Scarlett
Nelle terre fredde del Nord
Europa per molti mesi non esiste notte, e sul cielo nuvoloso della sera scende
solo una luce crepuscolare che colora tutto di grigio.
Mi rende debole, ma è una luce
che posso sopportare.
Sono giunta fin qui e mi sono
imbattuta in un comune mortale, uno strano uomo solitario e cupo, che un tempo,
doveva aver amato la vita.
La mia preziosa vittima aveva il
cuore duro e freddo quanto il mio, solo che il suo batteva ancora.
Ma anche lui come me, non era più
vivo.
L’ amore lo aveva ucciso.
Lo stesso amore che secoli prima
aveva ucciso me, quando amai l'uomo di un'altra donna, che pur umana, aveva venduto l'anima alle tenebre. Così diventai una creatura maledetta.
Mi piaceva e lo avevo scelto; era
un bell’uomo nonostante gli anni che segnavano lo sguardo gelido con un
reticolato di fini rughe.
I tratti del viso erano regolari
ed eleganti, la mascella forte; le labbra un tempo sensuali erano severe e
avare di sorrisi, ormai spenti da tempo.
I capelli lievemente brizzolati
sulle tempie, erano legati da un nastro di seta nero.
Portava sempre all’anulare uno
strano anello d’oro che s’ insinuava fosse maledetto.
Con attenzione ossessiva,
nascosta tra la bruma, lo osservai muoversi tra i suoi simili; i contadini che
lavoravano le sue terre avevano paura di lui.
Il suo portamento nobile e altero
incuteva rispetto e timore.
Era circondato dall’ostilità e
dall’odio che si riserva ad un padrone feroce, come un tempo in gioventù era
stato circondato dall’amore di tante donne compiacenti che volentieri cedevano
al suo fascino straniero.
Attraverso il mio potere
soprannaturale di vedere oltre, conoscevo il suo destino; era peggiore e
più terribile di quello che gli avrei riservato io, di lì a breve.
Non potevo permetterlo.
Non potevo lasciare che il suo
sangue andasse sprecato, perso tra la polvere della terra, calpestato dall’odio
degli uomini e dagli zoccoli dei cavalli.
Avrebbe ringraziato chiunque
fosse arrivato a concedergli la morte, l’unica forza che potesse liberarlo dal
grave peso di ricordi dolorosi.
Quella morte che aspettava con
impazienza, ma che gli pareva ancora così lontana.
Io, che angelo non sono, volevo
essere il suo angelo liberatore.
E lo sarei stata.
Dopo diversi giorni, lo avvicinai
nella sua casa di Stoccolma.
Mi lasciò entrare una sera di
giugno tinta di un grigio crepuscolare.
E come tempesta, entrai nella sua
vita ormai spenta.
****
Seduta di fronte a lui, mi
osserva studiandomi. Sento la sua malinconia, il rimpianto nascosto tra i
pensieri.
-
Che strana creatura che siete… pallida e diafana come la
luna… un mistero insondabile…
Mi volto a guardare la finestra.
-
Sì. Un mistero oscuro come la notte assente, persa nel
delirio del tempo che non finisce.
-
A volte non vi capisco, mia cara…
-
Non c’è molto da capire. Lasciatevi avvolgere dalle mie
braccia, mio dolce conte: io posso darvi ciò che più anelate. Io posso donarvi
la pace.
Alle mie parole i suoi occhi
paiono animarsi, attraversati da un guizzo invisibile e rapido, che svanisce
troppo in fretta.
Posso vedere i suoi ricordi.
Alcuni sono in questa piccola
stanza, dove viene a rifugiarsi come un eremita; un libro, una breve lettera di
un amico…
No… forse un’ amica.
Morta.
Una strana donna che veste e ha
un nome da uomo.
Curioso.
Sorrido.
Altri li leggo nella sua mente, mentre
le fiamme nel camino simili a lingue d’inferno, accendono bagliori nella
penombra e sui nostri volti.
Un amore impossibile e
tormentato, finito in tragedia e travolto dalla storia.
Una regina infelice. Quell’
anello lo lega a lei.
Una farfalla austriaca giovane e
bellissima, assassinata.
Una lama piantata nel cuore come
un paletto.
Sta aspettando da anni che
qualcuno venga a estrarla.
Un cuore morto all’amore e alla
vita, come il mio.
Mi avvicino a lui per sfiorarlo
su una guancia, quasi volessi consolarlo.
-
Sono giunta fin qui da una terra lontana per spegnere il
tuo dolore, mio gelido conte.
-
Nessuno può porvi rimedio. Solo la morte, mia signora.
E morte sarà.
Tra due giorni, nel suo letto,
quando di nuovo la luna piena si confonderà nel chiarore del cielo.
*****
Un servo anziano parla e versa
liquore ambrato in un bicchiere di cristallo.
Le tende chiuse impediscono alla
luce plumbea di entrare nella stanza.
Solo le candele rischiarano
l’ambiente tetro.
-
Sono morte delle fanciulle, signor conte. Delle morti
atroci. La gente è spaventata. Parlano di un essere soprannaturale, una bestia
uscita dall’ inferno che beve sangue.
-
Plebaglia ignorante e superstiziosa. Quei bifolchi daranno
la colpa a me… Non mi interessa quello che pensano… Possono morire tutti
insieme ai loro figli, per quanto mi riguarda.
Figlie di contadini che ho preso
con impazienza e violenza.
Per non cedere troppo presto al
desiderio che ho di lui.
Ho lasciato i loro cadaveri in
mezzo ai campi di grano, alle porte della città.
Il conte mi guarda, tenta di
scrutare il mio volto, di leggervi indignazione per le sue parole.
-
Che cosa pensate, mia signora?
-
Penso che stasera ci sarà la luna piena.
-
Allora forse, la morte verrà a prendermi.
Sospira e ride il mio Hans; un
riso amaro che ha sapore di veleno.
Guarda il bicchiere di brandy che
regge in mano, mentre sento l’eco di un ricordo provenire dalla sua mente,
parole di dolore vergate su una lettera.
“Colei per la quale vivevo,
poiché non ho mai smesso di amarla, colei che amavo così tanto, per la quale
avrei dato mille vite, non c’è più.
Oh, mio Dio! Perché distruggermi
così, cosa ho fatto per meritare la Tua ira?
Sono in un’agonia di dolore e non
so come faccia a sopportare la mia sofferenza.
È tanto profonda e nulla la cancellerà
mai. Lei sarà sempre presente nella mia memoria e non smetterò mai di
rimpiangerla.” [1]
Mille vite.
A me ne basta una.
Quella vita che lui non vuole
più.
Molte ore più tardi mi preparo a
raggiungerlo come farebbe un’ amante appassionata.
Sogni inquieti tormentano il mio
triste conte.
È sveglio nel letto, come se fosse in
attesa; sento il dolore che lo devasta, il vuoto che lo opprime.
Mi insinuo nella sua mente, per
sedurlo e lui mi accoglie, arreso.
Non ha forze per fermarmi, né
volontà per resistere.
Divento bruma leggera e
impalpabile che invade la stanza; il camino è spento, ma brillano ancora le
ultime braci residue, sulla parete a lato uno specchio non riflette la mia
immagine che ha acquistato forma e sostanza.
Striscio sul letto verso di lui;
ha la testa poggiata sui cuscini e il suo collo scoperto all’aria è un invito
irresistibile.
-
Scarlett, - mi chiama – siete venuta per me?
-
Sì, mio dolce conte. Sono venuta a prenderti, ti porterò
con me nella vita eterna. Non soffrirai più.
-
Sei la morte… ti aspettavo da tanto… da diciassette lunghi
anni.
Gli anni che lo separano dalla
sua morte. Si abbandona tra le mie braccia, mentre le mie labbra esangui si
preparano a mordere per ricevere il sangue. Il conte ha capito cosa sono e cosa
l’aspetta, forse lo ha sempre saputo, ma non pare temere la sorte, anzi brama
più di me il momento del nostro bacio mortale.
-
Io voglio solo raggiungere lei. Portami da lei, ti prego.
Perché a lei tutto mi guida.
Mi supplica, quasi con
disperazione, mentre ormai sono con la bocca vicino alla vena del collo e le
mie braccia lo stringono in una morsa senza speranza.
-
Allora, vieni con me. Muori alla tua vita e sarai in pace.
Io sono Scarlett e sono condannata ad attraversare le tenebre. Rubo sangue e
vita e ora prendo la tua, ma tu ritroverai il tuo amore perduto.
Ed è in quell’attimo che brilla
inaspettata una luce di speranza nel suo sguardo. Io vacillo solo un istante,
prima di affondare i miei canini aguzzi nella sua carne. Bevo e lo sento
sospirare sempre più debolmente. Con avidità succhio l’ultima goccia vitale dal
suo corpo e il conte Hans resta esangue e pallido tra le lenzuola dove, alla
fine, abbandono il suo corpo ormai privo di vita.
Mi sento appagata.
Guardo Hans e mi sorprende l’espressione
serena che ha sul viso, nella morte.
Non l’ho mai visto così, finché è
stato in vita.
Sto per allontanarmi nel grigiore
strano di questa notte pallida, e dalla finestra scorgo avvicinarsi alla dimora
una folla di uomini armati di torce e bastoni, pietre e coltelli. L’odio li
domina.
Sento i loro pensieri rabbiosi
salire fin qui, come ragni che si arrampicano sulle pareti.
Le loro urla sono terrificanti e
furiose; vogliono preparare una forca per lui e impiccarlo al primo albero.
Appena in tempo.
Qualcuno ha avvelenato il
principe ereditario Gustavo di Svezia.
Per loro, lui è il colpevole.
Sfondano le porte, invadono la
casa, nessuno li ferma.
Poco male.
Non troveranno altro che un uomo
morto in un letto sfatto, con un anello maledetto all’anulare e due segni rossi
sul collo.
Fine
Crossover un po’
insolita, a cui pensavo da un po’, anche per una piccola vendetta che meditavo
nei confronti di Fersen, personaggio di Lady Oscar che notoriamente non amo
molto, ma qui penso di essere stata pietosa nonostante l’epilogo; non pensavo
che ne sarebbe uscita una storia tanto cupa e noir, piuttosto lontana dal mio
genere abituale.
Il conte di Fersen
nella realtà, muore a Stoccolma linciato dalla folla il 20 giugno 1810,
anniversario della fuga fallita della famiglia reale francese, durante i
funerali del principe di Svezia.
Il conte possedeva
veramente un anello d’oro, donatogli dalla regina Maria Antonietta, che recava
la scritta “Tutto a te mi guida”.
La mia fic
chiaramente stravolge molto la realtà storica, ma ho voluto immaginare gli
eventi proprio nello stesso periodo.
Spero che vi sia
piaciuta; critiche e consigli saranno bene accetti, se vi andrà di lasciare un
commentino.
[1] Testo originale di una lettera che il conte di Fersen inviò alla
sorella dopo la morte di Maria Antonietta.