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Autore: KikyoOsama    18/02/2013    0 recensioni
[Fantasy]
"Non voglio che qualcuno mi dica che il tempo delle fiabe è finito, per cui ti prego...non farlo. Anch'io potrei morirne, proprio come Arest."
[Fairy Academy, GDR di Forum Community]
Partecipa al contest "La fine del mondo", il cui tema è:
"Il tema.. beh, come da titolo: la fine del mondo. Non una qualsiasi fine del mondo, pero', ma la fine di Arest. Come vivrebbero, con un'eventuale catastrofe i vostri pg? Con una oneshot, come la descrivereste?"
Genere: Angst, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Una scia luminosa attraversò il cielo nero, rapida, veloce e sottile come un graffio.
"Mamma, una stella cadente!"
Il bimbo tirò insistentemente la mantella che la madre aveva sulle spalle e che cercava continuamente di raddrizzare: lei, a differenza sua, sembrava guardare in alto, verso le fronde del bosco. Non aveva visto la stella cadente.
"Davvero, tesoro?"
"Sì!" Un evento imperdibile, ecco cosa doveva essere per lui. Di certo nella sua breve vita non aveva avuto occasione di vederle così spesso. "Ora esprimi un desiderio!"
"Io non ho nulla da desiderare. E tu, Ernest?"
Il bambino piantò i piedi a terra, guardando in basso per concentrarsi. Oh, era così concentrato al pensiero di poter esprimere un desiderio che non aveva scelto quale! Sottecchi guardava quella donna così strana, che cercava nelle ombre una voce o un viso perduto, e non prestava realmente attenzione a lui. La stessa che gli raccontava le fiabe prima di andare a dormire e gli diceva sempre che c'era una bambina buona in un regno incantato: un mondo fatato che si chiamava Arest...
"Io vorrei..."
 
Una scia azzurrina attraversò il cielo, come il riflesso del taglio di una lama molto affilata. Nello stesso momento, una lacrima solcò il viso di una donna: portò una mano sul cuore, sentendone la risonanza dentro sè, sbigottita, stravolta. Ma delle braccia gliela tirarono giù, assieme ad altri schiamazzi.
"Oh, eccone un'altra!"
"Un'altra, mamma! Guarda!"
"..."
Erano le sue figlie. Quel particolare riuscì a riportarla alla realtà, a ricordare: quella sera doveva essere una sera di festa e, dato che non aveva modo molto spesso di riuscire a trascorrere tempo con loro, le aveva portate a vedere un faro, alla punta nord di quelle Highland che amava tanto. Voleva vederle giocare nei prati, riempirle di collane di fiori, portarle a piedi scalzi sulla spiaggia di notte: e poi quella sera le stelle erano più brillanti del solito. Era tutto così bello: eppure, qualcosa...
"Le dobbiamo contare!"
"Ci vorrebbe il telescopio..."
“Quelle non sono stelle cadenti. E se esprimerete un desiderio nel loro nome, potrete salvare loro la vita."
Una voce venne in soccorso della donna, anche se la provenienza la sconcertò alquanto. Le bambine inizialmente sussultarono a vedere quella figura in controluce scendere gli ultimi gradini dall'interno accecante della torre del faro, ma si schermarono il volto con la mano: tuttavia non riuscirono a vederlo o a metterlo a fuoco , anche strabuzzando gli occhi, la sagoma non diventava nitida - e questo le spaventò alquanto.
"Mamma chi ha parlato...?"
La donna invece lo vide e lo riconobbe: abbandonò involontariamente la mano della minore, come se in quel momento le bambine non fossero state lì, e gli andò incontro sul primo gradino della scala.
"Ernest!" Esclamò, quando gli fu vicina abbastanza da poterlo guardare negli occhi: occhi rossi ardenti, puntati su di lei con interesse. Anche lui l'aveva riconosciuta. "Ma perchè sei qui? Credevo fossi..."
“Ad Arest?” incalzò lui, anticipando la sua accusa, e lo fece con una veemenza tale da farle scendere un gradino. Sapeva che la sua presenza doveva essere surreale, in un certo senso, in un momento come quello ma non meno di quella del tempo  di quel mondo umano - che per lui erano le bambine. "Perchè rivolgi a me una domanda a cui cerchi risposta per te stessa? 'Perchè hai tradito Arest?' è questo che volevi dirmi?
"Non è così! Io non ho tradito Arest!" si difese la donna, portando nuovamente la mano al petto: la lunga treccia bionda penzolò oltre la spalla ed Ernest espanse lo sguardo a quel particolare, quasi incredulo che fosse immutato come nella sua memoria. Un'altra cometa passò sopra le loro teste, rossa: entrambi poterono sentire in quel sibilo un grido e si soffermarono ad ascoltarlo.
"L'abbiamo tradita tutti, Zelda. E Arest non potrà mai perdonarcelo: io la sento morire ogni giorno che passa, proprio come te. Anche in questo momento."
La donna tacque. Forse avrebbe preferito non sentire quelle parole da lui così brutalmente: ma condivideva lo stesso sentimento, Ernest aveva saputo sondare bene nel suo animo.
"Dimmelo tu cosa sta succedendo allora." Riprese, cercando di non dimostrare che quelle parole l'avevano ferita. "O com'è potuto accadere."
L'altro sembrò considerare molto seriamente il tutto ma, inspiegabilmente, come il fiato di quella frase si fu disperso nell'aria fredda della brezza marina, lui spaziò con lo sguardo altrove, oltre di lei, improvvisamente distratto. Da come socchiudeva le palpebre era evidente che non si soffermasse su ogni cosa nel particolare, come se nulla più importasse dopo quella dichiarazione, o forse guardava ad ogni cosa come fosse stata smaterializzata e lui fosse circondato di fantasmi.
In particolare, il modo in cui posò lo sguardo sulle bambine spaventò molto Zelda.
"Ne è passato di tempo da allora: non potrei più chiamarti Roman, come facevo una volta. Loro sono le tue figlie?"
"Sì. Le ho portate a vedere le stelle cadenti" annuì lei, stranita, non capendo del tutto dove volesse andare a parare "Ma non sono come noi. Loro sono nate qui"
La pioggia di stelle era fitta, silenziosa. La presenza di Ernest in tutto quello riuscì a fargliela apparire come una cosa ancora più spaventosa: questo poichè, finchè lui le stava davanti, non poteva ignorare ciò che i suoi occhi vedevano. Non poteva attribuire la colpa a una fervida immaginazione: i suoi occhi erano fatti per vedere oltre, era una fata.
"Col telescopio? E' questo che hai insegnato loro?" Sembrava scettico a quell'idea: e la donna fu sul punto di spiegargli che, scientificamente, le stelle non erano che... oh, al diavolo! Lui non avrebbe mai capito! "Non è da te. Cosa ti ha cambiata? Sono state loro? E' stata la lontananza da Thundair? E' perchè nessuno a parte me sa che tu sei molto più di una donna mortale? Che sei una fata? Oh, non guardarmi così! So a cosa stai pensando e, vedi, è la stessa cosa!
"Credo di capire. Ma il tempo delle fiabe è finito, Ernest: nessuno saprà mai che ciò che abbiamo vissuto era reale."
"Tu hai dimenticato Arest."
Detto questo, non attese replica e si apprestò a salire le scale con un chiaro invito a seguirlo dopo aver scagliato quelle parole: e la donna, che era stata una volta guerriera di Thundair, non potè ignorare l'invito a scoprire cosa si celasse dietro il suo messaggio.
Zelda avanzò: la luce del faro scorreva ad alterni su di lei, evidenziando col suo bagliore la rabbia quando era in luce e nascondendo le lacrime quando era in ombra.
Davanti a lei, sulla vetrata centrale, si distendeva un firmamento stellato vastissimo e immenso, da riempire gli occhi per sempre: credeva di capire perchè il faerico avesse scelto quello come posto per isolarsi una volta per tutte, anche lei vedeva i bagliori lontani oltre tutta quella bellezza.
A-Arest...? Pensò in tumulto, dirigendosi quanto più possibile vicino al cielo notturno e finendo così inevitabilmente per scontrarsi con il vetro che divideva le due realtà: lo sfiorò con la mano, malinconicamente. Ernest era affianco a lei, anche lui guardava fuori: negli occhi vermigli si rifletteva il bagliore di tutte quelle stelle cadenti.
"Non so cosa farò un domani. Quando me ne sono andato ho pensato che andasse bene starmene qui, buono, da solo: e nonostante siano passati tanti anni e la gente di questo posto non mi consideri altro che il guardiano pazzo del faro, riesco ancora a vederla davanti ai miei occhi. Si sgretola in quella pioggia di stelle cadenti, e con Arest..."
La sua voce si spense nel totale silenzio anche se le labbra continuavano a muoversi e i suoi occhi guizzavano freneticamente da una direzione all'altra, seguendo le stelle, immaginando di ingrandirle fino a vedere il fuoco o le esplosioni, cercando di scoprire il velo di bellezza che proteggeva l'apocalisse; quello sgretolarsi in pioggia di stelle... Ernest ci pensava in ogni istante, con Arest veniva demolita anche una parte di sè, cosa avrebbe fatto il giorno in cui, alzandosi, non avrebbe più trovato traccia di quel mondo? Di sè? Dei suoi segreti?
E non avrebbe avuto pace o risposta.
"Non so quanto la scomparsa di Arest diventi più vera delle nostre storie, di ciò che abbiamo vissuto, di chi eravamo, se saremo noi quelli comparsi da un sogno o questo ad essere un incubo: ma io pensavo fosse eterna. Un maremoto non avrebbe potuto distruggerla, non un tifone, non un terremoto: e nemmeno la Creatura ci è riuscita. Eppure... è bastato che la gente smettesse di credere in essa per farla scomparire. Hanno dimenticato la sua esistenza, l'hanno rinnegata, e da allora ha cominciato a dissolversi. Non voglio che qualcuno mi dica che il tempo delle fiabe è finito, per cui ti prego...non farlo. Anch'io potrei morirne, proprio come Arest."
"Non lo farò. Non sono qui per questo."
Zelda scosse la testa, lasciando esterrefatto il faerico: si sentiva anche lei lontana, impotente, sconfitta, desiderosa di trovarsi ad Arest a condividere il destino dei suoi simili, ma nei suoi occhi c'era ancora determinazione. Inoltre, solo in quel momento, quando lei scostò la mantella il faerico si accorse che le bambine li avevano seguiti ed avevano ascoltato tutto, dal principio alla fine.
"Aspetteremo qui con te, guarderemo le stelle. E quando non esisterà più nulla, vedremo sorgere il sole insieme. Vero bambine?"
"Signore, non hai mai visto l'alba?"
"Qui nelle Highland il sole tramonta quando è notte!"
Ernest sorrise:l'alba. Lui temeva di non vederla più sorgere il giorno dopo, l'alba. Non lui almeno: sarebbe stato un'altra persona, una persona che non avrebbe mai conosciuto Arest.
 
"Ora esprimi un desiderio!"
"Io non ho nulla da desiderare. E tu, Ernest?"
"Io vorrei..."
Le iridi verdi tremarono, indecise, e provò uno strano senso di agitazione: nel vedere quella cometa sfrecciare fu come se lo avesse sfiorato un altro mondo, un mondo sconosciuto che per un unico e solo istante era passato di lì, si era fermato vicino a lui, lo aveva salutato e gli aveva detto che c'era un altro Ernest, più grande di lui, che viveva al faro nelle Highlands e passava le giornate a guardare le stelle: e questo Ernest, con i suoi occhi rossi e il viso raccapricciante, i movimenti sconnessi e strani, la voce continua che gli diceva 'Vai via!' gli faceva paura.
"...vorrei vivere per sempre qui, in Cornovaglia!"
  
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