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Autore: Lauur    08/02/2013    3 recensioni
Da quel giorno non ho mai abbandonato il mio presidio.
All’inizio la gente si fermava per darmi qualche spicciolo, scambiandomi per una persona bisognosa. Alcuni poliziotti hanno chiesto le mie generalità, credendomi un senzatetto.
A tutti ho spiegato la mia storia.
Non un uomo che aveva perso qualcosa, ma un uomo che aveva perso qualcuno.
E che lo aspettava, lì dove tutto era iniziato, e dove tutto era anche finito.
Genere: Angst, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: John Watson , Quasi tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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The man who can't be moved

 
 
 
 
 
 

Going Back to the corner where I first saw you 
Gonna camp in my sleeping bag I'm not gonna move*

 
 
 
 
Oggi piove.
Ne prendo atto, ma non faccio nulla per cambiare la mia condizione.
Mi stringo un po’ nel mio parka, e osservo le gocce cadere.
Cadono a ritmo del mio cuore, sembrano farlo apposta.
Sta forse piovendo per me?
Il cielo vuole farmi compagnia.
O forse vuole farsi beffa di me. Anche lui.
 
 
°°°
 

Policeman says "son you can't stay here" 
I said, "there's someone I'm waiting for 
If it's a day, a month, a year" 
Gotta stand my ground even if 
it rains or snows 
If she changes her mind 
this is the first place she will go* 

 

 
Da quando ho fatto la mia scelta, tutti sono andati via, ad uno ad uno.
 
Lestrade ha provato ad arrestarmi, pur di farmi desistere.
Ovviamente ha perso la sua battaglia.
 
- John vieni con me, su.
- Non ne ho la ben che minima idea.
- Perché ti ostini a non vedere. A capire. Alzati.
- No Greg, tu non puoi vedere le cose dal mio punto di vista.
- John. Non tornerà. Non può tornare. Alzati, o ti arresto.
- Prego fai pure. Tanto, appena uscito, tornerò qui.
 
Se n’era andato, così come era venuto, con le mani nelle profonde tasche del suo impermeabile. Lo sguardo basso, a fissare il marciapiede.
Cercava una macchia che non c’è più. Persino il sangue sull’asfalto è meno ostinato di me.
 
 
Molly continuava a scoccarmi uno sguardo pieno d’affetto e di tristezza ogni mattina.
Lei arrivava trasognata, camminava con i suoi piccoli passi goffi ma dolcissimi.
E poi mi vedeva lì.
Forse pensava, o sperava, nel profondo del suo cuore, che durante la notte avessi cambiato idea.
Ma ogni mattina le sue aspettative venivano deluse.
 
 
Harry mi aveva chiamato ogni giorno, per un certo periodo.
E ogni giorno mi aveva detto le stesse cose.
 
- John. Cosa credi di dimostrare?
- Ciao anche a te Harry.
- John per favore. Oggi hanno parlato di te persino al notiziario della BBC.
- Sto diventando famoso, a quanto pare. Sei felice? Sei la sorella di una celebrità.
- ‘Fanculo.
- Carina come sempre Harry. Hai qualcos’altro da dire?
- …John. Solo…sei sicuro che ne valga la pena?
- Si Harry. E’ l’unica cosa di cui sono sicuro.
 
 
Poi aveva semplicemente smesso di chiamare. E io non me ne ero fatto un cruccio.
Me lo aspettavo. Harry non è mai stata un tipo presente.
 
 
L’unica che non mi ha lasciato solo è la Signora Hudson.
Continua a portarmi ogni giorno un piatto di cookies con delle enormi gocce di cioccolato appena sfornati, come se fossi ancora l’inquilino dell’appartamento al piano di sopra.
 
Lei era con me quando mi è venuta l’idea.
 
Erano passati cinque mesi dalla caduta.
Lei veniva di continuo a controllare il mio stato di salute.
O, sarebbe meglio dire, ad accertarsi del mio stato in vita.
 
Io, dal canto mio, facevo quello che, da cinque mesi a quella parte, era il mio unico passatempo.
 
Riavvolgevo su se stesso il nastro della mia memoria, e riascoltavo e riascoltavo l’ultima telefonata che Sherlock mi aveva concesso. Ascoltare quel velluto che era stata la sua voce, impressa indelebilmente in ogni mia cellula, mi faceva star meglio.
 
Avevo analizzato quella telefonata sotto ogni punto di vista.
Cercavo disperatamente un qualcosa a cui appigliarmi, una soluzione, una risposta ai perché che affollavano la mia mente.
 
Da qualche tempo mi concentravo sulla prima parte della telefonata.
La rabbia nella sua voce, il tono alterato, sparito nella seconda parte della nostra conversazione.
Tentavo disperatamente di capire il perché di tale cambiamento.
 
 
 
C'era una nota stonata, qualcosa di stridente.
D'improvviso, poi, tre frasi si fecero chiare nella mia mente
 
Stai fermo lì
Tieni gli occhi fissi su di me
É solo un trucco
 
Un filo rosso sembrò unire quelle parole, che, fino a quel momento, mi erano sembrate il vaneggiamento di un uomo deciso ad un gesto estremo.
 
Ma non lui, non Sherlock.
Come avevo potuto credere che si fosse fatto prendere da tale sentimento, e che le sue parole non avessero quindi un significato nascosto.
 
Finalmente il senso celato mi si era rivelato.
 
Tutto un trucco di magia.
Tieni gli occhi fissi su di me, guardami cadere, stai fermo lì, con la visuale bloccata da quel palazzo, é tutto un trucco di magia, nulla di tutto ció che stai per vedere é reale. Credimi John.
 
Sperava che io capissi subito. Ma io ero stato accecato stato accecato dalla paura e dal dolore.
 
Una valanga di sentimenti mi travolse in pieno.
Sherlock era vivo.
Qualcosa di sopito sotto ogni mia cellula, sotto ogni fibra del mio corpo, mi gridava che avevo ragione, contro l’evidenza del sangue e del suo polso assente.
 
Un conato di vomito mi attanagliò immediatamente la bocca dello stomaco.
Scattai immediatamente in piedi correndo verso il bagno, attirando lo sguardo attonito della signora Hudson. Non stavo zoppicando. Nemmeno lontanamente zoppicando.
 
Svuotai il mio stomaco di tutti gli umori amari che avevo accumulato da cinque mesi a quella parte.
Ogni conato era liberatorio, ma allo stesso tempo portava con se un’idea nuova, dolorosa, su come dovesse essere stato doloroso per Sherlock il suo essere così ottuso. Il suo non aver compreso cosa stava dietro il suo suicidio.
 
L’aveva fatto per uno scopo, uno scopo che continuava a tenerlo lontano, e che continuava a impedirgli di mettersi in contatto con lui.
 
Chissà cosa stava facendo? Come si dava da vivere? Era stato in pericolo?
 
Credimi John.
 
Era da solo. Senza di me. L’unico in cui riponeva fiducia e speranza
 
Gli spasmi allo stomaco si erano attenuati, quando ormai da vomitare mi rimaneva solo l’anima.
 
Avevo preso una decisione.
Dovevo fargli sapere che avevo capito. Che sapevo. E che credevo in lui.
 
Mi precipitai dal bagno in camera mia. Iniziai a tirare fuori tutte le mie cose, stravolgendo il mio ordinatissimo armadio da ex-militare, alla ricerca del mio sacco a pelo.
Appena lo trovai, lo misi in spalla. Presi il mio maglione a righe e indossai il mio parka scendendo le scale.
 
Passando dal soggiorno rivolsi un debole ma deciso sorriso alla Signora Hudson, e le spiegai il mio intendo e le mie motivazioni.
 
Lei non si scompose minimamente, da grande donna qual è, e mi disse esclusivamente di stare attento.
 

Going Back to the corner where I first saw you 
Gonna camp in my sleeping bag I'm not gonna move*

 
 
Non appena arrivato sul marciapiede del San Bartholomew’s Hospital il mio cuore perse un battito.
Avevo evitato quella strada per così tanto tempo.
In quel momento era l’unico posto in cui volessi stare.
Stesi sul marciapiede il mio sacco a pelo, proprio all’angolo della strada, a pochi passi da dove, cinque mesi prima, il tempo per me si era fermato.
Da quel giorno non ho mai abbandonato il mio presidio.

Some try to hand me money, 
they don't understand 
I'm not broke, I'm just 
a broken hearted man 
I know it makes no sense 
but what else can I do? 
How can I move on 
when I'm still in love with you?* 



All’inizio la gente si fermava per darmi qualche spicciolo, scambiandomi per una persona bisognosa. Alcuni poliziotti hanno chiesto le mie generalità, credendomi un senzatetto.
A tutti ho spiegato la mia storia.
 
Non un uomo che aveva perso qualcosa, ma un uomo che aveva perso qualcuno.
E che lo aspettava, lì dove tutto era iniziato, e dove tutto era anche finito.
 

Maybe i'll get famous 
as the man who can't be moved 
Maybe you wont mean to 
but you'll see me on the news 
And you'll come running to the corner 
cuase you'll know it's just for you 
I'm the man who can't be moved* 


 
Poi sono arrivati i giornali locali, le reti televisivi, addirittura la BBC, come mi aveva detto Harry.
Per loro sono The man who can’t be moved, oppure The man who’s waiting.
A me non interessava.
 
L’importante era che Sherlock, ovunque lui fosse, qualunque cosa faccesse, sappesse che io lo stavo aspettando. E che non mi sarei mosso.
 
°°°
 
Oggi piove. Come ho già detto.
 
E’ una giornata no.
Sono qui da quasi tre mesi, ed il mio umore sta diventando sempre più altalenante.
 
Ci sono momenti in cui dubito della mia sanità mentale, dell’opportunità della mia scelta e, soprattutto, della correttezza delle mie deduzioni.
Mi trovo sempre più spesso a pensare di aver voluto trarre delle conclusioni solo per uscire dal tunnel di dolore cieco in cui ero caduto.
Forse avrei dovuto continuare a vivere la mia esistenza vuota, o lasciare il 221B e tentare di rifarmi una vita, lontano da tutto e da tutti.
 
La realtà è che sono davvero stanco.
Stanco di vedere Sherlock in ognuna delle persone che attraversa questa strada.
Stanco del fatto che Sherlock non sia nessuna di loro.
 
Non mi accorgo della bambina in impermeabile rosso che mi si è avvicinata.
Mi sta tendendo un muffin con fare gentile e allo stesso tempo titubante.
 
- Ciao. – mi dice, sorridente – Vuoi un muffin?
- Grazie piccola. – Non me la sento di rifiutare. Ha degli occhi color del cielo e dei riccioletti neri a cui non si può dire di no.
- Cosa fai qui a terra? La mamma dice sempre che non bisogna sedersi a terra. Non te lo ha detto la tua mamma? – mi chiede tutto d’un fiato.
- Si me lo ha detto. – rispondo io con un sorriso sincero – Ma sto aspettando una persona da tanto tempo, e sono stanco. Per questo mi sono seduto.
- Oh. – dice lei, corrugando il suo visino. - E chi aspetti? Un tuo amico?
- Si, il mio migliore amico. – mentre parlo il mio cuore si fa più piccolo.
- Anche io ho un migliore amico! – esclama lei, tirando fuori dal suo zainetto un riccio di peluche.
- E’ davvero un bell’amico.
- Ma perché sei stanco? – chiede lei, come se avesse pensato solo in quel momento alla mia risposta.
- Sono stanco perché lo aspetto da molto tempo. – le dico – Forse dovrei solo…finire di aspettarlo – confesso infine.
- No! – mi rimprovera lei spalancando i suoi occhioni azzurri – I migliori amici sono importanti! Stanno sempre con noi! Devi aspettarlo! Tornerà qui!
La fisso intensamente. Questa piccola bambina riccioluta mi sta insegnando qualcosa.
- Grazie. – le dico infine – Hai ragione. Aspetterò.
 
Lei fa in tempo a regalarmi l’ultimo sorriso, quando arriva sua madre, trafelata e preoccupata del fatto che la sua adorabile bambina stia parlando con un barbone sdraiato su un marciapiede.
 
Una bimbetta sconosciuta ha risollevato il mio umore. Non me ne andrò. Almeno per oggi.
Ti aspetto.
 

Thinkin maybe you'll come back here to the place that we'd meet 
And you'll see me waiting for you on the corner of the street 
So I'm not moving, I'm not moving* 

 
°°°
 
Dischiudo lentamente gli occhi, devo essermi addormentato senza essermene nemmeno accorto.
Ho la bocca impastata e bruciore all’altezza dello stomaco. Il buonumore è andato via.
 
All’improvviso una persona mi si piazza d’avanti. Ha delle scarpe vagamente familiari, così come l’orlo del suo cappotto.
Ancora intorpidito dal sonno, alzo lentamente la testa dicendo, in maniera poco garbata:
 
- No grazie, non ho bisogno dei tuoi spicci.
 
Le parole mi muoiono in gola.
 
- John…
 
Voce di velluto. Occhi caleidoscopici.
Di nuovo per me.
 
 
 
 
 
Note:
 
* Tutte le citazioni canore sono prese dalla canzone dei The Script – The man who can be moved, adorabile che consiglio a tutti voi di ascoltare finchè non avrete prosciugato tutte le lacrime dei vostri condotti lacrimali!
 
  
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