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Autore: mysterious    20/02/2013    3 recensioni
"Non terminò la frase. Sentì una mano che le sfiorava il mento e le sollevava lentamente il viso verso l’alto".
Che ne dite? E' arrivato il momento per Jane e Lisbon?
Genere: Azione, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kimball Cho, Patrick Jane, Teresa Lisbon | Coppie: Jane/Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mine honor is my life
 
Ormai erano più di tre ore che Lisbon e Jane erano chiusi in quello scantinato.
 
La notte precedente, trascorsa insonne come tante altre, Jane era stato colto da una delle sue folgoranti intuizioni e, quella mattina, si era affacciato all’ufficio di Lisbon fregandosi energicamente le mani e annunciandole che aveva risolto il caso.
«Come sempre!», aveva aggiunto subito dopo, sfoderando il solito sorriso a metà tra il compiaciuto e il divertito che avrebbe fatto impallidire anche il sole più radioso.
Lei, alzando gli occhi dalle consuete scartoffie di inizio giornata, l’aveva guardato, assumendo, dapprima, un’aria interrogativa – le sopracciglia arcuate e la testa lievemente protesa in avanti in attesa di un nome – poi, dopo la “postilla” di Jane, lottando contro la voglia impellente che sempre, in quelle occasioni, la prendeva di assestargli un bel pugno sul naso!
Ciò che la irritava non era tanto che Jane fosse sempre un passo avanti a tutti nelle indagini, quanto piuttosto quell’atteggiamento così innocentemente presuntuoso che lui assumeva ogni volta che veniva ad offrirle il colpevole su un piatto d’argento.
«Ok, Jane, illuminami…», aveva finito per dirgli, rimandando la soddisfazione del suo desiderio ad un’altra occasione – e Dio solo sa quante ce ne sarebbero state!
«Farò di meglio!» aveva ribattuto senza smettere di sorridere e agitando sonoramente un mazzo di chiavi, «Dai, andiamo! Guido io.»
«Andiamo dove? Il nome, Jane, o non mi muoverò da qui!» aveva insistito Lisbon.
«Oh, avanti! Non è meglio l’effetto sorpresa?»
«No, non mi piacciono le sorprese», protestò l’agente, che nel frattempo si stava comunque apprestando a seguirlo.
Con Rigsby a casa influenzato e Grace ad un corso di aggiornamento, la squadra era ridotta ai minimi termini. Lasciato Cho in ufficio, Jane e Lisbon si erano avviati verso l’ascensore, continuando a battibeccare circa l’identità del colpevole! Il coreano li aveva seguiti con lo sguardo, abbozzando, non visto, un mezzo sorriso, rara concessione alla sua statuaria impassibilità.
 
«Forza, Jane. Dimmi dove stiamo andando. ADESSO!», gli aveva intimato prendendo posto al suo fianco, sul sedile anteriore della vecchia Citroën.
«Lo saprai presto, Lisbon: lo capirai dalla strada…», si era limitato a dirle mentre lasciava il parcheggio, approfittando del fatto che ormai non poteva più scendere! Stava ancora sorridendo, gli occhi scintillanti come quelli di un bambino che ha ricevuto in dono il suo giocattolo preferito. Teresa lo trovava incantevole, in quei momenti, ma non voleva certo dargli la soddisfazione di farlo sentire interessante, così… si accontentava di fissare il suo riflesso nel finestrino.
Per quanto tempo ancora sarebbe andata avanti così? Da molti mesi, ormai, Lisbon provava un’attrazione diversa, più intensa, per Jane, ma l’essere amici e “colleghi” da tanti anni la frenava, nel timore che lui potesse non corrispondere i suoi stessi sentimenti. L’agente era convinta che Jane la considerasse sempre e soltanto un’amica… un’amica speciale, certo, ma pur sempre un’amica. Prova ne era il fatto che, qualche tempo prima, avendola vista arrivare sulla scena di un crimine con un’espressione insolitamente soddisfatta, lui le aveva chiesto se fosse innamorata e, quando lei gli aveva risposto che era per una questione di lavoro, aveva manifestato una certa delusione:
«Peccato», le aveva detto il consulente, «speravo fosse per amore!».
E poi, c’era pur sempre la questione Red John: Jane aveva fatto chiaramente capire di non avere alcuna intenzione di rifarsi una vita, se non dopo aver vendicato la propria famiglia.
Certo che, però…” si era ritrovata a pensare Lisbon, “non si è tirato indietro quando Lorelei Martins si è presentata a casa sua con il suo stupido … brodino di pollo! E che dire, poi, di quella smorfiosa di Erica Flynn? Ha forse tentennato quando lei lo ha invitato a prendere posto sulla sua limousine? Certo che no! Fortuna che ho fatto in tempo a salire con loro prima che l’auto partisse!
Riflessioni come queste tormentavano sempre più spesso Lisbon, specialmente quando si trovava sola con Jane e il discorso languiva. Non sarà stata per caso gelosa?! Ma gelosa di che? Di un amore che magari esisteva solo nelle sue fantasie?
 
Intanto, lasciata l’arteria principale, Jane aveva imboccato la strada che conduceva verso l’interno. Era quella la regione in cui sorgevano alcune delle ville più lussuose dell’intera California: grandi attori, imprenditori di successo, autorevoli personalità del mondo politico vivevano in eleganti dimore immerse nel verde acceso delle colline, circondate da macchie di ombrosi alberi secolari e giardini fioriti. Viste dall’alto, le innumerevoli piscine della zona sarebbero sembrate minuscoli zaffiri incastonati in un gigantesco smeraldo.
«Ma… questa è la strada che porta alla villa del senatore Partridge», aveva osservato Lisbon, riemergendo improvvisamente dai suoi pensieri.
A Jane non era sfuggita l’aria assorta e stranamente taciturna che Lisbon aveva mantenuto fino a quel momento:
«Già, ottimo spirito di osservazione! E … a che stavi pensando?»
«Eh? … Umh … a nulla di importante.» E, cambiando rapidamente discorso: «Tu, piuttosto, non vorrai dirmi che il colpevole è il senatore?»
«Sì, invece!» e, con un sorriso raggiante, aveva aggiunto: «Inquietante, vero?»
«Spiegami come saresti arrivato a questa brillante conclusione. E sii convincente, perché non voglio rischiare di presentarmi nella casa di un senatore degli Stati Uniti con delle accuse infondate!»
«Beh, stanotte ho pensato e ripensato più volte a tutti gli indizi in nostro possesso: c’era qualcosa che mi stava sfuggendo, ma non riuscivo a capire che cosa fosse. Poi, ce l’ho fatta: ricordi quando siamo venuti qui la prima volta? Mentre voi rivolgevate al senatore le solite, noiose domande di routine, io ho guardato un po’ in giro e ho notato che sopra il caminetto mancava un soprammobile!»
«Quale soprammobile?», aveva chiesto Lisbon, che non riusciva a seguire il ragionamento di Jane.
«Beh, non so quale soprammobile, ma di sicuro doveva essercene stato uno fino a poco prima, perché se ne scorgeva ancora chiaramente la traccia sulla mensola leggermente impolverata.»
«E… quindi?» Lisbon era sempre più perplessa.
«Quindi… il soprammobile era stato usato dal senatore poche ore prima per uccidere il figlio!»
«Jane, riportami immediatamente in ufficio!»
«Oh, andiamo! Ragiona, Lisbon: di notte, al buio, chi mai se non il senatore avrebbe potuto afferrare a colpo sicuro quel soprammobile per abbatterlo sulla testa della vittima? Un ladro o un rivale introdottisi furtivamente nella villa sarebbero stati armati, non credi? Pistola, pugnale… ma, comunque, armati!»
«Jane, l’arma del delitto non è ancora stata ritrovata. Quel soprammobile di cui stai farneticando… magari manca solo perché è caduto dalla mensola e si è rotto.»
«La traccia nella polvere dimostra che nessuno stava spolverando quando il soprammobile è stato sollevato; inoltre era recente e non credo che in quella casa le cameriere stiano più di un giorno senza spolverare!»
«Potrebbe essere solo una coincidenza!»
«Non esistono le coincidenze, Lisbon.»
«Ok. Anche se fosse, come si può dimostrare che è stato proprio il senatore a servirsi di quel soprammobile, sempre ammesso che si tratti dell’arma del delitto?»
«Oh, beh!» aveva detto Jane facendo spallucce, «quanto a questo… basterà chiederglielo. Altrimenti, perché venire fin qui?»
Lisbon aveva alzato gli occhi al cielo e poi aveva crollato il capo chiudendoli: quell’uomo l’avrebbe fatta impazzire, in tutti i sensi.
 
Parcheggiata l’automobile nel viale d’accesso, Jane e Lisbon avevano raggiunto il portone e suonato il campanello. Alla cameriera che era venuta ad aprire avevano mostrato rispettivamente badge e distintivo, chiedendo poi di poter rivolgere al senatore Partridge solo poche domande.
Dopo una breve anticamera, Lisbon e il consulente erano stati ammessi allo studio del padrone di casa.
«Buongiorno, senatore Partrigde», aveva iniziato Lisbon con tutta la cortesia possibile.
«Che fine ha fatto il soprammobile che era su questa mensola?», aveva invece mirato al sodo Jane, accostandosi al caminetto in pietra, una mano nella tasca della giacca e l’altra ad indicare lo spazio vuoto.
«Jane…» aveva provato a contenerlo Lisbon, ovviamente senza illudersi di essere ascoltata.
Il senatore, colto di sorpresa, aveva esitato qualche istante di troppo a rispondere: «Uhm…credo… si sia rotto. Sapete, le cameriere …»
«Non le dispiacerà, quindi, se chiediamo al suo personale di servizio da chi e quando è stato fatto cadere», aveva pressato Jane, con un sorriso di sfida sulle labbra, senza dar tregua a Partridge.
«Beh, ecco… non so se sono tutti presenti. E poi, forse… ora che ci penso… l’ho rotto io… già mi sembra sia andata proprio così… qualche settimana fa...»
Aveva sbagliato risposta. Non potevano essere trascorse settimane dal momento in cui il soprammobile era stato spostato.
L’espressione soddisfatta di Jane e quella perplessa assunta da Lisbon erano valse più di mille parole: il senatore non aveva tardato a rendersi conto di essersi infilato in un cul-de-sac.
Con nonchalance, adducendo la scusa di voler chiamare la cameriera per far servire un tè, aveva puntato verso la porta del suo studio, passando accanto a Jane: c’erano buone probabilità che, in quanto consulente, non fosse armato. Quando gli era stato dietro, Partridge aveva tirato inaspettatamente fuori una pistola dalla tasca della giacca e, puntandola alla testa di Jane, mentre con l’altro braccio gli cingeva il collo, aveva urlato verso Lisbon:
«Agente, non mi costringa a sparare al suo collega. Lo farò, se necessario! Estragga lentamente, con due dita, la sua pistola e la getti a terra, lontano da lei… per favore.»
Jane, notoriamente nemico delle armi, che lo spaventavano a morte, si era trovato in una posizione poco piacevole: il senatore, più alto di lui e in discreta forma fisica, lo aveva avvinghiato come in una morsa e, considerata la canna dell’arma premuta contro la sua tempia, non gli era parso il caso di tentare alcunché di eroico.
Limitandosi ad insinuare le dita dietro al braccio con cui Patridge lo aveva cinto, per non finire soffocato, aveva guardato Lisbon mentre, con estrema lentezza e non senza apprensione, eseguiva quanto intimatole dal senatore.
«Adesso si volti, e vada verso quella libreria. Svelta!»
Seguita da Partridge, che spingeva innanzi Jane senza mollare la presa né la pistola, Lisbon si fermò accanto al mobile.
«Tiri verso di lei il volume rosso alla sua sinistra», disse il senatore.
Il libro, in realtà, era una leva: ruotando su se stesso, il mobile rivelò un passaggio segreto. Una scala buia scendeva chissà dove.
«Questa villa sorge su una distilleria clandestina dei tempi del proibizionismo», soddisfò la loro curiosità il senatore. «Non avrei mai immaginato di utilizzarla in questo modo, quando chiesi agli architetti di lasciare intatto l’accesso ai quei vecchi locali! Forza, scendete!»
Liberato dalla presa con un energico spintone, Jane, massaggiandosi il collo indolenzito, cominciò a scendere lungo la scalinata ricavata nella roccia, seguito da Lisbon e, per ultimo, da Partridge, che, premendo un interruttore sulla parete, illuminò fiocamente il percorso.  
In fondo, oltre una cancellata in ferro, si allungava un corridoio su cui si aprivano alcune stanze senza finestre. In quella più lontana il senatore fece entrare Lisbon e il consulente: la pistola, sempre puntata su di loro, era ben salda nelle mani di Partridge, che mostrava di saper controllare bene la tensione emotiva.
«Bene, signori. E’ ora di salutarci. Mi scuserete se chiudo la porta dietro di me, ma è l’unico modo perché le vostre eventuali grida di aiuto non disturbino la quiete di casa mia! Ah, se pensaste di usare il cellulare, forse è bene che sappiate che non c’è segnale tra queste pareti!»
Dopodiché era uscito, serrando la porta a doppia mandata ed il cancello. Quando era rientrato nel proprio studio, l’unico problema da risolvere restava l’auto di Jane, ma per quello avrebbe trovato qualcuno, tra i tanti che gli dovevano dei favori.
 
Intanto, nel buio impenetrabile dello scantinato, Lisbon aveva acceso la sua torcia e, cellulare alla mano, aveva immediatamente controllato: il senatore aveva ragione.
Jane non l’aveva imitata.
 
Ormai erano più di tre ore che Lisbon e Jane erano chiusi in quello scantinato.
Per un po’ avevano ispezionato la loro “prigione”, in cerca di qualsiasi cosa potesse servire a tentare la fuga. Tuttavia, avevano desistito assai presto: il tavolo al centro della stanza e gli scaffali sulle pareti erano praticamente vuoti, fatta eccezione per il soffice tappeto di polvere che indicava un abbandono decennale. Una porta cigolante dava su un piccolo bagno di servizio, anch’esso senza finestre. Quando Jane aveva provato ad aprire il rubinetto del lavabo, era uscito, gorgogliando, un fiotto d’acqua color ruggine, fiotto che ben presto era divenuto un filo e, da lì, un fastidioso sgocciolio.
Dopo la rapida perlustrazione, si erano seduti nella stanza, uno di fronte all’altro, la schiena appoggiata a due pareti opposte, e Lisbon aveva spento la torcia, per non consumare inutilmente la batteria.
Nessuno, in quella casa, sapeva dell’antica distilleria, oltre a Partridge; nessuno li avrebbe cercati là sotto, nessuno li avrebbe sentiti se avessero gridato. Neppure Cho sapeva dove fossero andati: quando avevano lasciato il CBI, Lisbon stava ancora cercando di convincere Jane a farsi dire il nome del colpevole.
«Non ci troveranno mai», esordì ad un certo punto Lisbon. «Che cosa credi voglia fare di noi il senatore?»
«Beh, immagino che abbia semplicemente intenzione di lasciarci morire qui. Senza cibo e senz’acqua non resisteremo a lungo. E poi, in questa stanza così asciutta e priva di ventilazione, potremmo anche trasformarci in mummie naturali.»
«Ah-ah-ah, che ridere…»
«Andiamo, Lisbon. Guarda il lato positivo: abbiamo un po’ di tempo per stare insieme, per parlare di quello che ti tormenta…»
«Che vuoi dire? Non c’è nulla che mi tormenta!», rispose l’agente, mettendosi subito sulla difensiva.
«Davvero? E allora, a che pensavi in auto, mentre venivamo qui?», la punzecchiò Jane, con un tono di voce canzonatorio.
«A nulla che possa interessarti!» rispose secca l’agente, ringraziando che il buio stesse nascondendo il rossore che si era acceso sulle sue guance. «Non a te, comunque.»
«Non capisco come tu possa pretendere che io ci creda, Lisbon. E’ il fatto stesso che tu provi a negarlo che mi intriga!», disse Jane. E Lisbon era pronta a scommettere che il consulente stesse sfoderando uno dei suoi sorrisi più provocatori e irresistibili.
«Smettila, Jane!», si limitò a sbottare l’agente, che non sapeva se la disperazione che provava in quel momento nascesse più dal fatto di essere rinchiusa in uno scantinato senza vie d’uscita o di trovarcisi sola con Jane, in balia delle sue domande imbarazzanti!
Un rumore improvviso, prodotto da inequivocabili zampette che si muovevano velocemente lungo la parete, fece sobbalzare Lisbon:
«Ahhhhh!!!!»
Scattata in piedi in preda al panico, batté nel tavolo, rigirò convulsamente la torcia finché trovò l’interruttore, la puntò nella direzione da cui proveniva il rumore e vide… un paio di occhietti rossi che la squadrarono con curiosità prima di scomparire rapidamente nel buio, fuori dal cono di luce.
«Oddio, un… ratto. Io ODIO i ratti» balbettò disgustata Lisbon.
«Risparmia la torcia, Lisbon. Se ne arriveranno altri, li allontaneremo con quella. I topi si spaventano, quando vengono colpiti da una luce intensa!», le suggerì Jane.
«Se credi che io me ne stia qui al buio col rischio di essere anche solo sfiorata da uno di quei… cosi schifosi, ti sbagli di grosso, Jane», ribadì Lisbon, che sembrava decisa a non mollare la torcia.
«Spegnila, Lisbon. Non hai scelta, lo sai.»
Lei lo inquadrò per un attimo nel suo fascio di luce. Era rimasto seduto, appoggiato alla parete, le ginocchia sollevate e gli avambracci morbidamente appoggiati su di esse. Quando fu investito dal lampo della torcia, strinse gli occhi e piegò la testa su un lato. Era bellissimo, anche in quella situazione.
Lisbon si rassegnò e spense la luce, ma esitava a sedersi di nuovo.
«Dai, vieni qui, accanto a me», le offrì Jane, dopo qualche istante.
«No… ok, sì», rispose Lisbon, che, obbligandosi a non accendere la torcia, brancolò verso la parete opposta, fino ad incontrare le braccia protese di Jane.
Lui la fece sedere al suo fianco e la cinse con un braccio. Lei, istintivamente, poggiò la testa sulla sua spalla. La pervase una sensazione stupenda, un brivido che la percorse da capo a piedi: sorrise, complice il buio che la nascondeva a lui, ma anche a se stessa. O almeno così credeva…
«Stai sorridendo», le disse Jane. E non era una domanda.
«No… io… che dici?», tergiversò Lisbon.
«Quando si sorride, tutti i muscoli del viso si contraggono. L’ho avvertito chiaramente, sulla spalla.»
«Beh… è solo che ora mi sento più tranquilla. Non farti strani pens…»
Non terminò la frase. Sentì una mano che le sfiorava il mento e le sollevava lentamente il viso verso l’alto. Poi… accadde. Le labbra di Jane si poggiarono delicatamente sulle sue e il gesto la lasciò senza fiato.
Non fu un bacio passionale, ma tenero e dolce. Pochi istanti, che a lei parvero un’eternità, poi Jane si staccò dal suo viso e per Lisbon fu come doversi svegliare da un sogno meraviglioso.
«Io… io non…non … », riuscì solo a farfugliare Lisbon.
«Mi dispiace, Lisbon. Scusami… non avrei dovuto.» Nel buio la sua voce risuonava ancora più calda, ma il tono era triste, nettamente in contrasto con i modi del solito Jane, quello irriverente e indiscreto.
«No… va bene…», disse Lisbon. «E’ colpa della tensione. Siamo entrambi un po’ scossi e…»
«No, non è questo. Semplicemente non mi andava che tu continuassi a farti turbare da certi pensieri… come sulla mia auto o come tutte le volte che ci capita di trovarci da soli», la interruppe Jane, il cui tono di voce stava riacquistando vigore.«Non voglio disagio, tra noi. Quei lampi di gelosia che spesso leggo nei tuoi occhi… sono ingiustificati. A volte, io mi ci diverto, è vero, e ti punzecchio… ma voglio che tu sappia che, da quando … mia moglie è morta, tu sei l’unica donna per la quale io provi davvero qualcosa. Vorrei poter dire “amore”, Lisbon, ma… scusami… ancora non ci riesco.» Parlava, tormentandosi l’anello nuziale con il pollice e il mignolo. «Mi sembrerebbe un … tradimento, non so se puoi capire. Non riesco a liberarmi del passato… non voglio liberarmi. Sento di dover portare a termine ciò che ho intrapreso anni fa. So bene che la vendetta non mi ridarà chi ho perso. Forse lo faccio più per me che per loro, per sopire il  mio senso di colpa.»
«Tu non hai alcuna colpa, Jane», cercò di consolarlo Lisbon. «Sì, forse eri un po’… sbruffone, allora. Forse hai provocato quel mostro… ma lui non aveva diritto di fare ciò che ha fatto. Le parole non uccidono, Jane; lui, invece, ha versato il sangue di persone innocenti.»
«Per questo lo ucciderò, Lisbon», sentenziò Jane.
«Non, non lo farai. Sai che non te lo permetterò, se ci sarà una possibilità di scelta», sbottò Lisbon.
«Mine honor is my life; both grow in one. Take honor from me, and my life is done. Quando sarà il momento, non potrai fermarmi», disse tranquillamente Jane. «Lo hai già fatto una volta, con Sam Bosco: lui uccise qualcuno che avrebbe potuto arrestare e tu lo copristi. Lo farai anche con me.»
«No, non con te», proruppe Lisbon.
Nel buio, sollevò una mano e cercò il viso di Jane. Lo accarezzò con dolcezza, dapprima insinuando le sue dita tra i capelli sempre un po’ spettinati del suo consulente, poi scendendo lungo la guancia, fino alle sue labbra, che si dischiusero appena sotto il tocco delicato di Lisbon.
«E vuoi sapere perché non ti permetterò di uccidere Red John?», gli chiese.
«Io … ». Ma non poté terminare la frase, perché Lisbon gli chiuse delicatamente la bocca con due dita e, quando le tolse, le labbra della donna erano già a contatto con le sue.
Fu un bacio struggente, intenso, appassionato… un bacio che entrambi sognavano da tempo. L’oscurità nascose una lacrima, che scivolò lentamente lungo la guancia di Jane.  
«Perché ti amo.» rispose Lisbon alla sua stessa domanda. «E mi importa molto di te. E se non fossimo condannati a morire qui dentro, se tu avessi potuto trovare Red John… trovartelo di fronte, intendo… non ti avrei mai permesso di rovinare la tua vita e la mia, la nostra, uccidendolo.»
Lo tenne abbracciato a sé, stretto, in silenzio, per un tempo imprecisato. Aveva appena toccato il cielo con un dito, ma la sfortuna aveva voluto che ciò accadesse quando ormai non c’erano più speranze di sopravvivere… non c’erano più speranze… di uscire da lì… non c’erano più speranze … di uccidere Red John… !!!
«Jane!», urlò Lisbon balzando in piedi e urtando nuovamente contro il tavolo. «Che cosa vuoi dire con “lo ucciderò”, “quando sarà il momento, non potrai fermarmi”… ora che ci penso, non mi sembri preoccupato come dovresti per il fatto di essere chiuso a marcire qui dentro. Mi stai nascondendo QUALCOSA?»
«Beh… ecco, quando su, nello studio, il senatore mi stava spingendo verso il passaggio nascosto, sono riuscito a gettare il mio cellulare acceso in quella grossa fioriera vicino alla libreria. In questo modo, quando Cho noterà la nostra assenza prolungata, non dovrà fare altro che tracciare il mio segnale, e…voilà
«E tu…», cominciò Lisbon con un tono che non lasciava presagire nulla di buono per Jane, «tu mi hai fatto trascorrere tutte queste ore nell’ansia di non avere via di scampo?»
Cercò a tentoni la torcia che le era scivolata mentre era… “occupata” con il suo… indefinibile consulente e, non appena la ebbe tra le mani, la accese puntandola feroce contro Jane.
Lui, nel frattempo, si era alzato, e, con la sua consueta faccia tosta, retaggio di tanti anni trascorsi tra lo showbiz e l’ambiente fittizio del paranormale, cercò di calmarla:
«Oh, andiamo, Lisbon, non ti senti felice di sapere che avrai di nuovo la tua vita? Non è un po’ come rinascere?», le chiese difendendosi con le mani alzate dal fascio di luce puntato direttamente sul suo volto!
«No, non mi sento felice, mi sento… arrabbiata, arrabbiata e furiosa», rispose lei, avvicinandosi sempre più minacciosamente a Jane. «Puoi reggermi un attimo la torcia?», gli chiese ad un tratto, tutta gentile.
«Certo», disse il consulente prendendola dalle mani di Lisbon, «ma, perc…»
Il pugno che gli arrivò sul naso anticipò la risposta alla domanda che le stava facendo!
«E’ da stamattina che ne avevo voglia», disse Lisbon. «Sapevo che l’occasione sarebbe arrivata!»
 
(…)
 
La mattina seguente, il senatore era stato arrestato dopo un breve scontro a fuoco. Quando Cho aveva raggiunto lo scantinato in cui erano stati rinchiusi il suo capo e Jane, i due stavano dormendo serenamente, uno accanto all’altro, la schiena appoggiata ad una parete e la torcia ancora accesa tra le mani di Lisbon. Jane aveva un discreto livido sul naso e Cho immaginò che, in qualche modo, se lo fosse meritato!
I due baci che Lisbon e Jane si erano scambiati in quelle ore di prigionia non ebbero un seguito, almeno non nell’immediato, ma di certo avevano contribuito a cementare il loro rapporto. Ora non c’erano più ombre nella mente di Lisbon, niente più gelosie senza senso. Solo la consapevolezza di aver trovato un uomo fantastico, da “uccidere” qualche volta, ma intelligente, tenero e disarmante!
 
 
 
 
 
  
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