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Autore: Hey J    29/08/2007    5 recensioni
Un inatteso miracolo. Una comunissima stazione ferroviaria. Cos'hanno in comune?, chiederete. Apparentemente, nulla: il primo avviene quando meno lo si attende, e non tutti credono davvero nella sua esistenza. La seconda è un luogo in cui chiunque, una volta o cento, visita nell'arco della propria vita. Eppure, non è detto che le due cose non possano incrociarsi nel medesimo istante...
Genere: Romantico, Triste, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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La Gare du Fantôme  ( storia betata da Stray cat Eyes)

 

Una stazione ferroviaria.
Chissà quante storie potrebbe raccontare, quante vite passano per di qui..
Ma nessuno si accorge mai dei piccoli miracoli che dentro una stazione possono accadere. La gente passa, se ne va e non guarda in faccia nessuno.
Nemmeno quando il famigerato fantasma dell'Opera, fuggito dal suo covo sotterraneo, era giunto in una stazione la gente si era accorto di lui...



Una donna vestita di un lungo abito lavanda e un berretto da viaggio poggiato sui suoi lunghi boccoli castani camminava calma, al suo fianco un uomo distinto le cingeva la vita con il braccio.
“Christine!”  Una figura celata nel buio dalle movenze feline la chiamò.
“Christine!” Ripeté nuovamente. Nella sua voce si celava il dolore profondo di chi non ha più nulla da perdere.
“Christine…” Stavolta la donna si voltò. I suoi occhi erano colmi di paura: avrebbe riconosciuto quella voce fra mille.
“Dove sei, Erik?” Sussurrò terrorizzata Christine Daaé.
“C’è qualcosa che non va, Angelo mio?” Chiese preoccupato suo marito, il visconte De Chagny.
”No, non è nulla. Tu vai avanti, io ti raggiungo presto, Raoul.” Rispose Christine, sussultando al suono della parola ‘Angelo’.
L’oscura figura guardava la viscontessa de Chagny da dietro un pilastro;  la osservava, la idolatrava e non aspettava altro che si avvicinasse.
La giovane donna spaurita continuava a camminare con passo svelto fra i binari finché due braccia la presero, la strinsero e la trascinarono con sé nell’ombra.
“Erik!” Interloquì con tono smorzato la donna. “Cosa ci fai qui? Non eri morto? Perchè sei tornato? Perchè vuoi perseguitarmi ancora?”
“No, Christine, non stavolta.  Io ti amo come il primo giorno e sento in me bruciare un’ardente passione per te, ma ho capito. È inutile.” Rispose quell’uomo dal viso coperto per metà.
“Allora perché sei qui?” Domandò Christine con tono supplichevole.
“Volevo dirti semplicemente addio e chiederti un ultimo favore, se mi è concesso.” Proferì il Fantasma, tenendo Christine per un braccio. Ma stranamente la presa non era più morbosa e demoniaca come una volta, era timida, dolce proprio come la sua voce.
“Come puoi chiedermi un favore, Erik? Dopo tutto quello che mi hai fatto, come puoi pretendere che io possa darti qualcosa in cambio?” Ribadì la viscontessa, con gli occhi lucidi e con la voce alterata, togliendo con forza la mano dell’uomo dal suo braccio.
“Non ti donai per caso la tua voce? Non t’insegnai l’arte della musica? Ma io di tutto questo non ti rendo pegno, ti chiedo solo…” Disse Erik, ma lei lo interruppe.
“Quanto ho pagato la voce che tu mi donasti? Dimmelo Erik, quanto la pagai?”
Il viso della giovane donna fu rigato da stille cristalline che rilucevano sul suo viso, rendendola ancor più bella ed eterea.
“Nulla. Non la pagasti. Quella sera non ti ho fatto per caso fuggire col tuo amato? Eh, Christine? Non ti ho forse donato la libertà? Non ho spezzato e gettato via il mio cuore per farti felice?” Ruggì il fantasma, ma subito si ricompose: non poteva attirare troppo l’attenzione.
Fuggì dentro una galleria ormai in disuso, si appoggiò al muro e crollò a terra, piangendo. Christine seguì il fantasma, lo rincorse, ma per strada perse il cappello. Arrivata lo trovò piangente, seduto a terra con la testa fra le mani.
“Non è vero che non pagai nulla Erik, io mi fidavo di te e invece tu mi torturavi, ti prendevi gioco di me. Mi hai fatto vivere nel terrore, come puoi dire che non ho pagato nulla?” Disse Christine avvicinandosi al fantasma.
“Io ho pagato molto più di quel che credi, Christine, ma questo lo saprai un’altra volta, non ora. Volevo chiederti solo una cosa, solo di poterti scrivere.”
Detto questo il fantasma ammutolì e si asciugò le lacrime andandosene via, ma poi si girò. “Và, ormai ho perso tutto. Volevo dirti addio per sempre, ma ad un fantasma, reietto come me, non è concesso tale onore.” Aggiunse, con voce disperatamente triste.
Christine non si mosse. Guardò quell’uomo con compassione; dopotutto, lui l’amava come neanche Raoul sapeva fare.
“Cosa fai ancora qui? Vai, vai dal tuo Raoul, è lì il tuo posto.” Disse Erik in modo stranamente dolce, ma dannatamente triste. Christine si commosse nel vedere quell’uomo così grande ora così piccolo e fragile.
Il fantasma fece per andarsene di nuovo, ma una piccola mano gentile afferrò un lembo della sua immacolata camicia.
“Resta qui. Spiegati.” Christine lo aveva trattenuto ed ora lo guardava con occhi lucidi ed insistenti.
“Quale sortilegio è caduto sulla tua dolce mano per fermare il tuo incubo, il figlio del diavolo, al tuo fianco?”
“Nessun sortilegio, Erik, solo la bontà che è nata nel tuo cuore.”
In quel momento una piccola campana risuonò per la stazione. Il treno sarebbe partito  dieci minuti dopo.
Allora nuove lacrime scesero lungo l’unica guancia scoperta di Erik e da sotto la bianca maschera. Pianse, poggiando il suo viso con fare adorante a quelle manine bianche lavandole, investendole di una lucentezza nuova.
“Perdonami, Christine... io ti amavo... non volevo!” Disse Erik continuando a piangere e accarezzando i dolci riccioli castani della ragazza.
“Erik, non posso amarti come vuoi tu, ma posso darti un ultimo regalo.” Rispose Christine, alzando il viso diafano dell’uomo. Gli tolse la maschera, lo guardò dritto negli occhi e lo baciò come aveva fatto nella grotta: era un bacio lungo, profondo, travolgente, carico di passione.
Il treno fischiò, e si sentì Raoul che chiamava Christine. Era ora di partire.
“Allora addio, a mai più, mio piccolo angelo.” Disse Erik, sorridente e senza maschera, illuminato da un raggio di sole che filtrava da una finestrella, un raggio che sembrava aver trasformato Erik, aveva fatto scomparire le sue malformazioni. Ora innanzi agli occhi di Christine non c’era più il malvagio e dannato fantasma dell’Opera, ma il suo Angelo della musica, bello come non mai.
Erik stava per andarsene di nuovo, quando una voce lo fermò.
“Aspetta...” Christine stava scrivendo qualcosa su un foglietto. “Ecco, questo è il mio nuovo recapito. Ho esaudito il tuo desiderio?” Domandò, sorridendo anche lei.
L’uomo sorrise e rispose semplicemente “Grazie.”
Se ne andò via facendo frusciare l’enorme mantello con una pace nel cuore che mai aveva avuto. Christine restò lì ferma al centro galleria, fissando l’ombra che scompariva dalla sua vista.
“Christine! Ecco dove eri finita! Andiamo, il treno sta partendo!” La chiamò Raoul da dietro.
“Arrivo!” Gridò lei. “Addio, Erik.” Mormorò.
Si voltò, e andò per la sua strada.



Ogni treno parte, se ne va, e porta con sé milioni di storie ognuna da raccontare, milioni di vite che si intrecciano, che guardano fuori il finestrino e pensano a chissà cosa riserverà loro il futuro. Tra quelle vite c’era anche Christine che, arrivata a destinazione, nella sua nuova casa trovò una piccola meravigliosa sorpresa ad aspettarla: una lettera. E ne trovò tante altre anche negli anni successivi, fino alla sua morte a soli 63 anni.

Non vi riporto tutte le lettere ricevute da questa soprano di successo, ma solo una in particolare ricevuta nel 1919 pochi giorni dopo la sua morte.



Caro angelo mio,
oramai sei solo questo, Christine: una presenza, un soffio di vento, un battito d’ali, un ricordo.
Il tuo mondo non è più questo. Sei volata lassù dove non posso raggiungerti, e lacrime ardenti rigano lo sporco viso di questo tuo diavolo che ora si confesserà a te, ti confesserà il perché di tanta infamia.
Perché sono un essere meschino? Oh Christine, avresti dovuto capirlo dalle mie parole, dal mio canto disperato di Angelo caduto.
“Fissai, osservai l’orrore di mia madre, su di me posò la maschera più infame...”.
Sono sempre stato reietto. Sin dalla mia nascita nessuno mi amò, persino mia madre fuggiva alla mia vista, mi odiava per il mio demoniaco aspetto.
Mi venne affibbiato il nome di “Figlio del Diavolo” e fui venduto ad un circo di nomadi che mi maltrattavano, mi odiavano e vendevano la mia immagine agli uomini perché mi odiassero a loro volta. E così anche loro mi odiavano.
Sputi, insulti, percosse. Ecco il mio pane quotidiano finché un’anima pia ha deciso di salvarmi.
Ho ucciso. Ero un bimbo di soli dieci anni ed uccisi.
Quel dì io persi la mia luce di bambino e mia trasformai in diavolo. Ma quella ragazza dagli occhi pieni di luce e sete di giustizia mi salvò lo stesso. Cosa la spinse a salvare un assassino? Lei aveva capito il motivo del mio atto malvagio, della mia metamorfosi da bimbo innocente ad essere demoniaco: era stato l’odio insensato dell’uomo a demolire in me qualsiasi traccia di fanciullezza; l’odio dell’uomo mi aveva cambiato, mi aveva costretto a segregarmi, a sparire per non soffrire più, fin quasi alla mia morte.
Come l’uomo assetato tende le braccia al passante per un sorso di acqua proibita, ma che invece riceve solo veleno per sopperire al proprio bisogno, anch’io quando ero assetato d’amore fui dissetato solo con l’odio che col tempo mi ha avvelenato anima e corpo.
Ora sai quanto io abbia pagato.
Non mi sto giustificando con questo mio racconto. Il male che ho fatto e che ti ho fatto, quello resta inalterato e ingiustificato. Ma sentivo il bisogno irrefrenabile di raccontare il mio dolore, soprattutto di parlare con te.
Perché ti scrivo anche ora che so non mi potrai più rispondere? Perché so che la mia fine è vicina, non posso vivere se so che non potrò più sentire il tuo canto.
Ora ti saluto, ti dico addio perché anche se lascerò questa terra, so che tu sei in un posto a me proibito, allora ti dico addio di nuovo e sogno, sogno di baciarti come quel giorno alla stazione e di rivederti illuminata da un unico raggio di sole, bella come non mai, bella come un angelo venuto dal cielo. Sto piangendo, piango come un bambino, piango e spero di rivederti ancora prima di esalare l’ultimo respiro...

Tuo affezionato

Fantasma dell’Opera



Ma, cosa ancor più bella e dolce di questa lettera, è stata la sua consegna, fatta di persona dallo stesso fantasma. L'indirizzo? La tomba di Christine Daaé, viscontessa De Chagny.


Un uomo strano, vestito di nero, col volto mezzo coperto, camminava a passo svelto tra le tante lapidi del cimitero.
“Per fortuna ti hanno sepolta qui, Angelo mio, qui a Parigi, accanto al tuo adorato padre.” Mormorò, poi di colpo si fermò innanzi ad una lapide, quella di Christine Daaé.
“Christine Daaé, Viscontessa De Chagny, moglie e madre amata.” Lesse ad alta voce l’incisione sulla lapide.
“Già, madre. Non sai quanto sono stato felice di sapere che avevi chiamato tuo figlio Erik! È stata una gioia immensa.” Continuò asciugandosi le lacrime che rotolavano giù dai suoi bellissimi occhi.
Ora, però, il fantasma non reggeva più il peso del dolore.
S’inginocchiò sulla neve che continuava a cadere fitta e poggiò sulla lapide una lettera sgualcita e un po' bagnata, un po’ per le lacrime cadute mentre scriveva un po’ per il contatto con la neve, ed una rosa rossa con un fiocco nero a cui era attaccato un anello di fidanzamento.
Quell’uomo poteva parer giovane, poteva dimostrare trent’anni, invece, nonostante il giovanil aspetto, aveva più di settant’anni, ma chissà per quale sortilegio aveva potuto mantenere quei dolci lineamenti dell’età bella.
Quell’uomo pianse, pianse per tutto il giorno, dall’alba finché il sole non si nascose dietro i colli innevati, pianse e chiese al Buon Dio di dar termine alla sua vita da mostro con una lancinante preghiera.
“Mio Signore, so che sono un angelo caduto, un demonio, ma ora io sono qui inginocchiato dinnanzi a Lei. Mi ha conservato vivo finora, col mio aspetto giovanile e demoniaco al tempo stesso, ma ora prego di metter fine al mio dolore. Sono il figlio del diavolo, ho ucciso, depredato, distrutto ed ora ne chiedo perdono, ma non posso più vivere senza questa donna, anche se non è mai stata mia, io vivevo del suo respiro. Onnipotente, Signore del cielo e della terra, io ora chiedo di morire qui, accanto a questa fuggente creatura, tra le braccia della terra, se andrò nel regno del mio padre poco importa, chiedo solo di lasciarmi alle spalle l’odio dell’uomo, l’amore che non ho mai avuto e trovare una pace anche se effimera.
“Christine! Potrai mai perdonarmi del dolore che ti ho causato? Potrai mai amarmi come solo un fratello od un amico? Io ti amo, come si ama una donna, ma non posso chiederti altrettanto, ora sei una creatura Celeste e il tuo canto di Angelo sarà unito a quello dei tuoi compagni, ora io non ti sto chiedendo di aiutarmi ad entrare nel tuo proibito mondo, ma di intercedere dal Buon Dio per farmi lasciare questa terra! Ecco, questa è l’ultima lettera che ti ho scritto. Potrai capire tante cose che ho lasciato sospese...”
A quel punto Erik si fermò, ammutolì. La vista di una splendida creatura eterea lo aveva sconvolto.
“Oh tu, essere effimero! Sei forse la mia Christine, o solo il frutto dell’immaginazione di un povero vecchio?” L’angelo sorrise, scosse la testa e rispose. “Sono io Erik! Sono la tua Christine!”
“Christine? È impossibile!” Esclamò Erik.
“Il Signore ha ascoltato la tua preghiera! Ora tu verrai con me, nel posto che hai definito a te proibito, ma che in realtà ti accoglie a porte spalancate!”
L'Angelo gli tolse la maschera che, gettata a terra, andò in frantumi, gli sfiorò la parte deforme del viso e questa subito, per incanto, guarì.

Erik toccò quello stesso punto, e ne trovò il volto perfetto di un giovane, così cominciò a piangere guardando nel vuoto, e quelle lacrime toccando terra diventarono gocce di luce che irradiavano l’intero cimitero ormai immerso nell’oscurità del crepuscolo inoltrato.
“Ora vieni.” Disse Christine, offrendo una mano ad Erik.
I due camminarono dritti incontro all’orizzonte e scomparvero.



Dell’antico fantasma dell’opera rimase solo la maschera infranta a terra e la rosa rossa con l’anello. E la lettera? Era rimasta sopra alla tomba aperta e letta chissà come da Christine.


Ora vi ho dimostrato come può un semplice treno ed una semplice stazione cambiare la vita di tante persone.
Forse non tutte le storie non saranno straordinarie come quella da me narrata, ma è certo che un treno ed una stazione hanno cambiato la vita ad Erik ed a Christine Daaé.
Ma cosa fanno loro su in cielo?
Quello che fa ogni angelo: cantano, cantano, cantano e, dopotutto, Christine ha capito di amare Erik ed ora il nostro Fantasma ha finalmente trovato la sua pace.

È bastato poco per far cambiare la vita a due persone.
Pensatelo, quando andrete in una stazione, guardatevi intorno e scoprirete che dietro ogni angolo ci sono mille storie da scoprire, mille persone da incontrare.

 

 
  
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