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Autore: Shinji Kakaroth    27/08/2007    1 recensioni
C'era una volta un ragazzino solo che incontrò una ragazza portatrice di sventure. Con questa narro la storia del loro incontro e della loro separazione e della sfortuna portata dalla strega.
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Erano cinque giorni che non mangiava.
Stava nel vicolo, appoggiato al muro, troppo affamato e stanco per fare qualsiasi altra cosa. Era ancora molto piccolo e i suoi genitori l'avevano lasciato.
Non l'avevano abbandonato, erano morti, durante le esplosioni che avevano crivellato la città, riuscendo a radere a zero quel piccolo centro di quella cittadina della nuova Zelanda, ora territorio della Federazione cinese, in continuo contrasto con Britannia.
Delle mosche ogni tanto gli si posavano sul corpo emaciato.
Sentiva quelle zampette camminargli sulla pelle liscia e detestava quella sensazione su di sè, ma non aveva neppure la forza di scacciarle.
Distrutto nel corpo e distrutto nell'anima aveva cercato di rimuovere i ricordi, troppo dolorosi dei suoi genitori e della vita che facevano a Sidney, prima che persino quella città venisse assaltata dall'esercito di Britannia e costringendoli alla fuga.
Era stanco, non sapeva che fare, aveva provato a chiedere la carità, ma la gente non aveva occhi per lui. Tutti erano preoccupati per se stessi, troppo preoccupati per pensare a lui.
Lì c'erano solo lui e il piccolo registratore del papà.
"Te lo affido, abbine cura." era stata una delle ultime frasi che gli aveva rivolto.
Era arrivato al capolinea.
Stava per raggiungere la mamma e il papà, di cui ormai stentava a ricordare i nomi, quando qualcosa gli passò accanto, era una luce azzurra, o almeno gli era sembrata tale.

"Tu," disse una voce da quella luce filtrata dai suoi occhi appannati "stai per morire, non hai un motivo per sopravvivere?"
In quel momento quella voce diventò la sagola di salvataggio a cui aggrapparsi e fece un ultimo movimento cosciente, afferrando qualcosa in quella luce azzurra appannata.
Al tatto era un lembo di vestito.
"Aah..." riuscì solo a mugolare rocamente.
Una mano gli afferrò il capo.

Il mondo svanì attorno a lui.
Si ritrovò sbalzato in un susseguirsi di visioni, mentre la voce di donna che gli aveva appena rivolto la parola gli stava parlando nuovamente, fredda, eppure per quel ragazzo la sua voce scaldava più di tizzoni ardenti "Sembra che tu abbia una flebile ragione per continuare a vivere." rimase in trance, aspettando che succedesse qualcosa, mentre le immagini continuavano a susseguirsi a ritmo forsennato, poi la sua coscienza si trovò in un luogo silenzioso con il sole che faceva capolino tra due grandi dischi metallici "Ti donerò il potere di sopravvivere, ma in camio dovrai esaudire il mio solo desiderio." delle luci lo agguantarono e sentì qualcosa di nuovo... non sapeva come ma ora ce l'aveva... la consapevolezza di averlo...

Si riprese di fronte alla donna che lo stava ancora fissando, dopo avergli lasciato il capo. Ora i suoi occhi riuscivano a vederla.
Avevaun abito che riconobbe come una veste lunga cinese di un blu scuro tendente quasi al viola, i suoi capelli erano lunghi e dello stesso colore dell'erba che cresce nelle praterie della Nuova Zelanda.
"Chi...?" riuscì solo a dire, affamato.
"Il mio nome è C.C." disse la donna, facendolo sorridere.
'Che nome strano per una donna.' pensò, mentre la vide ficcare una mano in uno zaino. "Prendi." gli porse un tozzo di pane fresco.
Il bimbo ci si gettò come un leone sulla preda sventrata ancora calda, portata dalle sue leonesse.
Stava quasi per strozzarsi quando la donna tirò fuori una bottiglia d'acqua mezza piena. La portò istintivamente alle labbra, strappandola quasi dalle mani della donna e dopo aver svitato rapidamente il tappo, ne bevve con avidità.
Continuò ad alternare le due cose fino a che entrambe non furono completamente esaurite e la sua pancia finalmente era abbastanza piena.
"Ti ringrazio C.C. io mi..."
#...è sicuramente troppo tardi per tornare a casa perché a quest'ora...#
#...sono certa che andrà tutto bene. I soldi possiamo pure ridarglieli, ma cosa dirò a papà se...#
#Oggi si scopa. E guarda un po' quelle gambe... non vedo l'ora di entrarci dentro e...#
#Non vedo l'ora di gustare questa cenetta in quel rinomato ristorante francese... magari se paga tutto lui potrei pure...#
#Ho paura... la gente mi fa paura... ho paura...#

"BASTA!" strillò improvvisamente prendendosi la testa tra le mani, facendo indietreggiare di un passo C.C. "Falli smettere!" implorò con gli occhi stretti e il viso serrato in una smorfia di dolore.
"Che ti succede?" chiese lei preoccupata, osservandosi intorno, sperando di non esser stata notata.
"Loro..." indicò la gente attorno che camminava per la strada principale, accanto a quel vicoletto "Non la smettono di parlare! Non li senti?"
#NON VOGLIo INVECCHIARE!#
"Basta!" cominciò a piangere ed aprì gli occhi.
A C.C. tutto fu più chiaro. Gli occhi erano aperti e i chiari segni del Geass si potevano distinguere impressi sulle retine per chi aveva il potere di poterle vedere.
Lo abbracciò d'istinto, senza che gli importasse davvero e cominciò a mentire "Andrà tutto bene. Non preoccuparti. Ora calmati."
Il bambino iniziò a respirare con più calma, stretto nell'abbraccio quasi materno della ragazza "Lascia stare le voci e pensa a me. Come ti chiami?" cercò di attirare la sua attenzione, sperando che in questa maniera le 'voci' s'affievolissero, e sembrò funzionare, dall'espressione più sollevata del bimbo.
"Mao." disse lui, accarezzando i lunghi capelli verdi e poi i suoi grigi.
"Ascoltami, Mao. Ti ho consegnato un potere. Probabilmente è questo che ti fa sentire la voce della gente, ti fa leggere i suoi pensieri. Se è la gente che ti causa tanti fastidi, possiamo recarci in un luogo isolato. Dove saremo soli tu e io." disse con un falso sorriso.
"Sì." disse il piccolo sorridendo.
La strega aveva appena trovato una nuova pedina da utilizzare per la sua autosoddisfazione.

Ma non fu così.

Man mano che la vita assieme proseguiva, la strega dai capelli verdi iniziava ad affezionarsi al piccolo profugo, e anche lui ormai la considerava un misto tra una sorella, una mamma e una fidanzata.
Non riusciva a staccarsi da lei neppure per un attimo, con una morbosità tipica solo dei bambini molto piccoli per la propria madre.
Il piccolo s'era ripreso e aveva cominciato ad allenare il suo potere, poteva decidere di sentire o meno le voci, poteva decidere di concentrarsi su una sola persona o meno.
Cominciò nella sua innocenza a sfruttare i pensieri altrui a proprio vantaggio, mentendo al panettiere dicendo d'essere figlio d'un caro amico e prendendo pane gratis e facendosi offrire un gelato da una signora spacciandosi per un compagno di scuola del figlio.
L'unica voce che non riusciva a sentire era quella del cuore di C.C. ed era l'unica che in realtà avrebbe voluto sentire.
Ma per quello aveva ovviato.
Col registratore di suo padre, ormai una figura lontana e dimenticata, registrò la voce della ragazza e ogni tanto la sentiva durante la notte nelle sue cuffiette, quando s'addormentavano abbracciati.

Un giorno stava vagolando assieme a C.C. per la città, osservando la gente.
Da quando aveva quel potere sapeva quanto quelle persone fossero cupide, egoiste e orribili, eranto anti mostri dalla forma umana. Desideravano quello che non potevano avere e nonostante sapessero di non poter raggiungere una certa posizione invidiavano a morte chi l'aveva ottenuta.
Invidia, odio, antipatia, menzogne, desideri di cupidigia e continua voglia di possedere, avere ottenere.
Era terrorizzato da quel male che riusciva a leggere nei cuori degli uomini e forse, lentamente se ne sentiva intaccato, contaminato, insozzato, un fazzoletto di pizzo lordo della fuliggine più oscura.
Quando, passarono di fronte a un meraviglioso negozio di dolci, il piccolo decise di prendere qualche fetta di quelle meravigliose torte.
"Signorina, senti." le sorrise con quell'aria da moccioso ribelle e sfacciato che aveva di solito, un ragazzino cresciuto allo stato brado, privo di ogni freno inibitorio o educazione.
La giovane al bancone lo osservò fissandolo per bene.
I vestiti un po' sporchi e rattoppati, l'aspetto trasandato, subito lo inquadrò, un piccolo senzatetto che andava a chiedere la carità.
"No, non sono un senzatetto. Ho una casa fuori città." le sorrise, mentre nei suoi occhi si materializzava quella rondine luminosa evocata dal potere del geass "Non pensare brutte cose sul mio conto!" fece con un tono un po' irritato "Comunque, mi può dare qualche pezzo di torta? Quelle vanno bene." disse indicando con il ditino un po' sporco il vetro, lasciandoci su un'impronta scura, ben visibile.
"Piccolo, i soldi ce li hai?" gli domandò #Tanto so che non ha un soldo questo moccioso e magari si metterà pure a farmi gli occhi dolci per intenerirmi. Vorrei che glieli andasse a fare al capo Chun.#
"Se qui ci fosse lo zietto Chun me le darebbe, lui e io siamo buoni amici." proruppe il piccolino.
#Questo piccolo pezzente vuole proprio prendermi per il culo.# era la voce del cuore della ragazza che prorompeva oltre quel suo falso sorriso che rivolgeva di continuo alla clientela "Quando arriverà ti darà tutti i dolci che vuoi."
"Spero che non ti licenzi, per non avermi dato quello che volevo." la punzecchiò il piccolo, facendo per andarsene quando venne richiamato indietro dalla ragazza.
"Aspetta. Va bene. Prendi, ma non dire niente al tuo sietto, va bene?" gli fece, dopo avergli porto il pacchetto di cartone.
"Grazie signorina Tienzen, mio zio ha grande considerazione di te." stava per andarsene quando sentì qualcos'altro.
#Piccolo stronzetto opportunista. Se potessi gli piscerei in testa a quel bastardo di tuo zio e tu sei una iena come lui.# si voltò fissandola con stupore.
Era certo d'aver smesso d'usare il Geass, eppure sentiva ancora la voce di quella ragazza, nonostante non muovesse le labbra.
Gli fece un cenno di saluto mentre era ancora voltato, sulla soglia #Mangiatela quella torta e strafocati, piccolo verme. Spero che tu muoia. MUORI! MUORI! MUORI!# spaventato corse incontro a C.C. che lo prese tra le braccia, vedendolo piangere.
"Cosa t'è successo?" gli domandò.
"NOn lo so C.C., sento le voci. Le sento sempre, non riesco a farli stare zitti." la ragazza fissò negli occhi il piccolo Mao notando che il Geass era attivo.
"Chiudi gli occhi e cerca di disattivare il geass." il piccolo ci provò, ci provò con ogni mezzo, ma piu' cercava di calmarsi e far affievolire il potere del geass, più i pensieri degli esseri umani lo penetravano, gli si insinavano nella mente e nella bocca Finché non collassò svenuto.

"C.C.?" si svegliò.
Si trovava nella loro casetta, sul letto fatto con paglia e un vecchio materasso che erano riusciti a mettere assieme.
Era ancora giorno, ma sembrava che a breve il sole sarebbe tramontato.
"C.C., dove sei? DOVE SEI C.C.?" strillò, alzandosi in piedi e girovagando per i campi, finché non la vide. Era seduta sulla sponda del fiume che scorreva vicino alla foresta, seduta in contemplazione dello scorrere delle acque. Sembrava un salice, con i capelli che toccavano a mala pena il pelo dell'acqua e il viso freddo con la quale avrebbe potuto fissare il suo scorrere all'infinito, senza invecchiare, senza dare segni di cedimento.
"C.C.?" la chiamò, scendendo verso la sponda.
"Mao, guarda." indicò l'acqua e lui subito cercò qualcosa nel fiume, qualcosa che probabilmente era caduto a C.C. e stava cercando. Fissò il greto del fiume con tutto se stesso quando alla fine comprese.
Non era il fondo che C.C. gli stava chiedendo di scandagliare con lo sguardo, bensì la propria immagine riflessa sulle acque in continuo mutamento.
Il suo viso era sempre lo stesso.
I suoi occhi no.
Vide nelle sue pupille delle luminescenze.
Era il Geass.
"Le acque del fiume che scorre non si possono fermare..." disse mesta C.C., osservando il ragazzo che finalmente intuiva la gravità del suo problema.
Gli era capitato qualcosa ed ora non riusciva più ad arrestare il flusso del suo potere.
"...ma si può controllare." concluse.
"Ti aiuterò a controllare il tuo potere." gli tese la mano e lui la strinse forte, piangendo e singhiozzando come un bambino. Daltronde era un bambino.
Passarono i giorni e gli allenamenti si susseguivano.
Attraverso la concentrazione Mao poteva tener fuori le voci di tutte le persone nei dintorni, conservandone una soltanto, aveva compreso l'estensione dei suoi poteri e la loro efficacia.
#Solo grazie a C.C.# pensava sempre #Sempre grazie a C.C.#
Dopo tanto studio del suo potere, arrivò il giorno del diploma.
"Sei stato bravo Mao." disse C.C., riservandogli un bacio sulla fronte.
Era al settimo cielo.
Sentiva che quella gioia sarebbe durata per sempre.
Fino al giorno in cui la disperazione lo fece ammattire.
Lui era sdraiato sul solito materasso, ma C.C. non c'era.
Ne' al fiume ne' alla foresta e nemmeno in città, nonostante odiasse ormai entrarci a causa di tutta la gente che vi abita e tutti i pensieri che catturava senza neppure volerlo.
Chiese in giro mostrando un ritratto che le aveva fatto, ma sembrava che nessuno conoscesse quella ragazza.
Allora prese la sua decisione.
Avrebbe continuato a girare per il mondo alla sua ricerca, finché non l'avesse trovata e riportata a casa.
Solo allora si sarebbe dato pace.
"Mao? Sei stato bravo, Mao. Ti ringrazio, Mao." quelle frasi che venivano ripetute di continuo all'interno delle cufffie del suo registratore, erano la sua unica compagnia durante il lungo viaggio protratto nello spazio e nel tempo.
La sua unica compagnia e la sua unica speranza.
Altro non gli serviva.

Fine.

  
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