Frammenti
di futuro
Ninna nanna, ninna oh, questo bimbo a chi lo do? Se lo do alla Befana, se lo tiene una settimana. Se lo do al gatto mammone me lo mangia in un boccone. Se lo do all'Uomo Nero, se lo tiene un anno intero.
Ninna
nanna,
ninna oh, questo bimbo a chi lo do? Ninna
nanna, ninna oh, questo
bimbo lo terrò.
Il
sole ormai era quasi
del tutto sparito al di là dell’orizzonte. Il
paesaggio iniziava
lentamente a
tingersi dei colori della
notte e l’aria a rinfrescarsi.
Il
piccolo villaggio si
illuminava con candele e qualche lampada. Anche per quella casetta al
limite
del bosco, era arrivato il momento di sconfiggere le tenebre
illuminandosi con
qualche luce.
Una
donna, bella e
giovane, saliva la traballante scala di legno che portava al piano
superiore.
Diede un’occhiata nella sua camera e scorse il marito
già immerso nei suoi
sogni. Sorrise delicatamente, prima di passare oltre.
Poco
distante c’era
un’altra stanza. Entrò abituandosi al buio e alla
sola luce della luna che
illuminava l’interno. Era una stanzetta graziosa, un
po’ troppo disordinata per
tutti i giocattoli sparsi in giro.
Suo
figlio stava guardando
fuori dalla finestra appoggiandosi all’asse di legno
rientrante. Osservava
affascinato la luna, ciò che illuminava. Guardava gli
animali accoccolarsi
l’uno all’altro per dormire. Ascoltava i suoni
della natura notturna.
Silenziosamente,
si
avvicinò al letto e vi si sedette sopra. Il bambino si
girò di scatto e le
saltò al collo. Prontamente lo aveva preso tra le braccia e
adagiato sotto alle
coperte.
-E’
ora di dormire, Jack.-
-Ma
io non ho sonno,
mamma.-
Lei
sospirò. Ogni sera era
la stessa storia. Jack era sempre stato molto vivace e difficilmente si
stancava. Poteva andare avanti per ore e ore a giocare anche se i suoi
amici
crollavano per la stanchezza.
Ha
il dono di sapersi sempre divertire,
continuava a sostenere.
Quella
sera, però, le era
venuta in mente un’idea.
-Facciamo
un gioco: ora ti
canterò una canzoncina. Se poi non avrai preso sonno,
starò qui con te tutta la
notte, va bene?-
Lui
non se l’era fatto
ripetere. Aveva annuito entusiasta, con una luce guizzante nei piccoli
e scuri
occhi.
La
mamma prese un bel
respiro ed iniziò a cantare. Era una ninna nanna, la sua. Le
era stata
insegnata dalla madre che a sua volta l’aveva imparata dalla
sua. Metteva
dolcezza e cuore in quella breve cantilena.
Appoggiato
al suo cuscino,
Jack la ascoltava.
Per
lui era come una
storia: parlava di una madre che voleva proteggere il suo piccolo da
ogni sorta
di male che poteva colpirlo durante la notte. Ma lui non aveva paura
anzi, era
rimasto affascinato e incuriosito da quel singolare racconto.
Le
palpebre stavano per
chiudersi, la donna stava già per alzarsi dal letto e
allontanarsi…
-Mamma,
chi è l’Uomo
Nero?-
Lei
si bloccò a guardarlo.
Rimase un attimo in silenzio cercando le parole nascoste tra le righe
della sua
canzone. Prima di parlare iniziò ad accarezzargli una
guancia.
-L’Uomo
Nero è una
creatura del buio, Jack. Si diverte a spaventare le persone…-
-Allora,
anche io sono
come lui?- chiese innocentemente, un po’ preoccupato.
-No,
bambino mio. L’Uomo
Nero non ha amici. Gli piace guardare gli altri tremare di paura. Ride
per far
piangere, è questo il suo divertimento.- sorrise.
Jack
sbadigliò
sonoramente. Chiuse gli occhi, ma prima di addormentarsi
biascicò qualche
parola.
-Però…
deve sentirsi
davvero solo…-
La
madre lo guardò per un
po’. Sorrise, questa volta con un velo di tristezza.
Andò alla finestra e
guardò il cielo. Fissò il globo argentato che
illuminava la notte.
Oh
Luna, bella e splendente. Ti prego, proteggi il mio piccolo Jack. Fa
che
diventi forte e coraggioso. Fa che non smetta mai di sognare e di
divertirsi.
Questo è tutto il suo mondo.
Finita
la preghiera, si
allontanò e andò anche lei a dormire. Sperava che
qualcuno dall’alto, le avesse
prestato ascolto.
Ma
ancora non sapeva e mai
avrebbe saputo.
Era
solo questione di
qualche anno che separava Jack dal diventare qualcuno in cui credere.
Questione
di tempo, e avrebbe affrontato la creatura che tanto lo aveva
affascinato
quella notte.
***
Dedicata a chi canta e ascolta ninne nanne.
Dedicata a chi, come me, ha avuto una conversazione come questa con la propria madre, una volta finita la canzone.
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Un saluto,
Lain*