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Autore: Sheylen    27/01/2013    4 recensioni
Le storie iniziano sempre in un noioso giorno di scuola. Dove magari succede qualcosa di imprevisto. E magari alcune persone non sono quelle che credevi. La differenza? Andrea Kühn è una mortale.
... Più o meno.
Dal 2° capitolo:
Forse era quel rimbombare ritmico, forse quella strana pressione sopra lo stomaco conosciuta anche come “istinto femminile”, ma il tragitto verso il Laboratorio non mi era mai sembrato così inquietante.
“Forse dovevo solo fare colazione stamattina” mi dissi salendo una rampa di scale.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La foto.


Era già una buona mezz’ora che un bigliettino girava per la classe.
La Fisher, l’insegnante di storia, leggeva ad alta voce una pagina sulla società nell’Alto Medioevo con il suo tono così terribilmente piatto. Come riuscisse a non prendere quasi fiato tra una frase e l’altra, eliminando anche quel tipo di interruzione della lettura, era forse uno dei più grandi misteri lì al Werner.
Aida tirò simpaticamente una gomitata nelle costole di Helmutt, il quale si piegò miseramente in due, soffocando in maniera passibile il gemito di dolore. Il biglietto gli cadde di mano e venne abilmente lanciato dalla ragazza verso la terza fila, dove fu afferrato con un po’ di difficoltà da Lude, che lo aprì già ridacchiando e ci scarabocchiò sopra qualcosa nella sua grafia disordinata.
-Perché siamo all’ultimo banco? Porca miseria possibile che nessuno mi spieghi perché siamo all’ultimo banco?- starnazzò Olga, tormentando il portapenne firmato e cercando incredibilmente di controllare il volume della voce.
-Non sembra darti così fastidio quando siamo in verifica…-
Olga fece per ribattere, poi chiuse la bocca e appoggiò la testa sul banco, lanciandomi un’occhiata bieca.
-Tanto so benissimo che anche tu non vedi l’ora di scoprire cosa diavolo c’è scritto in quel biglietto!- commentò, facendomi poi una smorfia.
Feci spallucce, appoggiando il mento sul palmo della mano.
Lanciai rapidamente uno sguardo a Lude, che stava passando il bigliettino un po’ goffamente a Priscilla. Chiunque nella scuola sapeva che aveva una cotta per lei dal primo giorno in cui l'aveva conosciuta, tranne probabilmente la diretta interessata.
Olga sbuffò, riprendendo a torturare la cerniera del portapenne.
Il rumore dovette attirare l’attenzione della Fisher, che alzò la testa dal libro. Recitò a memoria la frase che aveva iniziato a leggere, scandagliando la classe per scoprire l’origine del suono fastidioso. Rallentò il discorso man mano che si avvicinava con lo sguardo ad Olga, che era troppo occupata nelle sue faccende per rendersene conto.
-… Signorina Keller?-
La testa di Olga schizzò verso l’alto, mentre la ragazza allungava il collo per superare le larghe spalle di Ludwig, il ragazzo che stava nel posto davanti a lei.
-Ehm, sì, professoressa Fisher?-
-Puoi cortesemente interrompere questo disgustoso rumore?-
-Certamente, professoressa Fisher.-
Quando il bigliettino raggiunse il terzo banco, Olga iniziò a staccare a morsi pezzettini di gomma.
-Dai ancora due banchi, muovetevi a leggere! Deve essere un gradissimo gossip, qualcosa di enorme, di eclatante, di assolutamente importantissimo…!-
Alzai gli occhi al soffitto, facendo lo sforzo di non commentare. Era già tanto se non si era alzata dal suo posto per prendere quel dannato biglietto, e dovevo riconoscere che era molto migliorata dal primo anno.
Olga viveva per il gossip, se succedeva qualcosa nel raggio di cinque chilometri e mezzo da lei,  doveva essere la prima a saperlo e a raccontarlo in giro. Con la lingua lunga che aveva, a pochi faceva piacere confidarsi con lei, ma era in grado di ricavarsi le sue notizie da sola e aveva molti agganci in giro. Se volevi sapere di che colore erano le scarpe della ragazza che era stata buttata fuori dall’aula al terzo piano, ti bastava chiedere ad Olga Keller. Certo avere quell’informazione poteva costarti anche mezz’ora di monologo sulle ultime avventure amorose di quella cavolo di ragazza, che sfociavano rapidamente in un’analisi del suo stile di abbigliamento e del suo pessimo gusto in fatto di ragazzi.
Quando il biglietto giunse nelle mie mani, Olga non ebbe il tempo di farmi gli occhi dolci e il labbruccio da cane bastonato che glielo passai senza quasi guardarla. Mentre lei soffocava uno dei suoi deliziosi urletti, qualcuno bussò alla porta.
La Fisher interruppe con evidente fastidio la sua lettura ad alta voce per dare il permesso di entrare, e nella classe di affacciò Dan Scott. Era abbastanza conosciuto nella scuola perché girava perennemente con le stampelle. Nessuno sapeva che razza di sport facesse, ma evidentemente doveva essere abbastanza pericoloso. O molto più probabilmente lui era troppo imbranato per praticarlo.
-Ehm, scusi professoressa, abbiamo trovato nello spogliatoio femminile questa felpa, volevamo sapere se era di qualcuna di questa classe…-
La Fisher tese la mano per farsi dare l’indumento, che alzò bene sopra la sua testa.
-Qualche ragazza la riconosce?-
Helmutt alzò la mano, dopo essersi rapidamente messo una sciarpa in testa.
-Si prof è mia!- esclamò, imitando al suo meglio una voce femminile.
-Signor Kraus!- lo ribeccò la prof, tra le risate dei compagni.
Anche Scott ridacchiò, beccandosi la prima occhiata bieca dell’insegnante. Riprendendo la felpa con una mano e virando rapidamente con la stampella che teneva nell’altra, mi lanciò uno sguardo divertito.
Alzai un sopracciglio, soffocando lentamente la risata che mi era sfuggita per la quotidiana battuta di Helmutt. Non erano passate molte settimane da quando si era finalmente spenta la voce che Scott mi venisse dietro. Per qualche mese infatti veniva a cercarmi durante tutti gli intervalli, con qualche scusa abbastanza plausibile per fare un pezzo di strada insieme al ritorno o dargli una mano con alcune pratiche scolastiche. Dato che durante il primo anno eravamo entrambi rappresentati di classe, avevamo passato diverso tempo insieme ai consigli di istituto e alle riunioni mensili con gli altri rappresentanti, e le voci erano corse in fretta. Ricordai le domande buffe che ogni tanto mi faceva, quando eravamo soli. L’ultima era stata di toccare con un dito la lama di un coltellino che teneva sempre in tasca: doveva essere parecchio che non l’affilava, perché mi sembrò quasi di non sentire nulla contro il polpastrello. Da allora non si era praticamente più fatto vedere, in corridoio non mi salutava più e spesso aveva cambiato direzione quando camminavo verso di lui. Non ne capii mai il motivo, Olga mise in giro la voce che stava andando dietro ad una del terzo anno e la faccenda mi sembrò chiusa.
Dopo che la porta si richiuse dietro a Scott, guardai interdetta la professoressa: aveva ripreso ovviamente la sua adorata lettura, eppure avevo l’impressione che mancasse qualcosa. Mi venne in mente quando sentii le unghia di Olga conficcarsi elegantemente nel mio avambraccio: doveva aver già letto il bigliettino da un pezzo, eppure non aveva né strillato né era saltata in piedi per l’emozione.
Mi voltai verso di lei, vedendo che aveva gli occhi sgranati.
Il mio sorriso si spense lentamente.
O stava bluffando, o la faccenda era parecchio seria.
 
 
Camminai a passi decisi lungo il corridoio. Salii le due rampe di scale che mi separavano dal terzo piano, e mi diressi verso una delle tante porte grigie. Bussai senza esitazione, tenendo lo sguardo fisso davanti a me.
Una voce maschile dall’interno mi diede il permesso di entrare e spalancai la porta.
Sotto gli occhi dell’intera classe mi affacciai, salutando il professor Baumann con il tono più educato del mio repertorio.
-Mi scusi avrei bisogno qualche minuto del signor Haas. Sa, è per la gara di atletica di giovedì prossimo…-
Dopo che l’insegnante ebbe acconsentito svogliatamente, un ragazzo biondo si alzò dalla penultima fila. Avanzò tra  banchi sorridente e mi raggiunse raggiante alla porta, socchiudendola dietro di sé.
-Puntualissima, dopo andiamo al bar e ti offro un krapfen, Andrè! Baumann stava per chiedermi il quaderno e ieri non sono riuscito a fare neppure una…-
-Spero che tu abbia pronta una buona spiegazione.-
Il ragazzo mi guardò interrogativo, alzando le sopracciglia.
-Non capisco a cosa ti riferisci…-
Spiegai il bigliettino con tanta forza che rischiai di strapparlo, e glielo misi davanti agli occhi.
In trasparenza, vidi al contrario la grande scritta rossa e contornata da cuoricini che c’era al centro, ma l’avevo riletta abbastanza volte da averla memorizzata: “Josephine- Friederich: si accettano scommesse!”
Sotto, con penne di diverso tipo, c’erano i commenti dei miei compagni. Il più evidente se ricordavo bene era quello di Helmutt: “La troia colpisce ancora! Io dico 0,000000000026 secondi!”, e a seguire vari rimproveri e qualche battuta. Ma la maggior parte erano puntini di sospensioni ed esclamazioni di incredulità. Nessuno si era meravigliato quando mi ero alzata di scatto, uscendo dalla classe senza il consenso della professoressa: tutti sapevano che io e Friederich eravamo amici di lunga data, le nostre famiglie erano amiche prima che nascessimo e lui, dato che era due anni più grande di me, mi aveva sempre fatto da fratello maggiore. Tantissimi avevano pensato che fra noi ci fosse qualcosa, ma entrambi avevamo sempre risposto senza problemi che eravamo come parenti. Poteva sembrare una situazione da film, ma entrambi avevamo avuto abbastanza storie serie e per conto proprio da chiarire ogni sorta di dubbio.
Friederich terminò rapidamente di leggere il foglietto, guardandomi con sguardo accusatore.
-Dove hai preso questo biglietto?- mi domandò in maniera burbera.
Se non gli lanciai una scarpa in testa fu solo per miracolo. Feci per urlare, ma mi accorsi che il bidello di quel corridoio ci stava già osservando incuriosito.
-Io vengo a sapere da un bigliettino che TU sei fidanzato con la troia della scuola e mi chiedi dove l’ho preso!-
-Sono abbastanza grande per decidere con chi voglio fidanzarmi, mamma!- mi rispose seccato il ragazzo, allargando le braccia in un gesto di insofferenza.
Mi accorsi di avergli tirato uno schiaffo solo dopo che vidi la copia del mio palmo stampata in inchiostro rosso sulla sua guancia. Non riuscivo a dare una buona motivazione a quella reazione, l’unica cosa che sapeva era che Olga avrebbe avuto presto un altro pettegolezzo tra le mani.
Prima che Friederich potesse portarsi una mano al punto colpito, girai sui tacchi e ritornai spedita da dove ero venuta.
 
-È assolutamente fuori dal mondo, non è possibile che stia di sua spontanea volontà con quell’oca galattica.-
-A quanto pare non è così.- commentai, pensando alla sua reazione sdegnata quando avevo appellato in malo modo quella che era diventata la sua ragazza. Fino a solo un’oretta prima se qualcuno mi avesse detto che Friederich aveva anche solo rivolto la parola gentilmente a quella ragazza, mi sarei piegata in due dalle risate.
-Andre, ma lui non era sempre il primo a farle il verso quando passava in corridoio? L’ha sempre criticata, quasi più degli altri, ripeteva in continuo che non la sopportava per questo e per quello…- mi ricordò Grete, sistemandosi la cartella sulla spalla. Eravamo state in classe insieme per diversi anni, fino a quando lei non aveva cambiato sezione per problemi con un’insegnante. Ci eravamo trovate bene l’una con l’altra fin da subito, partecipando insieme anche ad alcune gare organizzate dalla nostra scuola, aggiudicandoci sempre i primi due posti. Lei giocava nella squadra di calcio femminile della scuola e non potevamo uscire spesso di pomeriggio, quindi sovente veniva con la sua famiglia a cena a casa mia, così che potessimo chiacchierare e scherzare un po’ per conto nostro. Gli unici altri momenti di incontro erano i ritrovi alla fermata dell’autobus, dato che prendevamo lo stesso per un certo numero di fermate.
-Mi sembra che ora la sopporti fin troppo bene. Non so cosa pensare, non hanno assolutamente nulla in comune!-
-Gli opposti si attraggono!- canticchiò Grete, saltellandomi intorno.
-E fu così che Grete finì sotto un pullman!- le risposi spingendola per finta mentre si avvicinava l’autobus.
-Mi avrai sulla coscienza…- ribattè, alzando le braccia e girando gli occhi all’insù, mentre parlava con la voce da zombie.
Un ragazzo a qualche metro da lei la guardò con un sopracciglio alzato, snobbandola.
-Ho il brutto presentimento che ti sia appena giocata la possibilità di rivolgere mai la parola a Zacharias.-
Gli occhi di Grete si spalancarono, sgomenti.
-Ti prego dimmi che non mi ha vista mentre facevo lo zombie…-
-E ti ha anche guardata parecchio male!- aggiunsi, osservando ridendo il modo in cui si contorse con fare teatrale.
Salimmo sull’autobus continuando a prenderci in giro, dopo aver salutato gli altri nostri compagni. Eravamo diventati un bel gruppo, se non altro una buona compagnia rendeva meno difficili le giornate passate ai banchi.
-Ci mancava solo che il quel momento iniziassi a…-
Mi interruppi senza volerlo. Vicino al posto libero che aveva puntato Grete, era seduta una ragazzina di dieci o undici anni. Aveva un colorito molto chiaro, non che fosse raro in uno stato come la Germania, ma era particolarmente pallido, in alcuni momenti sembrava quasi trasparente. Stesso discorso valeva per i capelli: non si poteva dire che fossero biondi, nemmeno platino. Avevano riflessi strani… quasi argentei. Poteva essere presa per una moribonda come che per una stella, e non ero sicura di sapere a cosa l’avrei paragonata più facilmente.
-Iniziassi a far cosa?-
Scossi la testa, facendo spallucce.
-Lascia stare…- risposi, arretrando un po’. Grete si accorse subito del cambiamento di umore, e mi seguì dall’altro lato del pullman, cedendo il suo posto a uno del primo anno.
-Andre mi spieghi che ti prende?-
-Nulla, ho visto Heinrich che attraversava la strada con Eleanor e mi ha dato fastidio…- mentii, parlando del mio ex. Avevamo rotto meno di un anno prima, e lui dopo che lo avevo lasciato si era fidanzato con una sua compagna di classe nel giro di tre giorni. Tutti avevano un po’ storto il naso nel mio gruppo, me compresa: essere rimpiazzata così rapidamente non era mai stata una bella sensazione, anche se ero stata io a voler rompere la relazione.  Grete era quella che aveva protestato più di tutti, quindi speravo che non avrebbe fatto altre domande sul mio improvviso cambio di umore.
Dopo che Grete fu scesa alla sua fermata, mi ritrovai a guardare di sottecchi la ragazzina. Vista da lontano sembrava priva di capacità espressive: le labbra sottili erano immobili ed eleganti, il nasino alla francese conferiva un tocco di tenerezza al volto, ma le sopracciglia arcuate gli toglievano ogni sorta di infantilismo. Sembrava un’adulta nel corpo di una bambina. Quello che mi interessava era però un’altra cosa.
Raccolsi un poco di coraggio e mi avvicinai a lei senza dar troppo nell’occhio, passando tra gli altri studenti in piedi.
Una bambola di porcellana. Ecco cosa ricordava. Una di quelle bambole un po’ inquietanti dei film horror, ma invece di avere un vestitino di pizzo rosa e un largo cappellino ornato di fiori, vestiva solo una sorta di tuta da ginnastica attillata, di un azzurro pallido.
Si voltò di scatto verso di me.
Trattenni il fiato, ripetendomi che doveva essere solo un caso: non avevo fatto nessun rumore particolare, ed ero di parecchio indietro rispetto a lei, eppure i suoi occhi avevano puntato sicuri i miei.
La bambina sorrise, cambiando per la prima volta espressione.
Non era un sorriso dolce, e gli occhi azzurri brillavano di una strana luce.
" Non mi sta guardando, c’è di sicuro una sua conoscente dietro di me e io sono semplicemente nella sua stessa direzione… "
Mi girai, ansiosa di confermare la mia tesi.
Non mi ero mai ritenuta particolarmente fortunata, ma il fatto che tutti i presenti fossero seduti e voltati verso i finestrini non aiutò il mio umore.
La ragazzina si girò verso il finestrino, passando il dito sul vetro. Seguii ogni movimento, e corrugai la fronte.
Dovevo essermi per forza sbagliata. Mi era sembrato che avesse scritto “Complimenti!”
Prenotai all’istante la fermata. Ne mancavano ancora diverse alla mia, ma non volevo stare un minuto di più su quell’autobus.
Scesi non appena le porte si aprirono, camminando a passi veloci lontano dall’autobus.
"Non può aver visto…"
Arrivai a casa nel giro di dieci minuti. All’ora di pranzo di solito non c’era mai nessuno, quindi entrai e mi diressi verso la mia camera, senza fermarmi in cucina a preparare qualcosa: per mangiare c’era ancora tempo.
Rex probabilmente non era della stessa opinione, perché mi saltò addosso con i suoi trentacinque chili di simpatico pastore tedesco. Si, avevamo un pastore tedesco e lo avevamo chiamato Rex. Premio nobel per la fantasia.
Inizialmente il suo nome era Woffy, ma era talmente uguale a quello della serie tv che ogni volta che lo si doveva nominare andava a finire che ci si confondeva con Rex. Lui, povero cristo, dopo sei mesi che lo si chiamava Rex avrebbe avuto delle crisi d’identità… e quindi il nome Woffy fu bidonato senza troppi rimpianti.
Afferrai dalla sua cuccia il suo pupazzetto preferito, lanciandoglielo dall’altra parte della casa. Rex scomparve prima che potessi girarmi, ma feci in tempo a chiudere la porta dietro di me.
Guardai la mia camera per qualche istante, poi mi sedetti alla scrivania. Accesi il computer, e collegai il cellulare alla presa USB.
Aprii la cartella delle foto all’istante, selezionando l’ultima scattata e trascinandola in un'altra cartella sul Desktop.
Rex ricominciò a grattare sulla porta, chiedendo il permesso di entrare.
-Solo un minuto…-
Mi concentrai sull’ultima cartella, sfogliandola lentamente. Erano le foto degli ultimi cinque anni, da quando avevo comprato il mio primo cellulare. L’ultima era stata scattata neppure un’ora prima, sull’autobus.
La guardai: era leggermente mossa, ma la bambina era chiaramente visibile, seduta a circa sei metri da me, girata nella mia direzione.
Mossi la rotellina del mouse, risalendo fino alla prima foto dell’elenco. Era stata scattata da una mia compagna di classe di allora, e nel mezzo c’eravamo io e Grete che scherzavamo. Ma a pochi metri di distanza, c’era un’altra figura dai capelli chiarissimi che compariva di striscio.
Andai avanti con le foto, un paio per ogni anno: nelle prime compariva solo di sfuggita, in quelle degli ultimi due anni si era messa quasi in posa…
Le riguardai tutte un’ultima volta, alzandomi poi per aprire la porta a Rex. Abbracciai il mio cane, dandogli delle pacche sulla schiena mentre lui scodinzolava felice.
-Quale razza di essere umano può rimanere identico nel corso di cinque anni …?-
 

 
 
*microfono prego*
Ciao :) Spero che qualcuno abbia avuto il buon cuore di arrivare fin qui… Ecco il primo lunghissimo capitolo! :D Non sembra una fanfiction di Percy Jackson? Tranquilli: è solo l’inizio ;) Come ho già fatto per altre storie, per non correre il pericolo di occupare inutilmente la pagina di Percy Jackson, se la storia non ha recensioni viene cancellata... sta quindi a voi decidere se meriterà o meno :)
Un bacione a tutti quelli che leggono e che leggeranno questo racconto, spero di non avervi fatto perdere tempo prezioso :)
  
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