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Autore: Alvin Miller    02/02/2013    1 recensioni
Un uomo e sue moglie, Marta, vengono assaliti nel sonno nella loro villetta di campagna da una spietata gang criminale.
Lui viene picchiato selvaggiamente, lei viene ferita al collo dal coltello di uno dei malviventi, ma è solo quando il sangue della donna toccherà i capelli del marito e risveglierà una letale mutazione rimasta sopita per troppi anni, che il vero terrore comincerà a serpeggiare.
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La storia dell'umanità è piena di casi umani spregevolmente definiti “fenomeni da baraccone”. Uomini – gambero con mani a forma di chele, gemelli siamesi con un corpo e due teste, ragazzi con tre gambe. Anch’io potevo definirmi uno di loro, anche se la mia mutazione era forse una delle più letali che si siano mai viste sulla faccia della terra.
A causa di essa, il giorno della mia nascita avevo quasi ucciso mia madre sotto gli occhi impotenti dei medici. Il suo sangue aveva animato di punto in bianco i miei capelli, che avevano cominciato a crescere a velocità esponenziale, animati di vita propria, e avevano finito per attaccare tutto e tutti, a eccezione di me.
Quel giorno erano riusciti a fermarli radendomeli tempestivamente. Poi, negli anni seguenti, dopo accurate analisi, nonostante non fosse stata individuata una causa della mutazione, si scoprì che era proprio il sangue umano ad animarli come un potentissimo concime, ma anche che io ero immune alla loro aggressione, forse per merito del naturale istinto di autoconservazione, e che l’unico modo per fermarli consisteva nel raderli via. A quel punto sarebbero tornati a comportarsi come quelli di qualunque altro essere umano, bastava solo assicurarsi che non entrassero in contatto col sangue di altre persone.
Convivere con la mutazione non era mai stato un problema per la nostra famiglia. Non capitava certo tutti i giorni di sporcarsi i capelli con del sangue che non fosse il proprio, salvo che non te le andassi a cercare, cosa che io cercai sempre di evitare.
Ora però le circostanze erano diverse.
Ero stato investito di punto in bianco da una catena di eventi che non potevo controllare, un pazzo che si faceva chiamare come uno dei colori primari mi stava trascinando per il corridoio del piano superiore di casa mia dopo avermi sporcato i capelli con una lama macchiata del sangue non ancora rappreso di mia moglie.
Sentivo una forte pulsazione nel punto in cui il taglio mi aveva lacerato, ma non per la ferita, bensì per i capelli che si erano d’improvviso rianimati dopo decenni di torpore.
Blue mi lanciò a terra e iniziò a rimpirmi di calci sullo stomaco e pugni in faccia.
Yellow era rimasto a un metro dalla porta della nostra stanza da letto e si guardava avanti e dietro, probabilmente per trovare una logica nelle azioni dei due compagni più anziani.
“Basta, smettila! Così lo ammazzi!” Prese le mie difese.
Blue però non gli dava ascolto.
Io incassavo senza riuscire a reagire, quando a un certo punto – sarà stato il settimo o l’ottavo pugno che ricevetti – la sua mano restò impigliata tra i miei capelli, o per meglio dire, si erano avvolti spontaneamente su di essa.
L’uomo mi sollevò per i capelli e tentò di liberarsi.
“Ma cosa… ?!”
Cominciò ad agitarsi e a sbattermi di qua e di la per il corridoio, io tentavo di oppormi invano, ma era troppo forte.
Del sangue cominciò a colarmi sulla camicia da notte che indossavo, ma non fu il mio. I capelli gli stavano entrando nella carne e se ne stavano nutrendo.
Cominciarono a crescere a una velocità impressionante e man mano che si allungavano, io mi allontanavo, passo dopo passo, dal pazzo urlante.
Il ragazzino ci guardava paralizzato e con occhi stravolti, mentre i miei capelli avvolgevano come un tentacolo, il braccio dell’uomo.
Si sentì un crack: gliel’avevano spezzato, e ora stavano entrando nella ferita aperta. L’uomo si dimenò per alcuni secondi, poi si accasciò a terra, defunto, mentre i capelli lo divoravano crescendo sempre di più. Erano già lunghi più di cinque metri e strisciavano sul suo corpo.
“Scappa! Allontanati da qui!” gridai al ragazzino. Avrei preferito che lui schivasse il corpo a terra e se ne andasse via scendendo per le scale, almeno finché i capelli erano ancora raggomitolati sul corpo di Blue, invece corse dentro la stanza da letto.
“Ma che cazzo succede?!” sentii chiedere a Red, che in quel momento aprì la porta e si trovò di fronte la massa di capelli viventi che stavano avvolgendo il corpo del compagno.
“Oh merda!” Esclamò, tirando fuori da una fondina che solo ora notavo, una pistola.
Mirò a me ed era pronto a premere il grilletto, ma la massa di capelli lo assalì cominciando a farlo a pezzi rapidamente, tra le grida di terrore dell’uomo.
Approfittai della confusione per passare in mezzo alla massa di capelli e carne, e raggiunsi la stanza da letto, dove trovai mia moglie e il ragazzino in piedi.
Io ero immune agli attacchi dei capelli, ma grande com’era la massa, se si fossero anche solo avvicinati, avrebbero fatto la fine degli altri uomini, dovevo trovare il modo di distruggerli prima che uccidessero ancora.
“Marta” la chiamai “entrate in bagno e chiudetevi subito a chiave! Prendete degli asciugamani e tappate lo spazio tra la porta e il pavimento, non lasciateli entrare!” la istruii, indicandole la porta del bagno vicino alla libreria. Lei sapeva cosa mi stava succedendo, gliene avevo parlato alcune volte, anche se spesso mi aveva dato l’impressione di non credermi. Mi sbagliavo, perché seguì le mie istruzioni alla lettera, aiutata dal ragazzino, che era troppo spaventato per parlare.
I capelli erano entrati strisciando nella stanza e si stavano già dirigendo verso la porta del bagno.
“Fate presto! Stanno arrivando!” li avvertì dalla stanza da letto, sperando che mi sentissero. Nel frattempo cercavo di allontanare le ciocche di capelli striscianti con le mani, ma era uno sforzo inutile. Per ognuna che allontanavo, altre occupavano immediatamente il loro posto.
Sul comodino vicino alla mia partecdel letto c’era il mio telefono cellulare, avrei potuto chiamare aiuto, forse con il coinvolgimento della polizia o dei carabinieri sarebbe stato più facile uscire da quella trappola.
Corsi per prenderlo, ma d’improvviso una ciocca di capelli si sollevò da terra, lo agguantò prima che avessi avuto il tempo di raggiungerlo e lo lanciò violentemente contro la parete della stanza mandandolo in frantumi.
Avevo recepito il messaggio, dovevo liberarmene, distruggerli, e l’avrei dovuto fare da solo.
Tornai in corridoio, non c’era traccia di sangue, solo due corpi scarnificati, uno dei quali completamente a pezzi, Red.
I capelli si erano già sparsi per tutto il corridoio, scendendo fin giù dalle scale e strisciando sulle pareti e sul soffitto. Si erano talmente allungati che mi dissi che avrei tranquillamente potuto raggiungere la cucina e tagliarmeli via con le forbici di Marta.
Corsi giù dalle scale, stando attento a non inciampare tra i grovigli striscianti dei capelli che scendevano dai gradini.
Nell’atrio guardai la porta d’entrata e notai che era stata forzata dall’esterno senza che l’allarme fosse scattato. Come avessero fatto quei tre a disattivarlo non mi era dato sapere.
Ci riflettei un po’, pensai che se fossi uscito, anche se non avrei comunque potuto fare molta strada a causa dei miei capelli, per lo meno avrei potuto gridare aiuto. Forse qualcuno nelle case vicine mi avrebbe sentito e avrebbe chiamato la polizia.
Valeva la pena di fare un tentativo, ma non appena mi avvicinai alla porta, fui agguantato da un tentacolo di capelli sceso dal soffitto che mi fece cadere a terra e mi trascinò via di qualche metro.
Io gridai e cercai di divincolarmi per liberarmi dalla sua presa, ma alla fine fu esso stesso a lasciarmi, quando ormai mi aveva allontanato a sufficienza.
Stavo solo perdendo tempo prezioso, dovevo procedere fin dal principio col mio piano originario.
Mi rialzai e mi diressi subito alla cucina.
Marta teneva le forbici dentro un cassetto vicino al lavandino. Mi sarebbe bastato tagliarmeli via e a rigor di logica, si sarebbero fermati all’istante. Avrei liberato mia moglie e il ragazzino e con il loro aiuto li avrei fatti sparire, insieme agli anonimi cadaveri di Red e Blue, che francamente, dubitavo che qualcuno avrebbe mai reclamato.
Un altro tentacolo di capelli, forse lo stesso che mi aveva gettato a terra poco prima, mi superò come un gigantesco serpente strisciante ed entrò in cucina prima di me.
Sentii un fragoroso rumore, come di qualcosa di pesante che cadeva, seguito da tanti piccoli suoni metallici.
Raggiunsi la stanza e lì, vidi che tutti i cassetti delle posate e degli attrezzi da cucina erano stati rovesciati e che ogni cosa che fosse vagamente tagliente era stata trascinata sulla soffitta, in un groviglio di ragnatele di capelli e metallo.
Mi stavo veramente incazzando.
Quei bastardi mi stavano prendendo per il culo. Potevo quasi sentire le loro risate divertite dentro la mia testa. Tanti piccoli grovigli di capelli che ridevano della mia disgrazia.
Avrei potuto tentare di raggiungere qualche coltello o anche le agognate forbici penzolanti sulla soffitta, ma non sarebbe servito a niente. Quei capelli erano un tutt’uno con me, qualsiasi idea mi fosse venuta in mente l’avrebbero conosciuta anche loro e mi avrebbero anticipato.
Ero prigioniero di me stesso, prigioniero in una casa che nemmeno volevo e con la vita di mia moglie e di un ragazzino sconosciuto appese a un filo, proprio come quelle posate avvolte dai miei capelli.
Mi chiesi che ore fossero, guardai l’orologio appeso alla parete alla mia destra, erano le 04.15. Mi portai una mano alla ferita sulla guancia, quella infertami dal coltello che aveva scatenato tutto questo, pulsava e sanguinava ancora, del resto non era passato molto tempo da quando me l’avevano procurata.
Mi venne un piano, un ultimo tentativo che avrei potuto tentare per liberarmi dei miei capelli carnivori.
A nemmeno un metro dalla mia posizione, sulla sinistra c’erano i nostri fornelli ad accensione automatica, bastava girare una delle manovelle del gas, premere un pulsante posto di fianco ad esse che innescava una leggerissima scossa elettrica che incendiava il gas e a quel punto mi sarei lanciato a capofitto tra le fiamme per tentare di appiccare il fuoco al mio cuoio capelluto.
Era un’idea stupida, rischiosissima, un piano che andava riflettuto e studiato per bene, ma così facendo avrebbero previsto anche questo. Dovevo agire d’istinto, pensare intensamente ad altro, forse già sapevano cosa stavo per fare ed erano pronti a fermarmi, quindi dovevo essere rapido, rapido e impulsivo.

   
 
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