita di Meredith Adler, un'incauta fotografa che, per qualche strana legge cosmica, crede di essere davvero importante per gli sfuggenti occhi blu di un batterista, che in realtà è un pianista, un cantante, un filosofo, un fratello e una stella in picchiata libera.
La storia di una delle tante, che si è sentita l'unica tra le braccia dell'Imprescindibile.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Matt Bellamy, che disturba i miei sogni
sorseggiando del caffè con mio padre.



Era esilarante.
Il fatto che Zacky avesse due occhi ed una bocca, separati da un nasone enorme.
E che si trovasse in piedi, in un vespasiano, a guardarmi austero dall’alto del suo su-cesso.
«Syn, mettiti sdraiato di schiena, poi alza le gambe all’aria, tira su il culo, mantieni la posizione e fai la candela.» mi spiegò, mortalmente serio.
Feci come mi disse, o così mi parve, senza sapere neppure il perché delle mie azioni.
«Non ci siamo, sembri un’anguilla morente! Queste sono le basi per una rockstar che si rispetti, dovresti saperlo!».
Lo guardai, dal basso di quella posizione tutt’altro che comoda, probabilmente mi insaccai il collo, e dissi, o forse gridai, biascicando: «Solo per fartelo sapere… Solo per fartelo sapere, non si suona la chitarra con il collo, fratello. Si suona con il bum bum!»*


«Ricordo solo che poi mi ritrovai la macchina fotografica di Maddie davanti al naso, con una cazzo di lucina rossa lampeggiante che non riuscivo a smettere di fissare, e che la risata di Jimmy fu tanto forte da essermi risuonata nella testa fino a quando non ho smaltito la sbronza.» concluse di raccontare Syn, con quel sorrisetto strafottente che da sempre gli apparteneva, e per sempre gli sarebbe appartenuto.
«Io ricordo anche che Michelle venne a svegliarmi alle tre del mattino, sbraitandomi qualcosa come: “Brian sei venuto qui senza avvertirmi come hai potuto io no tu cioè ehi! Jason, blabla, Brian?! JASON DOV’E’ BRIAN CAZZO SVEGLIATI DOV’E’ QUESTA ME LA PAGANO TUTTI BLABLA!”.» disse Jason, storcendo il naso e producendo una vocina stridula, per imitare al meglio l’isteria della ragazza.
Si misero tutti a ridere di gusto, tranne la diretta interessata, che abbassò lo sguardo contrariata, e la gemella, che accennò un semplice sorriso. 
«So solo che vi avrei ammazzati tutti, giuro, se a Val non fosse venuta l’idea di far vedere quel video a tutti i fans, mettendolo nel dvd. Mi era sembrata una punizione più che sufficiente, così ho deciso di non infierire oltre sulle vostre infime vite.» aggiunse poi, facendo un occhiolino a Val, che rispose con un’espressione descrivibile come consapevolmente modesta.
«Io però non ho ancora capito una cosa.»
«Ci sono tante cose che non hai la possibilità di comprendere, Brian, ma non ti biasimo. Avessi io un quoziente intellettivo come il tuo, probabilmente non saprei nemmeno scrivere. Aspetta, tu sai scrivere, vero?» rispose repentina Gena, la quintessenza del sarcasmo. Zacky la abbracciò, cingendole i fianchi, come per chiarire all’intero cosmo che una donna così non poteva che appartenergli.
«Spiritosa.» le fece una smorfia il chitarrista, per poi continuare: «Perché nel dvd ci sono solo io, e Zacky, in piedi nel cesso, non è stato ripreso? È ingiusto.»
«Syn, non dare nulla per scontato. Ero nella tua stessa situazione, lo sai bene.» cominciò a raccontare Baker, con quell’espressione compiaciuta che nessuno riusciva mai a levargli dal volto, quando si trattava dei suoi monologhi interminabilmente noiosi.
«Devi sapere che io, al contrario tuo, non appena ho scoperto l’accaduto, mi sono fiondato da Val – e Matt può confermare – perché io sono sempre stato un ragazzo di sani principi, così come mia madre mi ha insegnato, perché sarò anche un po’ miscredente, ma giuro su Dio che da che mondo è mondo – e Gena può confermare – non permetto si muovano accuse infondate, soprattutto se … »
«Jimbo, per l’amore di Gesù Cristo, vieni a darmi una mano!» interruppi i racconti di Zacky, gridando dall’altra stanza, con del caffè steso sulla faccia come fosse fondotinta, e dei chicchi ancora da macinare sparsi per tutta la cucina.
«Ehi Rev, ti sta chiedendo una mano come solo tu sai fare, ma mi raccomando: mano per mano, come dice il detto.», io non potei vederlo in faccia mentre lo disse, siccome vi erano un corridoio spoglio e una camera da letto a separarci, ma so di per certo che gli fece l’occhiolino.
«Haner, non so se fai più schifo tu, o quelli che stanno ridendo per ciò che hai detto. Voglio sperare che stiano ridendo solo della tua stupidità. Mi faresti quasi pena, se non ti conoscessi davvero.» risposi alla sua battuta di cattivo gusto, affacciandomi alla porta del salotto col caffè sul naso, gli occhi verdi ricolmi di sfida mista a supplica, e un grembiule verde acido ricavato da un vecchio vestitino regalatomi da Michelle.
Lo sguardo supplichevole scomparve, non appena Jimmy rivolse un sorriso comprensivo e pacato al mio naso marrone ed al mio grembiule verde (che chiamai in seguito Rancid, sia per il colore imbarazzante, che per la canzone punk che mi balzò in mente in quel momento).
«Bimba.» cominciò a dire lui «Non puoi definire qualcuno come “stupido”, con del caffè sulla faccia, non credi?» concluse, con una voce così dolce da rendere ancora più palese la presa in giro.
«Ho chiesto aiuto, non pareri.» tergiversai io, dirigendomi nuovamente verso la cucina, consapevole che Jimmy mi stesse seguendo.
Per un attimo mi balenò in mente l’idea di fermarmi nella camera da letto lì vicino, e di fargli passare le pene dell’inferno – senza risparmiare quelle del purgatorio – desiderosa di appartenergli, in quell’istante, e di arrivare fino in paradiso, assieme a lui. Poi, gettando uno sguardo su Rancid, mi ricordai del vero motivo per cui avevo bisogno delle mani di un batterista – pseudo-pianista – che tutto sapevano maneggiare con appassionata, ma al contempo cauta, determinazione.
«Devo fare il caffè.» gli dissi rassegnata.
«E tu per fare il caffè fai scoppiare la terza guerra mondiale?!» mi chiese sconvolto, alla vista della caffettiera esplosa, del macina-caffè pieno fino all’orlo e della quantità esorbitante di caffè sparso ovunque, che avrebbe tenuto sveglio un intero esercito per almeno un mese; per non parlare degli aborti di biscotti disseminati ovunque, in teglie troppo piccole per contenerli.
«È che noi in Inghilterra il caffè non lo sappiamo fare.» mi giustificai, guardandomi i piedi.
«Nemmeno in Irlanda siamo capaci, per non parlare della California, ma è proprio per questo che esiste la tecnologia.» mi rispose, con ragionevole sicurezza nella voce.
«Ma poi perché ti saresti messa in testa di fare il caffè, se sono anni che lo prendiamo da Vincent?» aggiunse poi, alludendo alla caffetteria che stava a circa 20 km da Huntington Beach, ma dove andavamo tutti praticamente ogni giorno per fare rifornimento di energia: chi indaffarato con i preparativi per il tour, chi per suonare al meglio, chi per fotografare alle ore più improponibili, e chi, come Syn, per farsi fotografare al meglio mentre suonava alle luci dell’alba preparandosi per il tour.
«Arriva Bells dall’Italia.» gli sorrisi, semplicemente.

Berenice Shylock, amica di infanzia dai tempi in cui eravamo vicine di casa nella periferia di Londra, era diventata un’architetto noto in tutto il mondo, grazie al suo incommensurabile amore per l’arte italiana e alla sua dedizione nello studio. Un po’ megalomane, amava tingersi i capelli di rosso, collezionare vinili e andare ai concerti di tutti i generi; aveva una vera e propria passione per un certo Brunelleschi, da cui venne fuori il suo disgraziato soprannome. Successe, infatti, che un giorno lo chiamai Bellsky, per una di quelle strane circostanze che solo ad un’inglese possono capitare. Lei rise così tanto e così forte che presi a chiamarla così, per il puro gusto di indispettirla. Perdemmo le ultime due lettere per strada, chissà in che modo, e da quel momento in poi fu per tutti Bells.

«Ma chi, Campanellino?»
Per tutti, eccetto che per Jimmy.
«Sì, proprio lei. Non la vedo da due anni, dall’ultima volta che avete fatto tappa in Italia con il tour.» dissi, con gioia, ricordando i tempi passati.
«Ai tempi frequentavo ancora Milla, ti ricordi?»
« Come dimenticarsi.» sospirai, con una nota di gelosia nella voce. Ai tempi Jimmy frequentava me, una certa Emily Lawton del Texas, e mille altre groupies; l’unica che da sempre, e per sempre, si era meritata eterna fedeltà, non era che la sua batteria.
«Pulce.» mi appellò, baciandomi il naso sporco di caffè.
«Vai a prenderla in aeroporto e portati dietro Syn. Io metto a posto questo casino.» gli sorrisi prudente, dandogli un rapido bacio a fior di labbra.
«Non far girare troppo il cervellino.» concluse il discorso, prendendo la Canon dal mobile su cui l’avevo riposta, e stonandomi con il flash.

***
«Johnny Christ, Cristo.» mi rivolsi al piccoletto che, con il panno per la polvere in mano, si era incantato a guardare il calendario di donne nude che stava lì appeso dall’anno precedente.
«Muovi il culo e portami quella roba.» aggiunsi, con tono autoritario. Tutte le donnine allegre finirono tristemente nel tritarifiuti.
«Signora Adler, signora, se mi è concesso…»
«Ti è concesso, Baker. Che vuoi, di grazia?»
«Perché diavolo non ci hai detto prima che stava per arrivare Bells?!» mi domandò, chino a lustrare il pavimento.
«Doveva essere una sorpresa per tutti voi. Ma poi mi sono resa conto che da sola non ce l’avrei mai fatta.» gli sorrisi sorniona. Poi, mi rabbuiai all’improvviso.
«Jason che cazzo stai facendo a quei vetri? Non vedi che così lasci gli aloni?! Dio santo.» mi diressi verso il malcapitato, con un’espressione truce sul volto.
«Signora Adler, signora
«Cosa diamine vuoi, Shadows.»
«Mi chiedevo, no: ma da che parte devo metterlo quest’affare?» mi domandò, riferendosi alla vaporetto che aveva in mano, che sapevamo fosse un elettrodomestico solo perché era scritto nello scatolone in cui l’avevamo trovata.
«Che ne so. Chiedi a Val.» risposi esasperata.
«Ne so quanto voi.» dichiarò la ragazza, intenta a ritagliare della stoffa rossa.
Sbuffai indispettita.
«Qualcuno di voi sa niente di vaporetto?» dissi una prima volta, e gridai una seconda, per sovrastare il rumore della macchina da cucire di Gena e dell’aspirapolvere di Michelle.
Nessuna risposta.
«Vorrà dire che faremo a meno della vaporetto. Matt, vieni qui.» chiamai il ragazzo.
«Tu gonfia i palloncini, io mi occupo di fare in modo che stiano assieme come devono stare.»
«Sissignora.» assentì lui, portandosi la mano destra alla fronte, in un noto segno militare.
«Johnny, non sei buono a pulire, dai una mano a Val e Gena a unire le stoffe. Jason, molla tutto, controlla che non sia rimasto del caffè in giro, tira fuori la torta dal frigo e scrivici sopra qualcosa di carino; non chiedermi cosa, fai tu.» impartii le mansioni, sperando che l’aereo fosse in ritardo, dati i minuti contati che ci restavano.
«Zacky.» dissi.
«ZACHARY JAMES BAKER.» urlai.
«Sì padrona?» ghignò lui di rimando.
«Fai poco lo spiritoso. Vai di sopra con Michelle a preparare il letto per Bells. Ammazza eventuali ragni: è peggio di Jimmy in quanto aracnofobia. E i poster… Vabbe’ senti, lasciali, Frank Zappa piace anche a lei.» elencai, con le mani sui fianchi.
«Ma perché, dorme da Jimmy?» mi chiese sommessa Michelle, alzando il sopracciglio destro, gesto che riuscivano a sopportare solo Brian e, forse, sua madre.
«Sì. Non mi va di farle conoscere mia zia, pazza com’è. Da quando sono morti i miei, la famiglia, con lei, è diventata tabù. Preferisco non si crei imbarazzo tra noi, perciò staremo entrambe da Rev, per evitare il discorso.» spiegai, un po’ cupa.
«Ma scusa, non è la tua migliore amica?» mi domandò accigliato Zacky.
«E con ciò?»
«Se i ragazzi mi nascondessero ciò che davvero li turba, da migliore amico, mi incazzerei. E non poco.» mi rimbeccò saggiamente.
«Bene, grazie per la pedagogia, ora va’ a fare ciò che ti ho chiesto.» tagliai corto, chiudendo il discorso sul nascere.
«Che hai da guardare, Shadz? Torna ai tuoi palloncini.» ammonii il cantante.
Procedeva tutto a meraviglia.

***
«Campanellino, dovresti collaborare con noi. Screami meglio di Alissa White-Gluz.»
«Non sono troppo famosi i The Agonist. Io, personalmente, apprezzo più che altro i capelli di Alissa. Mi piace il blu cobalto.» spiegò la voce cristallina della mia migliore amica, che proveniva dall’ingresso. Aggiunse poi: «E comunque io canto in Chiesa, non posso screamare per una band di satanisti.».
Sentimmo la risata inconfondibile di Jimmy risuonare per tutta la casa.
«Johnny, spegni la luce.» sussurrai.
Il bassista fece come gli dissi, e Jason accese la candela sulla torta. Riuscì a non rovinare la scritta di smarties che diceva “Welcome back, Bells.”.
Gena accese lo stereo e fece partire Dust in the Wind dei Kansas. Era la nostra canzone, per motivi sentimentali e commuoventi, che riguardavano un educazione impartita da padri fissati con il rock e da madri che sognavano di fare le groupies.
Ci zittimmo tutti, in uno di quei silenzi che non spaventano, perché non sono sordi, ma semplicemente il modo esatto ed inequivocabile di esprimere la meraviglia. Quelle volte in cui è tutto così carico, di per sé, di una sorta di magia che solo l’emozione dell’attesa è in grado di creare, in cui né le parole né i gesti hanno alcun significato.
«Cosa cazzo fanno, giocano a nascondino?».
Synyster ha sempre avuto qualche problema a discernere i momenti meno opportuni dalle boiate che gli escono dalla bocca.
Jimmy fu il primo a mettere piede in soggiorno. Accese la luce e sorrise.
«Bentornata nella nostra piccola famiglia di satanisti, Bells!» esclamò Johnny, sorridendo.
«Ciao pel di carota!» disse Zacky, soffocando il suo metro e sessanta in un abbraccio spaccaossa.
«Ehi Bells, come andiamo?» fece cenno con la testa Jason.
«Berenice Shylock, ho sentito molto parlare di te.» cominciò a dire Gena, facendo un occhiolino verso la mia direzione, per poi continuare: «Io sono Gena, tanto piacere.». Si strinsero la mano.
«Ciao Bells, sempre bellissima.» le sorrise cordiale Val, ricordando i vecchi tempi. «Questa è mia sorella, Michelle.» aggiunse.
«Ciao piccoletta. Non cresci mai, eh?» le arruffò i capelli Matt, con un’espressione quasi paterna.
La mia migliore amica zittì tutti, con un gesto, per volgere lo sguardo attorno a sè. La sua espressione un po’ accigliata alla vista della torta, a cui rivolse un sorriso riconoscente, divenne meravigliata non appena spostò lo sguardo in alto, ad un grande drappo verde bianco e rosso appeso al soffitto, a cui erano attaccati un’infinità di palloncini bianchi, da cui pendevano tanti bigliettini scritti con l’aggraziata scrittura di Valary.
«Sono bigliettini di citazioni. Ne troverai tante tue.» chiarii, data la sua espressione incredula.
«Tu.» disse solo.
Io non dissi niente.
Ci guardammo negli occhi, in uno di quegli attimi che sembrano sempre durare un’eternità, per quella strana circostanza della vita che vede la realtà collidere con la sola immaginazione di un bel momento, con l’unica differenza che solamente nella realtà esiste la bellezza del vero, dove tutto è tangibile e non finisce per dissolversi in una flebile idea.
«Mitch.».
«Bells.».
Poi ci abbracciammo. In uno di quegli abbracci che hanno l’odore del viaggio, a causa dell’infinità di tempo che ci eravamo perse di noi, e della moltitudine di storie che avevamo entrambe addosso, pronte ad essere raccontate.
«Giuro solennemente…?» cominciai.
«Di non avere buone intenzioni.» concluse sorridente.
Ci ricordammo dell’esistenza degli altri, che ci guardavano straniti, felici e ignari, solo quando Synyster disse: «Ma perché Mitch?».
Tutti ci guardarono, con uno sguardo che esprimeva un tacito consenso alla domanda posta da Brian.
«Dovete tutti sapere che Meredith è stata segretamente innamorata di Mitchell Lucker.» dichiarò senza pudore Bells.
Arrossii.
«Ma chi, il cantante dei Suicide Silence?» domandò Matt.
«Proprio lui.».
«Ti piacciono i musicisti secchi, alti e tatuati, eh?» mi fece l’occhiolino Zacky.
«Infatti Baker, tu non corri rischi.» lo rassicurai, con uno dei sorrisi più sornioni che potessi fare.
«Lo conosco, se vuoi te lo presento.» disse Jimmy, posandomi una mano sulla spalla.
«Oh smettetela, è stato una vita fa, ancora non faceva parte di nessuna band.» soffiai imbarazzata.
«Non ci sarebbe niente di male. È un bel tipo, anche caratterialmente.» mi sorrise comprensiva Val.

«Cambiando discorso, visto che credo di aver combinato un guaio rivelandovi questo piccolo segreto innocente, volevo ringraziarvi. Tutti, dal primo all’ultimo. Ringrazio le vostre povere fidanzate, che vi sopportano Dio solo sa come, e lo dico non perché siete voi, ma perché siete più che altro musicisti, e sappiamo tutti cosa intendo dire.» iniziò la mia migliore amica, zittendoci. «Ringrazio la mia migliore amica, che mi è mancata neanche potete immaginare quanto; e infine ringrazio tutti voi ragazzi, la miglior band di satanisti mangiabambini dal nome biblico che la storia abbia mai visto.» concluse, scendendo dalla sedia sulla quale era salita per rendersi più visibile.
«Siamo canaglie matricolate, tutti quanti. Non devi credere a nessuno di noi.» citò saggiamente Zacky.
«Ma noi non siamo satanisti, io sono cattolico.» affermò con un broncio offeso Shadows.
Scoppiammo tutti a ridere di gusto, chi per l’affermazione che fece, chi per la faccia che aveva e chi per Jimmy che stampò a Johnny la torta in piena faccia. Cominciarono a rincorrersi, come facevano praticamente ogni giorno, e infine li perdemmo di vista.
«Ragazzi, non ho finito!» aggiunse Bells portandosi una mano alla fronte, come per ammonirsi di aver dimenticato una cosa estremamente importante.
«Dicci.» disse Jason un po’ dispiaciuto, riponendo nuovamente lo spumante sul tavolo.
«Andremo ad un concerto.» sorrise smagliante.
«Chi vuole venire, ovviamente.» concluse.
«Un concerto di chi? Noi siamo star, li facciamo i concerti.» disse Syn con aria snob, prima di prendersi una gomitata nel costato da Val.
«Dream Theater.».
Al ché, Dio solo sa come, Jimmy ricomparve, in tutto il suo metro e novantatre, e sorrise raggiante, come un bambino che ha appena ritrovato il suo giocattolo preferito.
«Scherzi?» chiese, quando ebbe rielaborato il tutto.
«Io scherzo molto poco, e non scherzo mai quando si parla di concerti.» affermò la mia migliore amica.
«Gesù Cristo. Ma dici seriamente? Santo cielo, non posso, cioè, sì però non lo so, mi conoscete, rischierei di avere una crisi di panico, sono grande e grosso ma ho il cuore delicato, tutta quella gente, poi non so, oddio santo, ma Mike Portnoy, Campanellino ma sei sicura, poi se ci riconoscono, magari, sai, insomma…» venne zittito Jimmy da un colpo dietro la testa piazzatogli da Brian.
«Ho dovuto, amico.» si scusò.
«Grazie.» riprese fiato Jimmy.
«Allora è fatta?» concluse Berenice splendente.

Era fatta. Chi, non saprei dirvelo, ma cosa invece... Be’, qualcosa di spettacolare, qualcosa che solo una pazza megalomane come la mia migliore amica avrebbe potuto organizzare, in una di quelle città che sono affascinanti solo a sentirle nominare, con lo sfondo di migliaia di persone unite per la stessa musica: un concerto di progressive metal a Los Angeles con tanto di after party incluso a cui avrebbe partecipato una band abbastanza famosa, ma comunque riconoscibilissima, come gli Avenged Sevenfold.
Nulla sarebbe potuto andare storto.





* “You don't play guitar with your neckbro, you play it with your bum bum.” cit.


Note a pié pagina:
Non mi ero dimenticata di questa storia, semplicemente sono una tipa scostante e un po’ troppo incoerente. Ma insomma, eccoci di nuovo qui.
Chiedo scusa a quel pazzo che ci teneva davvero a leggere il continuo per l’imperdonabile ritardo. Insomma, sono passati giusto sei mesi dall’ultimo capitolo, ecco.
Per farmi perdonare, al primo che recensisce regalo, udite udite… Uno straccio di risposta!
Sono simpaticissima, lo so.
Nulla, concludo col dirvi che comunque ho scelto il momento sbagliato, in sei mesi, per scrivere questo capitolo, perché non ho più un pc e mi sono dovuta arrangiare con quello di mio zio.
Un saluto a chi segue queste canaglie.

Ann.
PS: Avevo intenzione di pubblicare il capitolo il 28/12, perché vi ricordaste che i morti non si ricordano piangendo, ma sorridendo proprio per come erano in vita.


Come accade spesso ci misero un po' a ricordarsi che, quando muore qualcuno, agli altri spetta di vivere anche per lui.” A. Baricco.
   
 
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