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Autore: Ceci Princessofbooks    24/02/2013    0 recensioni
Vi sono storie che rifiutano di morire, e si slanciano al di là del tempo. Vi sono voci che non si rassegnano a spegnersi, occhi ancora avidi di guardare, sognare, vivere. Vi sono racconti, istanti di esistenze lontane, che premono la mente per tornare a respirare: questo è il mio tentativo di permetterglielo. Una raccolta di racconti, che osserva con altri sguardi i protagonisti della Storia e del Mito. Perché gli spiriti grandi possono ancora parlarci, per rivelarci la loro anima.
(Dal Secondo capitolo): "Il vecchio sedeva sotto la quercia, al limitare del bosco.
Fiaccole ardevano intorno alla radura, sussultando come spiriti d'ambra; accanto a lui, i tratti chiari e pesanti del guerriero balenavano tra le ombre, nello scintillio opaco delle armi. Come il vecchio, la sua tunica era grezza e scura, ma il girocollo di bronzo rifulgeva,un serpente di luce. Accanto a lui aspettava il suo allievo, e i suoi occhi grigi, l'impronta degli dei che il vecchio aveva riconosciuto tanti anni prima, bruciavano di eccitazione."
Genere: Introspettivo, Slice of life, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Aere Perennius- Più duraturo del bronzo

 

 

Era cresciuto sulla riva del fiume, sotto l'oro scarno del loro sole.
Aveva mosso i suoi primi passi sulle spiagge brune e roventi delle conche, e giocato in giardini odorosi cinti di marmo; aveva cacciato lucertole tra le rocce bruciate, nel torpore denso dei pomeriggi d'estate, e rubato i frutti dai rami di fichi, gonfi di umori dorati. Aveva conosciuto le sfumature di quella terra, nel modo inconscio e inestricabile con cui riconosceva la propria mano:il blu solenne delle onde, che nella canicola era duro come il lapislazzulo; il verde prezioso e rado degli arbusti, impregnato di profumi quanto cento fiori del Nord; il rosso saggio di tramonti, della polvere, dei volti dei vecchi. Suo figlio apparteneva alla Puglia, alle fiere asprezze di Dauno, Lucio lo sapeva, e quelle distanze gli crepitavano nel sangue, gli forgiavano il volto, come era accaduto a lui e a suo padre e al padre di suo padre. Per questo, i campi obbedivano ai loro tocchi, e i loro orti traboccavano come bacili d'offerte. Certo, Lucio e la sua famiglia recavano sempre incensi all'altare dei Penati, nelle ombre fresche dell'atrio, e d'inverno, tra le luci nude del mattino, seguivano la processione di fiaccole al tempio di Giove; ma nel profondo sapeva che era stato grazie a quello, ai patti di carne e viscere stretti con gli dei oscuri che dormivano sotto i colli, che era stato tanto fortunato da diventare così ricco, ed essere ormai un signore di uomini. Al mattino, quando usciva dal cortile nel brivido azzurro dell'alba e slanciava lo sguardo sulle sue bionde distese di grano, era loro che ringraziava per la sua sorte. E per suo figlio.
In quel bambino c'erano i suoi avi, ma non solo: c'era anche una raffinatezza sottile, la grazia svelta che l'aveva incantato in sua madre, una complessità sensibile che era già impregnata di Roma, e non più del suo popolo di fango e di bronzo. Lo aveva visto nel sorriso meravigliato con cui nelle sere d'autunno ascoltava le rime dei cantori, e nella scioltezza lucente con cui intrecciava i versi nella sua mente e sulle tavolette incerate. Suo figlio era gentile e assorto, ma non si sarebbe spezzato: era giunco e spina, fringuello e falco, duplice come uno scudo, cangiante come il cielo dei marinai. E un giorno, glielo promettevano le ossa, avrebbe salvato quella terra.
Lucio avanzò lungo il sentiero, nella cadenza stordente delle cicale; tra i cespugli, la primavera esplodeva di dolci fuochi. Suo figlio era in fondo al giardino, accanto alla grande vasca di marmo che raccoglieva le piogge. L'uomo sorrise, e il nastro di denti bianchi ingentilì, come sempre, la creta austera del suo volto: stava giocando sull'orlo di pietra, con il cavallino di legno che gli aveva intagliato lui stesso, anni prima. -Buongiorno, Quinto.-.
Il bimbo ricambiò il suo sorriso, alzando il mento. I suoi occhi erano dell'azzurro luminoso e invincibile del mare e del ferro. -Buongiorno, papà.-.
-Posso sedermi un momento qui con te?- chiese Lucio.
Suo figlio si scostò, in un fruscio di piedi nudi. -Certo.-.
-Grazie.-. Si accomodò contro il bianco ventre della fontana, sollevando il mento; per un poco, nessuno parlò, ma si accontentarono di dedicarsi ognuno ai propri pensieri, godendo della reciproca compagnia. Infine Lucio aprì le palpebre, chinandosi verso Quinto. -Che cosa stai facendo?-.
Il bambino sollevò il giocattolo, scorrendo le dita sulle lucide ruote di cedro. -Gli ho fatto fare una corsa, perché lui è il cavallo più veloce di tutti. I cavalli sono belli, e sono magici: le loro criniere sono lucide come una cascata di stelle, e quando corrono somigliano alle nuvole quando rotolano e urlano nelle tempeste.-.
Suo padre si irrigidì d'improvviso, come trafitto da un lampo: era un'immagine così semplice, una combinazione così naturale di suoni e di impressioni; eppure riecheggiava con l'esattezza rotonda di una meridiana, colmandosi di tutta l'essenza di quella visione, e lui sapeva che non sarebbe mai stato in grado di immaginarla.“Così è proprio vero” pensò “Dei, su che strane strade ci guidate. Mio padre amava con le armi e con gli sguardi. Io so amare con le mani. Lui sa amare con le parole.”
Lucio congiunse le dita, guardando il cielo sgombro oltre il muro, il volo di un uccello, i rami aggrovigliati e amari dei melograni, e la sua convinzione, l'intuizione che l'aveva percosso quella mattina, avvampò come una fiamma. Era una pazzia, affidarsi tanto ad un germe di certezza, ad un riflesso di ispirazione; un azzardo, credere ad un futuro scorto in un barbaglio. Ma era così che i suoi avi avevano scelto la loro casa, e sepolto i semi da cui erano sorti gli ori fecondi dei suoi campi. Aveva preso una decisione, e non si sarebbe voltato indietro.-Ascoltami, Quinto: un giorno tu lascerai questa terra, e andrai a Roma, nella città che è ricca come un tempio e immensa come il mare. Andrai là, tra le statue vive e i portici mai deserti, e qualunque uomo diventerai, so che non me ne dovrò mai vergognare.-.
Il viso sotto di lui balzò verso l'alto, un tremito d'allarme nello sguardo. -Ma io non voglio andare via, papà. Io voglio stare qui, con te e la mamma e i campi e l'estate.-.
-Credevo che ti piacesse l'idea di studiare con i maestri e imparare la filosofia, e i segreti degli uomini che parlano nei fori. E poi, in ogni caso non accadrà fino a quando non sarai cresciuto.-. Il tono era asciutto, ma le dita callose di Lucio accarezzarono per un momento i boccoli cupi del figlio.
Il bimbo si agitò, combattuto. -Sì, ma...- si raggomitolò sul selciato, arricciando stizzosamente le labbra -Non voglio che il tempo passi.
-Ma il tempo deve trascorrere, figlio mio: altrimenti nulla potrebbe nascere, nessuno potrebbe diventare grande e forte. Tutte le cose passano, e mutano, e si trasformano, come gli alberi e i germogli muoiono e ritornano ogni anno.-.
-Ma mi fa paura- mormorò Orazio- perché significa che non potrò più stare con voi, o sentire l'odore della terra dopo la brina, o giocare nella corrente mentre le balie lavano i panni. Come faccio a non pensare che sia una cosa cattiva? Perché non devo volerlo fermare?-.
Lucio si voltò verso il giardino, spingendo lo sguardo fino alle aiuole, dove le api ronzavano di fronte alle carni ramate degli affreschi. Il bimbo continuò a fissarlo, stringendo il suo cavallo di legno, il viso tondo e attento. -Tutto scorre, Quinto, e non lo puoi, anzi non lo devi fermare. Il tempo è come il fiume: se tenti di arginarlo, di impedirgli di scorrere, le sue acque diventeranno fredde e rancide, e le tue mani saranno ruvide di graffi e di freddo. Puoi solo lasciare che ti scivoli tra le dita, bevendo fino in fondo della sua dolcezza, e sperando che non debba affrontare cascate troppo ripide.-
Orazio chinò il capo, riflettendo; poi sollevò d'improvviso il volto, come se avesse raggiunto una decisione, e fissò il padre con il coraggio tenace dei suoi antenati:-E non c'è un modo per proteggere le cose che amiamo? Per impedirgli di trascinare via tutto?-.
-Sì, un modo c'è. E penso che tu lo conosca già.-.Lucio cominciò a raccontare: -Alcuni uomini, in altri tempi, in altre terre, sono riusciti a creare versi talmente belli e talmente preziosi da vivere ancora nei nostri ricordi, e con loro imperi dimenticati dalle sabbie, profumi perduti da secoli, volti ingoiati dalla nebbia. Con le loro parole, quegli uomini hanno salvato i loro mondi.-. La sua mano scura si posò di nuovo sulla testa del figlio, solenne e salda come il fregio di un sacerdote antico. -E credo che tu sia uno di loro.-.
Un sorriso si schiuse sul volto di Quinto, impastato di stupore e di orgoglio. -Davvero lo pensi? Davvero pensi che possa riuscirci?-
-Sai che non ti dico mai nulla di cui non sia davvero convinto.-.
-Allora lo farò, papà.- annuì con forza, le guance rosse di timore, di piacere, di trionfo.-Inventerò dei versi su di te e sull'inverno e sul fiume, e saranno talmente belli che nessuno potrà dimenticarvi.-.
Lucio annuì a sua volta, senza distogliere lo sguardo. -Non ne dubito.-
Si appoggiò nuovamente alla vasca, in silenzio; sentiva, lontano, il ruggito benevolo del fiume, nell'aria bruciata. Una sensazione di pienezza, di quiete smisurata, gli dilagò sotto la pelle, dilatandosi dalla radice del suo essere come un lago d'acque bianche, come se avesse obbedito a un compito inscritto nelle sue vene nel buio prima del tempo, come se avesse inciso un solco, ancora impalpabile, sul grande volto sacro del mondo.
Ora doveva solo confidare. Confidare in quella speranza appena intravista, nelle parole che aveva pronunciato, confidare nell'azzurro degli occhi di suo figlio. Perché in quello sguardo c'erano armonie che non si erano ancora tessute in nessun mosaico, scintille che non avevano ancora acceso il buio di alcun cielo. E forse, finché avesse potuto intrecciare il mondo nelle sue parole, l'Ofanto non avrebbe mai smesso di scorrere.

 

Dicar, qua violens obstrepit Aufidus

et qua pauper aquae Daunus agrestium

regnavit populorum, ex humili potens

princeps Aeolium carmen ad Italos

deduxisse modos. 

   
 
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