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Autore: Sidney Rotten    04/02/2013    0 recensioni
Osservo ogni centimetro di questa pelle diafana e pallida, i miei occhi seguono una rotta sconosciuta, viaggiando in una costellazione di imperfezioni, di cui non posso far altro che innamorarmi perdutamente.
Genere: Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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”siof hsofnndi kk” recita il messaggio -insensato- che ho appena ricevuto da Sam, il mio migliore amico. Neanche gli rispondo. Vado dove so di trovarlo, in Camden Town, all'angolo di Cyberdog, dove c'è il suo pusher. Si, il mio migliore amico si fa di eroina. Si spara in vena quello schifo almeno una volta al giorno, ci spende tutti i suoi soldi.
Lo trovo lì, fatto da fare schifo, con i suoi “amici”. E’ seduto a terra, mentre mi avvicino mi guarda, ma non ha reazioni; suppongo che non mi riconosca, visto il suo stato. Lo prendo per un braccio e lo faccio alzare.Non è d’accordo, ma non si oppone, emette solo un rantolo contrariato. Lo porto nella mia macchina, quasi lo lancio nei sedili posteriori. Anche se credo si stia per addormentare, lo rimprovero «Dannazione Samuel, quando la smetterai?! Ti stai ammazzando» «Non sei il mio strafottuto padre, Jimmy. Che diavolo vuoi da me?» mi risponde, strascicando le parole. Fermo di colpo l’auto, scendo e lo sbatto fuori, per strada. Sam rimane un attimo spiazzato, poi stringe gli occhi, cercando di capire cosa sta succedendo. Gli do uno spintone e, dopo aver barcollato un po’, sembra riprendere il controllo del suo corpo. «Sto solo cercando di tenerti vivo, idiota.» gi urlo a pochi centimetri dalla faccia. Risalgo sull’auto, metto in moto e me ne vado, lasciandolo là, da solo, in White Chapel, una zona non proprio raccomandabile, fatto perso. E’ la seconda volta, questa settimana, che lo pesco in quelle condizioni. Più cerco di tenerlo lontano dalla droga, più cerco di farlo stare fuori dai casini, più lui si comporta da perfetto deficiente. Bel ringraziamento.
Arrivo a casa che sono furente. Tiro un pugno al sacco da boxe che pende dal soffitto, che oscilla.
Prendo il mio “piccolo libro delle cospirazioni”, quella che in molti dicono essere la mia Bibbia. D’altronde sono Gesù delle Periferie. Qualcuno mi affibbiò quel nome, senza neanche chiedermi il permesso, quando, arrivai, dopo aver raccontato ai miei nuovi concittadini le mie idee, i miei pensieri, i miei ragionamenti e la mia sommossa silenziosa. 
Comincio a scrivere. Scrivo ciò che mi passa per la testa, scaravento le parole giù dalla penna, incatenandole alla carta, facendole evadere dal casino che ho in testa.
Intanto calano la sera e poi la notte. Smetto di scrivere e guardo il cielo fuori dalla finestra; è tutto nero, senza stelle, senza luna. Solo nero, nero infinito, nero senza confini. La rabbia è evaporata, ma al suo posto è subentrata la preoccupazione per Sam, forse più forte e annientante della prima.
Cerco di stare calmo, ma l’ansia mi sta mangiando, a grandi morsi. Mi siedo sul divano letto e accento la televisione, provo a distrarmi. No, questa volta non mi lascerò tirare nel suo fottuto circolo vizioso, in cui lui si buca fin quasi all’overdose e io lo salvo, di continuo. Il mio proposito va a farsi benedire, quando qualcuno bussa alla mia porta. Guardo l’orologio appeso al muro: sono le due e venti. «Ma chi cazzo..?!» 
Apro la porta e quel qualcuno si rivela essere un ragazzino sui diciassette anni, con un Sam semi incoscente accasciato addosso.
Il ragazzino è poco più basso di me, con grandi occhi azzurri e capelli biondi e neri. Non è muscoloso, ma neanche molto minuto. Da l’impressione di uno di quei ragazzi che fanno atletica, per intenderci.
Mi sembra in difficoltà, nonostante Sam sia alquanto magro, allora mi scanso, facendogli segno di portarlo dentro. Lo lascia cadere sul divano, poi, dopo aver ripreso fiato, si presenta, stringendomi la mano «Ciao, scusa se piombo qui senza preavviso e nel bel mezzo della notte. Comunque sono Federico, ma chiamami Phe.» Stringo a mia volta la mano e faccio lìper presentarmi, ma Phe mi interrompe, raccontandomi tutto d’un fiato di aver trovato Sam, che intando dorme di sbieco sul mio divano, nella loro stanza alla comune in cui vivono, a terra, coricato, con un taglio poco profondo sulla pancia. Era ancora coscente, quindi ha chiesto al suo coinquilino di portarlo da me.
Ancora una volta, gli faccio da padre. Mi innervosisco e divento insofferente. Prendo un asciugamamo, lo bagno con il disinfettante, gli alzo la maglia. C’è un taglio di circa quindici centimentri, obliquo, sotto alle costole. Effettivamente non è profondo, ma ha cominciato a fare infezione, la pelle intorno, infatti è giallastra. «La cosa mi gliore sarebbe porterlo al pronto soccorso. Ma se lo portiamo se lo tengono anche, visto il suo stato.» dico, più che altro a me stesso. Quindi lo disinfetto con l’asciugamano e il disinfettante; appena appoggio il tessuto imbevuto del liquido verdastro sulla sua pelle, il ragazzo spalanca gli occhi e geme, poi gli occhi si girano all’indietro e sviene. Resta incoscente finchè lo disinfetto completamente e gli faccio una fasciatura alla veloce, mettendogli due strati di garza, circondandogli tutto il ventre. «Quando sono arrivato stava sanguinando...» mi dice Phe, mentre aspettiamo che Samuel si riprenda, per poi portarli a casa loro.
Dopo quasi dieci minuti, finalmente si sveglia.. «Ehi, ciao...» sussurra, poi tossisce «Dio che male» dice a denti stretti. Mi chiede un bicchiere d’acqua, glielo porto e beve tutto d’un fiato. 
Una volta che riusciamo a metterlo in piedi, li porto alla Comune, in macchina. Sam sta dietro e sonnecchia, mentre Phe, accanto a me, mi racconta che per lui e quelli della sua comune, sono a dir poco una leggenda e che sua sorella, una certa Hope, ha una band, che è bravissima e che scrive canzoni spettacolari. Da come ne parla sembra sia il suo idolo. 
Quando arriviamo, c’è un casino di gente, fuori dalla struttura, probabilmente una vecchia scuola e qualcuno ha messo la musica. C’è gente di tutti i tipi, dai punk ai rapper, dai quindici ai trent’anni. E’ bel posto, è accogliente.
Sam riesce a camminare da solo, con un po’ di difficoltà, allora scendo dalla macchina, senza accompagnarli fin dentro. Raccomando a Phe di chiamarmi il giorno seguente, per farmi sapere come sta il mio amico. 
Quando arrivo a casa, crollo sul divano letto, neanche mi svesto. Mi addormento in un nanosecondo.
Mi sveglia la suoneria del mio cellulare, Ah Ah You’re Dead, dei Green Day. Apro un occhio, guardo il display: Sam. Sbadiglio e rispondo.
«Ciao»
«Ehi, Jimmy! Ti volevo dire che sto meglio. Ho appena cambiato la fasciatura e ho disinfettato il taglio»
«Bene, bravo. Ma come hai fatto a fartelo?» gli domando.
«Non ne ho la piùù pallida idea, l’ultima cosa che mi ricordo sei tu che mi lasci in White Chapel. A proposito... Scusami. Mi sono comportato da vero coglione. Hai ragione e ho deciso che voglio smettere.»
Sorrido. «Lo spero.. E scuse accettate!»
Ci salutiamo e ci diamo appuntamento per il giorno seguente, per andare a sentire un gruppo suonare.
   
 
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