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Autore: AuraDuchannes    30/01/2013    3 recensioni
Settantaquattresimi Hunger Games.
La mietitura vista dal punto di vista di Peeta. Cos'ha pensato il nostro Ragazzo del Pane mentre Katniss si offriva volontaria per salvare la sua sorellina Prim?
«Mi offro volontaria come tributo!»
La piazza comincia pericolosamente a vorticare. No, Katniss no. Non lei. Tutte, chiunque, ma non lei.
La ragazza dal sorriso timido e dal carattere riservato. La ragazza che cacciava per portare avanti la sua famiglia, distrutta dalla perdita del capofamiglia avvenuta per l'esplosione di una miniera. La ragazza a cui tirai un pezzo di pane, sotto una fitta pioggia, per farla sopravvivere; la ragazza di cui sono segretamente e perdutamente innamorato da anni.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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May the odds be ever in your favour.



Siamo tutti qui, per la mietitura. Per l'annuncio della morte di qualcuno di noi; perché nessuno fa niente? Perché nessuno interviene? Tutto tace, l'unico suono che si ode è quello dei nostri respiri affannosi e intrisi dalla paura. Effie Trinket è lì, sul palco. Con quella sua capigliatura strana tinta di rosa che la marchia come un tatuaggio della sua provenienza a Capitol City, sorride e si mostra felice. Ma cosa c'è da essere felici? Perché tutti festeggiano la morte di ventitré ragazzini innocenti?
E' semplice Peeta - sussurra una voce dentro di me. - A loro piace, a loro diverte la tua imminente morte. Per loro è tutto un gioco.
Scaccio quella voce scuotendo velocemente la testa; è sempre andata così, ed andrà sempre così. E' questa Panem, è questa la mia vita, la vita di chiunque faccia parte di questo grande stato che predica la libertà ma non la attua.
Dopo averci mostrato uno squallido video nel quale viene argomentata l'importanza degli Hunger Games per la nazione, Effie Trinket infila la mano nella boccia di vetro, nella quale vi sono scritti su delle striscioline di carta tutti i nomi - in molti casi ripetuti per via delle tessere che i ragazzini richiedono per sfamare la propria famiglia - delle ragazze dai dodici ai diciotto anni del Distretto dodici.
La capitolina esclama ad alta voce il nome del tributo femmina che quest'anno rappresenterà il distretto dodici ai settantaquattresimi Hunger Games.
Il sangue mi si gela nelle vene nel sentire quel nome.
Non può essere. Non è possibile. Tutti trattengono il fiato; le bambine sospirano, felici di essere state risparmiate, almeno per quest'anno.
«Primrose Everdeen!»
La voce squillante di Effie Trinket mi rimbomba nel cranio. Non riesco a muovere un muscolo.
Ed ecco, la sua bellissima voce, proprio come me l'aspettavo. Disperata, stridula, piena di terrore. Ma, nonostante ciò, tremendamente bella. E' la voce della bambina che mi rubò il cuore quando cantò la canzone della Valle, con una voce talmente soave e limpida che anche le Ghiandaie si fermarono per ascoltarla.
«No! Prim!» si fa spazio, allargando le esili braccia fra due Pacificatori che tentano di tenerla ferma «Mi offro volontaria!» urla, la sua voce è piena di disperazione e rassegnazione.
«Mi offro volontaria come tributo!»
La piazza comincia pericolosamente a vorticare. No, Katniss no. Non lei. Tutte, chiunque, ma non lei.
La ragazza dal sorriso timido e dal carattere riservato. La ragazza che cacciava per portare avanti la sua famiglia, distrutta dalla perdita del capofamiglia avvenuta per l'esplosione di una miniera. La ragazza a cui tirai un pezzo di pane, sotto una fitta pioggia, per farla sopravvivere; la ragazza di cui sono segretamente e perdutamente innamorato da anni.
Non riesco a deglutire. Non ho più saliva.
«Oh, abbiamo per la prima volta un volontario al distretto dodici. Come ti chiami, cara?» la voce della capitolina rimbalza fra le case di tutto il distretto, in quel silenzio agghiacciante che ha ricoperto come uno spesso velo tutte le persone. «Katniss Everdeen.» sussurra.
E all'improvviso, tutto il mondo diventa insignificante davanti alla sua voce piena di paura; sento il bisogno di salvarla. Di prenderla da quel palco di peso e di scappare con lei in quei boschi che ama tanto, di portarla in salvo, di non vederla morire in quell'arena.
In quel momento, vorrei solo salvarle la vita.
Immediatamente, tutti gli abitanti del distretto baciano tre dita della mano destra, per poi alzarla unendo pollice e indice verso Katniss. Mi manca il respiro; nel nostro distretto, questo gesto viene usato durante i funerali e significa dire addio ad una persona che hai sempre ammirato e rispettato.
La capitolina estrae, quasi facendo finta di niente, il nome del tributo maschio.
Vorrei essere io. Sul serio Peeta? Vorresti morire? - sussurra ancora quella vocina fastidiosa che si è impossessata del mio cervello.
Forse sarebbe migliore la mia morte, piuttosto che quella di Katniss: ricordo che una volta, mentre Katniss stava tornando a casa da scuola, la guardai cadere e sbucciarsi un ginocchio. Avevamo entrambi undici anni.
Volevo andare ad aiutarla, volevo medicarle il ginocchio e farla stare bene. Corsi dentro casa, avvisando mio padre; lui guardò Katniss e poi guardò me.
«Sei innamorato di quella bambina, eh?» io feci sì col capo «Sai, Peeta, io ero innamorato di sua madre. Ma poi lei sposò un minatore. Buffo, eh? Sposò un minatore invece che un panettiere che le poteva assicurare un buon futuro economico. E sai perché lo fece? Per amore.» detto ciò, entrò dentro la panetteria.
E in quel momento, promisi a me stesso che un giorno avrei sposato Katniss Everdeen, la ragazza dei Giacimento.
"Possa sempre la fortuna essere a vostro favore."
E forse, in quel momento, lo fu davvero. Perché il nome che la capitolina esclama al microfono, mi è familiare. Fin troppo familiare; è il mio nome. 
«Peeta Mellark!»
Giurai che a tutti i costi avrei lasciato vincere lei. Mi sarei ammazzato a mani nude, pur di sapere che sarebbe tornata a casa, sana e salva. La mia ragazza del Giacimento dagli occhi grigi come le tempeste burrascose. Ma allora, non sapevo che neanche la mia vita sarebbe bastata.




  
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