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Bollente, nel suo letto rifinito e poco incombrante, mentre mi fissava ansante.Mi nominava, accecata dalla malattia, Wakka, Wakka, tastando le coperte e cercando la mia mano.
Trovata, la stringeva forte, troppa forza per un donna esile come lei, sussurrava ancora il mio nome, Wakka, Wakka. Le rispondevo mesto, le lacrime agli occhi, Lù, sospiravo, È la febbre, calma, e mi chiamava, ancora. Sorrideva, sbuffando, Wakka, Wakka, chiudeva le palpebre.
Un bacio sulle labbra, Resisti, e la sentivo felice.
Grazie, mi ringraziava, grazie di esistere, rimanevo allibito. Mi avvicinavo al suo orecchio, Ti amo, annuiva saccente, ripeteva, Ti amo Wakka.