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Autore: OperationFailed    24/01/2013    1 recensioni
Il ruolo del cellulare di Sherlock Holmes: emozioni e rivelazioni sulle note di Castle of Glass (Linkin park).
Enjoy!
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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John non era certo di essere a Londra. Forse si trovava in Cambogia e non se n’era accorto. Ma in Cambogia non sarebbe stata possibile una nebbia come quella. Era così buio e così umido che non riusciva a vedere neppure le luci del palazzo di fronte – e dire che si trovava nella capitale, mica in un paesino qualsiasi del Sussex.
La cena era ancora nel congelatore, una pizza di Tesco comprata a prezzo ridotto perché scadeva quello stesso giorno, ma John non era dell’intenzione di mangiare, quella sera.
Sedeva con la schiena dritta contro uno schienale ingrigito, con lo sguardo fisso sui pixel . Aveva appena ritrovato un file dimenticato nei miliardi di byte del computer, digerito dalla memoria e depositato lì, come una lisca di pesce in fondo alle tubature.

 

Documenti > Blog > Dal blog (inedito) del Dottor John. H. Watson > untitled

 
Se davvero la tua vita si è sbriciolata sulla guancia di un marciapiede, vieni qui e prendermi per mano. Potresti farlo, senza l’ingombro di un corpo. Tutta anima, e una delle più luminose del Paese. Saresti in grado di portarmi giù alla curvatura del fiume, quel nastro impalpabile che si è appeso alla tua sciarpa e ti ha obbligato al nuoto. Sincronizzato. Con un criminale – il più tremendo dei criminali – col sangue già asciutto e più in alto di te.
Poi dovresti portarmi alla fine, di fronte alla fine di noi – e non osare chiedermi di stare lontano.
E adesso, se davvero il tuo sangue si è fatto oceano di batteri, lava via il veleno che ho sulla pelle. La varecchina nel mobiletto del bagno andrà bene, puliva le macchie di tè rovesciato dal pavimento, vuoi che non lavi via un po’ di malessere dalle mie braccia?
Mostrami come essere intero nuovamente.
Se davvero le tue orbite sono ora un deserto di polvere, saprai farmi volare su un’ala d’argento? Perché il tuo corpo è un distesa di niente, ma la tua anima saprà condurmi. Stupido idiota, non puoi rifiutare l’avere un’anima, la negheresti a me. Stronza, forse, egoista, ma ce l’hai anche tu. Quindi spogliati del tuo sguardo ora cinico (irritante) e conducimi oltre alle pupille nere in cui cantavano le maledette sirene. Raccoglimi e riscaldami nel guanto infinito di una supernova, prima di lasciarmi scivolare fuori come un piatto che, sfuggendo dalle dita, si romperà.
 

 
Perché sono solo una crepa in un castello di vetro,
a malapena qualcosa che vedresti.
Che tu vedresti.

 
 
Vienimi a prendere, oltrepasseremo insieme un sogno accecante, e mentre guarderò attraverso i segreti che ti ho visto dentro, tu laverai la mia pelle di tutto il dolore. Mi mostrerai come essere fottutamente insieme ancora una volta.
 
 

Perché sono solo una crepa in un castello di vetro,
a malapena qualcosa che vedresti.
Che tu vedresti.

 
 
Sono una crepa nella fortezza che doveva proteggere la tua anima. Bella costruzione, ma fragile. Nessuno ti ha detto che il vetro si rompe con un soffio? Peccato, io mi allargherò, stirerò le mie dita tra i cristalli, e il vetro si farà pioggia, e la tua anima si farà polvere. Ricoprirà tutti quelli che sono rimasti. Così smetterai di tenere quel ben di Dio tutto per te. Egoista. Egocentrico. Sarò una crepa che vedrai a malapena, e che ti sgretolerà.

 
Se fossi davvero libero del fardello  di un corpo,  leggero come un pensiero, verresti da me per soddisfarmi.

 
 

John scosse la testa, come per scacciare dalla memoria quello che aveva appena letto. Erano passati mesi. Schiacciò “elimina” per sbarazzarsi di quel ridicolo quasi-post – come se potesse eliminare tutto ciò ad esso collegato.
 
‘Spostare questo messaggio nel cestino?’
 
John era sul punto di cliccare, quando rilesse la frase.
Spostare questo messaggio nel cestino?
Messaggio… ?
 
“Questa telefonata è… è il mio messaggio. E’ quello che fanno le persone, vero? Lasciano un messaggio.”
 
Le sue labbra e la sua fronte si contrassero in una smorfia, forse per il dolore o forse per lo sforzo di scacciare quella voce dalla sua mente. Ma la voce restava lì, echeggiava, invece che sfumare sembrava farsi più solida.
 
“E’ il mio messaggio”
 
“Un messaggio”
 
John portò le mani alle tempie, chiuse gli occhi, gemette. Restava lì.
Messaggio…
Messaggio!
John scattò in piedi, bloccò la caduta della sedia con un movimento repentino e si lanciò oltre la porta, con le gambe già in corsa e il cappotto ancora sullo schienale della sedia. La telefonata non era l’unico messaggio che Sherlock gli aveva lasciato, ne era certo. Come tutte le vittime, aveva fatto l’ultima cosa che poteva: aveva messo John sulla traccia giusta. Il dottore corse in strada e virò verso il Bart’s, appena meravigliato. La nebbia si stava diradando.
 
 
 
Da qualche parte, un sorriso si accese. John stava arrivando, ma non ne aveva mai dubitato. L’attesa sarebbe cessata presto. 
   
 
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