Margherita Dolcevita
Ultimo capitolo dopo il finale
Mi sono persa nei miei sogni,
forse un giorno, forse una vita.
Ho chiuso gli occhi al lago e
li riapro in una camera d’ospedale.
Odio gli
ospedali, sono come i bidoni
perfettamente puliti pieni di lordura, non tanto per i malati quanto per la
falsità esalata dalle bocche candide e sorridenti dei medici.
Odio la mia stanza: mi hanno
messo in pediatria, come se mi facesse piacere vedere immagini stilizzate di un
mondo felicemente colorato e assurdamente utopistico mentre a me non rimane
neanche la consolazione della verità.
Forse devo tentare di far
finta che non sia successo nulla, né alla mia famiglia né nel capanno, ma è difficile quando vedi tua madre poco distante da te,
perfetta e sola, incantata a guardare lo schermo del suo TVfonino senza che
s’accorga che sei sveglia, che venga ad abbracciarti.
Dove sei sorella mia? Perché
mi hai abbandonata? Nell’ultimo sogno eri triste,
piangevi perché dovevi andare, ma dove sei andata?
Ritornerai? Bambina, bambina di polvere, Polverina, ti prego almeno tu non
abbandonarmi al mio destino: so che il passato è triste, ma il destino è
atroce, non ce la posso fare da sola.
Entra piano il medico,
sorridente, che inizia a parlare di cosa è successo prima che svenissi: un
tragico errore, una fuga di gas nel capanno, una ferita trascurata....ma io ricordo benissimo tutto e, mentre snocciola al
vento la sua (o di altri?) versione, penso che il mondo sia troppo corrotto per
credere a un’adolescente e, improvvisamente, il mondo felice dipinto sulla
parete sghignazza in modo sadico e terribile.
Mia madre non si è ancora
mossa dalla sua posizione stile statua di cera e temo che il sole che le segna
una guancia possa scioglierla, vorrei alzarmi e andare
da lei, scuoterla per far uscire dal suo corpo il demone Lenora
che se n’ è impossessato e ritrovare la mia cara bustina da tè dall’odore di
cavolo, ma non posso, il dottore blatera e io m’addormento poco a poco.
Felicità, s. f.: Una gradevole sensazione scaturita
dalla contemplazione della sofferenza altrui come disse Ambrose
Bierce nel suo "The Devil's
Dictionary"
È questo che penso in questo
momento, mentre il clown mi saltella davanti con la sua maschera ridente in
faccia alla mia allungata.
I clown, figure meschine,
ingannatrici, che si truccano per essere felici, per
assomigliare a qualcun altro.
Fanno paura i clown, se n’
era accorto anche Leoncavallo con la sua lirica che, come
mi cantava sempre il nonno, faceva:- Tramuta in lazzi
lo spasmo e il pianto, in una smorfia il singhiozzo e il dolor, ridi pagliaccio sul tuo amor infranto, ridi
per quel che t'avvelena il cor!-. In particolare, questo mi sembra Pogo il clown, il famoso serial
killer, che gonfia stupidi fiori di plastica correndo e saltellando per tutta
la stanza.
Sono sola, sola con il
pagliaccio, sola con il mio dolore e una facciata d’ allegria,
insomma come sempre e di più.
Il dottore è tornato e mi ha
fatto ingoiare due pillole, psicofarmaci credo, la stanza si riempie di colori
e suoni.
Arranco attraverso uno
stretto corridoio sostenuta da due grossi tipi che mi sballottano qua e
là come se fossi una bambola di pezza in lavatrice. Qualcosa mi tiene chiusa la
bocca, forse è la maschera che indossava Hannibal Lecter, ma più probabilmente è una mano.
Un’oca è inseguita da un
asino cavalcato da una brioche gigante e mi precede nel
cortile prima di nascondersi e sparire dietro un albero, l’asino mangia
la brioche e sparisce in una bolla di sapone al sole.
Uno dei due bruti mi carica
su una minuscola autovettura e mi lega al sedile.
Il buio.
Gli occhi sono incrostati, ma
riesco a vedere il poster dei Queen alla parete, sono
nella mia stanza!Alzo gli occhi al soffitto aspettandomi quasi di vedere la micro telecamera, ma non c’è....scendo le scale contenta
che fosse stato tutto un sogno, invece ritrovo mia mamma davanti al
megaschermo, la realtà supera di gran lunga tutti i peggiori incubi.
Controllo nelle camere vuote
un tempo appartenute a persone care: nessuno.
Papà e Giacinto son morti sparando a Polverina, Eraclito l’ha salvata
immolandosi con un sorriso, il nonno rimane rinchiuso in clinica ( pur sempre
vivo e con Lupinda) io, unica superstite in tempo di
guerra, combatterò sola questo mondo di soprusi e
violenze.
A scuola tutti sanno cosa è
successo, la versione ufficiale della fuga di gas, e si tengono a debita
distanza da me come se portassi la morte. Nemmeno
Zagara mi si avvicina, nessuno, sento bisbigliare parole di compatimento e
pettegolezzi. - L’
hai vista? Come si veste? Certo che con quello che ha passato....sì,
tutti tranne lei...al funerale c’erano tante persone...- altri invece
preferiscono la versione medica della storia – Quando si è svegliata le hanno
dato i sedativi, sì i composti triciclici come a mia
nonna...- e cose del genere.
Aspetto in mezzo all’atrio
che tutti siano fuori dalle aule e mi metto a urlare
la verità utilizzando il libro di storia come megafono.
- I Del Bene commerciano armi
illegalmente!
- Poverina, è stato uno choc...
- Facevano parte di una
setta!
- Avrà preso troppi
psicofarmaci, le si è distorto il cervello!
Si fa avanti un bidello con
aria minacciosa.
- Hanno ucciso Pietro il contadinooofff!!!
L’omaccione mi tappa la bocca
e mi porta via, a casa.
In auto parla al cellulare
con Lenora, che ha preso il
posto di Frido nel commercio illegale, capisco che non me la faranno passare
liscia, che verrò mandata in un posto lontano.
Spero che quel posto sia la clinica dove sta Angelo, ho saputo che si trova in un
luogo pieno di boschi e lontano dalle città, non mi dispiacerebbe stare lì con
lui, ho bisogno di qualcuno che sappia e non mi consideri demente.
Passo la mia casa e la saluto
per l’ultima volta dal finestrino, so già che mia madre non si preoccuperà
della mia assenza, e se anche fosse, Lenora la convincerebbe che sono in un buon posto, magari
le dirà una clinica, o forse le suggerirà di guardare la puntata
milleduecentotrentaquattro in cui Gaspard rimprovera
la moglie d’essere troppo apprensiva.
Scorre la strada, siamo fuori
città, la macchina si ferma davanti a una grande casa
bianca.
Entro e vado incontro
all’oblio, altre pillole mi vengono date. Scusate non riesco più a pensare, il mio cervello è marcio e
pieno di vermi.
La mia stanza è così normale
che invidio il dott. Lecter perché si poteva
lamentare, almeno poteva far qualcosa.
Sono guardata a vista, non mi
è concessa neanche una tenda per garantire la mia privacy
nemmeno al cesso, in compenso posso leggere ciò che voglio, ho finito “IT” di Stephen King, quello con il clown
e ora voglio il suo “Incubi e deliri”, perché il mio sonno è un incubo, il mio
giorno un delirio.
Le ore si susseguono tristi e
lente, se non ci fosse la finestra e non vedessi il sole confonderei
il giorno con la notte, ma su un albero c’è un’allodola che ogni mattina saluta
il sole.
Oggi ho fatto il mio primo
elettroshock e non mi è piaciuto affatto. Il dottore dice che così guarirò più in fretta.
Prima mi ha fatto sedere e mi
ha dato dei barbiturici e del curaro, poi mi ha sdraiata su un lettino e, dopo
avermi assicurato con delle cinghie di cuoio, mi ha
messo due elettrodi sulle tempie, il resto è dolore infernale, so solo che mi
sono risvegliata nella mia stanza senza veli e ho trovato Angelo ad aspettarmi.
Non sembrava nemmeno lui, un
cherubino triste seduto sul mio letto.
-Guardati – ha detto- ora non
sei più Dolcevita, anche tu sei caduta nel baratro
come me?
-E a te, cos’hanno fatto?
-Per i capelli? Li ho
strappati, come i miei vestiti, però quelli me li hanno ridati i capelli invece
no.
Ride, la risata di un folle,
senza allegria, il riflesso delle luci sul suo cranio liscio non riesce a illuminargli gli occhi. Si avvicina e mi guarda, asciugo
le lacrime scendono sul mio viso –Perché piangi?- chiede, ma lui non vuole una
risposta e mi bacia.
-Se un giorno dovessi
dimenticare tutto, se non ti dovessi più ricordare chi sei, non fare come me,
non lottare contro il destino, accettalo e ti dimetteranno.-
-Io non dimenticherò mai, non
mi arrenderò mai!-
-Allora benvenuta nel mio
mondo-
Così dicendo mi stringe a sé
e mi lascia.
Sopporto i farmaci, gli
elettroshock e gli psicanalisti, scrivo per non dimenticare, perché chi disse
“beata ignoranza” non si era mai sentito vuoto.
Ebbene sì, sono polemica, preferisco sapere e combattere
piuttosto che tapparmi le orecchie e soccombere.
Per questo Angelo
viene ancora: noi due sopravviveremo e riusciremo a dar vita a un nuovo mondo,
insieme guarderemo le stelle, Dandelion, Bacbuc, Altazor, tutte
brilleranno di nuovo.
Questo “seguito”
l’ho scritto l’anno scorso come compito....mi piace un
sacco!
Che ne pensate? Recensite nel bene o nel
male!
^_^
A tutti quelli che hanno letto e
recensito o solo letto:
Grazie!!!