La
narrazione è in mano ad Arya, che racconta in prima persona
le sue
vicende a partire dal rapimento da parte di Durza. Siamo già
dopo la
fine di Inheritance e tutta la storia è
un gigantesco
flashback.
Gli eventi dei quattro libri verranno manipolati
fantasiosamente a favore della trama che ho immaginato, cercando
tuttavia di non alterarli. Mi limiterò a costruire delle
trame
sotterrane e a riempire i "buchi" che Paolini ci
ha lasciato alla fine di Inheritance.
Coppia: Crack
Pairing. Durza x Arya.
Rating: Arancione.
ATTENZIONE! Ampio spoiler dei quattro libri!
Buona lettura! ^_^
__________________________________________________________________________________________________________________
Cara
Nasuada,
Se tutto andrà bene come spero, quando leggerai questa
mia lettera io sarò molto lontana.
Il mio popolo ti avrà già
sicuramente informata delle mie malefatte e della mia fuga. Voglio
che tu sappia che non sono pentita di nulla di ciò che ho
fatto.
Sono solo dispiaciuta di essere stata, indirettamente o meno, causa
di così tante morti e sofferenze.
A questa mia lettera allego un
flusso delle mie memorie degli ultimi mesi, tutto ciò che mi
ha
portato alle scelte che ho compiuto. Le confidenze che ho sempre
rifiutato di farti.
Scriverti tutto questo potrebbe essere
pericoloso, ma voglio che almeno tu sia cosciente delle ombre che
questa terra ha nascosto a tutti, e quelle che probabilmente ancora
cela. Tu sei regina in un tempo in cui tutto è in precario
equilibrio, ancora più che durante il regno di Galbatorix.
Ti prego
sii prudente, amica mia.
Non rivelare a nessuno l’esistenza di
queste parole e distruggile non appena puoi. Le informazioni che
contengono trattano anche di persone che sono ancora in vita, alcune
anche intorno a te. Se qualcuno venisse a sapere che sono in mano
tua, potrebbe decidere di ucciderti.
Che le stelle ti
proteggano,
Arya.
Mi strinsi forte alla
coperta imbottita, avvicinandomi ancora un po’ al fuoco.
Dannazione
al freddo!
Lo odiavo da sempre, e non mi risparmiai di odiarlo
neanche quella notte. L’inverno si stava avvicinando, e io
dovevo
arrivare alla mia città, Ellesméra, prima della
caduta della prima
neve, e portarvi al sicuro la bisaccia che avvinghiavo a me anche
mentre dormivo. Ero la custode dell’ultimo e unico uovo di
drago in
possesso alla resistenza, l’uovo di zaffiro.
Da quindici anni
ormai la mia vita era un continuo ritmo cadenzato.
Ellesméra-Tronjheim. Tronjheim-Ellesméra. Restavo
un anno in
ciascuna delle due città, nella speranza che
l’uovo si schiudesse
per qualcuno, o umano o elfo che fosse. Ma ormai si stavano perdendo
le speranze, il drago non dava il minimo cenno di collaborazione, e
io continuavo ad attraversare Alagaësia a vuoto.
Non che mi
dispiacesse, ovvio. Per avere quell’incarico avevo rinunciato
a
tutto e tutti. Persino a mia madre, colei che più di tutti
si era
accanita contro di me e la mia decisione, la donna che mi aveva dato
la vita e che si era poi affrettata a ripudiarmi non appena avevo
deluso le sue aspettative.
Scacciai in fretta quel pensiero
velenoso, mi gelava le ossa, e non ne avevo certo bisogno in quel
momento.
Mi accoccolai ancora più stretta al tesoro che giaceva
tra le mie braccia, alla ricerca di una maniera decente per
addormentarmi, invano. Ero troppo agitata quella notte e non seppi
spiegarmi il perché.
Mi alzai a sedere di scatto, sospirando
scocciata capendo che sarebbe stata una notte insonne. I miei occhi
si andarono a scontrare contro una figura scura, accucciata di fronte
a me.
«Scusami» sussurrò Fäolin,
«ti ho svegliata».
Sorrisi
appena. «Figurati».
Fäolin ed io eravamo amici fin da quando io
ero bambina. Di trent’anni più vecchio di me, lui
era stato
l’unica luce della mia triste e desolata infanzia, stipata di
impegni, lezioni, etichetta. L’unico, oltre alla mia nutrice,
ad
avere provato sincero affetto per me, mentre tutti i cortigiani non
facevano altro che elargire consigli e sollecitazioni al solo scopo
di prepararmi al mio futuro di regnante. L’unico ad avermi
offerto
un sorriso o una parola gentile, quando mia madre passava per i
corridoi salutandomi appena, troppo impegnata a soffrire per la morte
del mio valoroso padre Evandar. Padre che non avevo nemmeno mai
conosciuto.
Quando avevo ottenuto l’incarico di ambasciatrice
degli Elfi, lui mi aveva seguito nei miei viaggi, non prima di avermi
confessato di amarmi profondamente.
Allora lo avevo ferito.
Imbarazzata e completamente ignorante della situazione, avevo
iniziato a trattarlo con più freddezza, allontanandolo da
me. Con il
passare degli anni e dei viaggi attraverso il paese, sempre insieme,
il nostro legame era diventato più forte che mai, e io avevo
capito
la portata del profondo affetto che sentivo per lui. Tanto che quella
notte potevo benissimo definirmi innamorata di lui.
E lui lo
sapeva, glielo avevo confessato un mesetto prima, mentre aspettavamo
novità sulla schiusa dell’uovo, che poi non era
avvenuta. Non che
da allora fosse cambiato molto tra di noi, eravamo sempre in
missione, sempre all’erta, sempre con Glenwing a guardarci le
spalle. E a toglierci ogni possibilità di restarcene un
po’ per i
fatti nostri per più di cinque minuti. Ma ogni tanto, come
quella
notte ad esempio, riuscivamo a ritagliarci un angolino di
solitudine.
«Non dormi?» mi chiese, interrompendo il flusso dei
miei pensieri.
«No» borbottai distratta, «è
freddo».
Mi
sorrise premuroso. «Vuoi che aumenti il fuoco,
Arya?»
Scossi il
capo. «Vado a fare una passeggiata».
Mi alzai in piedi di
scatto, uscendo dal cerchio luminoso creato dalle fiamme.
«Aspetta».
La sua mano si serrò sicura sul mio braccio. «Non
possiamo
abbandonare il nostro compare». Annuì in direzione
di Glenwing, che
russava rumorosamente.
Ecco perché non dormo. Mi ritrovai
a pensare, piccata.
«Resta con lui» dissi tranquilla.
Scosse
la testa. «Non puoi certo andare in giro da sola con il
tesoro più
prezioso che abbiamo attaccato al collo».
«Giusto» mi arresi,
tornando a sedermi accanto alle fiamme.
Mi raggiunse
silenziosamente, sedendosi accanto a me.
«Senti Arya» cominciò
incerto, «stavo pensando.. una volta finita questa missione
che ne
sarà di noi?»
Quella era una domanda che mi ponevo anche io da
tanto, tanto tempo, ma che confinavo rapidamente ai margini del mio
cervello, per non poterla prendere in considerazione in alcun modo.
Cosa avrei mai fatto dopo che la mia vocazione si fosse estinta?
Forse per allora mia madre avrebbe perdonato le mie scelte, che
riteneva tanto sbagliate? L’idea della schiusa
dell’uovo e della
sconfitta del re era troppo lontana perché io potessi
prendere in
considerazione il mio futuro.
«Non saprei» risposi vaga.
«Troveremo qualcos’altro da fare.. potremmo
continuare a
combattere per l’esercito o..»
«Non intendevo quello» mi
interruppe con dolcezza.
«Cosa allora?» Gli domandai,
increspando la fronte.
«Intendo cosa accadrà tra noi due»
specificò.
Sorrisi. «Hai qualche idea?» mi informai
curiosa.
«Beh io vorrei chiederti ufficialmente come mia
fidanzata» disse convinto, prendendomi una mano.
«E io credo che
allora accetterò» lo rassicurai.
Sgranò gli occhi.
«Davvero?»
Risi. «Sì!» Sembrava un bambino.
«Quando
finisce tutto, allora sarai la mia fidanzata?»
«Quello
dipende».
«Da cosa?»
«Da te».
Lo vidi farsi pensieroso.
«Io chiederei la tua mano in questo stesso istante, Arya,
sappilo,
ma non so se tua madre sarebbe d’accordo».
«Io non ho mai
avuto una madre» lo informai con amarezza.
«Non dire così».
«Sii
realista» ribattei risoluta. «Meno mi vede, meglio
sta. Ed è
reciproco».
«Ma non è vero..»
«Basta!» lo zittii
piuttosto freddamente.
Glenwing grugnì disturbato nel
sonno.
«Scusami». Tornai a parlare in un bisbiglio, per
non
svegliarlo. «Ma devi capire che lei non ha alcuna influenza
nella
mia vita. Se devi chiedere qualcosa, chiedilo direttamente a
me».
«Tu
vorresti essere la mia fidanzata?»
Accennai un sorriso «Magari
prova a domandarmelo quando saremo ad Ellesméra, potrei
anche dirti
di sì».
«Non sai quanto mi rendi felice» mormorò
al mio
orecchio.
Si ritrasse lentamente da me, sfiorando le mie labbra
con le sue, a tradimento, per un brevissimo istante. Sobbalzai. Non
mi aveva mai baciata, mai.
«Dovresti scioglierti un po’» mi
informò ridacchiando.
«Che dici?»
«Sul serio Arya».
Avvicinò di nuovo il viso al mio. «Non puoi essere
nervosa come una
ragazzetta al primo bacio». Mi strinse la nuca e premette
ancora le
sue labbra sulle mie.
Mi irrigidii ma poi finii per arrendermi
alle sue labbra morbide. Socchiusi gli occhi, restituendo quel bacio
leggero.
Fäolin si staccò da me e rise. «Arya la
donna di
ghiaccio, non mi sarei mai aspettato una simile reazione da una
come».
«Fäolin!» esclamai ammonitrice.
«Come non detto»
alzò le mani in segno di resa. «Arrivati ad
Ellesméra annunceremo
il nostro fidanzamento. Tua madre e gli altri membri del Consiglio lo
accetteranno prima o poi. Del resto il tempo non sarà un
problema
per me, né per te». Mi sorrise. «Abbiamo
un’eternità.»
«Sempre
che non finiamo ammazzati prima» ironizzai
macabramente.
«Sciocchezze..!» ribatté con sicurezza,
scatenando un ennesimo grugnito del povero Glenwing.
Mi affrettai
a sigillargli la bocca con una mano, bloccando il flusso delle sue
parole e impedendogli di svegliare il nostro amico e segnalare la
nostra posizione all’intero esercito imperiale.
«Controllati»
sibilai.
Sorrise con aria innocente. «Perdonami, mia
signora».
«Ci devo pensare» sbottai.
Sospirò. «Attendo con
impazienza il giorno in cui uscirai dal tuo guscio, mia cara,
perché
quello sarà la volta buona che il cielo ci cadrà
in
testa».
«Buonanotte Fäolin» mi congedai.
Rise di nuovo
«Buonanotte Arya Dröttningu».
Non potei trattenere un
sorriso.
Non riuscii a dormire.
Nonostante quella chiacchierata
che mi aveva scaldato la coscienza, nonostante la certezza che
Fäolin
era di guardia, nonostante la sicurezza datami dal cerchio magico che
ci proteggeva, mi sentivo inquieta.
E quell’inquietudine mi
tormentò, impedendomi di scivolare
nell’incoscienza. Quando il mio
uomo mi scosse, all’alba, non avevo chiuso occhio.
Riprendemmo
il nostro viaggio a cavallo. Il mio battito cardiaco era accelerato,
senza alcun motivo valido, e non riuscii in alcun modo a
placarlo.
Il viaggio continuò con una tranquillità quasi
inquietante, nonostante la mia irrazionale paura, che i miei compagni
si divertivano a beffeggiare con affettuosa ironia.
Il paesaggio
scorreva fluido sotto gli zoccoli dei nostri veloci cavalli elfici e
io non potevo fare a meno di provare un certo sollievo ad ogni lega
bruciata, ad ogni passo più vicino alla mia foresta.
Fäolin
continuava a baciarmi, di nascosto, di sfuggita, la mattina quando mi
alzavo, mentre accendevo il fuoco, non appena avevo finito di
mangiare, prima che mi addormentassi.
E io sorridevo come un’ebete
quando lo vedevo avvicinarsi con quello sguardo complice e adorante
che tanto mi piaceva. La situazione mi imbarazzava un po’,
specie
se Glenwing era troppo vicino e c’era il rischio che ci
vedesse. Ma
ogni bacio valeva abbastanza da rischiare di farsi scoprire e
stuzzicare da lui.
Quando ci avvicinammo a Daret decisi di
viaggiare solo di notte, non era il caso che qualche popolano ci
vedesse e riferisse al suo re, rivelandogli il nostro tracciato per
trasportare l’uovo. I miei compagni protestarono sonoramente.
Gli
elfi amano la luce e loro erano fermamente convinti che non avremmo
incontrato difficoltà di alcun tipo in quel viaggio, come
sempre, ma
io fui irremovibile.
Non era certamente la prima volta che passavo
per quelle strade, ma il mio istinto mi diceva che c’era
qualcosa
che non andava.
Ci accampammo a mezza giornata dalla Du
Weldenvarden, al sorgere del sole. L’ultimo giorno fuori
casa.
Sospirai sollevata, sedendomi pesantemente a terra.
«Sei nervosa
come un gatto prima del temporale» mi informò una
voce canzonatoria
alle mie spalle.
L’alba nascente incorniciava la figura
longilinea di Fäolin, esaltando il suo incarnato color del
miele,
illuminando i suoi lunghi capelli biondissimi della luce delle stelle
e schiarendo il blu profondo dei suoi occhi.
Era bello, Fäolin.
Probabilmente rappresentava l’uomo che ogni fanciulla elfica
avrebbe mai voluto al suo fianco come compagno. Era di poco
più alto
di me, con un fisico esile e magro; la pelle era piuttosto chiara per
la media elfica, aristocratica, così come i lineamenti, che
comprendevano un naso dritto e regolare, le labbra morbide e piene,
gli occhi grandi e a mandorla del blu scuro di un lago a mezzanotte.
Aveva in sé le caratteristiche della perfezione elfica: era
cortese,
gentile e attento, amava perdersi a guardare le stelle, suonava il
flauto benissimo, alle canzoni che intonava rispondevano i cinguettii
degli uccelli, inoltre era un abilissimo mago delle piante. Sapevo di
essere l’unica ad aver mai avuto l’onore di
ricevere in dono un
fiore creato da lui e la cosa mi faceva piacere più di
quanto fosse
lecito ammettere.
Ma non era solo il suo essere impeccabile che lo
rendeva particolarmente piacevole. Rispetto agli altri elfi maschi
che avevo conosciuto, Fäolin aveva un atteggiamento
più rilassato,
talvolta quasi giocoso.
Si legava i capelli sotto la nuca in
tre-quattro sottili treccine, tenute ferme da perline di legno
azzurre e aveva tre orecchini, due nel lobo destro e uno sulla punta
di quello sinistro, da cui di solito pendevano piume o pietre
colorate. E quelle sue piccole libertà lo scostavano un
po’ dal
suo essere terribilmente perfetto, dandogli un’aria quasi
malandrina, caratteristica che in fondo ogni elfa sognava nel proprio
uomo.
«Pronta a tornare a casa Arya Dröttningu?»
Le sue
parole mi riportarono bruscamente alla realtà.
«Uhm» borbottai
incerta.
Rise piano, cercando di non svegliare il nostro compare
che, come al solito, ronfava della grossa. Ma che razza di Elfo
era?
«Hai paura?» domandò serio, stringendomi
il mento tra le
dita.
Tentai un sorriso, ma ottenni solo una smorfia stirata
malamente sulle labbra. «C’è qualcosa
che non mi convince in
questo viaggio».
«È per il fidanzamento vero? Hai cambiato
idea?»
«No» risposi sicura.
Mi fissò dubbioso, come stesse
riflettendo se potessi essere capace di mentirgli o meno.
«Io
sono felice per noi». Lo fissai negli occhi, sfidandolo a
contraddirmi.
Annuì. «Ti credo» mormorò.
«E se ci stessero
seguendo?»
Mi scoccò uno sguardo obliquo. «Ci avrebbero
già
attaccati e ce ne saremmo già accorti. Questo compito ti sta
stressando Arya. Dovresti prenderti una pausa, lasciare a qualcun
altro il peso di tutto questo e ritirarti, per un annetto o due
magari».
«Che dici!» sbottai.
«Uniamo i nostri cuori,
Arya».
Sobbalzai. Mi affrettai a cercare il viso del mio
interlocutore e lo fissai, alla ricerca dell’ironia che
sicuramente
ci sarebbe stata nella piega delle sue labbra. Ma Fäolin era
serio,
come non l’avevo mai visto.
Ispirai forte. «Ti rendi conto di
quello che hai appena detto?»
«Sì» rispose fermo.
Unire i
nostri cuori? «Non è un po’
presto?» Azzardai.
Ero abbastanza
convinta di amare il mio eterno compagno di avventure, ma il mio era
un sentimento giovane, appena scoperto. Non ero pronta ad un passo
importante come l'unione dei cuori. Mi sentivo totalmente inadeguata
a quella situazione, ero come una bambina che si affacciava su un
mondo sconosciuto. E quella proposta mi aveva fatta precipitare.
C’erano troppe cose che all’improvviso mi
assalirono il cervello,
troppe novità, troppi cambiamenti.
Tra gli elfi il rito
dell'unione dei cuori corrispondeva vagamente al matrimonio tra gli
uomini, ma aveva un significato diverso. Prevedeva lo scambio di
promesse di amore e devozione e aveva come conseguenza l'istallazione
della coppia in una casa tutta loro, in previsione di un futuro e
ambitissimo figlio. L'unica differenza con il matrimonio umano stava
nel fatto che non aveva valenza a vita, anche se si supponeva che
restasse valido almeno un secolo dal giorno in cui le promesse
venivano scambiate. In effetti a quel punto i veri nomi dei due
interessati erano probabilmente cambiati e le promesse non erano
più
valide, anche se non era escluso che la relazione proseguisse anche
per millenni.
Però tutto quello supponeva una certezza totale dei
sentimenti che provavo per Fäolin.
«Non sei obbligata» mi
informò lui piattamente, ma nei suoi occhi vidi
l’ombra viscida
della tristezza.
«Io..» mi interruppi, alla ricerca delle parole
che mi avrebbero permesso di esprimere le mie idee senza ferirlo
troppo, «..non credo di essere pronta.»
Fäolin sospirò
rumorosamente. «È il tuo carattere così
freddo e rigido che te lo
impedisce?»
«No» risposi secca.
Non amavo che mi si
rinfacciasse il mio modo di fare, e lui lo sapeva. La mia freddezza
era venuta da sé, dopo l’indifferenza di mia
madre, dopo le
assillanti attenzioni della sua corte riguardo la mia educazione come
principessa, dopo le mille critiche di ogni persona che mi circondava
riguardo alle mie convinzioni sul mio ruolo di ambasciatrice, prima,
e custode, poi. Non poteva e non doveva osare rimproverare il mio
carattere, dato che lui stesso conosceva i fatti che mi avevano
temprata.
«Scusami» sussurrò sedendosi di fronte a
me.
«Non
fa niente» mentii.
«Possiamo unire i nostri cuori anche tra
mille anni». Sorrise. «Io non vado da nessuna
parte».
Alzai le
sopracciglia. «Pensi di poter sopportare questa missione
ancora a
lungo? Mi sembri un po’ stressato..» lo citai con
palese
ironia.
Scoppiò a ridere fragorosamente, facendo rivoltare
Glenwing nel sonno.
«Contieniti dannazione» sibilai.
Si portò
una mano alla bocca, soffocando l’ennesimo attacco di risa.
Inaspettatamente, mi prese entrambe le mani tra le sue e il blu
dei suoi occhi incontrò i miei.
«Voglio che tu sappia che per te
sopporterei tutto questo per la vita intera. Potrai sempre contare su
di me, Arya, perché io ti amo e sarà
così sempre. Non mi importa
nulla se tu oggi mi rifiuti la mia proposta, riproverò tra
dieci,
cento, mille anni. Io voglio che tu sia nella mia eternità,
perché
altrimenti non varrebbe la pena di essere vissuta».
Rimasi
attonita di fronte a quelle parole, che mai mi sarei aspettata di
sentirmi rivolgere. Non seppi cosa rispondere, perché quello
che
sentivo dentro, semplicemente, non aveva parole che potessero
esprimerlo. Mi chinai lievemente in avanti e lo baciai sulle labbra,
sorridendo.
Mi rasserenai, perché lui era una sicurezza nel mio
futuro. Io, che mai avevo avuto certezze.
Il suo amore per me era
confortevole come niente al mondo.
«Ti proteggerò da tutto.
Siamo insieme da quando siamo piccoli, e lo saremo per
sempre»
mormorò stringendomi tra le sue braccia.
E io mi abbandonai a
quelle parole, che nonostante sembrassero rivolte ad una bambina, mi
facevano sentire bene e terribilmente al sicuro. La strana tensione
accumulata nei giorni precedenti si sciolse all’improvviso,
liberando quel senso di oppressione che mi aveva invaso il corpo e la
mente.
Vicino a lui, il mondo aveva nuovi colori.
Stavamo
attraversando una piccola valle, verde di alberi. Eravamo ormai
vicini alla foresta e il fatto che i tronchi fossero fitti e il
sentiero così stretto da costringerci a proseguire in fila
indiana,
ne erano una chiara dimostrazione.
Fäolin cavalcava davanti a me,
i capelli biondi persi nel vento.
Fissavo la sua schiena da quando
eravamo partiti, non appena il sole era sceso, e non riuscivo proprio
a togliermi dalla testa le parole che mi aveva rivolto quella
mattina.
Sorrisi lievemente quando si voltò a guardarmi, come per
assicurarsi che io fossi ancora lì.
Neanche la terra potesse
inghiottirmi. E poi c’era sempre Glenwing dietro di me,
riservato e
silenzioso, ma attento ad ogni singolo rumore.
Entro l’alba
saremmo arrivati alla foresta, e di lì il viaggio sarebbe
proseguito
con la massima calma.
Le mie dita si spostarono istintivamente
all’anonima bisaccia di cuoio che portavo a tracolla.
Sospirai
soddisfatta sentendo la superficie liscia e fredda dell’uovo
di
zaffiro sotto i polpastrelli.
Andava tutto al meglio. Ero viva,
stavo per diventare la compagna di Fäolin e la missione
proseguiva
senza il minimo intoppo.
Mi ritrovai a sorridere di nuovo, dopo
tanti problemi e sofferenze, la mia vita sembrava finalmente aver
preso la piega giusta. Dovevo essere l’elfa più
fortunata al
mondo, non c’era nulla che avrei potuto desiderare, che io
non
avessi già.
Fäolin si girò di nuovo. «Possiamo
invertirci i
posti di guardia, mia signora?» mi domandò, con
rispetto farcito di
ironia.
Adoravo quello sguardo complice e velato di tenerezza che
mi rivolgeva di sottecchi.
«Scambiatevi» ordinai con voce atona
e un tono imperioso, stando al suo gioco.
Fäolin scivolò alle
mie spalle.
Sentii i suoi occhi bruciare in maniera strana sulla
mia nuca, alzai il mento e mi guardai intorno altezzosa, fingendo
indifferenza al suo sguardo che in realtà mi
provocò un lieve
brivido lungo la colonna vertebrale. Repressi un ennesimo
sorriso.
Superammo in silenzio un gruppo di cespugli nascosti
dalle tenebre. Continuai a cavalcare tranquilla, il vento che mi
sferzava il viso. Un brusco cambiamento della sua direzione mi fece
scivolare i capelli sugli occhi, oscurandomi la vista. Li spostai
stizzita passandomi una mano sul volto. Il mio braccio si
bloccò a
mezz’aria. C’era uno strano odore animale
nell’aria. I cavalli
nitrirono agitati.
«Fäolin» sussurrai implorante, voltandomi
all’indietro.
Ti prego ridimi in faccia e dimmi che era una
sciocca e infondata sensazione, ti prego guardami negli occhi e dimmi
che il pericolo non c’è, ti prego parlami e dimmi
che arriveremo
presto sani e salvi ad Ellesméra.
Lo guardai in viso e le mie
speranze si infransero come cristallo di fronte
all’espressione
stravolta di lui. Le sue iridi, illuminate di ferma determinazione,
mi scrutarono con disperata urgenza, quasi a voler memorizzare ogni
mio singolo particolare.
«Vai Arya, vai!» gridò schiaffeggiando
poderosamente il fianco del mio cavallo.
L’animale si allontanò
rapidamente dai compagni.
La terribile realtà mi cadde addosso
come una cascata gelata.
Un agguato.
Ero stata una stupida.
Come avevo potuto abbassare la guardia! Come avevo potuto lasciarmi
accecare dalla sicurezza che tutto sarebbe andato bene!
Cercai di
non pensare all’ultimo sguardo di Fäolin.
Perché in fondo agli
occhi blu di lui avevo letto una parola che mi faceva male anche solo
a pensarla. Una parola che mi lacerava.
Addio.
Battei
velocemente le palpebre, dissipando le lacrime che mi offuscavano la
vista.
La missione veniva prima di tutto e tutti e io mi ero
impegnata a portarla a termine, ma un forte magnetismo mi tentava in
continuazione di girarmi e raggiungere Fäolin, e morire con
lui.
Scossi la testa, cacciando, per quanto possibile, quella
possibilità.
Lui se la sarebbe cavata.
Spronai il mio cavallo
ad andare ancora più veloce, anche se il mio cuore
sanguinante mi
ordinava tutt’altro.
Una voce riempì improvvisamente l’aria,
fredda e carezzevole come un velo di seta che nasconde un pugnale tra
le sue pieghe.
«Garjzla».
Una sfera di luce colpì il mio
cavallo, che stramazzò a terra. Riuscii a saltare dal suo
dorso
evitando ogni danno. Maledizione! Avevano uno stregone con loro!
Quello avrebbe complicato le cose, avrei dovuto darmi una mossa per
sfuggirgli.
La stessa voce di prima risuonò tra gli alberi.
«Prendetela! È lei che voglio!»
Si trattava del capo,
sicuramente.
Ma perché i miei compagni tardavano tanto?
Mi
sfuggì un gemito e una morsa di ghiaccio mi strinse il cuore
quando
i miei occhi corsero nella loro direzione.
Fäolin giaceva a
terra, il collo delicato trapassato da una freccia nera, gli occhi
chiusi e il torace immobile.
Per un attimo mi sembrò che tempo e
spazio fossero scomparsi, smisi di essere la principessa Arya e
rimasi semplicemente una donna di fronte al corpo senza vita di una
persona che amava. Mossi istintivamente un passo nella sua direzione.
Non poteva essere vero, era solo uno dei suoi scherzi, sicuramente.
In un attimo si sarebbe alzato di scatto, ridendo, e saremmo scappati
insieme da quell’incubo. Ma lui rimase ostinatamente
immobile.
Ingoiai le lacrime. Non poteva lasciarmi così. Lui mi
aveva promesso..
Qualcosa nella mia testa aveva già accettato
l’orribile realtà. Due parole mi rimbombarono nel
cranio.
Mai
più.
Delle figure nere si avvicinarono al mio campo visivo:
Urgali.
Urgali?
Che ci facevano gli Urgali insieme ad uno
stregone del re?
Beh, non avevo il tempo di rifletterci
troppo.
Imprecai sonoramente nella loro direzione e corsi nel
fitto della foresta con tutta la velocità che il peso della
pietra
al mio fianco mi consentiva. Sfilai la bisaccia da tracolla,
tenendola con una mano sola per liberarmi del suo intralcio.
Mai
più.
Colsi un bagliore lontano, la foresta stava andando a
fuoco. Mi bastò fare due più due per capire che
non erano
sicuramente fiamme naturali.
Solo un mago molto potente avrebbe
potuto fare una cosa simile, anzi, a giudicare dalla portata
dell’incantesimo poteva trattarsi del re in persona.
Spalancai
gli occhi, atterrita da quel pensiero, che mi affrettai a respingere
con tutte le mie forze.
Ben presto sentii il fiato puzzolente dei
mostri cornuti soffiarmi sul collo. Mi voltai di scatto, snudando la
spada con una mossa fulminea, e la conficcai fino all’elsa
nel
torace dell’Urgali appena dietro di me. Solo
nell’atto dello
sfilarla mi resi conto che i miei inseguitori erano così
vicini che
ne avevo uccisi due in un colpo solo. Tagliai la gola al terzo ancor
prima che potesse riprendersi dalla sorpresa.
La loro vista
scatenò in me rabbia e il desiderio di distruggerli, pezzo
per
pezzo.
Una delle loro maledette frecce aveva ucciso Fäolin.
Una
delle loro maledette frecce mi aveva privata di metà del mio
cuore.
Sputai sui cadaveri e mi affrettai a proseguire la mia
fuga
Notai uno sperone di granito dominare sul bosco e mi ci
indirizzai alla ricerca di un posto in cui nascondermi e portare in
salvo ciò per cui i miei compagni avevano dato la vita.
Ero quasi
arrivata quando una figura nera atterrò agilmente davanti a
me, come
piovuta dal cielo. Riuscii a capire che non si trattava di un Urgali
-la corporatura e i capelli rossi che gli coprivano il viso lo
identificavano come un essere umano- prima di voltarmi e dirigermi
nuovamente sul sentiero.
Forse quello era il capo della
spedizione. Ma com’era possibile che gli Urgali lavorassero
per gli
uomini del re? Era lui che aveva dato ordine di tirare sui miei
compagni? Per colpa sua Fäolin era..
Il filo dei miei pensieri
venne interrotto all’improvviso. La mia fuga verso lo sperone
era
stata la mia trappola. I mostri mi avevano raggiunta. Mi guardai
intorno un’ultima volta, cercando disperatamente una via di
fuga
che non c’era. Maledissi tutti gli dei umani e del popolo dei
nani
che mi venivano in mente ma poi realizzai che non avrebbe aiutato a
rimediare alla mia stupidità.
Ispirai profondamente e tornai a
concentrarmi sull’uomo, le membra distese in una calma che
non era
mia.
Volevo vedere in viso l’assassino del mio amato.
Seguii
il profilo di un corpo snello ma muscoloso, un guerriero
probabilmente, fino alle ampie spalle dell’uomo, per poi
giungere
infine al suo volto.
Non riuscii ad impedire ad un fremito di
orrore di squassarmi il corpo.
Di fronte a me, un ghigno
compiaciuto a scoprire i denti aguzzi, c’era uno Spettro. Gli
Spettri erano i flagelli di Alagaësia, lo sapevo, me lo
avevano
sempre detto. Insieme al fatto che, se mi fosse mai capitato di
incontrarne uno, difficilmente sarei andata a raccontarlo in giro
Mi
sentii piccola e indifesa sotto lo sguardo di sufficienza dei suoi
occhi cremisi.
«Prendetela» ordinò con un tono quasi
annoiato.
Non c’era più tempo. Fäolin era morto per
quella
missione e se fosse successo anche a me, beh sarei stata ben lieta di
seguirlo.
Brom.. era nascosto in un paese su quelle
montagne!
Estrassi rapidamente la pietra dalla bisaccia e,
alzatala sopra la testa, bisbigliai frenetica le parole che
l’avrebbero portata lontano da lì, al sicuro.
Probabilmente lo
sforzo della magia mi avrebbe uccisa, ma ormai non era più
importante. Fissai spavalda le pozze di sangue che lo Spettro
nascondeva tra le ciglia.
Se io dovevo fallire, allora lo avrebbe
fatto anche lui.
I suoi lineamenti si deformarono in una maschera
di stupore e disperazione quando capì le mie intenzioni.
«Garjzla!»
gridò precipitosamente.
Sentii il peso dell’uovo sparire dalle
mie dita mentre un globo di fuoco mi raggiungeva fulmineo e mi
colpiva al petto. Il terreno mi venne incontro e caddi
sull’erba
bruciacchiata dalle fiamme fatue dello Spettro.
Forse ora ti
rivedrò Fäolin. Ma non volevo morire.
I miei occhi
rimasero incatenati un ultima volta ai tizzoni ardenti della creatura
maligna che mi aveva colpita.
Lessi l’Ira danzargli nelle iridi.
Un ultimo, beffardo, sorriso di sfida mi increspò le labbra.
Chi aveva vinto alla fine!?
Poi le palpebre mi si chiusero e
persi coscienza di me.
Creato su:
NdA: Il rito dell'unione dei cuori è una mia invenzione. Nei libri Paolini specifica che gli elfi non hanno un vero e proprio matrimonio perché effettivamente avrebbe un valore assurdo nella vita di un immortale, così mi sono permessa di aggiungere questa via di mezzo.