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Autore: Gufo    05/08/2007    26 recensioni
La storia si colloca dopo il finale del libro "Margherita Dolcevita" ....mi lasciate una recensioncina? *.*
O__o
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Mi sono persa nei miei sogni, forse un giorno, forse una vita

Margherita Dolcevita

 

    Ultimo capitolo dopo il finale                                                                                                                                                      

 

 

Mi sono persa nei miei sogni, forse un giorno, forse una vita.

Ho chiuso gli occhi al lago e li riapro in una camera d’ospedale.

Odio gli ospedali, sono come i bidoni perfettamente puliti pieni di lordura, non tanto per i malati quanto per la falsità esalata dalle bocche candide e sorridenti dei medici.

Odio la mia stanza: mi hanno messo in pediatria, come se mi facesse piacere vedere immagini stilizzate di un mondo felicemente colorato e assurdamente utopistico mentre a me non rimane neanche la consolazione della verità.

Forse devo tentare di far finta che non sia successo nulla, né alla mia famiglia né nel capanno, ma è difficile quando vedi tua madre poco distante da te, perfetta e sola, incantata a guardare lo schermo del suo TVfonino senza che s’accorga che sei sveglia, che venga ad abbracciarti.

Dove sei sorella mia? Perché mi hai abbandonata? Nell’ultimo sogno eri triste, piangevi perché dovevi andare, ma dove sei andata? Ritornerai? Bambina, bambina di polvere, Polverina, ti prego almeno tu non abbandonarmi al mio destino: so che il passato è triste, ma il destino è atroce, non ce la posso fare da sola.

Entra piano il medico, sorridente, che inizia a parlare di cosa è successo prima che svenissi: un tragico errore, una fuga di gas nel capanno, una ferita trascurata....ma io ricordo benissimo tutto e, mentre snocciola al vento la sua (o di altri?) versione, penso che il mondo sia troppo corrotto per credere a un’adolescente e, improvvisamente, il mondo felice dipinto sulla parete sghignazza in modo sadico e terribile.

Mia madre non si è ancora mossa dalla sua posizione stile statua di cera e temo che il sole che le segna una guancia possa scioglierla, vorrei alzarmi e andare da lei, scuoterla per far uscire dal suo corpo il demone Lenora che se n’ è impossessato e ritrovare la mia cara bustina da tè dall’odore di cavolo, ma non posso, il dottore blatera e io m’addormento poco a poco.

 

Felicità, s. f.: Una gradevole sensazione scaturita dalla contemplazione della sofferenza altrui come disse Ambrose Bierce nel suo "The Devil's Dictionary"

 

È questo che penso in questo momento, mentre il clown mi saltella davanti con la sua maschera ridente in faccia alla mia allungata.

I clown, figure meschine, ingannatrici, che si truccano per essere felici, per assomigliare a qualcun altro.

Fanno paura i clown, se n’ era accorto anche Leoncavallo con la sua lirica che, come mi cantava sempre il nonno, faceva:- Tramuta in lazzi lo spasmo e il pianto, in una smorfia il singhiozzo e il dolor, ridi pagliaccio sul tuo amor infranto, ridi per quel che t'avvelena il cor!-. In particolare, questo mi sembra Pogo il clown, il famoso serial killer, che gonfia stupidi fiori di plastica correndo e saltellando per tutta la stanza.

Sono sola, sola con il pagliaccio, sola con il mio dolore e una facciata d’ allegria, insomma come sempre e di più.

 

 

Il dottore è tornato e mi ha fatto ingoiare due pillole, psicofarmaci credo, la stanza si riempie di colori e suoni.

 Arranco attraverso uno stretto corridoio sostenuta da due grossi tipi che mi sballottano qua e là come se fossi una bambola di pezza in lavatrice. Qualcosa mi tiene chiusa la bocca, forse è la maschera che indossava Hannibal Lecter, ma più probabilmente è una mano.

Un’oca è inseguita da un asino cavalcato da una brioche gigante e mi precede nel cortile prima di nascondersi e sparire dietro un albero, l’asino mangia la brioche e sparisce in una bolla di sapone al sole.

Uno dei due bruti mi carica su una minuscola autovettura e mi lega al sedile.

Il buio.

 

Gli occhi sono incrostati, ma riesco a vedere il poster dei Queen alla parete, sono nella mia stanza!Alzo gli occhi al soffitto aspettandomi quasi di vedere la micro telecamera, ma non c’è....scendo le scale contenta che fosse stato tutto un sogno, invece ritrovo mia mamma davanti al megaschermo, la realtà supera di gran lunga tutti i peggiori incubi.

Controllo nelle camere vuote un tempo appartenute a persone care: nessuno.

Papà e Giacinto son morti sparando a Polverina, Eraclito l’ha salvata immolandosi con un sorriso, il nonno rimane rinchiuso in clinica ( pur sempre vivo e con Lupinda) io, unica superstite in tempo di guerra, combatterò sola questo mondo di soprusi e violenze.

 

A scuola tutti sanno cosa è successo, la versione ufficiale della fuga di gas, e si tengono a debita distanza da me come se portassi la morte. Nemmeno Zagara mi si avvicina, nessuno, sento bisbigliare parole di compatimento e pettegolezzi. -  L’ hai vista? Come si veste? Certo che con quello che ha passato....sì, tutti tranne lei...al funerale c’erano tante persone...- altri invece preferiscono la versione medica della storia – Quando si è svegliata le hanno dato i sedativi, sì i composti triciclici come a mia nonna...- e cose del genere.

Aspetto in mezzo all’atrio che tutti siano fuori dalle aule e mi metto a urlare la verità utilizzando il libro di storia come megafono.

- I Del Bene commerciano armi illegalmente!

- Poverina, è stato uno choc...

- Facevano parte di una setta!

- Avrà preso troppi psicofarmaci, le si è distorto il cervello!

Si fa avanti un bidello con aria minacciosa.

- Hanno ucciso Pietro il contadinooofff!!!

L’omaccione mi tappa la bocca e mi porta via, a casa.

In auto parla al cellulare con Lenora, che ha preso il posto di Frido nel commercio illegale, capisco che non me la faranno passare liscia, che verrò mandata in un posto lontano.

Spero che quel posto sia la clinica dove sta Angelo, ho saputo che si trova in un luogo pieno di boschi e lontano dalle città, non mi dispiacerebbe stare lì con lui, ho bisogno di qualcuno che sappia e non mi consideri demente.

 

Passo la mia casa e la saluto per l’ultima volta dal finestrino, so già che mia madre non si preoccuperà della mia assenza, e se anche fosse, Lenora la convincerebbe che sono in un buon posto, magari le dirà una clinica, o forse le suggerirà di guardare la puntata milleduecentotrentaquattro in cui Gaspard rimprovera la moglie d’essere troppo apprensiva.

Scorre la strada, siamo fuori città, la macchina si ferma davanti a una grande casa bianca.

 

Entro e vado incontro all’oblio, altre pillole mi vengono date. Scusate non riesco più a pensare, il mio cervello è marcio e pieno di vermi.

 

La mia stanza è così normale che invidio il dott. Lecter perché si poteva lamentare, almeno poteva far qualcosa.

Sono guardata a vista, non mi è concessa neanche una tenda per garantire la mia privacy nemmeno al cesso, in compenso posso leggere ciò che voglio, ho finito “IT” di Stephen King, quello con il clown e ora voglio il suo “Incubi e deliri”, perché il mio sonno è un incubo, il mio giorno un delirio.

Le ore si susseguono tristi e lente, se non ci fosse la finestra e non vedessi il sole confonderei il giorno con la notte, ma su un albero c’è un’allodola che ogni mattina saluta il sole.

 

Oggi ho fatto il mio primo elettroshock e non mi è piaciuto affatto. Il dottore dice che così guarirò più in fretta.

Prima mi ha fatto sedere e mi ha dato dei barbiturici e del curaro, poi mi ha sdraiata su un lettino e, dopo avermi assicurato con delle cinghie di cuoio, mi ha messo due elettrodi sulle tempie, il resto è dolore infernale, so solo che mi sono risvegliata nella mia stanza senza veli e ho trovato Angelo ad aspettarmi.

 

Non sembrava nemmeno lui, un cherubino triste seduto sul mio letto.

-Guardati – ha detto- ora non sei più Dolcevita, anche tu sei caduta nel baratro come me?

-E a te, cos’hanno fatto?

-Per i capelli? Li ho strappati, come i miei vestiti, però quelli me li hanno ridati i capelli invece no.

Ride, la risata di un folle, senza allegria, il riflesso delle luci sul suo cranio liscio non riesce a illuminargli gli occhi. Si avvicina e mi guarda, asciugo le lacrime scendono sul mio viso –Perché piangi?- chiede, ma lui non vuole una risposta e mi bacia.

-Se un giorno dovessi dimenticare tutto, se non ti dovessi più ricordare chi sei, non fare come me, non lottare contro il destino, accettalo e ti dimetteranno.-

-Io non dimenticherò mai, non mi arrenderò mai!-

-Allora benvenuta nel mio mondo-

Così dicendo mi stringe a sé e mi lascia.

 

Sopporto i farmaci, gli elettroshock e gli psicanalisti, scrivo per non dimenticare, perché chi disse “beata ignoranza” non si era mai sentito vuoto.

Ebbene sì, sono polemica, preferisco sapere e combattere piuttosto che tapparmi le orecchie e soccombere.

Per questo Angelo viene ancora: noi due sopravviveremo e riusciremo a dar vita a un nuovo mondo, insieme guarderemo le stelle, Dandelion, Bacbuc, Altazor, tutte brilleranno di nuovo.

 

 

Questo “seguito” l’ho scritto l’anno scorso come compito....mi piace un sacco!

Che ne pensate? Recensite nel bene o nel male!

^_^

 

 

A tutti quelli che hanno letto e recensito o solo letto:

 

Grazie!!!

  
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