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Autore: claws    24/01/2013    3 recensioni
[Lo Hobbit]
Forse per questo Ori continuava a scrivere sul proprio taccuino, o almeno così pensava Bilbo: che il nano scrivesse canzoni o riflessioni (chissà cosa davvero c'era scritto) per non pronunciarle, mettendo così in pericolo l'intera compagnia, e pure per non diventare pazzo, per raccontare i propri pensieri.
[Thorin/Bilbo a fine storia][≈3000 parole]
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Bilbo, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Dove ha casa il riposo del viaggiatore








    Nelle Terre Selvagge non si poteva cantare né a cavallo, nel mezzo del giorno, né attorno al fuoco, di sera. Correre rischi come pattuglie di warg e orchi non valeva il ritmo di una canzone.
Forse per questo Ori continuava a scrivere sul proprio taccuino, o almeno così pensava Bilbo: che il nano scrivesse canzoni o riflessioni (chissà cosa davvero c'era scritto) per non pronunciarle, mettendo così in pericolo l'intera compagnia, e pure per non diventare pazzo, per raccontare i propri pensieri.
    Bilbo, in quelle regioni, desiderava tanto sentirsi al sicuro, a casa; ma il fuoco attorno a cui s'accampavano ricordava solo vagamente il focolare di Vicolo Cieco Sottocolle.
Prese a picchiettare le dita sulle ginocchia, nel tentativo di riportare alla mente immagini di sè e del proprio giardino, impegnato a fumare la pipa e a scandire il tempo che scorre prima dello spuntino successivo.
    Kili, a qualche passo da lui, si accorse del ticchettare delle dita del loro Scassinatore; fece un rapido conto - forse troppo rapido - e quindi si lanciò verso lo hobbit, atterrando al suo fianco.
«Quale canzone stavi canticchiando, signor Baggins?»
«Nessuna,» rispose Bilbo. «Nessuna canzone.»
Il che era la verità, a essere franchi. Ma Fili balzò presto accanto allo hobbit, così i due fratelli finirono per stringerlo su entrambi i fianchi - per questo Bilbo si fece piccolo piccolo. «Avanti, mastro Baggins!» Disse Fili. «Cosa stavi cantando?»
    Lo hobbit, circondato da due fuochi - che non lo avrebbero lasciato respirare finché quella domanda non avesse avuto risposta -, si trovò costretto a fare affidamento sulla propria immaginazione e sulle proprie capacità di improvvisazione. Stava per prendere un profondo respiro per cominciare a cantare, quando Thorin si voltò verso di loro, lanciando occhiate di rimprovero a tutti e tre.
«Le Terre Selvagge non sono fatte per cantare nella notte.»
Il che sottintendeva il divieto più assoluto anche di capire se gli hobbit soffrono il solletico, o di analizzare più da vicino i piedi di Bilbo - che avevano incuriosito i due nipoti di Thorin.
Fili e Kili sospirarono, insoddisfatti; anche Bilbo sospirò, ma di sollievo.
    Lo Scassinatore, trascorsi quei terribili cinque minuti in cui aveva immaginato le melodie più disparate per accontentare le orecchie curiose dei due nani, si dedicò alla riflessione che di solito lo accompagnava nel sonno. Pensò alla canzone che la Compagnia aveva cantato nella sua casa, prima di partire: allora, a un certo punto, Bilbo aveva perfino pensato che che il gruppo fosse composto da nani scelti in base allo strumento che suonavano, più che a una libera decisione - un'opinione senza fondamenti, ma a parer di Bilbo piuttosto interessante. Quelle parole pronunciate alla luce di un braciere gli avevano provocato, col trascorrere dei giorni in viaggio, una profonda nostalgia della propria casa, mescolata a quella per un posto che lui non conosceva concretamente: una cima solitaria.
    Quella era la magia della canzone dei nani: fargli provare una struggente nostalgia e un tremendo desiderio della Montagna, di Erebor, senza che lui vi fosse mai stato.



    «Allora, mastro Baggins, facci sentire una canzone del tuo popolo.»
Accidenti, aveva sperato che quella richiesta di Fili e Kili fosse stata dimenticata!
Ma quando fece mente locale, si accorse che la voce che lo aveva chiamato in causa non era né dell'uno né dell'altro giovane, bensì del loro zio.
    Certo, nella casa di Beorn erano al sicuro da orchi e goblin, ma lui non aveva alcuna intenzione di cantare davanti alla Compagnia. Ricordava quel «Lontan sui monti fumidi e gelati», rime scure quanto la notte, eppure tanto affascinanti da far sognare e ribollire il suo sangue Tuc.
    Le canzoni hobbit non potevano rivaleggiare con quelle di re e popoli in esilio, o almeno così aveva spiegato Bilbo ai nani; tuttavia loro protestarono tanto da strappargli un Forse. Thorin in persona aveva recuperato la propria arpa, mentre Bofur s'era armato del proprio clarinetto - quando c'era da suonare, lui non si tirava mai indietro.
    «È ancora presto per una ballata,» disse Bilbo, «canterò per voi, ma solo quando sarà sera inoltrata.»
    A Bilbo, come a tutti gli hobbit, piaceva la luce del sole, ed è per questo che i buchi-hobbit si trovano nelle colline, con tante finestre che si aprono sulla superficie; tuttavia, la notte era necessaria per cantare con più convinzione, secondo lo Scassinatore.
    «Perché di sera? Perché non ora?» Domandò Kili.
    Bilbo lanciò un'occhiata a Ori, poiché sapeva che il giovane nano era colui che scriveva le cronache della Compagnia, quindi il più vicino a poterlo capire. «Perché la notte e il buio amplificano suoni ed emozioni. Il cuore di uno scrittore è più ferito e allo stesso tempo più forte, di notte, che è il momento migliore per trovare le parole giuste, quelle più belle, quelle più amate.» Bilbo tacque un solo attimo. Tutta la Compagnia lo ascoltava con attenzione - sembrava aleggiare un sacro silenzio, anche se in sottofondo tremolavano alcuni rumori indistinti. «È nella notte che le persone si lasciano sopraffare dai sentimenti per accettarli e diventarne più consapevoli, ma è anche il momento più pericoloso. Chi rimane sveglio di notte e non scrive, canta o immagina è solo l'ombra di se stesso.»
    Gandalf sorrise, con l'aria di chi la sa lunga, poi tornò a bearsi del miele e dell'atmosfera quasi magica che era andata a formarsi. Ori sembrava essere in soggezione, come se si trovasse davanti a un eroe brillante della sua ultima impresa; anche gli altri nani erano impressionati, ma ben presto si convinsero che fosse un bel discorso pronunciato per posticipare il momento in cui avrebbe dovuto cantare - e, secondo Dwalin, per dissuaderli dal fargli fare un qualsiasi turno di guardia di notte.
    Balin, tuttavia, aveva sorriso - un sorriso simile a quello di Gandalf - prima di concentrarsi sul proprio piatto pieno di cibi; e Thorin, là in fondo al tavolo, si portò il bicchiere alla bocca con l'accenno di un complimento rivolto a Bilbo.
    Quello Scassinatore si stava rivelando degno del proprio soprannome, a suo avviso.



    Il momento delle canzoni arrivò.
La notte era scesa da qualche ora, sfumando nel verde delle foglie e dell'erba, ma nella casa di Beorn la calata del buio non portava la bellezza dei colori del bosco, quanto più l'attesa curiosa di un canto capace di portarli dentro il verde delle foglie e dell'erba, stando seduti al caldo del focolare.
    In fondo è questa la magia delle parole e della musica, che a parlare fossero hobbit, nani, elfi o uomini.


Frangipane aveva sangue di fata
e ali schiuse per un'avventura
allora prese una borsa e per il bosco
s'immerse nell'estiva frescura.

"Figlio mio, dove corri così spedito,
quale strada allieta il tuo passo?"
"Madre, il sentiero per il mare,
per le onde dal tuono lungo e basso."

Tula rincorse il figliolo con un pensiero,
il tremito di un incubo nel polso.
Lui, un piede per terra, lei, una spina nel collo,
Frangipane corse via, nessun rimorso.

Le montagne erano azzurre nei suoi occhi,
come spruzzate d'acque dolci e lievi.
Le montagne erano blu nelle sue notti,
crebbero nere come scafi delle navi.

I prati s'arrugginirono di sale
prima di vedere l'animato porto.
L'Oceano mugghiava spuma,
dove pensò di trovar pace, trovò sconforto.

Si tuffò nell'acqua, respirò tra le alghe,
amaro il ricordo dei fiori e dell'erba.
Di terre che la mente resero nebbia,
perle e una treccia di capelli ora conserva.

La madre attese per giorni insonni, diceva
"Fran muore sulla bocca delle genti!".
Lui tornò dove per prima vide la luce,
con un velo opaco sugli occhi stanchi.

"Pazzo!" ridevano al di qua e di là dai colli,
"Amore ha rincorso e amore lo perseguita!"
Frangipane sedeva presso un ruscello;
lì adagiò, sulle pietre, la propria vita.

Perle di fiume, capelli, un bacio
dato a chi, sull'Oceano, fu suo amore;
Perle, capelli, baci, nell'acqua
scorse, e della pace il calore.

La mente chiusa nel vapore s'aprì
alle mura di fuoco del mondo.
Chi lui amò era un ricordo,
che rinvenì su del ruscello nel fondo.

Frangipane aveva sangue di fata
e ali schiuse all'orizzonte per volare.
Frangipane aveva sangue di fata
e un amore che si empì del mare.


    Thorin e Bofur avevano cominciato ad accompagnare il canto di Bilbo prima della metà della canzone - appena avevano intuito la melodia -, ma erano note lievi, sommesse, che volevano solo irrobustire la ballata, senza spingerla né tirarla a sè.
    La canzone piacque ai nani. Non tanto per il testo - montagne a parte, s'intende -, quanto più per il coinvolgimento emotivo che da essa era scaturito. Erano lì anche loro, seduti vicino al ruscello, a ricordare una donna con trecce meravigliose e labbra rosse come rubini - o come coralli, direbbe qualcuno tra noi. Anche loro, in quel momento, erano sopraffatti dalla nostalgia di casa, della loro Montagna, di Erebor e delle sue ricchezze.
    Chiesero a Bilbo di cantare di nuovo, e lo hobbit ricominciò, perché anche a lui uno squarcio s'era aperto nel cuore e una ballata poteva almeno farlo vivere ancora. Stava combattendo contro quel senso di smarrimento che investe le persone nella notte, stava lottando con ogni nota, ogni parola che buttava fuori dalla propria anima appena incrinata. Il buio per lui era insopportabile, in quel momento, così come capita a noi, ogni tanto, quando il mondo sembra lanciarsi sul nostro cuore per schiacciarlo.
    È allora che le persone immaginano, cantano, scrivono. È un bisogno naturale, è una difesa e un attacco insieme. E così valeva per il signor Baggins e per i nani della Compagnia, avvolti in un'atmosfera che dava le vertigini e faceva mancare l'aria.
    Condividere dolori e speranze con chi era vicino, senza provare imbarazzo, rimorso o disagio, fu forse ciò che fece scoppiare nel cuore di Bilbo una fiammella d'amore.
    Amore indistinto, senza nome, con tutto il creato come destinatario. Quell'amore primo che afferra e scuote uomini, elfi, nani e hobbit. Era un amore grande quanto e più del mare, manifestatosi in una piccola fiamma.
Si addormentarono sui giacigli di paglia e condivisa nostalgia, sapendo che, una volta svegli la mattina seguente, tutto quello che avevano vissuto la sera prima sarebbe stato già chiuso e conservato avidamente in un cassetto dell'anima di ognuno.
    Sotto la paglia, in un angolo, c'erano macchie di acqua assorbita dal legno del pavimento.




    Città del Lago festeggiava sotto le nuvole della notte.
    L'aria era umida, fredda, come un vecchio panno usato per asciugare il sudore. Il viscidume che vorticava nel buio giaceva sulla pelle e la insudiciava di fastidio.
Bilbo era messo in allerta da quella massa d'acqua scura, come se il lago stesso potesse chiamarlo, irretirlo, portarlo a dormire sul proprio fondo.
    Aveva paura di fare la fine di Frangipane.
    Non stava ascoltando i rumori e canti della festa, perché stonavano terribilmente nella sua contemplazione del lago. Per me e per voi quell'acqua era come la dimora delle sirene, come se appena sotto la superficie potessimo immaginare le loro code di scaglie.
    Bilbo canticchiò ancora quella ballata, a ricordare gli errori del proagonista per non commetterli lui stesso. Nella canzone, Frangipane moriva per amore e per follia, nata dall'aver compreso l'immensità - fisica e astratta - del mare; il signor Baggins era atterrito dalla Montagna, dal drago, da quell'amore scoperto nella casa di Beorn, amore per il mondo, le avventure, la vita, amore che desiderava fosse più mirato per essere più sopportabile.
    Quel pensiero - amore, per cinquant'anni ricordava perlopiù quello per la sua casa! - era stato messo da parte, prima di giungere a Città del Lago, perché Bilbo si concentrasse sulla sopravvivenza di sé e della Compagnia. Ma, in quel momento, lo hobbit non doveva salvare nessuno, ed ecco che quello s'era ripresentato, più forte di prima. O forse proprio perché gli era mancato per un po' a Bilbo sembrava più intenso che in precedenza.
    Si sedette a gambe incrociate con un sospiro. Sbuffò un poco dopo aver scrollato le spalle e sfregato le mani una contro l'altra. Smaug era ancora il tiranno della Montagna, e questo lo inquietava parecchio.
    Non poté negare, qualche minuto dopo, di aver udito lo scalpiccio di passi di nano - ormai erano inconfondibili, per lui, dopo tutto quel marciare attraverso pianure e boschi -, ma non si voltò, né diede segno di aver notato qualcosa. Stare da soli serve per mettere (o almeno provarci) in ordine i pensieri, per riprendere consapevolezza di sé, e soprattutto per riposare le orecchie.
    Aveva una blanda voglia di fumare la pipa. Ma Gandalf non c'era, e la sua assenza non spegneva quel piccolo desiderio che aveva sulla punta della lingua.




    «Tutto bene, Bilbo?»
    Lo hobbit aveva preso posto vicino a Balin, dopo essere rientrato da quella passeggiata all'aperto. «Sì, Balin, tutto bene,» rispose, sistemandosi al tavolo. C'erano ancora botti di vino nel salone, ma i bicchieri erano stati riempiti diverse volte - ed erano ormai tutti vuoti. Molti dei nani avevano tirato fuori i loro strumenti musicali, e le note sembravano andare ad accogliere il sonno che entrava dalle finestre.
    Bilbo stava effettivamente bene: nel corso della serata non aveva bevuto abbastanza da dondolare mentre camminava - al contrario, Ori doveva essersi scolato talmente tanti boccali da essersi assopito accanto a Dori. Tuttavia, si sentiva addosso una profonda malinconia, sempre se di malinconia poteva parlare; forse, più come una sorta di dolce amarezza della sera lo aveva colto quando era rientrato nella sala.
    Bevuto un bicchiere di vino, alzò lo sguardo davanti a sé. Vide prima Dwalin, poi Thorin. Il ricordo dell'arpa con cui aveva accompagnato il canto della Compagnia quella notte a Vicolo Cieco gli intiepidì le labbra, che si sciolsero in un sorriso lieve.
    Thorin gli sorrise in risposta, come un vecchio complice.

    Fu solo un pensiero nella testa di Bilbo; tuttavia, per un attimo credette che Thorin, con una corona di gigli sui capelli, avrebbe potuto illuminare anche le sale di Erebor più grandi che Bilbo potesse immaginare.












    Bilbo ebbe spesso dolori terribili per il rimpianto. Fatica a respirare, a non piangere, a vivere - la notte, com'era lunga, com'era straziante!
Non aveva mai detto a Thorin quello che pensava. Non gli aveva mai detto che con una corona di gigli sarebbe stato un re magnifico, per un hobbit.
    Quando non c'era modo di dormire, Bilbo si metteva a scrivere. Non era un metodo per soffrire meno, ma almeno la notte trascorreva più in fretta.
Una volta si mise a scrivere una canzone, per colpa di alcuni piccoli hobbit che gironzolavano presso Vicolo Cieco Sottocolle. Quei marmocchi gli avevano chiesto perché era da solo, poi avevano voluto sapere di qualche avventura che gli era capitata; poi, un giorno, una bimba con una primula tra i capelli gli chiese se aveva mai avuto una moglie, in uno dei suoi mirabolanti viaggi - tutte le grandi storie meritano un'infiorettatura, gli aveva detto una volta Gandalf.
«No, io--» rispose allora Bilbo «--ero innamorato, ma non ricambiato.»
Credo.
Il rimpianto quasi gli fece scendere una lacrima sul viso, ma si controllò.
«Oh.» La bimba era seriamente dispiaciuta, e Bilbo si augurò che la sua sensibilità non svanisse con il diventare una hobbit adulta. «Come si chiamava?»
Il signor Baggins ci pensò un po': non poteva certo raccontarle tutta la verità. Poi le sorrise. «Torna domani. Ti racconterò com'era, ma ora è tardi. A casa, ora, su!» E, dandole una leggera pacca sulla spalla, convinse la piccola a rientrare a casa, dalla sua mamma.
    Bilbo sapeva di poter avere pronto un racconto - o, come gli capitò quella volta, una canzone - sul proprio amore per il giorno seguente: la curiosità della bambina aveva aguzzato la sua ispirazione, indirizzando la sua profonda tristezza verso un obiettivo preciso.



    Cinque giorni dopo la bimba si ripresentò presso la casa del vecchio Scassinatore - Bilbo suppose che la madre della piccola, prima di lasciarla avvicinare di nuovo alla casa di quello strano Baggins, le avesse sciorinato un buon numero di precauzioni, e forse anche per quel timore che hanno i genitori la bambina con la primula tra i capelli arrivò con due amiche e i due fratellini più grandi.
«Allora, pronti per una storia?»
I marmocchi annuirono, con gli occhietti che brillavano di curiosità.
    Dunque Bilbo cominciò a cantare di un amore dai capelli scuri, labbra come rose canine - quelle rose che il signor Baggins andava a cercare nei boschi, quando era giovane -, occhi come il cielo senza nuvole appena dopo il tramonto del sole, e raccontò di quanto egli stesso amasse il luogo dove il suo amore riposava, di come invidiasse il buio che circondava il suo viso nella tomba della Montagna, e di come fosse bello, il suo amore, con fiori tra i capelli.
    I piccoli hobbit erano incantati dalle immagini che le parole avevano suscitato in loro: reclamarono più volte il bis. Ma Bilbo si sentiva sempre più vulnerabile, e per questo, quando la canzone volse al termine un'ultima volta, si alzò dalla panchina e fece loro segno di tornare a casa, mentre le parole potevano ancora accompagnarli. I bimbi, un po' insoddisfatti, corsero via lungo il sentiero, dimenticando il disappunto quando decisero di fara una gara a chi arrivava per primo a casa.
    Bilbo terminò la canzone guardando i piccoli hobbit; infine, salì in casa, chiuse la porta a chiave. I ricordi gli pizzicavano gli occhi. Non aveva voglia di piangere, quanto più di accettare la morte di persone a cui voleva bene, con cui aveva condiviso una grande avventura.
    Scosse la testa. Sospirò. Alzando lo sguardo, vide sulla credenza il vaso dove quella stessa mattina aveva messo dei gigli ancora profumatissimi.



Nero è il colore dei capelli del mio vero amore;
che io possa soffrire in vita e rivederlo poi,
là dove ha casa il riposo del viaggiatore.
















Note Varie:

I gigli sono simbolo di regalità, le primule dell'infanzia.







Note Autrice:
Per la serie: a volte ritornano (anche se c'è chi spera che non tornino affatto)!
Non ho molto da dire. La ballata che canta Bilbo, povero caro, l'ho scritta di mio pugno. Per cui, amen, tenete conto che è stata pensata come una ballata che viene tramandata dai tempi andati, per cui potete imputarla a un povero scrittore incapace e squattrinato (il che mi sa di autobiografico) che visse anni prima del tempo di questa storia. xD
Per quanto riguarda la questione delle «ali di fata», invece, devo spendere qualche parola. Ho fatto alcune ricerche: c'è un accenno agli spiritelli nello Hobbit, quando si parla di una faerie che sposò un Tuc. Per cui, insomma, dal momento che ho trovato soltanto poche notizie, spero riusciate a considerarla una sorta di licenza poetica. La ballata mi piace così com'è - nel senso, arrosisco al pensiero di averla pubblicata, ma se fossimo tra amici, vi direi senza problemi che questa canzone è uno dei testi che ho scritto di cui vado più fiera -, perciò nonostante ci fosse un errore, ecco, non la cambierei. Mi spiace se si tratta di una castronata, ma mi ci sono troppo affezionata. Se volete, comunque, sono pronta a discutere di Tolkien e faeries in privato. C: Gli ultimi tre versi sono sempre opera mia, sì. Avete due scuse per menarmi virtualmente. xD [Mi sono sempre dimenticata di dire che con questa ballata, intitolata (A)mare, ho partecipato al contest Frammenti di noi indetto da Parsifal su EFP e mi sono piazzata decima. Un risultato non brillante, ma dal momento che non mi aspettavo neanche di essere considerata, una batosta così non fa male. Trovate il link al contest in quella che viene chiamata bio, almeno credo.]
Sì, c'è un pochino (poco poco) di Thorin/Bilbo. Ma dal momento che io di cose romantiche non so scriverne, in pratica è davvero un accenno a un qualcosa che ritengo molto più profondo e radicato.
La seconda parte è una sorta di epilogo, ecco. L'ho scritta solo per deprimermi (?) un po', e perché la canzone «Black is the color» dei Gaelic Storm mi ha ipnotizzato e ordinato di scriverla. Mea culpa.
Ecco, insomma, spero che vi sia piaciuta. C:
E se avete qualcosa da farmi notare, non esitate a parlarne! Vi ringrazio.
claws_Jo
  
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