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Autore: LilithJow    29/01/2013    12 recensioni
[..] Gli occhi di Johanna mi fissavano ancora e - non per mia impressione - si erano avvicinati parecchio al mio viso, più di quanto avessero fatto giorni prima, a scuola.
Ma, proprio come quella volta, qualcosa accadde: ancora quelle ombre rosse che le attraversarono l'iride. Più forti, più scure, più continue: le vidi chiaramente, e non era né un riflesso di luce né una mia fantasia né, tanto meno, per via di una botta in testa. Li fissai, incredulo, ma allo stesso tempo incuriosito: a cosa era dovuto? Non ne avevo la benché minima idea. Forse internet mi avrebbe dato delle risposte, oppure – cosa molto più probabile – riempito di ansie, paure e paranoie.
Genere: Drammatico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Lullabies Saga'
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Capitolo 1
"A new life"

 

Ho sempre pensato che gli esseri umani siano l'emblema della contraddizione. Insomma, lo si capisce perfettamente solo sentendoci parlare. Nei modi di dire, per esempio: quando esclamiamo a gran voce “la vita è una sola, vivila” e poi, se qualcosa va male, rimediamo con “questa vita è finita, adesso ne comincia una nuova”.

“Volto pagina”, “la vita ha una sola pagina, scrivila”.

Con le nostre parole e convinzioni, siamo capaci di modellare il mondo a nostro piacimento, secondo il nostro punto di vista, così da poter essere sempre dalla parte della ragione, in una dimensione dove la realtà è perfetta, dove non esistono i problemi – ovvero, esistono, ma la nostra mente ci spinge, semplicemente, ad ignorarli o a trasformarli in qualcosa di positivo. Tuttavia, nel bene e nel male, le contraddizioni sono ciò che ci spinge ad andare avanti, ogni giorno, a vivere.

Ecco perché quando cambiai città, a causa del lavoro di mia madre Judith – un avvocato e piuttosto di successo – mi convinsi a immergermi nelle contraddizioni e abbandonare il mio giudizio, per alcuni fin troppo severo, sulla psicologia umana.
Desideravo davvero una nuova vita, lontana dal paesino sperduto nel quale avevo vissuto fino a quel momento. Trasferirsi in una città grande come Chicago era una svolta, una nuova possibilità, un modo per lasciarmi alle spalle tutti i casini, come la rottura con la mia ragazza Tiffany, la tempestosa lite con il mio ormai ex migliore amico Andrew e, non per ultime, le continue prese in giro da parte dei bulli di paese.
Speravo che in una metropoli enorme, la gente fosse più matura.
Del resto, non avevo mai capito perché se la prendessero con me. Forse perché amavo studiare, forse perché, a differenza loro, avevo delle ambizioni, avevo un sogno, quello di diventare un bravo psicologo e aiutare la gente. Evidentemente, fare del bene non rientrava nell' “esser figo”, a loro dire.
“Simon Clarke è superiore, per questo è il mio migliore amico” diceva sempre Andrew. Se fosse stato così, a quel tempo, saremmo stati ancora amici e io non sarei stato distrutto.

-

«Simon, metti via quel quaderno! Siamo quasi arrivati». Il tono per nulla lieve di mia madre mi fece sobbalzare sul sedile anteriore del Suv beige sul quale viaggiavamo, un regalo della nuova compagnia che l'aveva assunta. Dovevano tenerci davvero tanto alle sue competenze, per darci in dono un appartamento in pieno centro a Chicago e un Suv nuovo di zecca.

Roteai gli occhi, riponendo nel mio zaino logoro e mezzo rotto, il quaderno dalla copertina rossa che portavo sempre con me, sfogando i miei pensieri su carta.

«Appena ci sistemiamo, compriamo qualcosa di nuovo per la scuola. Non puoi frequentare l'Istituto con quella roba».

L'Istituto. Me ne ero quasi dimenticato. Ovviamente, nel pacchetto era compresa anche l'iscrizione ad una delle scuole private più lussuose degli Stati Uniti. Abituato alle scuole pubbliche di provincia, quello era un bel salto di qualità.

Altro che nuova vita, questa è un altro mondo.

«Ci sono affezionato a questo zaino» replicai, fissando per un istante fuori dal finestrino.

«Il fatto che lo porti con te dalla prima elementare lo conferma, tesoro». La sentii ridere e io feci lo stesso.

Il profilo di Chicago era già perfettamente visibile dal lungo ponte su cui viaggiavamo. Ne rimasi letteralmente incantato. Non avevo mai viaggiato molto, nei miei sedici anni di esistenza. L'unica mia esperienza era stata una gita di tre giorni a New York, in terza media, ma li avevo passati tutti in bagno, per una indigestione.

Già, la fortuna non era mai stata mia compagna.

Il percorso per finalmente raggiungere il nuovo appartamento mi sembrò durare addirittura di più delle dieci ore di macchina a cui ero stato sottoposto. Sarebbe stato di gran lunga più comodo l'aereo e mi chiesi più volte per quale assurdo motivo l'agenzia non avesse finanziato anche quello. Forse per testare il Suv.
Quando arrivammo davanti all'enorme palazzo dalla muratura rossiccia e grandi finestre di vetro opaco, mi resi conto che la sua descrizione non gli rendeva affatto giustizia. Ero ben consapevole che, da quel momento, avrei vissuto in un ambiente diverso e più lussuoso, ma non mi aspettavo così tanto. All'interno, c'era persino una portineria con le rifiniture in oro e due ragazzi con camicia e papillon si occuparono delle nostre valige, dicendoci che le avremmo trovate nel nostro appartamento, una volta sbrigate le ultime pratiche del passaggio di proprietà.

Ero sbalordito.

Simon Clarke aveva fatto il botto!

Certo, non per merito mio, ma a causa del lavoro di mia madre; potevo comunque trarne vantaggio.

Quello era un evento da ricordare.

Ero pressapoco sicuro di avere un sorriso ebete stampato in faccia che – quasi certamente – aveva fatto spuntare quelle odiose fossette che apparivano sulle mie guance ogni volta che ero allegro. Recuperai il mio zaino rattoppato ed estrassi il quaderno rosso e una penna.

Giorno 1
Siamo arrivati! Il solo ingresso nel palazzo è stato grandioso fantastico, è tutto fantastico. Non vedo l'ora di...

La penna scivolò via dalla mia mano e il quaderno cadde a terra insieme ad essa, a causa di un urto. Concentrato nel metter su carta ogni mia sensazione, entrato così tanto nel mio mondo, avevo per un attimo perso la cognizione della realtà e dal via vai che poteva verificarsi in quell'enorme atrio. Dal quaderno, inevitabilmente, fuoriuscirono una marea di fogli che vi ficcavo dentro praticamente sempre. Sentii mia madre sbuffare, mentre mi inchinavo a raccogliere ogni cosa. Tenni sempre lo sguardo basso e, forse a causa di questo, mi accorsi solo dopo un bel po' della presenza di altre due mani, pallide e sottili, che mi stavano aiutando a rimediare a quel casino.
Sollevai lo sguardo e mi ritrovai davanti una ragazza, dai capelli castani e gli occhi verdi. Era magra, con il rossetto rosso e l'ombretto nero e sbavato sulle palpebre. Indossava una divisa, presumibilmente quella di un Istituto privato come il mio – magari era proprio il mio – alla quale aveva dato un tocco personale, sbottonando la camicetta bianca e annodando su di un fianco il maglioncino verde.
Mi stava fissando, sorridendo appena. Aveva già raccolto metà dei fogli caduti sul pavimento, e io non ne reggevo nemmeno uno.
Ero rimasto incantato, ma mi accadeva ogni volta che qualcuno dell'altro sesso mi si avvicinava. Scossi appena la testa.
“Non fare l'idiota, Simon! Sei una persona nuova, ricordi?” mi suggerì la mia coscienza. Annuii deciso, quasi a dargli ragione. «Grazie per l'aiuto» esclamai, raccogliendo il resto della roba che era rimasta a terra.
«Non c'è di che». La ragazza dagli occhi verdi mi porse i fogli che aveva in mano. Li presi, distrattamente. Non feci in tempo a dire o fare altro, che lei era già scomparsa. Chissà dove, poi. Quando mi rimisi in piedi, neanche trenta secondi dopo, lei non era visibile nemmeno in fondo all'atrio o davanti gli ascensori.
Aggrottai le sopracciglia, confuso, ma il dubbio su dove fosse finita quella ragazza fu obbligato a dissolversi quando mia madre urlò – letteralmente – di muovermi. Così, raccattata la mia roba, la seguii fino all'ascensore che ci portò al nono piano nel giro di qualche secondo.
Fu qualcosa di fulmineo e, per un attimo, mi venne la nausea.
L'interno dell'appartamento era ancor più elegante di tutto il resto. Solo il salotto, ricopriva una superficie pari - o addirittura superiore – alla nostra vecchia casa in provincia.
L'arredamento era tutto moderno: il soggiorno con due divani e una poltrona bianca, la cucina color panna, il pavimento liscio e lucido. Il pezzo forte era la mia stanza.
Avrei potuto viverci là dentro. C'era di tutto: una grande scrivania, un pc portatile nuovo di zecca – ne avevo bisogno, un letto a due piazze e persino un bagno tutto mio.
Il sorriso ebete non se ne era ancora andato dalla mia faccia. Ero quasi sul punto di saltare dalla gioia, perché non mi ero sbagliato.

Non mi ero sbagliato per nulla: quello era davvero l'inizio di una nuova vita e io non vedevo l'ora di immergermici dentro.

  
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