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Autore: Alvin Miller    12/02/2013    1 recensioni
"Le azioni che scrivo, avvengono."
E' la prima delle regole che deve conoscere chi è in possesso del potere di rendere reale tutto ciò che scrive.
Può sembrare banale, ma non lo è. Le implicazioni sono tante, le conseguenze, imprevedibili.
Genere: Comico, Demenziale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ci siamo dunque.
Erano mesi che attendevo di scrivere quanto sto per raccontarvi… già… ma raccontare a chi? Ok. Mi sto già perdendo. Perché sto dando per scontato che qualcuno leggerà questo testo? Ma ancora peggio… perché sto trascrivendo i miei pensieri?!?
Ripartiamo da capo e cerchiamo di darci un ordine. Punto uno: mettere per sottinteso che qualcuno effettivamente LEGGERA’ quanto scriverò. Ok? Magari qualcuno che non incontrerò mai. Ecco, appunto, qualcuno proveniente da un’altra realtà… no! Un'altra dimensione. Ecco, così è più chiaro cosa volessi dire.
Punto due: diamo una logica al testo, oppure chi leggerà si troverà spaesato fin dall’inizio e probabilmente deciderà di passare ad altro. Magari, perché non iniziare a raccontargli un po’ della mia vita, così per lo meno saprà che io non sono un pazzo furioso schizofrenico ma ho una ragione di fondo nello scrivere questo testo.
Punto tre: falla finita di sbiascicare e inizia!
Ok, qui ci vuole uno spazio:

Bene, iniziamo.
Mi chiamo William Robert Hater. Gran ben nome, eh? “Hater”, colui che Odia.
Qualcuno però mi ha fatto notare che abbreviandolo e tenendo solo le iniziali dei miei nomi, e mantenendo completo invece il cognome, quello che ne viene fuori, curiosamente, è W.R.Hater, che per assonanza potrebbe ricordare “Writer”, scrittore.
Quando me lo dissero, non seppi che pensare. Certo è che abbiamo a che fare con una curiosa coincidenza…
Bhe, mi sto lasciando distrarre. Dicevo, W.R.Hater, età 27 anni, single a vita, disoccupato da sempre, e occupante di uno squallido appartamento di periferia a Chicago.
E perché una persona del genere dovrebbe rappresentare un motivo di tanto interesse da giustificare il perdere di un’ora della vostra vita per leggere i suoi deliri? Bhe, perché manca il pezzo forte della storia: Tutto ciò che scrivo diventa reale.
Ok… forse non ho introdotto nel modo giusto la questione, immagino che alcuni di voi siano quanto meno confusi (aspetta… “voi”? Ma non avevo specificato che a leggere sarebbe stato “uno”…ah no, avevo scritto “qualcuno”. Ok, in questo caso non è specificato se sia plurale o singolare. Dipenderà dal capriccio del fato…).
Mi sono perso di nuovo… bhe, e va bene, ricomincio da capo un’altra volta, e questa volta spero sia quella buona.
Spazio:

Allora.
“Tu” o “Voi”, che state leggendo a fatica questo testo, se siete arrivati fino a qui, immagino che come minimo debba ringraziarvi per la vostra pazienza, e porvi le mie scuse.
La verità, è che per comprendere davvero la mia situazione, dovreste poter comprendere la difficoltà nel convivere con un “potere” come quello che a quanto pare io mi ritrovo ad avere.
Ho scritto qui sopra che “tutto ciò che scrivo, diventa reale”. Non si tratta di una metafora con un significato più profondo, si tratta a tutti gli effetti di una specie di “capacità” che ho scoperto di avere fin da quando andavo al Liceo.
A quei tempi, tra relazioni e compiti in classe, di occasioni per scrivere ne ebbi un sacco.
Durante un compito in classe tenutosi mentre io ero al primo anno, una traccia per un tema chiedeva di descrivere quale fosse il nostro desiderio più segreto e irrealizzabile, e cosa, noi, avremo potuto fare per realizzarlo.
Venni a sapere che molti miei compagni vivevano di ambizioni a dir poco mastodontiche, tra chi, evidentemente con ben poca originalità, voleva fare l’astronauta e chi il regista a Hollywood  o autore di un Musical di Broadway (ma sinceramente… esiste ancora qualcuno che al Liceo spera ancora di fare l’astronauta??), altri invece ambivano a sogni più terra terra, come essere capitani della squadra di Football o entrare a Yale o al MIT (e nemmeno questi, comunque, brillavano di fantasia, comunque…).
Io invece? Bhe… la mia ambizione era Lauren Nope. O meglio, il suo vero nome era Nolan, Lauren Nolan, ma tutti noi della compagnia dei Losers, perdenti, la chiamavano Lauren Nope perché come ogni leader delle Cheerleaders (perdonate il gioco di parole) che si rispetti, era bella e irraggiungibile, quindi ogni qualvolta che parlandone, uno di noi ne usciva con “Voglio provarci”, inevitabilmente, dal coro, giungeva da tutti l’esclamazione “NO”, Nope. Da cui il soprannome che le demmo.
Ovviamente, era entrate nelle mire anche dei miei desideri, e non sapendone assolutamente nulla del modo di corteggiare le ragazze, trovandomi nella situazione di descrivere cosa farei per conquistarla, potei solo usare come riferimento quel poco che conoscevo dagli squallidi film rosa che ogni tanto passavano nel mio canale preferito in tv.

Fermiamoci un attimo… sto pensando: che ne dite se divido tutto il testo in capitoli? Tanto non sto seguendo nessuna regola logica, ma i capitoli fanno “figo” il testo, danno l’idea di qualcosa di organizzato e studiato.
E inoltre potrebbero dare anche il pretesto di mollare la lettura a chi semplicemente non ne può più di seguirmi e aspettava solo l’occasione buona per andarsene…

Mi pare di aver sentito un “Sì”… hmm, forse me lo sono solo immaginato… bhe, comunque sia, tagliamo e riprendiamo al capitolo successivo.
   
 
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