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Autore: DeiDeiDei    07/01/2013    0 recensioni
[http://en.wikipedia.org/wiki/Motorcity]
-Chuckles?-
-S…sì?
-Lascia che ti dia una mano.-
Android!Chuck AU (Cyborg!Cuck)
preslash Chuck/Mike (Muck)
Genere: Angst, Fluff, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Welcome to the Cyborg Street


 
 
 
 
 
 
 
 
 
E vaffanculo a Detroit, ai cyborg, a Kane ed alle persone in generale.
 
Vaffanculo anche a Motorcity e agli psicolabili geneticamente modificati che ne abitavano i sobborghi e che, puntualmente, attentavano alla vita sua e dei suoi Burners, nemmeno avessero un bersaglio multicolore appiccicato sulla schiena o un’immensa freccia a neon intermittenti che puntasse sulle loro teste con scritto “Hei, guardami, sono uno dei Burners! Combatto Kane e cerco di salvare la tua città, ma, tranquillo, sparami pure laser e sostanze corrosive di ogni tipo: amo chi cerca di farmi fuori!”.
 
Mike li odiava, li odiava tutti. Ok, forse non odiava Chuck, Julie, Dutch, Jacob e Texas (forse Texas un poco sì), ma odiava comunque la stragrande maggioranza degli abitanti della terra. E sentiva il suo odio crescere a dismisura ed espandersi come una spugna per lavare i piatti quando qualche pazzo se la prendeva con loro senza che avessero nessuna colpa. In quel momento, per esempio, sembrava essere il turno delle Amazzoni nel grande gioco “insegui e disintegra Mike Chilton e combricola ignorando totalmente qualsiasi cosa sia sulla tua strada e finendo di conseguenza per distruggere come un cretino metà della stramaledettissima città della quale dichiari essere protettore e, soprattutto, in un’infinita successione di eventi evidentemente dettati dalla giustizia divina e dalla tua infinita stupidità, il tuo territorio”. Bhè, nessuno in più di un anno era mai riuscito a completare il gioco, se non nella seconda parte, ovviamente. Perciò i Burners non si davano troppi pensieri e se ne stavano semplicemente sul chi vive, pronti a reagire a qualsiasi provocazione e, soprattutto, sfuggire ad un qualsiasi attacco terroristico grazie alla loro innaturale guida capace di sconfiggere qualsivoglia legge fisica. Cosa che veniva loro piuttosto bene.
 
Le Amazzoni erano sempre state un’osso duro e, in tutto quel tempo, non avevano mai (ma proprio mai) mostrato nemmeno una volta un filino di simpatia per i cinque difensori di Motorcity. Non che uno qualsiasi degli altri reggenti della città si fosse comportato in modo molto diverso: basti ricordare quel misantropo del Duca ed il suo piano, straordinariamente riuscito considerando il suo praticamente nullo quoziente intellettivo, per vendere Mike a Kane. Ma quelle donne in tutina aderente erano piuttosto accanite, soprattutto negli ultimi tempi. Avevano bofonchiato qualcosa riguardo all’aver oltrepassato la linea di confine del loro territorio. Come se non lo avessero mai fatto prima. Ma evidentemente quella volta avevano beccato proprio l’ora nella quale nessuna delle pazze formose si stava facendo la pedicure e, di conseguenza, avevano tutte deciso di saltare loro addosso come una branco di leonesse isteriche in pausa pranzo.
 
Mike grugnì quando l’ennesimo raggio laser graffiò la fiancata della sua adorata macchina e Mutt ruggì di rimando al sentire il suo piede pigiare sull’accelleratore con più decisione. L’unico altro suono nell’abitacolo, se non si consideravano i rimbombi degli spari e delle piccole esplosioni attorno a loro e lungo la strada che avevano appena percorso, era l’urlo isterico di Chuck. O, meglio, le urla, perché di certo quella successione di versi assurdi non poteva essere considerato un singolo grido. Chuck strillava, gemeva, strozzava le urla con mormorii sommessi e singulti terrorizzati, mugulava la propria preoccupazione e a volte arrivava persino a tramutare i singhiozzi umidi in veri e propri pianti o preghiere perché il pilota gli desse salva la vita.
 
-Oh…o…ah! OH MIO…AHHHHHH! OH MIO DIO MIKEY RALLENTA FINIRAI PER…AGH! CI AMMAZZI OSSIGNORE TROPPO FORTE TROPPO FORTE VAI TROPPO F…WAAARGH! FERMATI! SEI PAAAAZZO PAZZO PAZZO SADICO RALLENTA VUOI CCIDERCI LO SO CHE LO VUOI MIO DIO MIKEY TI PREGO IO NO…UHO! AHH!-
 
Perlomeno le sue grida tenevano concentrato Mike e, ammettiamolo, lo divertivano. L’avevano sempre divertito, fin dal primo giorno. Per quanto gli altri  non sopportassero avere le orecchie  incessantemente martoriate dalle urla  assurde del biondo, a lui era ormai diventata una cosa familiare e gli faceva piacere sentirle. Quando Chuck non era in macchina con lui, era un po’ come se una parte dell’insieme mancasse. Amava soprattutto quando strillava in quel modo assurdamente poco virile, come se gli stesse cadendo addosso tutta Deluxe o se il Duca lo avesse appena abbracciato da dietro soffiandogli nell’orecchio. Era esilarante e, in un certo senso, rilassante: più Chuck urlava, più Mike si sentiva di stare seriamente correndo, di stare volando. Ok, certo, era una motivazione piuttosto egoista e, ad un orecchio disattento, poteva sembrare anche sadismo o, che ne so, qualche strana mania per sentire urlare le altre persone, ma era abbastanza sicuro di non essere un ragazzo di quel genere.
 
Perciò quando Foxy lo tamponò con la sua vettura, facendo stridere le gomme di Mutt e piangere il metallo della sua parte posteriore, capì subito che quel volo non sarebbe andato propriamente a buon fine (per quanto a buon fine si potesse considerare le sue solite allegre scampagnate dalle quali ritornava sempre con l’auto disintegrata) e lo capì dal sentire Chuck trattenere di colpo il respiro, spingendo a forza ogni urlo ed ogni singulto nella gola. Capì che quello non era il suo solito terrore da ragazzino fifone, capì che quello era panico puro.
 
Guardò davanti a se, dove prima c’era stata solo nebbia rossastra che si spandeva nel vuoto della voragine, e vide quello che Chuck, grazie ai sensori piazzati in tutta Motorcity che aveva hackerato mesi prima, doveva avere già individuato. Si rese conto che non stavano semplicemente precipitando, ma che lo stavano facendo su di una distesa di rocce irregolari e frastagliate dall’aspetto tutt’altro che morbido o sicuro. Ok, forse il panico non era eccessivo e, forse, stava iniziando ad esserne assalito anche lui, un po’. Giusto abbastanza perché le sue mani si stringessero sul volante con tutta la forza che aveva in corpo e gli occhi gli si chiudessero appena prima dell’impatto. L’ultima cosa che vide fù la nebbiolina rossastra  che li avvolgeva scansarsi e fare spazio, in modo che loro potessero puntare dritto dritto contro ad uno degli spunzoni al centro della vallata buia. Poi uno schianto, uno violento e sinistro, col rumore di lamiere che si accartocciavano su di loro e un piccolo urlo strozzato del suo passeggero.
 
 
***
 
 
Quando riaprì gli occhi si rese conto piuttosto in fretta di non essere in camera sua.
 
Primo: la sua adorata stanzetta sopra al locale malandato di Jacob era luminosa. Sempre. Aveva fatto costruire un impianto di luci autoalimentate (hei, ci teneva all’ambiente biointossicato radioattivo di Motorcity, lui!) a Dutch, in modo che , nella alquanto assurda e pertanto alta possibilità che qualcuno decidesse di attentare alla sua vita di diciassettenne iperpompato nel cuore dell’eterna notte della cittadina di sotto, perlomeno avrebbe potuto vedere chi, precisamente, sarebbe stato il suo assassino, o il sicario mandato ad assassinarlo, o la bambina che il sicario avrebbe pagato per andare a soffocarlo con un cuscino perché reputava troppo semplice il suo incarico. Lì, invece, era tutto buio, anche dopo aver aperto gli occhi. L’unica fonte di luce sembrava provenire da troppo in alto ed era comunque schermata da uno strato rosso e semidenso che, francamente, non aveva alcuna voglia di scoprire cosa fosse.
 
Secondo: era abbastanza certo di non avere nulla di troppo infiammabile in camera e, anche se lo avesse avuto, era certo che si sarebbe ricordato di avergli dato fuoco. Sapeva di non essere propriamente un genio, ma fino a quelle basi fondamentali ci arrivava persino lui. Eppure al naso gli arrivava distintamente un chiaro odore di bruciato, come di plastica e vernice sciolte dal calore, e l’odore di benzina libera dalle sue taniche.
 
Terzo: l’ultima volta che si se l’era fatta addosso aveva tre anni, perciò era chiaramente impossibile che il liquido caldo che gli appiccicava le gambe e gli scivolava  sull’interno coscia fosse qualcosa di scappato a lui. O, perlomeno, se lo augurava con tutto se stesso, se no gli sarebbe toccato spararsi in testa da solo.
 
Costrinse le palpebre a rimanere ben aperte e si concentrò, accertandosi che, no, non era in camera sua e che la luce era rossa perché filtrata attraverso una strana nebbiolina che aleggiava a poco più di un metro dal suolo, il quale, a sua volta, si presentava parecchio strano, visto che Mike si ritrovò circondato da pareti di roccia più o meno sottili alte perlomeno tre metri. Con suo sommo orrore si accorse che una di queste pareti si conficcava, per una sessantina di centimetri buoni, nel cofano di Mutt. Mike si maledisse, cercando di individuare altre parti dell’auto danneggiata e si costrinse a chiudere gli occhi quando, guardando alla propria destra, si accorse della totale assenza di un quarto dell’abitacolo. La sua macchina. La sua povera macchina era stata dilaniata ed affettata, nemmeno si trattasse di una torta gelato particolarmente morbida. Face per alzarsi, ma la cintura di sicurezza lo ritirò al suo posto dopo solo qualche centimetro, perciò portò le mani all’aggancio di questa ed incontrò qualcosa di appiccicoso. Non avrebbe voluto guardare in basso, davvero, avrebbe dato qualsiasi cosa per non farlo, ma purtroppo aveva dovuto mettersi d’impegno ed abbassare lo sguardo su quello che, con un secondo brivido lungo la schiena, riconobbe come un bello strato di sangue che ricopriva buona parte del suo fianco destro e del bacino, colando giù per le gambe.
 
Ok, mistero del caldo liquido misterioso risolto. 
 
Trattenne una smorfia e sganciò la cintura di sicurezza, quindi scostò la giacca e la maglietta, esponendo tre graffi lunghi che gli percorrevano irregolari il ventre, leggermente sulla destra. Niente di troppo grave, per i suoi standard. Ma nemmeno niente di piacevole alla vista, anche se non sembrava fargli troppo male: le ferite erano pulite e non troppo profonde ed il sangue sui sedili sembrava più di quello realmente perso. Tirò un sospirò di sollievo. Probabilmente Chuck al posto suo avrebbe urlato implorando il cielo di salvarlo.
 
Si raggelò, immobilizzandosi e sgranando gli occhi.
 
-Chuck…-
 
Guardò accanto a se, ma del biondo non c’era nessuna traccia. C’era però del sangue anche sul suo seggiolino e sul parabrezza sfondato. Con orrore si rese conto che metà dello spazio che solitamente occupava Chuck era stato tranciato via nell’atterraggio contro la roccia. Per un attimo gli venne da vomitare, pensando al suo migliore amico squarciato in due da quella lama naturale, ma poi si costrinse a ragionare: se Chuck fosse stato affettato, il corpo (o qualsiasi nome si voglia dare ad un cadavere aperto a metà) sarebbe rimasto lì, in bella mostra, pronto a fargli rigettare tutta la colazione di quella mattina. Perciò, a rigor di logica (non che di logica ce ne fosse seriamente, a Motorcity), il suo programmatore di fiducia doveva essere finito da qualche altra parte, spinto dall’impatto. Guardò per un’ultima volta il parabrezza in mille pezzi ed uscì dall’auto.
 
-Chuck!-
 
La portiera di Mutt aveva fatto un rumore orribile e c’era mancato poco che non si staccasse, quindi pensò fosse meglio allontanarsi subito dalla sua amata macchina da corsa, se non voleva essere inglobato da un qualche crollo di lamiere e tubature disassate.
 
-CHUCK!-
 
Incominciò ad avanzare tra le rocce appuntite, sperando con tutto se stesso che il compagno stesse bene ed augurandosi vivamente di non ritrovarlo spiaccicato contro una qualche parete od infilzato su di uno spuntone. Non solo sarebbe stato spiacevole, ma non era sicuro di poter reggere psicologicamente la morte di uno dei suoi cinque soli amici in tutta la stramaledettissima Motorcity. Quella di Chuck meno di quella di chiunque altro, dopotutto tutti sapevano quanto loro due fossero legati.
 
-CHUCKLES DOVE SEI?-
 
Ma per quanto sapesse che il biondo aveva una pellaccia bella dura ed una fortuna sfacciata (basti pensare alla sua straordinaria gara contro il Duca quando, senza avere la minima idea di come si guidasse, era riuscito per grazia divina e puro, semplice culo a salvarsi le penne ed arrivare indenne alla fine del percorso pieno di trappole preparato appositamente per la gara), Mike non poté fare a meno di farsi prendere sempre più dal panico quando, dopo aver percorso una quindicina di metri, non aveva ancora individuato l’altro e no aveva ottenuto alcuna risposta.
 
-Maledizione, Chuck… CHUCK! CHUCKLES!-
 
Improvvisamente gli si parò davanti agli occhi un Holo-screen verde smeraldo. Immediatamente arretrò intimorito, pensando potesse essere un qualche tranello. Poi si accorse che rappresentava una mappa sommaria del burrone e che, fra quelle che dovevano essere le creste rocciose, rappresentate con strisce intricate di verdi differenti, un puntino blu lampeggiava insistentemente. Blu: il colore di Chuck!
 
-Arrivo! Mi senti?  STO ARRIVANDO!- 
 
Annunciò facendosi quindi prendere dalla fretta di ritrovare il biondo e lasciando che la mappa gli aleggiasse accanto, segnalandoli quando cambiare direzione e quando oltrepassare una bassa cresta affilata.
 
-Oh, signore, eccoti!-
 
Chuck era seduto contro una parete rocciosa, con la testa abbassata in grembo e le spalle cascanti, ma, indiscutibilmente, respirava.  Mike tirò un sospiro di sollievo quando il ragazzo alzò lo sguardo, scoperto per via dei capelli scompigliati, ed incontrò il suo. Si sorrisero e l’ex militare andò ad inginocchiarsi accanto a lui, in modo da controllare in quali condizioni fosse. Chuck sembrava piuttosto tranquillo, anche se la schiena gli tremava un po’, ma dopotutto non poteva certamente aspettarsi completo sangue freddo da un ragazzo terrorizzato persino dall’arrivo di Texas accanto a se. Era ricoperto di ferite. Piccole e leggere, ma comunque ferite. Ne aveva su tutte le braccia e sul busto, sulle gambe e, soprattutto, in viso, dove compariva anche quella che era forse l’unica vera fonte den sangue sul suo seggiolino: una lunga apertura rossa sulla tempia destra, come se fosse stata tolta della pelle. Mike cercò di non fare una smorfia, pensando che, considerate le condizioni dell’auto, forse era stata davvero tagliata via parte della fronte del programmatore.
 
L’unica altra ferita degna di nota era il braccio sinistro del ragazzo, piegato in una posizione tutt’altro che naturale, ma Chuck aveva molto semplicemente chiesto a Mike di strappargli parte della manica e l’aveva successivamente usata per legarsi l’arto al collo, in modo che non gli fosse d’impedimento mentre con la mano sana faceva comparire un altro holo-screen ed iniziava a digitare.
 
-Sicuro di farcela Chuckles? Se preferisci posso arrampicarmi fin su e andare a cercare aiuto a piedi.-
 
-Non fare l’irresponsabile: sei ferito.-
 
-Non sono così tanto ferito, posso farcela tranquillamente. Ho fatto cose molto più impegnative in condizioni di molto peggiori.-
 
-Bhè, questo non mi convince di certo a lasciarti scalare la parete di un burrone e camminare per kilometri alla ricerca di qualche viso amico quando posso tranquillamente programmare un nuovo sistema di comunicazione e mettermi in contatto con Dutch o Julie senza rischiare che ti rompa qualcosa.-
 
-Hei, sei tu quello con le ossa rotte qui!-
 
-Ecco, facciamo in modo che io rimanga il solo, ok?-
 
-Ma…-
 
-Perfavore, Mikey. Potresti farlo? Potresti rimanertene buono e tranquillo per una volta, per me?-
 
Mike si lasciò ricadere seduto a terra, accanto a lui, e rimase a guardarlo per i successivi quaranta minuti mentre sviluppava da zero un completo programma fino a metterli in comunicazione con l’officina. Solitamente ci avrebbe messo molto meno, ma lavorare con una mano doveva essere davvero un handicap pesante per un programmatore abituato a picchiettare su tasti olografici tutto il giorno. 
 
Riuscirono a mettersi in contatto con Julie, che assicurò loro di aver ricevuto la mappa di Chuck e di stare partendo esattamente in quel momento per andarli a recuperare.
 
Il biondo sbuffò, tremando ancora un poco, ed abbandonò la schiena contro la parete rocciosa. Aveva di nuovo gli occhi coperti dai capelli, ma Mike sapeva che li stava tenendo chiusi, nel tentativo di calmarsi e di mantenere il controllo. Sapeva che ormai stava per finire l’adrenalina in corpo a tutti e due e che, a quel punto, Chuck avrebbe probabilmente dato di matto, cadendo nel panico ed iniziando ad urlare per chiedere aiuto o a piagnucolare per il dolore. E sapeva anche che lui voleva resistere a tutto ciò, se possibile, e che si stava impegnando con tutto se stesso. Perciò gli allacciò un braccio attorno alle spalle e si distese a sua volta, sincronizzando il respiro affaticato e sofferente con quello del compagno ed attendendo i soccorsi.
 
 
***
 
 
Julie li aveva riportati a casa grazie all’aiuto di una carrucola costruita sul momento da Jacob e li aveva smollati nel garage, dove tutti si erano avvicinati loro, occhieggiandoli e rigirandoseli tra le mani per controllare fossero davvero loro e fossero davvero vivi. Vedendoli feriti, Dutch aveva subito proposto di dare un’occhiata ai tagli e ricucirli in un qualche modo e così aveva fatto, ma quando si era arrivati al braccio rotto di Chuck, il ragazzo non aveva voluto che lo toccassero. Si era opposto con una fermezza quasi non sua e, visto il loro continuo insistere, aveva finito con l’alzarsi ed andarsene dalla stanza, ritirandosi nella sua camera. 
 
Mike, ovviamente, l’aveva seguito (perché se no che bravo cagnolino militare sarebbe stato, se non fosse rimasto testardamente legato alle proprie convinzioni?). aveva bussato alla sua porta appena qualche secondo dopo che Chuck l’aveva chiusa dietro di se ed aveva aspettato una decina di secondi nel silenzio più completo prima che il proprietario della stanza sbuffasse sonoramente e si decidesse ad alzarsi dal letto ed andargli ad aprire: per quanto cercasse di fare il duro e rimanersene chiuso lì dentro, se Mike bussava e chiedeva di entrare, non riusciva a resistere più di quindici minuti, prima di darsi per vinto. Non lo aveva lasciato entrare, ma sie era fermato a parlare con lui sulla soglia della porta metallica. E il pilota aveva cercato in ogni modo di convincerlo a farsi medicare il braccio, ma lui non aveva ceduto. Aveva continuato a dire che ci avrebbe pensato lui da solo, a quella frattura e, all’insistenza del compagno, aveva dichiarato esasperato che il giorno dopo sarebbe andato da una donna che era solita mettergli a posto problemi come quelli alla perfezione.
 
-Una donna?-
 
-Sì, una donna.-
 
-Un medico?-
 
-Diiiiciamo di sì…-
 
Non era affatto convinto. Chi diavolo era questa dottoressa così formidabile da essere preferita al resto di loro da Chuck? Perché non ne aveva mai sentito parlare? Possibile che il biondo avesse altri segreti (anche dopo quello magistralmente nascosto del LARP?)?
 
-E chi sarebbe questa donna?-
 
-Una vecchia conoscente… e, insomma, Mike, che ti prende? Non guardarmi con gli occhi assottigliati, non vedo cosa ci sia di male a preferire che sia un medico a metterti le mani addosso quando sei ferito.-
 
C’era qualcosa che non lo faceva essere in pace con quella decisione del programmatore. Qualcosa di strano e, per l’ennesima maledettissima volta, misterioso legato a Chuck. E il che non gli piaceva affatto. Non voleva che il suo migliore amico gli tenesse dei segreti, tanto meno se cercava di coprirli con giustificazioni talmente poco convincenti. Sbirciò dietro le spalle del biondo, ma non intravide nulla di strano o di inusuale. Quindi osservò il suo braccio, bloccato al collo dalla nuova benda che si era preso poco prima dalla cassetta del pronto intervento. Poi scrutò il viso di Chuck, insicuro e, quasi, preoccupato. Ma perché doveva esserlo, poi?
 
-Va bene, vengo con te.-
 
-Cosa? No!-
 
-Se non ti vuoi fare curare da noi, almeno lasciami venire con te.-
 
-No! Non se ne parla! Ci vado da solo.-
 
-Chuckles, non fare il misterioso, non ti riesce e sai che non mi piace.-
 
-No, davvero, Mike, voglio andarci da solo. Non… non voglio che nessuno di voi venga con me o, bhè, assista e..-
 
-Cosa mi stai nascondendo?-
 
-Niente! Ti assicuro che…-
 
-E allora domani vengo con te.-
 
Mike girò sui tacchi e percorse il corridoio più in fretta possibile, in modo da non lasciare al biondo nessuna possibilità di ribattere od opporsi alla sua decisione.
 
Certo, la mattina dopo dovette svegliarsi ad un orario improponibile per chi come lui era solito passare intere mattinate  e rilassarsi in preparazione alla successiva corsa automobilistica del tipo “chi riesce a fare esplodere dieci Kanebot nei modi più assurdi senza che uno ti sbruciacchi il posteriore". Uscì dalla propria stanza vestito di tutto punto e scese al piano nel quale Chuck aveva preso abitazione. Ma anche così fece appena in tempo ad intercettarlo mentre scivolava lungo il corridoio diretto all’uscita. Quando gli comparve davanti, lui per poco non urlò, ma Mike decise di fare finta di nulla ed affiancarglisi come se l’altro fosse rimasto fino a quel momento ad attenderlo. Ovviamente non lo avrebbe lasciato scappare così come se niente fosse. Non quando era in gioco lo scoprire quali segreti gli stava nascondendo così insistentemente.
 
Uscirono dal garage e, dopo una breve conversazione, Chuck accettò di andare a destinazione utilizzando BlondThunder, ovviamente guidata da Mike. Non aveva mai guidato seriamente quella macchina. O almeno non lo aveva fatto  con il suo navigatore umano seduto nel sedile del passeggero. Ma, in fin dei conti, perché mai avrebbe dovuto farlo prima d’allora, considerando che la sua amata Mutt era sempre andata più che bene per tutti e due loro?
 
Chuck stette straordinariamente in silenzio per tutto il viaggio, limitandosi a sopprimere le urla terrorizzate in un qualche mugolio strozzato. Poi, di punto in bianco, allungò la mano sana e la poggiò su quella del suo autista e la strinse leggermente, attirando la sua attenzione, quindi gli indicò un vicolo tra due alti palazzi fatiscenti. Mike ci si diresse senza fare domande e, quando  accostò l’auto su di un lato e scese assieme al compagno, rimase a bocca aperta: quello che gli era sembrato un semplice vicolo, una sfatta stradina qualunque nel territorio distrutto di Motorcity, non era affatto così qualunque. Alzò gli occhi sul portone d’acciaio che si apriva sul fondo del vicolo e sui due uomini che ne controllavano i fianchi, poi li spostò su Chuck. Aveva abbassato la testa, il biondo, quasi con aria colpevole, quasi come se volesse ammettere qualche colpa terribile. E intanto lui non capiva.
 
-Chuckles? Che diavolo ci facciamo qui? È un vicolo cieco. Non si entra nel quartiere Cyborg, se non ci si è legati in un qualche modo.-
 
-Bhè..-
 
-“Bhè” cosa?-
 
-io potrei fare in modo di farci entrare.-
 
-Ma dai, che dici?-
 
-Che posso, ecco…-
 
-Ma è impossibile, non scherziamo!-
 
-ah! Fai quello che ti pare: io sono venuto qui per entrare, sei tu che hai insistito a seguirmi.-
 
Chuck era sembrato quasi offeso, per un momento, ed aveva preso coraggio, avvicinandosi alla porta immensa che dava sul tanto narrato quartiere dei Cyborg: un’intera strada dove meccanici di protesi, utilizzatori delle tali e Cyborg di ogni tipo vivevano e lavoravano dalla fondazione di Motorcity; un posto nel quale solo chi faceva parte dell’AndroidWorld poteva mettere piede o chi riceveva un permesso speciale da uno di loro o, semplicemente, vi veniva accompagnato. L’ex militare rimase ad aspettare, a bocca aperta, guardando il biondo scambiare qualche timida parola con la più giovane delle due guardie, indicare il proprio braccio ferito e poi Mike dietro di se. I due uomini osservarono il moro per un po’, poi annuirono e diedero una scrollata di spalle. Chuck semplicemente si voltò verso di lui, a disagio.
 
-Allora, vieni con me o mi aspetti qui?-
 
Non se lo fece ripetere nemmeno una seconda volta e lo raggiunse in poche falcate, poi attesero che la porta venisse aperta e la attraversarono, entrando definitivamente in Cyborg Street.
 
Mike stentava a credere ai suoi occhi. Non aveva mai visto nulla di così… metallico. Luccicante, lucido, brillante, luminoso. Anche per essere parte della città meccanica ormai per eccellenza e per essere situata nel sottosuolo di Deluxe, la città del futuro, quella strada era uno spettacolo straordinario. E le persone, se possibile, lo erano ancora di più: c’erano individui normali, con l’aspetto di comuni meccanici o comuni viandanti, poi c’erano i Cyborg, macchine metalliche dotate di mente umana, che camminavano tra altri individui ancora, umani in parte e equipaggiati di protesi metlliche più o meno elaborate. Niente a che vedere coi i robot di Kane o i progetti meccanici della Torre o di Dutch.
 
-Ma è..-
 
-Straordinario, lo so.-
 
Ora l’altro aveva un’aria più fiera, quasi orgogliosa, e salutava qualcheduno ogni tanto, agitando la mano o scambiando brevi frasi di cortesia. Mike lo osservava ammirato e, allo stesso tempo, profondamente confuso: cosa centrava Chuck con quel posto? Era forse per le armi che aveva fatto impiantare nelle proprie braccia, quelle fionde sottopelle? Lo conoscevano per quello? Il programmatore gli segnalò un’insegna poco distante. “Rolena Protesi”. Lo guidò fino all’entrata e, lì, appena oltre la soglia, si fermò. Mike avrebbe voluto chiedergli cosa stessero aspettando, ma dopo qualche secondo un ologramma  sorse (ma, letteralmente, sorse sul serio) dalla pavimentazione metallica fra le due fila di scaffali ricolmi e li osservò con aria divertita.
 
-Oh, Chucky, hai portato il tuo ragazzo?-
 
-E’ un a… un amico, Rolena.-
 
-Uff, e io che ci speravo che il mio Chucky avesse finalmente trovato la sua dolce metà.-
 
-E smettila, vecchia pazza. Non sono qui per discutere della mia vita privata.-
 
-Davvero? Strano, pensavo tu fossi sempre qui per discutere della tua vita privata con la tua adorabile Rolena. E poi, vecchia? Da quando mi sei diventato irrispettoso, tesoro?-
 
-Perfavore. Perfavore, facciamo in fretta, è già abbastanza imbarazzante così…-
 
-Oooook, ok, dolcezza, non volevo metterti a disagio. Io sono Rolena, comunque. E tu?-
 
Mike la osservò per un attimo. Osservò l’ologramma multicolore che sarebbe parso in tutto e per tutto un vero e proprio essere umano se non fosse stato leggermente trasparente (e non fosse appena sorto dal pavimento come il sole in una bella mattinata estiva). Tutto gli sembrava tranne vecchia: èra una bella donna sui venticinque (o, almeno, così a lui pareva, ma chissà, magari la proprietaria dell’ologramma era una vegliarda ultracentenaria), lunghi capelli rossi che cadevano a ricci oltre le spalle, occhiali spessi di vetro arancio e tuta da lavoro viola intenso senza maniche che lasciava scoperti quelli che sembravano due agglomerati casuali di ingranaggi ma che, evidentemente, fungevano da braccia.
 
-Io sono Mike Chilton. Piacere di conoscerla, signorina.-
 
-OH! Mike Chilton? QUEL Mike Chilton? Ovvio che sia quello: ce ne è uno solo e tu sei amico suo Chuck. Piacere di conoscerti anche per me, comunque, Mike. Ed ora, tesoro, cosa diavolo hai fatto a quel braccio?-
 
-Egh… Incidente d’auto…-
 
-Di nuovo?-
 
-Sì, ecco, questa volta non è stata colpa nostra, sono state le…-
 
-Shhh! Zitto, guarda, che rischi di irritarmi. Tutte le volte la stessa storia. Vieni con me, che cerchiamo un ricambio adeguato.-
 
Chuck non se lo fece ripetere e la seguì in un’altra stanza, affiancato da un Mike sempre più basito. Arrivarono  in una sala circolare nera e verde e l’ologramma iniziò a berciare ordini a gran voce. Incredibilmente venivano tutti portati a termine (che fosse grazie alla comparsa di un qualche holo-screen, di un Cyborg o di un comune robot) e, alla fine, la stanza fu piena di protesi di braccio sinistro ordinatamente allineate a mezz’aria. A Mike per poco non cadde la mandibola.
 
-Perfetto. Ho tre modelli nuovi e sei di quelli della scorsa stagione sono stati aggiornati. Ti consiglierei questo, l’FFhBDHU65933GH, ma so che lo cestineresti. Troppe armi, giusto? E questi due sono sicuramente troppo ingombranti per i tuoi standard. Vuoi qualcosa che possa andare bene affiancato a quell’altro, eh? Potrei proporti uno di questi cinque. Il RLKoOl91101Tv4 va molto ed è piuttosto veloce e…-
 
-Se possibile rivorrei semplicemente lo stesso che avevo prima…-
 
-Oh, davvero? L’IfJDBEE68429kHB? Bhè, è un po’ lentino rispetto agli altri, ma se ci tieni a mantenere tutto uguale.-
 
Le protesi volavano via man mano che le scartava e, alla fine, rimase in aria solo quella richiesta da Chuck. Una porta si aprì sulla parete e ne uscì una seconda Rolena, questa volta tangibile e, quindi, si suppone in carne ed ossa. Osservò la propria proiezione olografica e la congedò con un cenno, rivolgendo un ampio sorriso al biondo e chiedendogli di sedersi. Lui lo fece e subito i due si misero a chiacchierare, mentre il programmatore dei Burners si toglieva la maglietta e la donna faceva uscire da una delle sue dita metalliche quello che aveva tutta l’aria di essere un bisturi al laser e, avvicinandolo alla pelle della spalla di Chuck, semplicemente la tagliava. Mike trattenne un’urlo di terrore, trasformato poi in un’espressione di pura sorpresa quando dalla ferita sgorgò solo qualche gocci di sangue e, con tutta la naturalezza umanamente concedutale, la rossa srotolava via l’epidermide da tutto il braccio del giovane.
 
-Lo sai che potrei cambiarti anche le gambe con un ottimo sconto, vero? Il modello che hai ora è ricercato da un tizio della zona est e darebbe l’anima perché gli dessimo i tuoi scarti…-
 
E dicendo ciò strattonò via quella specie di guanto, scoprendo un braccio meccanico di tutto punto, con leve idrauliche e giunture in metallo. Era rotto all’altezza del gomito, ma era evidentemente un agglomerato complesso di ingranaggi specificatamente lavorati in modo da far risultare il braccio vero al’occhio di chi fosse stato estraneo al mestiere. Quello fu davvero troppo, perché per quanto sentirselo dire fosse incredibile, vedere davanti i propri occhi il proprio migliore amico dimostrarsi un Cyborg è abbastanza traumatico.
 
-Wow-
 
Rolena aveva appena staccato il braccio con un movimento abile e veloce e stava procedendo ad agganciare quello nuovo, quando l’esclamazione di Mike attirò la sua attenzione. Spostò lo sguardo ripetutamente, alternandolo tra lui e Chuck e, infine, spalancò la bocca in una piccola “o” sorpresa, spingendo comunque l’arto al suo posto con decisione.
 
-Oh, mio, Dio. Tesoro, non hai detto al tuo amico delle tue parti meccaniche?-
 
La domanda fece arrossire il biondo ed incuriosire ancora di più l’ex militare. Parti. Plurale. Aveva visto solo un braccio ed aveva sentito parlare delle gambe ma chi gli assicurava che non ci fosse anche altro.
 
-Vi… vi lascio soli, eh?-
 
Rolena gli sorrise e si ritirò dalla porta dalla quale aveva fatto il suo ingresso, lasciando Chuck a rinfilarsi il guanto di pelle umana da solo. Mike gli si avvicinò, cercando di incontrare il suo sguardo, ma lui lo evitava abilmente, fingendosi troppo concentrato. A tradirlo, in quei pochi attimi di silenzio, furono le sue mani, che tremavano, scosse da quella che il  giovane non ebbe difficoltà a riconoscere come paura.
 
-Perché non me lo hai detto?-
 
-Io… non so… io volevo che non mi… emarginaste, credo. Volevo essere normale anche per voi e…-
 
-E perché avremmo dovuto emarginarti?-
 
-Perché? Perché ho parti meccaniche e noi passiamo tutto il giorno a distruggere ogni robot ci passi davanti.-
 
-Parti, hai detto. Quindi, bhè…-
 
-Quindi?-
 
-Quindi quanto, di te, è meccanico?-
 
-Le braccia, le gambe, parte della spina dorsale, le anche e la mandibola… era per questo che non volevo venissi con me.-
 
Mike rimase per l’ennesima volta basito dalla risposta. Quella era n sacco di roba meccanica da portarsi addosso. Il suo migliore amico aveva praticamente soltanto il torso totalmente umano e lui non se ne era mai accorto? Era lui quello da biasimare. Non di certo il povero Chuck che, evidentemente al culmine dell’agitazione e preso abbastanza dal panico, non riusciva a svolgere nuovamente la pelle sul braccio. Sembrava avesse fretta. Ma fretta di cosa, si chiese Mike? Semplice: aveva fretta di coprire il metallo, di nasconderlo, in modo che lui non potesse mai più vederlo. Mike si maledisse, comprendendo il disagio dell’altro, quindi si sedette accanto a lui ed allungò le mani.
 
-Chuckles?-
 
-S…sì?
 
-Lascia che ti dia una mano.-


















Angolo dell'autrice:
Ehm, salve a tutti. So che nessuno leggerà questa storia perlomeno per i prossimi due anni (fino a quando Motorcity non arriverà in italia), ma spero che quando la leggerete vi piacerà.
Adoro questa serie ed adoro Chuck. Ho un debole per le AU dove lui è Android.

Con questo inauguro ufficialmente il fandom di Motorcity in italia con una vera e propria sezione su EFP. //1/13

Eva













 
   
 
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