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Autore: mysterious    05/02/2013    3 recensioni
L'identità di RJ è sempre più vicina ad essere scoperta. Per Jane, ciò significa la fine di un incubo, ma... cos'altro?
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quella sera, quando Lisbon aveva bussato per l’ennesima volta alla porta del “rifugio” di Jane al CBI, lo aveva fatto con un misto di curiosità e rabbia: curiosità di sapere che cosa mai stesse nascondendo il suo misterioso consulente, rabbia per essere tenuta fuori da qualunque cosa egli stesse facendo. Forse, non si fidava di lei? Il solo pensiero le procurò una momentanea quanto spiacevole vertigine.
Lo stava cercando per comunicargli che anche Haffner faceva parte di Visualize, un indizio che poteva non significare nulla, ma che sentiva di dover comunque comunicare a Jane, perché lo inserisse nel suo “Libro Rosso”.
Già due volte, quel giorno, si era presentata alla porta della soffitta per richiamare al dovere il consulente circa il loro ultimo caso, ed entrambe le volte lui era uscito a malincuore, trattenendo il respiro per passare letteralmente di striscio tra la porta – aperta il minimo indispensabile – e il montante! Il lucchetto aggiunto alla serratura, poi, le era sembrato davvero troppo!
Questa volta, non si sarebbe accontentata di parlare con Jane attraverso una fessura! E la sua imperiosa bussata comunicò chiaramente il messaggio all’”inquilino” della soffitta!
«Allora, vuoi farmi entrare oppure devo ricorrere ad una qualche tecnica di sfondamento?», chiese lapidaria l’agente.
La porta, scorrevole, scivolò appena verso destra: il volto del consulente fece capolino, mentre un fascio di luce sottile veniva ad illuminare il volto di Lisbon.
«Ciao, Lisbon … umh ...»
Il breve tentennamento di Jane stava già per “innescare la bomba”, ma il pericolo fu scongiurato:
«Ok. Entra pure.»
Fu allora che Lisbon si rese conto dell’immenso e straordinario lavoro che teneva impegnato Jane ormai da qualche tempo: un’intera lavagna a parete tappezzata di fotografie, verbali, mappe e cartine con posizioni contrassegnate da puntine colorate, date e indirizzi cerchiati o evidenziati, appunti e annotazioni applicati qua e là in un disordine ben organizzato! Tutto quello che c’era da sapere su Red John era lì, in bella mostra, a visualizzare la fitta rete di trame oscure e collegamenti indecifrabili che la cruenta “carriera” del serial killer andava lentamente, ma inesorabilmente tessendo da anni.
Tra le foto delle vittime, quelle della moglie e della figlia di Jane: era per loro che il falso sensitivo aveva intrapreso volentieri il lavoro di consulente al CBI; peraltro, inevitabilmente, le sue ricerche stavano dando anche a tutte le altre vittime di Red John la speranza di una legittima vendetta.
Lisbon non vedeva quelle fotografie da tempo. Ricordava il giorno in cui le aveva avute sulla scrivania per la prima volta: il duplice omicidio era avvenuto qualche tempo prima, ma il caso le era stato passato soltanto in un secondo momento dalla polizia locale, che brancolava nel buio. Il corpo insanguinato della bimba l’aveva turbata non poco: bionda, bellissima… una vita spezzata in un modo così efferato. Anche la donna doveva essere stata molto bella; l’espressione di terrore eternata sul suo volto dalla morte lenta e dolorosa che le era stata inflitta aveva solo parzialmente alterato i tratti delicati del suo viso. Del marito, un famoso sensitivo, Patrick Jane, si erano perse le tracce da qualche tempo: era letteralmente svanito nel nulla. Lisbon rammentava con estrema chiarezza che proprio quel particolare l’aveva spinta ad includere Jane tra i principali sospetti, ma, nel momento stesso in cui aveva raccolto dal verbale una foto di lui, senza sapersi spiegare il perché aveva immediatamente accantonato l’idea.
Ora, davanti a quella lavagna e a quelle fotografie, poteva solo lontanamente immaginare quali sentimenti dovevano agitarsi nell’animo di Jane ogni volta che il suo sguardo si posava su quei due corpi straziati, eppure le loro istantanee erano lì, insieme con quelle delle altre vittime, accomunate da un tragico destino di morte.
Era entrata con il proposito di dire a Jane di Haffner, ma ora le parole sembravano non voler più uscire. Avvertiva in maniera palpabile il dolore misto ad eccitazione del suo consulente.
Dopo la rivelazione di Lorelei, secondo cui egli aveva stretto la mano a Red John - senza divenirne amico nonostante le loro presunte affinità comportamentali - la lista dei suoi sospettati si era già affinata, ma la “firma” del killer scoperta sulla scena di un crimine avvenuto 25 anni prima l’aveva radicalmente sfoltita.
«Siamo vicini, Lisbon!», le disse, rompendo improvvisamente il silenzio.
E aveva una luce negli occhi, che lo faceva apparire più affascinante del solito. L’agente sapeva che, per Jane, Red John era una vera ossessione, per la quale aveva rinunciato a tutto, in primis a rifarsi una vita e una famiglia. Il suo profondo senso di colpa non lo abbandonava mai e, anche se non avrebbe mai potuto riaverle con sé, vendicare sua moglie e la piccola Charlotte gli sembrava l’unica via per mettere a tacere la voce della sua coscienza. Ora, dopo dieci lunghi anni di ricerche e fallimenti parziali o totali, finalmente il sentiero che conduceva al serial killer sembrava essere meno impervio e, forse, la soluzione era proprio dietro l’angolo. Ma c’era di più…
Si stava avvicinando il giorno in cui, morto o imprigionato Red John, quello che ora era il suo unico scopo di vita avrebbe probabilmente lasciato il posto ad altri progetti.
Lisbon, in cuor suo, desiderava da tempo di far parte dei progetti futuri di Jane. Aveva sempre rispettato la volontaria astensione del consulente da tutto ciò che riguardava l’amore, ma in cuor suo sperava che un giorno…
Lui la guardava, aspettandosi da lei qualche commento: aveva assunto la sua consueta espressione a metà tra l’interrogativo e il sardonico, con quel sorriso appena accennato e quegli occhi così vividi ed acuti, che sembravano in grado di addentrarsi fin nelle profondità più recondite dell’anima dei suoi interlocutori. Era seduto sul suo letto di fortuna, le gambe lievemente divaricate, i gomiti appoggiati sulle ginocchia e le mani incrociate, in attesa di una parola che gli confermasse che l’eccitazione che provava era giustificata.
Lisbon andò a sedersi accanto a lui. Che la lista dei sospetti fosse scesa da oltre duemila nomi ad appena poche decine di potenziali assassini era senz’altro un enorme passo avanti; tuttavia, “poche decine” non era un dato del tutto confortante!
«Credo sia presto per cantare vittoria», gli disse, «ma è chiaro che sei sulla strada giusta. Mi auguro dal più profondo del mio cuore che tu possa presto coronare il tuo sogno e trovare la serenità che meriti, Jane.»
Lui abbozzò un sorriso più convinto, gli occhi bassi a contemplare un “nulla” fatto di una miriade di pensieri e di immagini che si affastellavano, si rincorrevano, si intrecciavano, cercando la loro corretta sistemazione nel puzzle dedicato a Red John.
«La serenità di cui parli, Lisbon… », cominciò Jane, ma la frase restò a mezz’aria.
«Si?», lo stuzzicò la collega.
«… potrò mai ritrovarla davvero?», terminò Jane.
«Certo che la ritroverai! Ogni uomo ha diritto ad un po’ di pace. Concediti una tregua. Per quanto tempo ancora hai intenzione di punirti per qualcosa di cui non hai alcuna colpa? Sì, va bene. Hai detto quelle cose su Red John in TV, ma questo non giustifica l’atto di quel maledetto assassino! E’ uno psicopatico, Jane, e tu lo sai bene. Non puoi colpevolizzarti per tutta la vita.»
Lo sguardo di Jane restava basso, perso in chissà quale recondito angolo dei suoi pensieri.
«Ricordi», continuò Lisbon «quando bevesti il tè contenente le foglie di Belladonna? La tua allucinazione, tua figlia Charlotte… era il tuo subconscio che ti parlava. Loro… è duro accettarlo, lo capisco ma… sono morte, Jane. Non puoi riportarle indietro. Sono in pace, adesso. Tu, no. Sono dieci anni che ti torturi e rinunci a quel poco di buono che la vita può dare. Credi che non mi accorga che dietro a quei sorrisi smaglianti che spesso ci regali, e che accenderebbero anche la notte più buia, si nascondono due occhi sempre tristi? Capisco il tuo cruccio, Jane, ma quando potrai lasciarti alle spalle quest’incubo, devi rifarti una famiglia, te lo meriti. Hai così tanto da dare: saresti un marito e un padre meraviglioso…»
«Grazie», mormorò Jane. Sollevò gli occhi e la guardò a lungo, senza aggiungere altro.
L’agente abbozzò un sorriso, imbarazzata. Forse era stata un po’ troppo esplicita? Jane aveva capito che proprio lei lo avrebbe voluto accanto come “marito” e come “padre” dei suoi figli? Spesso, nei suoi sogni, vedeva loro due correre, mano nella mano, su prati verdeggianti o nelle ombre lunghe di una spiaggia deserta in una calda sera d’estate …
Le parole di Jane la riportarono alla realtà: «Sai, di quella volta… della Belladonna, voglio dire… non ti ho raccontato proprio tutto. Quando ero sotto l’effetto dell’allucinogeno, Charlotte mi disse che dovevo voltare pagina. Era dispiaciuta che, dopo tutti quegli anni, mi ostinassi a vivere solo. Mi chiese se almeno c’era qualcuno che mi conosceva veramente, che poteva comprendermi, sopportarmi forse…»
«E tu… che cosa le hai risposto?», chiese Lisbon, un po’ esitante.
«Le ho risposto sì. Le ho detto che eri tu.» Le parole di Jane riecheggiarono nelle orecchie e nella mente di Lisbon parecchie volte prima che lei potesse focalizzarne il suono preciso.
«Che… che cosa vuoi dire con questo, Jane?» e, mentre lo chiedeva, sentiva il suo cuore battere più forte.
«Voglio dire che ho sempre apprezzato la tua… amicizia.» Aveva scelto di proposito quella parola. Non voleva esporsi usando termini più impegnativi. Per quanto tutti, al CBI, sospettassero da tempo che tra i due ci fosse qualcosa di più di un semplice rapporto capo/consulente, tra loro non c'era mai stato nulla se non qualche abbraccio, ed anche questi rari, perché Jane non amava i contatti troppo ravvicinati. Quando stringeva volontariamente qualcuno a sé, di solito era per sottrargli qualche oggetto dalla tasca della giacca o magari per introdurvelo. Per questo, Lisbon era rimasta sorpresa ogniqualvolta Jane l’aveva cinta tra le sue braccia. Anzi, doveva ammetterlo: la prima volta, si era perfino perquisita le tasche dopo l’allontanamento del suo consulente!
A bloccare Jane, a fargli respingere quasi ogni tipo di effusione non era soltanto il suo carattere, ma anche e soprattutto la questione irrisolta di Red John. Non sarebbe mai riuscito ad amare liberamente una donna finché lo sterminatore della sua famiglia fosse rimasto impunito.
«Vorrei dimostrarti di più la mia gratitudine», riprese il consulente, «ma, credimi, è difficile per me, almeno per ora. A volte spero che tu possa innamorarti di un uomo perbene, farti una famiglia, ma… hai fatto il mio stesso sbaglio, Theresa, anche se per motivi diversi: per seguirmi nella mia guerra personale, hai rinunciato alla tua felicità.»
L’aveva chiamata Theresa. Accadeva di rado che si chiamassero per nome: come anche per il resto della squadra, lui era Jane e lei Lisbon. Le faceva sempre uno strano, piacevole effetto sentirsi chiamare Theresa da lui. Ma quella parola, amicizia, l’aveva un po’ delusa e, forse, fu soprattutto quello a farla sbottare:
«Io non ho rinunciato proprio a un bel nulla!», scattò. «Credi forse che, se mi fosse capitata l’occasione di farmi una famiglia, l’avrei rifiutata solo per starti accanto nella tua follia? L’ho fatto semplicemente perché mi andava di farlo. E poi, deve pur esserci qualcuno a tenerti a freno, in qualche modo, a moderare la tua esuberanza, a sistemare i guai che semini ovunque passi!». Si calmò e, dopo una breve pausa, aggiunse: «Insomma, io… sono felice così.»
«Non è vero», sentenziò Jane. «Ti ho visto, mesi fa, quando guardasti la foto del bimbo appena nato di Rigsby. Nei tuoi occhi si leggeva tutto lo sconforto di non essere ancora riuscita a diventare madre. E il tuo orologio biologico sta facendo tic-tac, tic-tac… sempre più in fretta.» Jane sdrammatizzò con uno dei suoi soliti sorrisi, mimando con un braccio il movimento di una fantomatica lancetta.
Lisbon gli afferrò il polso: «Smettila! Il mio orologio biologico non è affar tuo… Sì, va bene, lo ammetto: mi piacerebbe avere dei figli e, a volte, ho paura che gli anni passino senza darmi la possibilità di costruirmi una vita privata, che mi dia soddisfazioni diverse da quelle che ho con il mio lavoro e che… Ma, che cosa c’entra questo adesso? Non è di me che stiamo parlando! Avanti, dimmi di questa lista».
«Io… Io penso che ci siamo quasi. Gli indizi sono molti e i nominativi pochi: forse basterà un attento controllo incrociato dei dati per arrivare ad individuare Red John.»
«E a quel punto?» chiese Lisbon.
«A quel punto, lo sai Lisbon…» «No, non lo so, dimmelo di nuovo!» «Come ti ho già detto più volte, se ne avrò la possibilità non mi accontenterò di farlo semplicemente catturare...» La sua voce era rotta dall’emozione, da quella rabbia insopprimibile che covava da anni e che sempre più a stento riusciva a trattenere. Lisbon capiva quei sentimenti e, forse – anzi, sicuramente – al suo posto avrebbe reagito allo stesso modo, ma in qualità di agente non poteva consentirgli di andare oltre nella sua affermazione:
«Non dire altro. Sai benissimo che io non ti permetterò di ucciderlo. Sono un tutore della legge: se mi costringerai a farlo, dovrò fermarti e… sinceramente… non vorrei dover arrivare a tanto. E poi, a che scopo vuoi renderti la vita più difficile di quanto sia stata finora? Che vantaggio ne trarresti? Uccideresti un uomo destinato a trascorrere in galera il resto dei suoi giorni? Vivere per sempre dietro le sbarre è molto peggio che morire. Quella sarà la sua punizione», concluse Lisbon, sperando prima o poi di convincerlo a recedere da quell’insulso proposito di vendetta definitiva.
«Sai quanti complici ha Red John, sparsi un po’ ovunque?», le fece eco Jane. «Credi davvero che non troverebbero il modo di farlo evadere? No, non funzionerebbe. Red John deve morire e, se… nessuno mi fermerà, sarò io stesso a far sì che ciò accada.»
Parlando, Jane e Lisbon si erano avvicinati un po’ di più. Le loro gambe ora si sfioravano. Non era la prima volta che si trovavano l’uno a stretto contatto dell’altro: durante certi appostamenti, si erano spesso dovuti accovacciare fianco a fianco, per celarsi dietro un mobile o una poltrona… ma allora stavano lavorando, era un’altra cosa. Ora, invece, Lisbon avvertiva un fremito ogni volta che il suo ginocchio toccava quello di Jane.
«Non ti lascerò fare il più grande errore della tua vita» lo ammonì, alzando il tono di voce. «Non puoi volere questo. Io… non voglio. Cioè, voglio dire, non mi andrebbe di dover venire alla prigione di stato per vederti. Perché è lì che finiresti, lo sai, vero?»
Jane la fissava, muto. I loro volti erano pericolosamente vicini, forse come non mai. Lisbon avvertiva distintamente il respiro di Jane sulla sua pelle. Si sentiva tremare dentro: avrebbe voluto gettargli le braccia al collo e scongiurarlo di non cedere all’odio, di lasciare che fosse la giustizia a fare il suo corso, di non sprecare la possibilità di rifarsi una vita, magari – perché no? – accanto a lei. Ma il suo istinto era frenato dalla ragione: Jane, probabilmente, non avrebbe gradito quel genere di manifestazione emotiva; si defilava sempre quando i parenti delle vittime, per ringraziarlo di aver risolto il caso e di aver reso giustizia ai propri cari, accennavano a volerlo abbracciare. Più di una volta le aveva fatto cenno di nascosto, perché intervenisse a “salvarlo” da quelle che per lui erano situazioni imbarazzanti!
Quello che Lisbon non sapeva è che anche Jane, in quel momento era, come lei, combattuto: la fede che portava ancora al dito gli ricordava in ogni istante che la sua odissea non era finita. E poi, latente, insidiosa, la paura che Red John gli portasse via tutte le persone a cui dimostrava di tenere di più. Eppure… in quel momento… se Lisbon avesse preso l’iniziativa, avrebbe probabilmente ceduto al desiderio di baciarla.
Ma la magia durò solo un attimo. Lisbon aveva soffocato il suo istinto e, seppure a malincuore, con una sensazione di vuoto nello stomaco (come di chi rinuncia ad un’occasione e, contemporaneamente, se ne pente), si alzò dal letto di Jane:
«Beh, è ora che vada. Domattina dovrò essere in ufficio più presto del solito per ragguagliare Bertram circa i recenti sviluppi dell’ultimo caso e non voglio presentarmi con le occhiaie! Anche tu dovresti dormire un po’… Patrick. Ci vediamo domani».
Almeno quello – chiamarlo per nome – aveva voluto concederselo: e già così si sentiva più intimamente connessa a Jane, a quell’angelo biondo dalla vita tanto sfortunata.
«Buonanotte, Lisbon». Il consulente del CBI si era alzato per accompagnarla alla porta. Quando la richiuse dietro di lei, si sentì improvvisamente più solo. Voltandosi, lo sguardo cadde sulla lavagna piena di immagini e rapporti: era ora di tornare al lavoro…
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Spero vi sia piaciuta. Raccogliendo un suggerimento che ho considerato prezioso, ho cambiato il finale della storia (che nella prima pubblicazione vedeva Jane e Lisbon baciarsi per la prima volta). Per il bacio bisognerà attendere ancora…
  
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