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Autore: Morwen_Eledhwen    12/02/2013    4 recensioni
E se le cose fossero andate diversamente?
Storia ambientata durante e dopo la battaglia alla barricata, con un nuovo personaggio (che, diciamolo, ha una pesante cotta per Enjolras): Angèle, che si reca alla barricata in cerca di Éponine.
Gli si avvicinò e quella fastidiosa sensazione di inferiorità si impossessò di lei come tutte le volte in cui aveva assistito ai suoi pedanti comizi: si sentiva inutile in quella rivoluzione, inutile per il popolo francese, inutile per il povero Gavroche. Enjolras, invece, pareva un angelo portatore di salvezza.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Enjolras, Grantaire, Nuovo personaggio
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Premessa: ho iniziato da poco a leggere il libro di Hugo (o meglio, avevo già letto alcune parti che mi servivano per poter scrivere questa storia, in modo da informarmi un po' e non scrivere assurdità), quindi questa storia (o almeno alcune parti, dato che gran parte è frutto della mia immaginazione) si ispira principalmente al film (e, di conseguenza, l'aspetto dei personaggi è quello che hanno nel film). Troverete anche alcuni riferimenti alle canzoni del musical nel testo e soprattutto nei titoli dei capitoli. Vi avverto anche che la vicenda ruota intorno ad un personaggio, Angèle, puramente inventato da me.
Detto questo, non mi resta che augurarvi buona lettura :)



 

I. The Blood of Angry Men





Era da poco sorta l’alba. I primi raggi di sole illuminavano timidamente i tetti di Parigi, annunciando l’arrivo di un nuovo giorno, un giorno come tanti altri.
Ma non lo era.
Angèle correva per le strette viuzze del quartiere più disagiato della capitale, dove regnava un profondo e inquietante silenzio rotto solamente dal rimbombo cadenzato delle sue misere scarpe sul selciato. Si fermò solo una volta per riprendere fiato e ricacciarsi dietro le spalle le ciocche di lunghi capelli castani, ma poi riprese a correre utilizzando tutta la forza che aveva in corpo, tenendosi un lembo della lunga gonna color porpora per non inciampare.
Passò sotto un lungo portico e svoltò in uno stretto vicolo sporco, dove iniziò a rallentare. Giunta davanti alla porta che cercava, si mise a bussare più volte con veemenza. Una gocciolina di sudore le scese sulla fronte. Dopo pochi secondi il pianto di un bambino ruppe il silenzio e, dopo quelli che le sembrarono due minuti, sentì lo scatto della serratura.
Joséphine apparve sulla soglia con lo sguardo assonnato.
«Hai svegliato il bambino».
«Mi dispiace tanto, ma ho saputo che tutti gli altri si sono arresi. Questa è l’unica barricata rimasta...»
«...Devo avvertire Éponine e portarla via di qui», aggiunse dopo una pausa.
«Buona idea, speriamo che questa storia finisca in fretta. Non ho dormito tutta la notte a causa dei colpi di fucile, è solo da qualche ora che c’è un po’ di quiete... Ma quei folli si faranno ammazzare», rispose Joséphine con voce stanca.
L’alloggio di Joséphine, una povera donna abbandonata dal marito, costituiva per Angèle l’unico accesso alla barricata, poiché la porta sul retro dava sul piccolo spiazzo in cui si trovava la taverna che era divenuta il quartier generale degli studenti repubblicani e davanti alla quale essi avevano costruito la loro barricata.
Angèle attraversò le tre stanze con grandi passi e si diresse verso l’altra porta d’uscita.
«Quando hai trovato Éponine ricordati di bussare dicendo il tuo nome, altrimenti non posso aprirti. Lo sai che non voglio viavai di rivoluzionari o, peggio ancora, di soldati, in casa mia», disse Joséphine.
«Lo so», rispose Angèle facendo scorrere il chiavistello, ma si sentì afferrare per un braccio.
«Non cacciarti nei guai. La situazione non è più calma come nei giorni scorsi», l’avvertì la donna con sguardo eloquente.
Angèle annuì ed uscì.

Mentre richiudeva la porta dietro di sè udì uno sparo ed il cuore le balzò in gola.
Una voce dentro di lei le disse che avrebbe fatto meglio a tornare indietro, ma doveva trovare Éponine e portarla in salvo prima che accadesse il peggio.
Un altro sparo. Delle urla di rabbia.
Perché Éponine doveva sempre rincorrere Marius ovunque andasse?
Qualcuno piangeva.
Angèle fece alcuni passi e, quando non ebbe più il profilo della taverna che le copriva la visuale, si ritrovò davanti una scena orribile.
Alcuni ragazzi erano inginocchiati intorno al piccolo Gavroche, che giaceva inerte tra le braccia di uno di loro, con gli occhi spalancati e fissi nel vuoto.
Angèle deglutì e rimase paralizzata dov’era, sconvolta.
Chi mai avrebbe potuto uccidere un bambino? Come poteva succedere una cosa del genere? Era questa la libertà che l’ambizioso Enjolras predicava con fervore nelle strade e all’università?
Angèle aveva frequentato spesso quei raduni per accompagnare Éponine, che doveva soddisfare il suo instancabile desiderio di vedere Marius. Ed ogni volta rimaneva incantata dalla passione che trasmettevano quei ragazzi, i quali si potevano permettere grandi sogni e grandi ideali, in quanto studenti della rinomata università parigina. Angèle invidiava quei ragazzi. Alle donne non era permesso frequentare l’università e men che meno a coloro che erano orfane e superflue come lei. Gli unici libri che poteva permettersi, e che aveva già letto migliaia di volte, erano i pochi che possedeva Madame de Lamartine, la padrona degli alloggi in cui viveva. Almeno sapeva di essere più fortunata di Éponine, la quale possedeva dei genitori che sarebbe stato meglio non avere. Anche perché Madame de Lamartine la trattava bene, dopotutto.
Ma ora Gavroche era morto, e tutto ciò passava in secondo piano. Doveva trovare Éponine perché non facesse la stessa fine del fratello: la barricata stava diventando troppo pericolosa. L’avrebbe allontanata dal suo Marius a costo di trascinarla via di peso.
In quel momento Angèle riconobbe Enjolras, il quale, vestito di rosso e con la coccarda tricolore ben in vista, si allontanava dal raduno di cordoglio per il piccolo Gavroche per afferrare un fucile ed alcune munizioni, con lo sguardo impassibile degno d’un capo rivoluzionario.
Angèle deglutì e raccolse tutto il coraggio che aveva per chiedergli se avesse visto Éponine.
Gli si avvicinò e quella fastidiosa sensazione di inferiorità si impossessò di lei come tutte le volte in cui aveva assistito ai suoi pedanti comizi: si sentiva inutile in quella rivoluzione, inutile per il popolo francese, inutile per il povero Gavroche. Enjolras, invece, pareva un angelo portatore di salvezza.
«Hai visto Éponine?», chiese senza preamboli.
Lui le lanciò un’occhiata rapida senza alzare la testa, concentrato sulle sue munizioni.
«Chi sarebbe?», chiese con una lieve nota di fastidio nella voce.
«La sorella di Gavroche».
Lui si fermò un attimo, riflettendo.
«Credo di non averla mai vista, non so che aspetto abbia», rispose dopo qualche secondo.
«Ma è qui, mi aveva dett...».
«Ascolta, la faccenda si sta facendo complicata», la interruppe lui, «vattene da qui finché sei in tempo».
Poi si diresse verso i compagni senza degnarla d’uno sguardo.
Angèle sentì un macigno al posto del cuore. Avrebbe voluto sparire, essere risucchiata dal pavimento.
Si guardò intorno sconsolata ed all’improvviso si accorse di Marius, il quale, in piedi sul fianco della barricata, attirò la sua attenzione come una luce nelle tenebre.
Lui avrebbe senza dubbio saputo dirle dov’era Éponine. Si avviò nella sua direzione con passo deciso, ma non fece in tempo a dire nulla, perché in quel momento qualcuno dall’altra parte della barricata parlò a gran voce.

Era l’ufficiale che informava i ragazzi che non vi era per loro alcuna possibilità di vittoria, poiché quella era l’unica barricata rimasta.
«Perché gettare via le vostre vite?», chiese con quella che parve ad Angèle sincera compassione.
Lei volse lo sguardo verso Enjolras per vedere quali sarebbero state le mosse del giovane ribelle, sperando ch’egli ascoltasse la voce della ragione. Ma, esaminando il viso di quell’angelo caduto, capì che non si sarebbe mai arreso.
E infatti la risposta del giovane fu un’esortazione a combattere fino alla fine.
A quel punto si scatenò l’inferno. L’ufficiale ordinò ai soldati di far avanzare i cannoni, mentre i ragazzi della barricata facevano esplodere numerosi colpi di fucile.
Angèle indietreggiò impaurita, riparandosi all’interno della taverna e sussultando agli assordanti scoppi di cannone che iniziarono ad abbattere la barricata.
Vide sangue che schizzava, corpi che cadevano a terra, pezzi di legno che volavano e avrebbe voluto tapparsi le orecchie per non sentire tutte quelle urla e quei tremendi colpi d’arma da fuoco.
Vide un uomo precipitarsi dentro e fuori dalla taverna trascinando i feriti per portarli in salvo. Facendosi coraggio, decise di aiutarlo ad adagiarli sul pavimento.
«Scappa!», le disse l’uomo lanciandole un’occhiata preoccupata.
Angèle, dopo averlo fissato per qualche istante, obbedì e si decise a tornare da Joséphine, ma, mentre si avviava verso l’uscita della taverna, un corpo in un angolo, posto con cura sul pavimento con le mani congiunte sul petto, attirò la sua attenzione.
«Éponine!», urlò lanciandosi in quella direzione.
Si gettò al fianco dell’amica, scuotendola come se ciò avesse potuto risvegliarla. Le palpebre di Éponine erano state abbassate e sul volto era stampato un accenno di sorriso.
Rivoli di lacrime iniziarono a scenderle sulle guance mentre singhiozzava come una bambina.
Dopo alcuni secondi, però, il frastuono della battaglia la riportò alla realtà ed Angèle si rese conto che i soldati stavano scavalcando la barricata. Balzò in piedi e si lanciò verso l’uscita, dove potè vedere i ragazzi che si precipitavano verso le porte delle abitazioni, bussando ed urlando terrorizzati come bestie in trappola per farsi aprire, ma nessuno li trasse in salvo. Allora Angèle si rese conto di essere l’unica in grado di aiutarli: stava per muovere qualche passo verso di loro per poterli condurre alla porta di Joséphine, quando alcuni si accasciarono senza vita contro un portone, colpiti da pallottole mortali.
Angèle, col cuore in gola, si ritirò di nuovo all’interno della taverna, dove seppe di non avere scampo. Guardando di sfuggita fuori dalla finestra, notò l’uomo che poco prima si occupava dei feriti che si allontanava di soppiatto portando in spalla quello che pareva il cadavere di Marius. Troppo impaurita per farsi delle domande, Angèle si guardò intorno e scorse un piccolo ripostiglio in fondo alla stanza, pieno di bottiglie ed altri oggetti. Naturalmente un pezzo di porta era stato scardinato ed utilizzato per la barricata, ma Angèle raccolse un’enorme bandiera rossa che giaceva a terra e decise che si sarebbe rannicchiata e coperta con quella, non avendo idee migliori.
Si stava precipitando verso il ripostiglio, quando si accorse di Grantaire che scendeva le scale stordito, con gli occhi spalancati ed una bottiglia di vino vuota in mano.

  
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