Thiago lesse almeno due volte la falsa intervista di Mac ai Tokio Hotel, fatta
di copia e incolla presi in giro per internet, come le aveva consigliato Bill.
Dato che il genio letterario era Thiago, Mac aveva lasciato a lui il
compito di trasformare un semplice scopiazzamento in un articolo giornalistico
perfetto. Non di meno Thiago era iscritto alla facoltà di letteratura, mentre
lei era semplicemente la donna delle fotocopie e dei cappè.
"Ecco, penso che così vada bene...", disse lui, girando il pc verso
Mac, seduta di fronte a lui.
“E’ perfetto… sei un genio!”, esclamò Mac, dandogli un bacio sulla guancia,
"Grazie amore mio.”
"Lo so, sono da premio Pulitzer, solo che non lo danno ai giornalisti gay!",
sbuffò l’altro.
"Se ti togliessi quegli occhialini fucsia e ti vestissi come un uomo te lo
darebbero.", disse Mac, prendendolo in giro, marcando sui suoi occhiali da
vista rosa shocking che si intonavano con il colore olivastro della sua pelle,
ma stonavano totalmente con il suo essere uomo.
"Guarda cara che questi occhialini, come li chiami tu, valgono un occhio
della testa. E poi sono 'in' mentre tu sei 'out'!", disse, gesticolando
vistosamente.
"Ma piantala... adesso faremmo meglio ad andare a letto, sono le due
passate e domani ho la sveglia alle sei e mezza per consegnare questo maledetto
articolo.", fece Mac, trascinandolo verso le loro camere, prendendolo per
mano.
Non erano ancora suonate le otto quando Mac mise il primo piede dentro al
redazione Se ne stava nervosa, seduta sulla sedia di Jutta, con il floppy che
conteneva l'intervista in mano. Pregò con tutta l'anima che andasse tutto per
il meglio, fece gli scongiuri, chiese una grazia a tutti i santi del
calendario. Quando la vide apparire alla porta, perfetta nel suo completino
azzurrino, scattò sull'attenti e liberò la scrivania.
"Giorno Mac... che nome assurdo che hai!", fece Jutta come sempre.
"Ha parlato Jutta...”, le rispose automaticamente Mac, “Buongiorno, questo
è il floppy. C'è l'intervista dentro."
Jutta si sedette sulla sua sedia girevole e accese il pc, mentre con l’altra
mano si rigirava sotto gli occhi il floppy. Non era molto loquace quella
mattina e di sicuro non era un buon segno per Mac.
"Tutto a posto?", le chiese, per accertarsene "Come sta tuo
nipote?"
"Pessima domanda. Anzi, ritiro anche il buongiorno. Esiste la parola
'Cattivgiorno'?", sbottò subito l’altra, sfoderando fuori il suo pessimo
umore.
"Vado a prendere un vocabolario!", esclamò Mac ridendo, ma la sua
faccia tornò buia subito, perchè Jutta non aveva mosso nemmeno un muscolo per
ridere insieme a lei.
"Vediamo quest'intervista piuttosto.", fece, cliccando sull’icona del
collegamento al floppy disk.
"Io ti preparo un caffè, così ti lascio leggere in pace.", fece Mac, uscendo
dal raggio di azione del mega coltello di Jutta, affilatissimo e
sicuramente pronto per tagliarla in pezzettini.
Appoggiata alla macchinetta, era talmente confusa nei suoi pensieri che fece
raffreddare troppo il suo caffè e lo bevve quando ormai era del tutto ghiaccio.
Lo gettò nel cestino dei rifiuti, era già imbevibile quando era caldo. Tornò da
Jutta in punta di piedi, in attesa che il suo destino di assistente licenziata
si compisse.
"L'hai scritto tu questo articolo?", le chiese Jutta, a bruciapelo.
Era inutile mentirle ed oltretutto era impossibile farlo con lei, che riusciva
a fiutare le bugie lontane mille miglia da lei. Poteva provare a raccontarle
una mezza verità, forse ci cadeva…
"Mi ha dato una mano Thiago. Sai, lui studia letteratura e coniuga i
discorsi meglio di me....", disse, attorcigliandosi le dita per il
nervosismo.
"Non male, ma è ripetitivo. Ci sono le solite cose che sono scritte in
tutte le interviste.", disse Jutta, imbronciandosi.
"Beh.."
Jutta incrociò le braccia e la guardò di sbieco.
"Sei molto intelligente e sveglia. Lo so che questo è un copia e
incolla.", disse, smascherandola completamente.
Mac si sentì gelare il sangue nelle vene, a Jutta era bastata una semplice
lettura superficiale per capire tutto.
"Mi dispiace.", fece Mac, "Ho cercato di fare un'intervista
ma... non è andata molto bene."
"E perchè non è andata molto bene?"
"Perchè...", disse Mac, cercando di trovare una spiegazione migliore
di 'ci siamo ubriacati e ci siamo fumati il cervello tutti insieme appassionatamente'.
"Perchè forse non è una buona idea mandare un’assistente di redazione
nemmeno ventenne a fare un’intervista ad un gruppo di suoi coetanei?",
fece lei, con un sospiro e un'espressione contrariata della testa,
"Bastava guardare lo occhiaie che avevi ieri per capirlo. Chissà cosa vi
siete fumati ieri…"
"Non bastano tutte le scuse del mondo per quello che ho fatto.",
disse Mac, che non sapeva più a quale specchio aggrapparsi.
Jutta la guardò un’ultima volta. Sciolse le sue braccia incrociate per unire le
mani sul grambo.
"Mac, che lavoro fai?", le chiese.
"Assistente di produzione.", rispose lei, neutrale-
"E poi?"
"Guardarobiera."
"E cosa hai studiato?"
"Beh... su un pezzo di carta attaccato al muro di casa dei miei c'è
scritto 'diploma in surriscaldamento del banco cum laude'"
"E quindi?"
"E quindi mi licenzi tu oppure devo aspettare che lo faccia il direttore
davanti a tutti?", disse Mac, spazientendosi definitivamente.
"Mac... avevi una responsabilità grande da portare avanti."
La ragazza, con la faccia da cane bastonato, prese la sua borsa e uscì dalla
redazione con le lacrime agli occhi. Non sopportava deludere la gente,
soprattutto gli amici come Jutta. Basta, fine del lavoro, adesso doveva
trovarsene un altro e tenerselo stretto con i denti… Nera, incazzata come poche
altre volte, entrò sbuffando nello studio di Karl, senza che avesse un motivo
preciso per fargli visita.
"Hey spaventapasseri, cosa ti porta qua? Non vanno bene le foto?",
fece lui, che già era in camice. La fece entrare nella camera rossa e, mentre
lei si arruffava il cervello seduta su una sedia, lui riprese il suo lavoro.
"Boh, che ne so...”, disse lei, “Ho consegnato l'articolo adesso e non è
andato bene. Hanno capito subito che era un copia e incolla preso da altri
articoli su internet."
Karl, mentre appendeva le foto in via di sviluppo, e sospirò.
"Ti ripeto, non sei una giornalista,”, le ripetè, come aveva fatto il
giorno precedente, “e non avrebbero dovuto farti fare tutto solo perchè questi
ragazzi hanno richiesto la tua presenza."
"Sì, ma potevo fare molto di meglio.", si lamentò Mac, “Adesso mi
hanno tagliato le gambe.”
"Cosa farai? Ce l’hai un altro lavoro?”
"Non mi ci far pensare, Karl…”, lo pregò lei, “Per adesso vorrei fare una
copia delle fotografie che ho fatto.", disse lei, tirando fuori un cd
vergine dalla sua borsa.
"Bene, vai al computer, io devo ancora fare delle cose qua. Tanto sai come
si usa vero?"
"Sì, già l'ho fatto altre volte."
Salì sulla sua celestina, chiedendosi se Jacob avrebbe acconsentito ad assumerla
a tempo pieno nel suo locale, anche come cameriera, o come donna delle pulizie.
Andò verso lo studio dove aveva preso appuntamento con i ragazzi e attese
seduta su una panchina, in un giardino da lì poco distante. La sua mente era
vuota, risuonavano solo le canzoni memorizzate nel suo mp3. Con una sigaretta
in bocca e un caffè in mano, attese che arrivassero le quattro.
"Ragazzi, un attimo di pausa vi prego!", disse Gustav, alzando le
mani in aria per chiedere pietà.
"Dai, un ultima canzone!", disse Bill, che quel giorno si stava
divertendo davvero troppo alle prove.
"Basta, non ce la faccio più...", disse Georg, togliendosi il basso e
uscendo dallo studio.
I quattro ragazzi andarono nella sala relax a distendere i loro muscoli.
Stavano provando da quasi due ore perchè tra qualche giorno, dopo una breve
vacanza in famiglia, avrebbero iniziato un mini tour della Germania e dovevano
per forza impegnarsi.
Tom aprì la finestra e si accese una sigaretta, l'avrebbe aiutato a rilassarsi
completamente. Con i gomiti appoggiati al davanzale, guardava la strada e le
persone che camminavano sui marciapiedi.
"Hey Bill, quella non è la macchina di Mac?", esclamò, notando
un'automobile vecchia e celeste.
Suo fratello, che era impegnato in una partita solitaria alla playstation, mise
il gioco in pausa e andò a controllare, seguito a ruota anche da Gustav e da
Georg.
"Sì, è quella! Si riconosce da un miglio di distanza!", disse Georg,
"Ma sono le due e mezza, cosa ci fa già qui?"
Gli altri, ricordando quello che lei aveva detto a Bill a proposito del suo
lavoro, compresero che le cose non le erano andate molto bene. Gustav si sporse
per vedere se lei si trovasse nei paraggi: la vide seduta su una panchina,
quasi fuori dalla sua visuale, che leggeva un giornale.
"Mac!", gridò, sperando che lei lo sentisse.
"Mac!", fece anche Tom.
"Non ci sente... e poi stiamo attirando l'attenzione.", fece Bill,
notando che diversi nasi si erano voltati all'insù per vedere chi stesse
gridando in quel modo.
Se non fosse stato per il vibracall, Mac non avrebbe mai visto che il cellulare
stava ricevendo una chiamata. Aveva le cuffie nelle orecchie e la musica
era un po' troppo alta, solo la vibrazione del suo telefonino attirò la sua
attenzione.
"Pronto?", disse, accettando la chiamata.
"Ci stai vedendo?", disse una voce familiare ma non conosciuta
all'altro capo del telefono.
"Cosa?", fece Mac.
"Dai scema! Siamo noi! Alza il naso!", disse una voce che
sembrava quella di Tom.
Mac si guardò intorno, poi con la coda dell'occhio vide che qualcuno stava
cercando di attirare la sua attenzione, sbracciandosi ai piani alti di un
palazzo. Riconobbe Gustav e Tom.
"Sto arrivando!", fece, con un sorriso sul viso, chiudendo la
chiamata.
Mentre l'ascensore saliva si chiedeva cosa avrebbe dovuto dire, come si sarebbe
dovuta comportare. C'era sempre il mistero 'con chi avrà mai perso la
verginità la signorina Mackenzie Rosenbaum?', una domanda da un milione di
dollari, il concorso era sempre aperto a nuovi iscritti.
Forse lei lo avrebbe capito guardandolo in faccia, notando il suo imbarazzo.
Georg, che si era rifiutato di rispondere a tutte le domande dei suoi compagni
su come e quando Mac gli avesse scritto quella frase addosso, stava iniziando a
sentirsi nervoso. Le mani avevano preso a sudare, la sua faccia stava
arrossendo. Si domandò se anche lei si ricordava, ma una vocina in fondo alla
sua testa gli disse di no, sicuramente lei non si ricordava niente.
"Ciao ragazzi!", fece lei, entrando nella sala relax.
Il primo ad andarle incontro fu Bill: le tendeva le mani come se volesse
abbracciarla, ma inaspettatamente Mac si ritirò e gli strinse la mano,
imbarazzata. Così successe anche con Tom, che voleva darle un tenero abbraccio
e, non avendo notato la reazione che aveva avuto la ragazza con il fratello,
rimase lievemente interdetto quando lei si scansò, porgendogli la mano. Gustav,
invece, aveva afferrato la palla al balzo: la salutò con un semplice ciao e
altrettanto fece Georg.
Mac scrutò le loro facce velocemente, rimanendo delusa e contenta allo stesso
momento: nessuno di loro sembrava essere in imbarazzo con lei. Ciò poteva voler
dire che forse non era successo niente, che magari era stata lei a crearsi
tutti quei problemi solo per aver visto la cartina di un condom a terra.
Magari, anche se la sera prima non era perfettamente cosciente, si era comunque
rifiutata di farlo... Sì, pensò, era sicuramente così.
"Sono stato io a vedere la tua macchina.", disse Tom, "E anche
se l'appuntamento era alle quattro abbiamo deciso di farti salire lo
stesso."
"Ah... allora grazie.", disse Mac, ancora imbarazzata.
"Siediti e parlaci del tuo lavoro.", disse Gustav, al quale premeva
evidentemente sapere cosa le era successo, per essere arrivata da loro prima
dell'ora stabilita.
Mac gli sorrise e si accomodò, mentre gli altri ragazzi si disposero intorno a
lei..
"Beh.... mi hanno licenziata.", snocciolò rapidamente.
"Davvero?", fece Bill.
"A dire la verità me ne sono andata io quando ho capito che la situazione
non era a mio favore.", rivelò Mac.
"Allora come fai a sapere se hai perso il lavoro o no?", le domandò
Gustav, grattandosi la testa..
"Certe cose si capiscono...", disse Mac, scuotendo la testa, "Te
lo senti dentro."
"E se invece il lavoro ce l'hai ancora e ti stai sbagliando?", disse
Georg, facendo spallucce.
Lui l'aveva osservata bene e, a parte un leggero imbarazzo iniziale, aveva
visto che la sua faccia si era distesa subito.
Non si ricordava niente... la cosa gli dispiacque abbastanza.
In fin dei conti, l'aveva sempre trovata carina e quello che era successo era
dovuto solo a questo. Non era innamorato di lei, ma dopo tutto quel bere e quel
fumare...
Per le ragazze, di solito, la prima volta doveva essere una cosa speciale e la
sua non lo era stata di certo. Se ne dispiacque, le aveva rovinato uno dei
momenti più belli della sua vita... ma non poteva farci niente, ormai era
capitato. Oltretutto non era nemmeno sicuro che lei si ricordasse...
"Non credo... e comunque farei bene a trovare qualcos'altro di più
gratificante. A proposito, vi faccio vedere le fotografie.", disse Mac,
tirando fuori il cd che le conteneva. Lo infilò nel lettore dvd impolverato che
sostava inutilizzato sopra la televisione, si sedette per terra, seguita dai
ragazzi, e presto iniziarono a ridere di quelle fotografie.
"Però... questa è bella...", disse Bill, riferendosi ad una foto che
lo ritraeva, con la testa riclinata all'indietro, mentre cantava, e in secondo
piano, un po' sfocato, c'era suo fratello, impegnato a suonare la sua chitarra.
"Anche questa non è male...", disse Gustav, immortalato sorridente,
mentre si asciugava la fronte con la mano.
"Mi piacciono i primi piani.", disse Mac.
"Perchè non ti butti nella fotografia?", le fece Georg.
"Perchè non pagano bene!", rispose subito lei, "E perchè non mi
interessa."
"Io ci proverei.", disse Bill.
Mac riflettè un attimo... 'Quella porta è sempre aperta', le aveva detto
Karl il giorno prima. Non sarebbe stato male lavorare con lui, pensò la
ragazza.
"Mannaggia! Mi sono scordata la tua t-shirt, Georg!", esclamò Mac,
"Ancora è nel cesto dei panni sporchi."
"Non ti preoccupare, ne ho cinquanta di magliette come quella, te la
regalo... ma questa invece è la tua roba.", disse lui, passandole una
piccola busta di carta, con dentro la sua canottiera e le chiavi di casa.
"Eh no! Queste le saltiamo!", esclamò Tom improvvisamente, appena
apparve la sua prima foto vestito da donna.
"Te lo scordi bellezza!", dise Mac, afferrando insieme a lui il
telecomando del lettore, per evitare che premesse il tasto stop.
"Lascialo!", protestò il ragazzo.
"No lascialo tu!", fece Mac, tirando ancora più forte.
"No! Fallo tu!", esclamò Tom, riuscendo a toglierle il telecomando di
mano. Mac cadde all'indietro, battendo una sonora culata per terra e prendendo
a ridere come una pazza. Di nuovo il suo telefono prese a squillare.
"Che palle questo coso!", disse, alzandosi non senza fatica.
"Ma dove sei finita!", sbottò Jutta. Era lei che la chiamava
dalla redazione.
"In giro, tanto non lavoro più con voi, no?"
"Sbagliato, al capo redattore e al direttore è piaciuta l'intervista,
non hanno capito che era un lavoro fatto con i piedi. L'ho sempre detto che
sono degli incompetenti patentati."
"Quindi non sono licenziata?", domandò Mac, che si sentiva come sul
filo del rasoio.
"No scema, torna in redazione a riprendere il tuo posto!",
disse Jutta.
I ragazzi, attirati dalla conversazione telefonica, guardavano Mac sorridendo,
in attesa di una sua esplosione di gioia.
Ma Mac, nella sua testa, era davanti ad un bivio: rimase un attimo in silenzio.
Lasciare il lavoro sottopagato e sottoappagante, ma sicuro e stabile, oppure
prendere al volo la proposta di Karl?
"Allora? Ci sei?", la richiamò Jutta, al telefono.
"Sì ci sono, ma mi licenzio da sola.", disse Mac, in uno slancio di
irrazionalità, "Ho trovato un altro lavoro. Ci sentiamo Jutta, salutami
tutti!"
E chiuse la chiamata.
Tutti la guardavano come se avesse detto la più grossa cavolata del mondo.
Bocche spalancate, occhi sbarrati.
"Ti sei licenziata da sola? Ma sei pazza!", esclamò Tom.
"Forse sì...", disse Mac, comprendendo che forse non era stata la
decisione più saggia della sua vita, "Adesso devo fare un'altra
chiamata."
Premette il tasto della rubrica e scorse i nomi finchè quello di Karl non fu
evidenziato.
Prima di salutare i ragazzi, chiese loro un ultimo favore.
"Lo faccio per il mio amico Thiago, tra qualche mese torna in Spagna e
vuole a tutti i costi i vostri autografi.", disse Mac.
"E cosa vuoi che sia! Vado a prendere un foglio ed una penna.", disse
Gustav, inziando a frugare in giro.
"No, sarebbe troppo scontato.", disse lei, tirando fuori una t-shirt
completamente bianca ed un pennarello, "Vuole che firmiate questa
maglietta."
"E allora firmiamola!", disse Tom, facendo spallucce.
"Ho in mente una dedica fantastica: A Thiago, il gay più gay dei
gay!'", disse Bill.
"Ma che fantasia...", fece Georg, incrociando le braccia.
"A me piace e ce lo scrivo, poi voi ci mettete quello che volete!",
disse lui, un po' risentito dal commento dell'amico. Aggiunse alla sua frase
d'effetto la sua firma, poi passò il pennarello al fratello, che si limitò
ad un semplice scarabocchio e ad un 'sei forte ragazzo!', e lui lo
cedette infine a Gustav. Dopo un 'continua così' del batterista, Georg
volle cogliere il momento per tentare l'ultima carta.
"Cos'hai stai scrivendo? Guerra e pace?", gli disse Tom, vedendolo
intento, con la lingua sporgente tra i denti, a scrivere qualcosa di
impegnativo, piegato sulla t-shirt come se nessuno dovesse guardarlo.
A fine lavoro chiuse il pennarello e riconsegnò la maglietta a Mac, cercando
nel suo viso un segno rivelatore.
Lo sguardo della ragazza, dopo la lettura della sua dedica, si abbuiò per un
secondo.
"Rock... my life...", lesse.
Gli occhi dei ragazzi andavano da Georg a Mac, da Mac a Georg, in attesa di una
reazione.
"Non so per quale motivo... ma questa frase mi è familiare.", disse
Mac, ridendo imbarazzata.
"Beh... hai lavorato per Pop my life...", balbettò Georg, "ma ti
si addice più farlo per una rivista con quel nome, o sbaglio?"
Quello era il
segno che lei non si ricordava davvero di niente.