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Autore: shadowsdimples_    24/02/2013    2 recensioni
Tirai addosso al muro l’ultimo vaso rimasto nelle vicinanze e mi guardai attorno: cartacce, libri aperti e strappati, il piano coperto di polvere, frammenti di vetro ovunque e il tavolo ribaltato. No, decisamente, non avrei dovuto farlo, ma sapevo che mi avrebbe aiutato. Andai nello studio con l’intenzione di distruggere pure quello, ma mi fermai quando vidi sulla scrivania un paio di fogli e una penna. Li presi e tornai in salone. Rigirai il tavolinetto davanti al divano, mi sedetti a terra e iniziai a scrivere. Non so per quanto andai avanti, la disperazione e tutto il resto non mi facevano smettere di scribacchiare parole confuse su quel foglio. Alzai finalmente la penna, lessi il testo e scrissi il titolo.
I won’t see you tonight.
Genere: Fluff, Romantico, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, The Rev, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I'm walking towards the light .



Non sono mai stata una persona di tante parole, ma quella mattina mia madre aveva deciso di farmi parlare più del dovuto - e, di conseguenza, di farmi saltare i nervi che non avevo. Sospirai e accavallai le gambe, seduta su una sediolina blu e scomoda dell’aeroporto di Phoenix.
“Sei proprio sicura?”
“Sì, mamma.” Replicai sospirando quasi esasperata.
“Sarò in pensiero.”
“Non devi, so badare a me stessa.”
“Ma…”
“Niente ma, mamma. Ho deciso, me ne vado da qua. Non voglio vivere un altro giorno qui, dove mi squadrano come se fossi un alieno.” La sentii sospirare. Pochi minuti dopo, venne chiamato il mio volo all’altoparlante. Mi alzai e presi le valigie e la chitarra, mi girai e abbracciai mia madre.
“Mi chiami quando arrivi?”
“Mamma, sarà poco più di un’ora di viaggio.” Feci quasi contrariata.
“Non contraddirmi.”
“Va bene.”
“Ciao Taylor.”
“Ciao ma’.” Mi voltai e sparii nel gate.
Dieci minuti dopo viaggiavo verso il mio futuro.

Arrivai al LAX alle sei del mattino, l’alba che svettava sugli edifici. Fermai un taxi e gli dissi la via dove dovevo andare. Il taxi sfrecciava sicuro fra le vie di una Los Angeles ancora poco sveglia, fino a uscire dalla città e ad addentrarsi nella poco lontana Long Beach. Pagai quel matto scatenato del tassista e uscii dall’abitacolo recuperando chitarra e valigie. Presi le chiavi di casa e aprii la porta, entrando. Mi guardai intorno, buttando a terra la borsa e la custodia della chitarra.
Non era male: il salone era piccolino, con la tv, un divano dall’aria comoda e una vetrata che dava sul mare; la cucina era a vista e moderna, davanti a essa, un tavolo con quattro sedie attorno; vicino alla porta del corridoio c’era una scrivania con uno svuota tasche sopra; attraversando il corridoio avevo alla mia destra il ripostiglio, alla mia sinistra la camera da letto e il bagno e, di fronte a me, una porta a vetri che dava su un giardinetto. Sorrisi e iniziai a mettere nell’armadio i miei vestiti e le scarpe. Andai in bagno e sistemai la mia roba, dandomi un’occhiata di sfuggita allo specchio: i miei capelli neri erano leggermente arruffati, nonostante fossero naturalmente lisci, il trucco era leggermente colato e la pelle era ancor più pallida del solito, sebbene avessi messo più strati di fondotinta del necessario.
Andare a vivere a Los Angeles è sempre stata un mio sogno: diventare qualcuno e scrollarmi di dosso quell’immagine di ragazza malata che mi avevano messo su in Arizona. Certo, non lo nego, cominciare da capo e senza neanche una persona vicino è molto difficile, ma poi ci si fa l’abitudine. Finii di mettere a posto la roba e uscii per andare a fare un po’ di spesa.

Mi stavo letteralmente uccidendo. Le buste pesavano quasi più di me e non guardavo nemmeno dove stessi andando. Appena fuori dal supermercato, mi scontrai con un tizio alto due volte me e con dei grossi occhiali da donna (credo) sul naso. Mi fece cadere una delle tre buste che portavo.
“Ehi!”
“Dio, scusa! Stai bene?”
“Sì, non stavo guardando…”
“Vuoi una mano?” Lo guardai: non riuscivo a vedere una ceppa dietro le lenti scure. Potevo solo vedere un sorriso smagliante.
“No, grazie, non…”
“Avanti, tra poco saranno le buste a portare te! Dai, dammele.” Riluttante, gli porsi due buste, tenendo la più leggera. Lo guidai fino alla macchina - che avevo lasciato nel box dell’appartamento durante la mia ultima visita a Long Beach - e mi aiutò a caricare le buste nel porta bagagli.
“Grazie, non dovevi.”
“Figurati. Ci vediamo.” Tsk, come se sarebbe potuto succedere davvero! Ammirai lo sconosciuto gentile allontanarsi e me ne tornai a casa ancora col fiato corto.

Era passata una settimana da quando ero arrivata a Long Beach, e ancora non avevo la più pallida idea di cosa fare. Continuavo a girare per negozi e/o bar che cercassero personale, ma niente, i posti mi venivano tolti da sotto il naso. Sbuffai dalla frustrazione e uscii di casa prendendo al volo il mio chiodo di pelle nero. Mi diressi al parco più vicino, che era quasi sempre deserto, e mi misi seduta sotto una quercia direi dall’aria molto vecchia. Niente sigarette a tenermi compagnia… non più. Sospirai e tirai fuori l’iPod e mi accorsi che, dopo il viaggio in aereo, si era scaricato.
“Merda!” Borbottai frustrata. Vidi un’ombra sul tratto di erba su cui ero seduta. Alzai gli occhi e, in contro luce, notai una ragazza che mi sorrideva: teneva le mani nella tasca dei jeans strappati che portava e si sedette accanto a me senza che le dicessi niente.
“iPod scarico, vero?”
“Già.” Risposi evasiva.
“Non c’è bisogno che cerchi di fare la fredda. Non sono qui per chiederti erba o una sigaretta.” Alzai un sopracciglio.
“Mh, bene… direi.”
“Io sono Elle.”
“Taylor.” Le strinsi la mano che mi stava porgendo. Lei tirò fuori un pacchetto di Marlboro light. Se ne infilò una in bocca e me le porse.
“Vuoi?”
Strinsi la mascella. “No, grazie.” Dissi di malavoglia.
“Fumavi?”
“Sì.”
“Come mai hai smesso?” Ma chi cazzo era?
“Bronchite.” Lei annuì sorridente e accese la sigaretta. Il fumo mi investì in pieno, grazie al vento a favore. Mi irrigidii ed Elle se ne accorse.
“Ti da fastidio?”
“Un po’.”
“Mi sposto, se vuoi.”
“Non fa niente.” Perché stavo parlando con questa tipa?! Mi passai una mano fra i capelli, dove ne rimasero impigliati alcuni. Sospirai rassegnata.
“Dimmi un po’ di te.” Mi stizzii.
“Perché dovrei?”
“Non so, sei al parco, da sola, con un iPod scarico e preda della mancanza di nicotina.” Sospirai… di nuovo.
“Che dovrei dirti?”
“Quello che vuoi. Come ci sei finita qua?”
“Volevo cambiare aria.”
“Tutto qua?”
“Beh, sai, vivevo in una cittadina vicino Phoenix, e là, anche se starnutivi, venivano a saperlo tutti. Essendo una persona riservata, mi sentivo come sotto un vetrino.” Lei annuì espirando il fumo. “E poi là non c’era niente di interessante.”
“Capisco…”
“Tu, invece?”
“Io sono nata e cresciuta a Chicago. I miei genitori si sono separati quando avevo undici anni, e ho vissuto con mia mamma e mio fratello fino ai diciassette, poi me ne sono andata di casa e sono venuta qua. Avevo una zia che viveva qui, sono rimasta con lei finché non è andata a vivere a New York, lasciandomi casa sua. Per ora lavoro in un negozio di strumenti musicali e roba varia.”
“Mh, figo.”
“Tu che fai?”
“Niente. E credimi se ti dico niente.” Dissi apatica.
“Non lavori?” Chiese sorpresa.
“Sto cercando.”
“Puoi venire con me. Non credo che al mio capo interessi più di tanto se gli porto altra gente al negozio. Praticamente, lo gestisco io.” Un’ondata di sollievo mi travolse. Almeno avevo un lavoro.
“Beh, grazie.”
“Ovviamente devo prima parlarne con il capo.” Fece una pausa e spense la sigaretta. “Dove abiti?”
“Non molto lontano da qua. East Ocean Boulevard.”
“Grande, io abito a Long Beach Boulevard.” Fece sorridendomi.
“Bene.”
“Se ci scambiassimo i numeri di cellulare sarebbe perfetto, così posso avvisarti se Charlie ti prende a lavorare con lui.” Annuii con vigore e ci scambiammo i numeri. Si alzò e si pulì i pantaloni dall’erba.
“È stato un piacere conoscerti, Taylor.” Fece sorridendomi. Ricambiai.
“Anche per me, Elle.” E si allontanò lasciando che il sole illuminasse i suoi lunghi capelli biondo platino.

Passarono giorni da quell’incontro con Elle.
Giuro su Dio che era la persona più strana che avessi mai incontrato. Non solo era venuta vicino a me pretendendo di sapere tutto di me, ma mi aveva pure offerto un lavoro. Voglio dire, se fossi stata in lei non mi sarei nemmeno avvicinata. Mi trovavo spaventosa già da sola, figuriamoci cosa poteva dire una ragazza che non mi aveva mai vista. Sentii un peso cominciare a crescere sul mio stomaco, respiravo ma non riuscivo a prendere abbastanza aria, le mani che tremavano. Arrancai verso la borsa e la svuotai sul divano. Presi il barattolino giallo, lo aprii, ne presi due pasticche e le mandai giù con un po’ d’acqua. Continuai a respirare affannosamente finché, pochi minuti dopo, gli ansiolitici iniziarono a far effetto. Decisamente troppi problemi. Sospirai e cercai di non addormentarmi in piedi. Mi sdraiai sul divano e mi addormentai là.
Dopo quelli che a me sembravano pochi minuti, mi svegliai a causa del cellulare che mi vibrava sotto il culo. Lo presi e risposi senza neanche vedere chi fosse.
“Pronto?” Biascicai assonnata.
Una voce melodiosa e poco familiare mi rispose. “Ciao Taylor, sono Elle.” Mi svegliai come se mi avessero tirato in faccia una secchiata d’acqua ghiacciata.
“Ciao!”
“Stavi dormendo, vero?” Arrossii.
“Ehm, sì…”
“Tranquilla, ci vorrà solo un secondo. Charlie ha detto che potrai lavorare qui tre volte a settimana, se per te va bene.”
“Certo che mi va bene!”
“Allora ci vediamo lunedì. Passo a prenderti, o ti lascio l’indirizzo?”
“Lasciami l’indirizzo.” Mi diede l’indirizzo e le indicazioni per raggiungere il negozio.
“Ok, perfetto.”
“Allora a lunedì.” Dalla voce, dedussi che stesse sorridendo.
“Ciao Elle, e grazie.”
“Figurati.” E riagganciò. Sorrisi e mi riaccasciai sul divano, addormentandomi di nuovo. 

***

Ciaaao bella gente c:
Come state? Io bene (sì ma a noi che ce ne frega?)

Bene, voglio che sappiate che questa è, personalmente, la mia migliore FF. 
Spero che dall'introduzione vi sia piaciuta (anche se non dice molto, lol) e spero che continuiate a seguirla sdjhfsd 
Mi raccomando, recensite!

Ilaria.

   
 
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