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Autore: Lavandarose    09/01/2013    9 recensioni
Quando entrambi furono nell'atrio si guardarono attorno, cercando di fare un po' di luce con le loro pile.
C'erano pochi mobili, coperti con delle lenzuola bianche. Ninnoli e gingilli facevano ancora bella mostra di loro, impolverati e grigi, almeno per quello che i ragazzi potevano vedere nella stanza dove stavano e con la loro poca luce.
Nina fece qualche passo avanti e con la torcia illuminò un'entrata spoglia. Uno specchio alla parete, ancora intatto, rifletteva la luce della pila.
Null'altro.
La ragazza sospirò e cercò la mano di Jonathan. -Andiamo, guardiamo prima qui al piano terra, poi saliamo di sopra, d'accordo? -
- Certo - rispose lui stringendo la sua mano.
I ragazzi entrarono nel salotto buio.
Dentro allo specchio una figura bianca comparve e sparì nel giro di qualche istante.
Genere: Sovrannaturale, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Dedicata a Lorena

 

 -Vuoi ripetere, per favore? -

 -Quando una persona muore in preda ad una rabbia feroce, nasce una maledizione! -

 -Carina questa frase. Dove l'hai trovata? Nei cioccolatini? -

 -No, è di un film dell'orrore. The Grudge, hai presente? -

 -Non conosco -

 -Dovresti -

Nina si girò a guardare Jonathan. Voleva bene al suo amico, ma quello non era il momento adatto per scherzare.

- Jo... - disse cercando di non strozzare il ragazzo, -forse non ti è chiara la situazione. Siamo qui, a mezzanotte, nel giardino di questa casa abbandonata. Le torce non funzionano bene, ho freddo e per giunta questo è l'ultimo posto dove è stata vista mia sorella prima che scomparisse dalla faccia della terra, una settimana fa. Scusami se non ho voglia di parlare dei tuoi film di paura! -

Il ragazzo si strinse nelle spalle. Aveva cercato di alleggerire la situazione, ma forse era il caso di rivedere la sua tecnica!

“Ma come diavolo mi ha convinto?”, pensò mentre guardava la sua amica che, torcia tra le labbra, era inginocchiata davanti alla porta di quella casa abbandonata, tentando di aprirla con una forcina per capelli.

Jonathan ripercorse con la mente i fatti degli ultimi sette giorni.

Angela, la sorella di Nina, era scomparsa. Semplicemente, era uscita una mattina da casa e non ne aveva fatto più ritorno. Nulla lasciava presagire una fuga volontaria, ma neppure un rapimento: la famiglia delle ragazze non era ricca.

Eppure nemmeno un indizio gettava un po' di luce sulla sparizione di quella bellissima ventenne, bionda e con gli occhi blu.

 - Sembri davvero un angelo! -, dicevano scherzando gli amici alla maggiore delle due sorelle.

Nina, più piccola di due anni, aveva invece ereditato i colori scuri della famiglia. Capelli corvini e carnagione olivastra incorniciavano due occhi comunque blu. Era quello il tratto distintivo delle sorelle Ward. 

Angela aveva sempre amato e protetto la sua sorellina, che in cambio aveva adorato da subito quella che, dopo pochi anni, più che sorella era diventata un'amica. Avevano fatto tante cose assieme, pressoché tutto. Stessa scuola, anche se in anni diversi, stessi amici, stessa compagnia. Si scambiavano libri, segreti e musica.

Nulla avrebbe potuto dividerle.

Fino a quel maledetto martedì di fine ottobre.

Angela era uscita alla mattina presto, come al solito. Doveva raggiungere la biblioteca dove lavorava part time, poi avrebbe fatto un salto in piscina e sarebbe tornata a casa verso sera. Aveva preso il suo borsone per il nuoto ed era uscita.

E non era più tornata.

All'ora di cena, non vedendola arrivare, i genitori allarmati avevano chiamato la polizia, mentre Nina con degli amici era uscita a perlustrare gli isolati vicino. 

L'avevano raggiunta quasi subito gli amici più cari e tra loro anche Jonathan. Compagno di classe della più giovane delle Ward, il ragazzo era stato sempre la presenza discreta, ma sicura, quella su quale Nina aveva sempre potuto contare.

Era innamorato di lei? Forse. Ma al momento lui e la piccola Ward erano solo buoni amici.

Ecco perché lui era stata la prima persona a cui lei si era rivolta per cercare la sorella, ed era stato proprio il ragazzo a trovare il borsone del nuoto di Angela: proprio nel cortile della casa abbandonata del quartiere.

La polizia stava proseguendo le indagini, ma ormai erano sette giorni -“Centosessantotto ore.Seicentoquattromilaottocento secondi!”, Nina quasi come un'automa -  che Angela non si trovava.

E così la ragazza aveva chiesto al suo migliore amico di aiutarla a cercare qualcosa, magari un indizio, per vedere che fine aveva fatto la sorella. 

“Dobbiamo andare dove è stata trovata la borsa, dobbiamo entrare là”, gli aveva detto riferendosi alla casa abbandonata.

Il ragazzo scosse la testa e tornò alla realtà. Nina era riuscita ad aprire la porta malandata e ora lo stava guardando sorridendo.

 - Hai visto! Ce l'ho fatta! -

 -Bene... -

 -Che hai? Non sei più convinto di aiutarmi? - 

Jonathan si passò la mano tra i lunghi capelli biondi. Di solito non credeva alle leggende metropolitane, però... Fermi entrambi sulla soglia di quell'abitazione avvolta nel buio e nel silenzio, sembravano due protagonisti di un'imminente tragedia.

 - Nina, tu sai cosa è successo in questa casa vero? -

Lei lo guardò, la torcia in una mano e gli occhi pieni di domande.

 -Le solite sciocchezze! - rispose alzando le spalle.

 -Non lo so - sussurrò il ragazzo mettendole una mano su di una spalla e accorgendosi che la ragazza tremava sotto al maglione. 

 - Qui si respira negatività, pare che una ragazza sia impazzita e abbia ucciso la madre. Era notte e lei entrò nella camera con un coltello in mano. L'ha fatta a pezzi e poi, con la camicia da notte insanguinata, è uscita per strada e si è impiccata a uno degli alberi più alti del vialone. E pare che da allora in questa casa succedano cose strane. Per non parlare del fatto che non ci è venuto più ad abitare nessuno. Ora, non so se questa storia che gira da anni in città sia vera, ma non ti pare che qui ci sia un'atmosfera strana? -

Nina si guardò attorno. Era vero. L'oscurità pareva inghiottire ogni forma e il silenzio era assordante.

Tanta, troppa quiete.

Forse quella storia della maledizione era vera. Forse davvero chi muore con rabbia si lascia indietro qualcosa di molto pericoloso...

Scosse la testa. 

 - Negatività o no, questo è l'ultimo posto dove Angela è stata, o quanto meno dove è stata trovata la sua borsa. Quindi voglio cercare qualcosa, visto che sembra che a nessuno importi nulla, a parte me. Sei con me o no? Decidi Jo. O dentro o fuori. Ora -

Il ragazzo sorrise, come avrebbe potuto dire di no a quella cosina deliziosa che gli stava tremando tra le braccia?

L'attirò a sé:  - Sono con te, testa matta - le soffiò sui capelli. Lei sorrise e gli passò un'altra torcia. Avere lui al suo fianco le aveva infuso coraggio.

Poi fece un respiro profondo e aprì piano la porta di ingresso. 

Mise la testa dentro e un forte odore di muffa le colpì le narici. Tossendo, entrò con la torcia accesa in mano.

Silenzio. Buio. Solo il rumore del suo cuore, che impazzito batteva nel suo petto.

Era vero, in quella casa si respirava una brutta atmosfera, quasi un sentore di morte. Si girò verso il ragazzo:  - Dai, entra! -

Lui sospirò e la seguì. 

Quando entrambi furono nell'atrio si guardarono attorno, cercando di fare un po' di luce con le loro pile.

C'erano pochi mobili, coperti con delle lenzuola bianche. Ninnoli e gingilli facevano ancora bella mostra di loro, impolverati e grigi, almeno per quello che i ragazzi potevano vedere nella stanza dove stavano e con la loro poca luce.

Nina fece qualche passo avanti e con la torcia illuminò un'entrata spoglia. Uno specchio alla parete, ancora intatto, rifletteva la luce della pila.

Null'altro.

La ragazza sospirò e cercò la mano di Jonathan.  -Andiamo, guardiamo prima qui al piano terra, poi saliamo di sopra, d'accordo? -

 - Certo - rispose lui stringendo la sua mano.

I ragazzi entrarono nel salotto buio.

Dentro allo specchio una figura bianca comparve e sparì nel giro di qualche istante.

***

Erano passati minuti. O forse ore? A Nina sembrava che il tempo si fosse cristallizzato, quasi fermato nel momento stesso in cui aveva varcato la soglia di quella casa.

Era con Jonathan in quello che doveva essere stato il salotto dell'abitazione. Era grande, ma quasi vuoto. I ragazzi si guardavano in giro.

 - Ma che dobbiamo cercare, poi? -, ruppe il silenzio il giovane.

Nina lo guardò. In effetti non aveva pensato bene a che cercare. Sapeva solo che doveva entrare lì.

 -Se hanno trovato il suo borsone qui nel giardino, allora vuol dire che è stata qui -

 -Sì, ma hai pensato al fatto che magari qui non è mai entrata?-

La ragazza scosse la zazzera bruna. 

-Devo tentare Jo. Mi manca così tanto...-

Tacque e anche Jonathan non disse più nulla, limitandosi a spostare qualche soprammobile di qua e di là.

 -Tu resta qui, io vado in cucina-  disse all'amico.

Si girò per cercare la porta della cucina, e attraversò l'atrio. Per un momento la luce della torcia illuminò lo specchio e Nina si immobilizzò lì davanti.

Il vetro, prima intatto, era rotto da parte a parte e portava solo una scritta rossa: Vattene.

La ragazza boccheggiò prima di riprendere fiato. Portò la luce della torcia alla porta dell'ingresso e la vide chiusa, come l'avevano lasciata prima.

 -Jo!-  urlò allora con tutto il fiato che aveva in gola.

 -Cosa? - se lo ritrovò subito alle spalle.

 -Sei...Sei stato tu?- gli chiese illuminando lo specchio. Lo senti irrigidirsi.

 -No...Sono sempre stato con te, ti ricordi?-

Lei rimase in silenzio per un po'.

 -Andiamo via!- la incitò lui.

Nina scosse il capo:  -No, devo restare. Forse...Forse non l'avevamo visto prima -

 -Prima quel cazzo di specchio non era rotto!Forse l'abbiamo incrinato da parte a parte con la forza del pensiero? -, la voce del giovane era stridula dalla paura.

 -Ci stiamo suggestionando! Smettiamola. Jo, torna in salotto, io guarderò in cucina- 

Così, i due si separarono, nervosi e impauriti.

Jonathan, serrando le mascelle, riprese a controllare il salotto. Faceva guizzare la luce della torcia avanti e indietro. Nulla. Non c'era nessuna traccia di qualcosa che poteva fornire loro un indizio.

“E non troveremo nulla!”, pensò sbuffando. Aveva voluto assecondare Nina accompagnandola in quella casa, ma era certo che non avrebbero trovato nulla di interessante.

 -Che perdita di tempo -  mormorò a mezza voce.

Poi un rumore in un angolo buio della stanza lo spaventò. Puntò la luce verso il luogo dove aveva sentito qualcosa.

 -Chi c'è?- domandò con voce tremante.

Silenzio.

“Non c'è nessuno. Nessuno! Maledizione mi sto suggestionando!”, si disse irritato.

Poi una mano lo toccò. Era una mano gelida, che lo immobilizzò sul posto e gli fece rizzare i capelli in testa.

Fece un saltò all'indietro, andando a sbattere contro la parete. Si inginocchiò col cuore in gola. Non se l'era inventato. Qualcuno lo aveva toccato. E in quella strana carezza, il ragazzo aveva sentito cattiveria, quasi come una minaccia alla sua vita.

Scosso, si passò la mano sul viso e cercò di calmarsi.

Nel frattempo la ragazza era entrata in quella che una volta era stata la cucina. Non c'era nulla, nemmeno qualcosa che poteva portare luce per la scomparsa di Angela.

La giovane Ward iniziava a scoraggiarsi. Forse davvero il borsone era arrivato nel giardino per caso, forse l'aveva gettato chi aveva preso sua sorella.

Sì perché di questo la ragazza era davvero convinta: Angela era stata rapita da qualcuno, ma perché e dove era rimanevano ancora un mistero.

Mosse ancora un po' la luce, ma non trovò nulla di interessante. Si girò per raggiungere Jo, quando all'improvviso sentì un gran freddo.

La temperatura era scesa in maniera brusca in quella stanza, Nina poteva vedere il suo alito fuoriuscire dalla bocca.

All'improvviso le sembrò che una mano le artigliasse il petto e le mancò il respiro.

“Vattene da qui. Subito!”, le sussurrò una voce metallica all'orecchio.

Era troppo! La ragazza lasciò cadere la torcia e scappò in direzione del salotto.

 -Jo...JO!! - gridava disperata.

In un attimo fu nelle braccia del giovane che la guardava perplesso.

 -C'è qualcuno...qualcosa qui!- gli disse lei battendo i denti.

Lui la guardò. Per un attimo ebbe la tentazione di raccontarle quello che gli era successo nell'altra stanza, ma decise di non farlo. Non voleva spaventarla.

Forse però poteva tentare di convincerla ad abbandonare questa ricerca, a uscire da quella casa e a riprendersi in mano la sua vita.

  -Senti, capisco che sono leggende metropolitane quelle che ti ho raccontato, me io proporrei di andarcene da qui!Ma cosa è successo? -

Lei spalancò gli occhi. Le sue dita erano ghiacciate, il respiro si faceva sempre più affannato.

 - C'era qualcuno in cucina! -

 - Qualcuno? -

 - Sì, ho sentito una presenza che mi ha detto di andarmene...-

 -Una presenza? - Jo la guardò un po' scettico.

 -Senti, puoi credermi o no, ma questo è quello che ho sentito. E poi c'era freddo, come se la temperatura fosse precipitata. Te ne sei accorto anche tu vero? -

 -No, io non ho sentito nessuno cambiamento nell'aria -

Il ragazzo si chinò e raccolse la torcia di lei che era rotolata vicino ai loro piedi.

 -Non è che ti stai suggestionando? Qui non c'è nulla. Andiamo via. Sei gelida, posso farti un caffè a casa mia, e...-

 -Jo, ora siamo qui. Almeno un'occhiata al piano di sopra la vorrei dare. Poi ce ne andiamo, promesso, ma ascolta...è probabile che non avrò più il coraggio di rientrare qui. Nemmeno con te. Ti prego...saliamo solo un momento -

Lui la strinse a sé. Sentiva che aveva paura, ma non poteva farci nulla. Nina doveva andare fino in fondo e lui sarebbe stato con lei. Sempre.

Salirono le scale, stando attenti a non cadere.

 -Ci vorrebbe un bell'intervento di manutenzione qui, eh? - tentò di scherzare lei.

Appoggiandosi alla balaustra, i ragazzi arrivarono a quella che era senza dubbio la camera da letto.

La camera dove si raccontava fosse avvenuto quel terribile matricidio.

Con cautela i due entrarono, preceduti dai loro fasci di luce. 

Nulla.

Tutto era avvolto nell'oscurità e nel silenzio.

Nina continuava a tremare, anche se si rendeva conto che la temperatura della stanza era abbastanza calda.

Allora perché tutto quel freddo?

Perché quella sensazione di essere in pericolo e di doversene andare prima che fosse troppo tardi?

“Sensazioni, Nina, sensazioni. Calma e guarda se c'è qualcosa. Sei tu l'ultima speranza di Angela...”, pensava la ragazza per tranquillizzarsi. 

Cercarono per un po', ma non c'era davvero nulla che potesse aiutarli a risolvere il mistero di Angela.

Alla fine Nina si arrese. Chinò il capo e cercò le braccia dell'amico.

 -Sono stata una stupid -, gli disse con il viso affondato nelle sue spalle.

 -Ma no dai, Nina...-

 -Sì, e ti ho anche coinvolto in questa mia assurda ricerca! -

 -Non è affatto stata stupida -.

 -Sì, ma guardami. Sono qui, coperta di polvere e con niente in mano. E forse con un esaurimento nervoso in atto. E ti ho portato a vivere questa situazione con me!-

Si strinse ancora di più al ragazzo, mentre quest'ultimo rimaneva in silenzio e l'abbracciava.

 -Scusami, Jo, ti prego... - 

Silenzio.

Nina restava sempre con la testa nascosta nel petto del ragazzo.

 -Mi piace sentirti dire quelle parole - disse poi lui.

Lei ebbe un mezzo sorriso.  -Cosa? Ti prego? -

 -Sì, mi piace come lo dici. Mi sembra quasi di sentire la voce di tua sorella quando mi pregava di non ucciderla -

Gelo.

Il cervello di Nina aveva registrato le parole, ma ne rifiutava il senso.

Le dita erano come bloccate, il cuore batteva, ma lei non lo sentiva nemmeno più.

 -Che..che cosa hai detto? -

 -Hai capito benissimo, stellina mia - la voce del ragazzo era dura.  -Sì, sei tra le braccia dell'assassino di tua sorella! -

Una scossa di adrenalina fece scattare la giovane all'indietro, ma lui fu più veloce, la raggiunse, la prese per le spalle e la sbatté contro un muro.

Poi le mise una mano sul collo e iniziò a stringere.

 -Per...perché? - riuscì solo a boccheggiare la ragazza.

 -Non c'è un perché. O forse sì: ero stufo di essere considerato l'amico e basta. Volevo tua sorella, la volevo a tutti i costi. Mi piaceva. Come mi piaci anche tu, ma un po' meno di lei -

Nina chiudeva e apriva gli occhi, tutto le sembrava assurdo. 

Jonathan stava stringendo sempre di più e la gola le si stava chiudendo. Forse per sempre.

“Mamma, papà, scusatemi”, riusciva solo a pensare in quel momento.

 -Era così bella Angela, non è vero?” - lui aveva intanto ripreso il suo folle monologo - L'ho incontrata dopo il lavoro una settimana fa, le ho chiesto se potevo accompagnarla in piscina. Strada facendo le ho detto che volevo approfondire la nostra conoscenza. E lei mi ha fatto capire in maniera gentile che mi vedeva solo come un amico. Nulla più. E che mi vedeva adatto per la sua sorellina. La sua sorellina! Mi trovava infantile, forse? -

Nina cercava di muoversi, ma era paralizzata in ogni muscolo del corpo.

E gli occhi da folle dell'uomo la tenevano bloccata.

 -L'ho fatta salire in macchina con una scusa - continuava lui,  - Ma l'ho portata a casa mia. E lì l'ho strangolata. Sì,Nina, strangolata. Godevo nel sentire la sua pelle delicata sotto le mie mani. E le mi pregava, oh sì, continuava a pregarmi di smettere. Ma io non l'ho fatto. L'ho uccisa e l'ho gettata nella mia cantina. Non mi aveva visto nessuno portarla in casa. Poi ho lanciato il suo borsone in questo giardino. E questo era tutto per te. Volevo portarti qui perché volevo uccidere anche te. E sai perché? Perché tu sei stata l'ultimo pensiero di Angela e non lo potevo sopportare -

Era pazzo.

 -Ma tu...e lo specchio rotto? - balbettò Nina.

 -Quello non so come sia potuto accadere, io non c'entro, ma mi è servito per creare l'atmosfera. E ora mia cara, saluta la vita. Ti troveranno qui, morta di paura. Entrerai anche tu nella leggenda metropolitana della casa infestata,dove accadono cose strane. Oppure si accorgeranno che qualcuno ti ha strozzata. Uno dei soliti vagabondi. Piccola sciocchina, non dovevi andare a cercare indizi da sola. Molto triste, devo dire, ma tu e tua sorella eravate così legate... -

Iniziò a stringere il collo della giovane, che non respirava più e lacrimava da entrambi gli occhi.

 -Dico bene, Nina? Non lo sa nessuno che tu sei qui e soprattutto che io sono con te, vero? Non hai detto ai tuoi genitori che venivi qui, immagino. Avevi troppa paura che te lo proibissero, è esatto? - 

La ragazza cercò di annuire, ma il collo le faceva troppo male. 

 -Tutto torna insomma. Quando mi hai telefonato per raggiungerti qui, ho pensato che era un segno del destino. Dovevi morire anche tu, dovevo uccidere anche te. In fondo le sorelle Ward sono sempre state unite, nella vita, come nella morte. Sarebbe stato un peccato dividervi. E poi mi avresti sempre ricordato lei, Angela, hai il suo stesso sguardo sai? -

Era pazzo, non c'era altra spiegazione. Nina tentò una debole difesa, cercando di togliere le mani dell'uomo dal suo collo, ma le forze la stavano abbandonando ogni secondo di più.

 - Addio, mia piccola...- sussurrò lui all'orecchio.

Perché,perché?”, si domandava lei.

Chiuse  gli occhi e iniziò a pregare.

All'improvviso incominciò a respirare. Aprì gli occhi e vide che l'uomo era in ginocchio davanti a lei, di spalle, e guardava a bocca aperta un'apparizione bianca che stava andando verso di lui.

 -No...NOOO -, gridò a pieni polmoni. 

Nina cadde sulle ginocchia e puntellandosi con le mani vide solo una figura bianca, dai capelli, che si avvicinava minacciosa all'uomo.

Jonathan, terrorizzato, si alzò in piedi e infilò la porta sempre seguito dalla figura.

Un rumore sordo fece capire a Nina che il ragazzo doveva essere caduto dalle scale.

Poi più nulla.

Cercò di recuperare la torcia, ma non la trovò.

All'improvviso la camera si illuminò e la figura bianca si avvicinò a lei.

La riconobbe: era Angela che le sorrideva.

Nina, sempre seduta, allungò una mano:  -Angela...- disse con un filo di voce.

Il fantasma allungò le dita e per un momento le sorelle si toccarono.

 -Allora eri tu! Eri tu! Stavi cercando di avvisarmi che ero in pericolo, vero? -

La giovane donna bionda sorrise e annuì.

 -Mi hai salvata...- disse ancora la ragazza e una lacrima le scese dall'occhio destro.

Il fantasma sorrise ancora e scomparve, lasciando nelle orecchie di Nina solo una frase: “Sarò sempre con te...”.

La stanza tornò al buio. La piccola Ward recuperò la torcia e rimase un attimo ancora seduta.

Forse era vero quello che Jo le aveva detto: chi muore con rabbia genera una maledizione. Strano che quell'uomo non avesse capito che la maledizione si stava per rovesciare su di lui.

Angela.

Almeno l'aveva rivista. E sapeva dove cercare il cadavere. Ora lei e i suoi genitori avrebbero avuto una tomba dove andare a piangere la loro figlia e sorella.

Zoppicando, scese piano le scale.

Arrivò in fondo e vide il corpo di Jonathan. Si augurò che fosse ancora vivo, perché doveva pagare tutto il male che aveva fatto.

Lo toccò: era svenuto, ma vivo.

Si frugò nelle tasche e ne tirò fuori un cellulare.

Compose un numero.

 - Sceriffo? Sono Nina Ward. Vuole raggiungermi alla casa abbandonata? Ho l'assassino di mia sorella e sono certa che renderà una confessione spontanea - 

Poi si sedette sul primo gradino, aspettando.

Si sarebbe sistemato tutto.

A parte il dolore di non vedere più Angela.

 

 

 

 

 

   
 
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