Serie TV > Due South/Due poliziotti a Chicago
Ricorda la storia  |       
Autore: zorrorosso    27/02/2013    0 recensioni
[Due South]
Un ragazzo si appresta ad interpretare un monologo all'auditorium di Second City, ispirandosi ai personaggi di Due South.
-Tratto dalla pt.1- (...) I migliori comici canadesi sono passati da qui, e tanti anni prima molti di loro hanno poi sfondato nella televisione e nel cinema nordamericano per essere poi conosciuti in tutto il mondo.
Le vecchie glorie che vestivano alla moda di allora.
La stessa che veste lui in quel momento, piu’ di vent’anni dopo.
Un omaggio ad un tempo ormai finito.
Uomini e donne che nel corso degli anni erano morti, erano profondamente cambiati, o avevano fatto la storia del cinema ed ora la stavano imbarazzando nel tentativo di rievocarla, bella e selvaggia come era stata allora.
Per questi, Second City fu un trampolino di lancio perfetto.
Genere: Avventura, Commedia, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Due South: tales from Lars'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Ho deciso di ri-pubblicare  e riscrivere questa FF in quanto correggere ed aggiornare l’originale, scritta nel 2004, sembrava un’impresa impossibile.
(Reviewed 2013)
 
 
This last time at Second City.
Pt.1
 
Toronto, Settembre 1998.


Un timido lamento nasale.
Scuote la testa e fa una serie di strane boccacce.
 
E’ allenamento, direbbero gli esperti di teatro, quelli che girano con le giacche di velluto e i maglioni a collo alto, fumando magari una pipa, ma per i normali passanti non e’ nient’altro che un altro pazzo. Come se non ce ne fossero gia’ abbastanza in giro.
 
E’ un ragazzo altissimo, tratti nordici, porta degli strani pantaloni a zampa, non sono fuori moda, sono quelli che stanno tornando proprio in quegli anni, dopo un ventennio di risvolti e jeans alla caviglia attillati. Solo che quelli sembrano sdruciti, vecchi.
La stoffa, si direbbe di tweed, ha quel tipico spacco colorato che contraddistingue i pantaloni come capo originale. Questi che rifanno nuovi, di solito, lo spacco non ce l’hanno.
Gli occhi sono coperti da un paio di grossi occhiali, risalenti almeno ad un ventennio precedente.
 
Se non fosse cosi’ giovane, si direbbe che sia rimasto rinchiuso almeno vent’anni in galera e che ne sia uscito proprio ora. Forse e’ un costume di scena, o forse veste proprio cosi’. Difficile a dirsi, ma vicino al teatro tutto e’ possibile.
 
E’ appena sceso da un’auto francese di seconda mano.
Anche questo gli dona un’aurea di follia e stranezza agli occhi dei passanti.
 
Chi si metterebbe a contrattare un’auto straniera tanto vecchia e tanto piccola come quella? Di sicuro non una persona alta come lui. Poi le auto americane sono ineguagliabili, lo sanno tutti. Perche’ importarle dall’estero? Forse solo per il parcheggio, sempre a scapito delle sue povere ginocchia.
Quei commenti riecheggiavano nella sua testa nella forma di mille personaggi: conosceva bene le loro voci ed i loro corpi, i loro costumi, che lui stesso aveva inventato, e che ogni tanto faceva parlare durante le sue interpretazioni.
 
I critici lo giudicavano come un attore versatile.
Gli psichiatri, forse, come disurbo dissociativo di identita’.
 
***
Entra nell'auditorium.
Per quanto non fosse una star, quello non e’ un teatro qualunque.
Non si tratta di un auditorium sconosciuto.
Si tratta di una delle istituzioni della commedia nordamericana: Second City.
 
I migliori comici canadesi sono passati da qui, e tanti anni prima molti di loro hanno poi sfondato nella televisione e nel cinema nordamericano per essere poi conosciuti in tutto il mondo.
Le vecchie glorie che vestivano alla moda di allora.
La stessa che veste lui in quel momento, piu’ di vent’anni dopo.
Un omaggio ad un tempo ormai finito.
Uomini e donne che nel corso degli anni erano morti, erano profondamente cambiati, o avevano fatto la storia del cinema ed ora la stavano imbarazzando nel tentativo di rievocarla, bella e selvaggia come era stata allora.
Per questi,  Second City fu un trampolino di lancio perfetto.
 
Non per lui, pero’, che guarda l’orologio e continua questo strano allenamento nell’oscurita’.
 
E’ l'ultimo arrivato nella scena vuota illuminata solo dall'occhio di bue.
Non vede i suoi spettatori.
Non toglie gli occhiali. Anzi lo aiutano contro quella luce forte dei riflettori.
Seppure non viene annunciato, ne’ riesce a capire quanti e quali sono i suoi spettatori, incomincia subito a parlare:
 
 «Questa e' una storia che vocifera alla stazione di polizia di Chicago, forse la conoscete gia’...
 
Chicago, Park District, il trillo di un telefono cellulare, e un ragazzo scarno, con le occhiaie scavate in un viola profondo, ed il colorito gillastro risponde a bordo di un auto, una Crysler 1990 nera, nei pressi del parco:
"Dimmi tutto. Dove sei John?" – la voce gracchia dall’amplificatore di quell’aggeggio nero con una lunga antenna, che quasi gli copre tutta la faccia.
"Sono... sono al parco, Fred, voi dove siete?"- chiede guardandosi attorno. Non sembra aver alcun tipo di sentimenti, sembra pero’ preoccupato o desideroso di qualche cosa in particolare.
"John sei un idiota! Il parco e’ grosso piu’ di ottomila acri! Per fortuna ti ho visto. Io e il mio amico siamo qui vicino, lascia la macchina e aspetta li'!" – scricchiola nuovamente il marchingegno, prima di emettere altri suoni. La luce di un verde malato, si accende e si spegne sotto numeri neri. Magari e’ anche rotto.
 
 "Ma avro' quello che ho chiesto?"- chiede John, indifferente agli insulti della voce.
Sembra del tutto indifferente a qualunque cosa.Questi junkies...
"Certo che lo avrai! Avrai tutto John, siamo di parola io e Nilsen! Scendi da quell’auto."-
la voce e’ lenta e scandita, con una strana rassicuranza.
 
L’uomo sembra credere a quel gracidio del telefono nero con cieca obbedienza, ma in men che non si dica, Fred, la voce gracchiante, balza come dal nulla, pistola alla mano, e spara un colpo nella sua direzione.
Un altro uomo piu’ anziano, probabilmente quello che Fred chiamava Nilsen, sale al volante e l'auto sgomma a tutta velocita’.
 
John, giace a terra, dolorante. Il colpo sembra non essere andato completamente a segno perche’ l’uomo sembra ancora respirare, seppur sommerso in un lago di sangue.
 
***

Piove.
 
Non e' un'ottima mattina per andare al lavoro.
 
Poi, chissa’ perche’, proprio quando piove la gente sembra tutta piu’ sgarbata; sotto i loro ombrelli, le persone camminano indistintamente nella citta’ grigia.
Quando piove tutto e’ grigio. Tutto dello stesso, umido, grigio.
 
Una Buik Riviera 1972 verde metallizzato parcheggia nei pressi di un palazzo di parecchi piani piu’ alto degli altri e scende un uomo abbastanza alto: porta un trench lungo e dei pantaloni abbastanza larghi per la sua taglia, ha gli occhi verdastri e grandi, pochi capelli e uno strano naso, anche lui quel giorno e’ vestito di grigio.
Si mimetizza bene in quella citta’, Ray.
 
Entra nel palazzo e si dirige verso un ufficio specifico che ricerca piu’ volte con attenzione, il palazzo e’ grande e lui c’e’ gia’ stato numerose volte. Sbuffa.
Un sacco di gente che aspetta fuori in una lunghissima coda.
Gli piacerebbe fare quello che fa di solito in questi casi, ovvero mostrare il distintivo e tagliare la coda passando per primo, e’ uno sbirro e deve andare al lavoro.
Sta gia’ infilando la mano in una tasca interna del trench, tira fuori il distintivo dorato e prima di mostrarlo al pubblico, lo lucida sul fianco del cappotto e ripete mentalmente quello che ha gia’ spesso detto e che dira’ tra qualche attimo: Chicago PD! Fate largo!
E’ sempre un sistema perfetto per tagliare qualunque coda.
Questa volta, pero’, qualche cosa lo blocca.


C' e’ una donna vestita di blu non molto distante da lui, e’ giovane e le ricorda qualcuno: alta, castana, capelli dritti e lunghi sulle spalle, una brutta frangia, che ricade sugli occhi di un certo blu, il naso dritto, dalla punta arrotondata, le dona un bel profilo. Tutte cose che ha gia’ visto su qualcun altro a lui familiare. Qualcuno che vede quasi tutti i giorni, per quanto non possa rievocare quelle fattezze al primo colpo.
Forse e’ per questo che Ray si sbriga a rimettere il distintivo in tasca.
 
La donna si guarda attorno per ammazzare il tempo che non passa mai, guarda ogni singolo volto con attenzione, ne studia la fisionomia, pieghe del viso e umore di quel momento.
Ha un'aria cosi’ trasognata che sembra quasi non appartenere a quella grigia citta’, alla pioggia, ai grigi palazzi e a tutto quello che la circonda, Ray compreso.
 
Ultimamente le donne, per Ray, non sono state il suo primo interesse. Premettendo che una bella donna non e’ mai sfuggita ai suoi occhi verdastri, ce n’e’ sempre stata un’altra, in realta’, nel suo cuore.
Forse restera’ li’ per sempre.
Una donna che lo ha ferito talmente tanto da temere in un certo senso tutte le altre. Eppure senza volerlo. Velava i suoi occhi di dolore, sorridendo sul sedile della Riv. Allora, non era ancora la sua Riv, ma la loro. Pioveva anche allora.
Quel sorriso: una delle cose piu’ belle e brutte della sua vita allo stesso momento.
 
Non che questa sia quel tipo di bella donna che lo spingerebbe incondizionatamente a voltarsi, solo si distacca facilmente dalla folla circostante.
La fila non scorre, i due impiegati incaricati alla riscossione tributi sono entrambi indaffarati con degli errori al server centrale.
Le linee sono occupate... Questi modem telefonici sono un’architettura complessa del futuro che ancora fatica ad arrivare tra la gente comune.
Arrivano le fotocopie. La luce bianca della fotocopiatrice fa avanti e indietro ininterrottamente nel retro dell’ufficio.
 La gente sbuffa a quella visione. I moduli saranno compilati a mano per il momento.
 
Cosi’ almeno dicono le persone davanti, mentre passano penne di plastica e incartamenti quasi illeggibili dal tanto che sono stati copiati e ricopiati a quella luce abbagliante.
 
Ray non se ne cura troppo, prende una di quelle fotocopie senza commentare, come penna usera’ la sua stilografica che mai lo ha tradito. Tranne quella volta, quando lascio’ una brutta macchia viola sulla sua camicia bianca di fresco inamidata, glie l’aveva sbiancata la mamma... Ma e’ stata l’unica, pensa guardandola, e cercando di leggere quel modulo. Dopotutto apparteneva ad una persona molto importante per lui.
 
Intimamente, pero’, sta solo aspettando con impazienza che lo sguardo di quella donna incroci il suo. Continua a pensare di averla vista da qualche parte, o qualcuno che conosce molto bene, qualche cosa nei modi, nei gesti.
Non parla con nessuno, non sembra conoscere nessuno attorno a lei. Di sicuro non puo’ essere la sua voce, o il suo accento, a renderla cosi’ particolare.
 Si dice che quando fissi intensamente una persona questa e’ come se lo sentisse in qualche modo. Ray non sa se questa cosa sia vera, non sa neppure di stare fissandola intesamente, ma la donna ora lo sta guardando: lo sguardo trasognato e’ anche tinto di qualcos’altro, il rossore di lacrime piante, la tristezza di un momento, la fiducia persa in qualche cosa o qualcuno, ma anche la speranza di ritrovarla presto.
La sua espressione cambia quando, al nuovo incontro dei loro sguardi, gli occhi blu di lei sembrano avere trovato in lui una vaga speranza nel grigiore e stranamente accenna ad un sorrisetto formale.

La fila ricomincia a scorrere, i due si ritrovano presto a consegnare i loro moduli e pagare quelle ultime tasse arrivate. La donna e’ prima di lui, ma agli uffici i due giungono contemporaneamente ed ascoltare la sua conversazione non gli risulta alquanto facile.
Il suo tono di voce e’ calmo, scandito e molto silenzioso. Troppo. Soprattutto mentre la sua voce alta e lagnante copre quasi tutti i suoni emessi da lei, mentre si lamenta animatamente con gli impiegati dell’ufficio per la loro lentezza.
Per Ray, quelle lunghe ed impegnate rimostranze, blaterate per ore a voce alta, non sono affatto scontate: sono parte della sua eredita’ genetica.
Deve rivendicare in qualche modo le sue origini italiane.


Il fatto che non avesse orecchie per lei, non significa che tenesse anche lo sguardo troppo occupato. Dopotutto non  e’ difficile per uno sbirro tenere d’occhio la gente.
Ci mette davvero poco a rendersi conto che la donna esce dal palazzo e si dirige decisa verso la fermata del tram a pochi metri, piove ancora a dirotto e lei non ha con se nemmeno un ombrello, ma non cerca di ripararsi, incrocia solo le braccia e aspetta appoggiata al cartello con particolare ordine.
 
Ray la segue e cerca di parlarle:
"Non ha un ombrello?" –dice avvicinandosi.
La donna di volta indietro verso l'uomo, la sua figura composta non sembra affatto rovinarsi sotto lo scroscio dell'acqua. Abbozza un mezzo sorriso di ringraziamento quando Ray apre il suo ombrello, anch'esso grigio, e tira un lento sospiro: "la ringrazio infinitamente"- dice annuendo.
 
Quella risposta in quell’accento ha un qualche cosa di gia’ ascoltato.
Piu’ di una volta:
"Le tasse sono un vero tormento, non trova?"- chiede Ray, cercando di familiarizzare.
 La donna stringe lo sguardo con fare leggermente indagante:
"Si, ma anche un nostro dovere nei confronti dello Stato."- dicendo cosi’, si aggiusta i capelli e si strofina la giacca bagnata, i suoi occhi ora sono piu’ distratti e sembrano aver perso quel barlume di speranza che notava prima.
"Se almeno tutelasse i cittadini come dovrebbe... eh*..."- continua fissando gli occhi di Ray con un'espressione un po' delusa.
Quell’ultima sillaba, cosi’ sospirata, non lascia a lui nessun dubbio. Non e’ di sicuro di Chicago. O per lo meno non vive qui da molto.
 
"Comunque il mio nome Ray, la mia macchina parcheggiata qui vicino, vuole che le dia un passaggio, cosi’ non perde tempo ad aspettare il tram?"- chiede lui indicando la strada.
 
Queste sono le rare volte in cui i pregiudizi su un determinato accento e nazionalita’ sono positivi, non negativi, come al solito. Se e’ veramente come crede non ha nulla da temere da lei ed un passaggio non puo’ essere che un semplice favore.
Se si sbagliasse, e’ pur sempre uno sbirro, l’arma d’ordinanza e’ sempre a portata di mano.
 
 "Molto lieta, mi chiamo Alexandra. Sono grata della sua gentilezza, ma non ho intenzione di approfittarmi troppo di lei, signor Ray! Dovro’ andare in altri uffici, compilare altri moduli, attendere altre persone. Avro’ un po' da fare con tutto questo traffico. Chissa’ perche’, ma quando piove, in tutte le citta’ del mondo, il traffico si congestiona allo stesso modo..." .
 
Ray cerca di prenderla con filosofia:
"Hehe, come vuole... Alexandra! Le lascio l'ombrello?" –sorride lui, non ha cosi’ tanta importanza.
Alexandra lo guarda con le braccia conserte e i capelli bagnati, accenna un tremore, forse per il freddo o l'umidita’, il vento dal Michigan non perdona in autunno, dalle ciglia cola un po' di nero.
"No grazie, non si preoccupi, questa mattina non mi aspetta nessun appuntamento galante!"- risponde distogliendo lo sguardo e sorridendo gentilmente.
 
Ray la riprende preoccupato:
"Ma se la lascio cosi’ si prendera’ un malanno!" –lei sembra far finta di non ascoltarlo.
"Scusi la mia domanda, Ray, lei e’ di Chicago?"- chiede Alexandra dubbiosa.
"Si, perche’?"- risponde mentre i suoi occhi cadono sulle gambe e sulle scarpe, anch'esse blu, pare un' hostess vestita cosi’.
Le mancano solo i distintivi di una qualche compagna aerea del mid-west a basso costo, lo chignon, un'inutile camice a righe e il carrello delle vivande. La donna, abbassa gli occhi, inarca le sopracciglia e raddrizza un po' le spalle.
"Perche’ di solito le persone da queste parti non si preoccupano troppo dei malanni degli altri"- risponde sincera.
Ray ci pensa solo un attimo: era vero. Anche lui anni prima non avrebbe esitato a lasciarla sotto la pioggia, sara’ stato sicuramente il frequentare Fraser a farlo cambiare. Fraser... Sara’ solo quell’accento e quell’abuso di parole gentili che gli fanno leggermente accostare la donna al suo compagno. Scuote leggermente la testa dal ribrezzo. Troppe, troppe, troppe parole gentili. Non c’e’ ancora abituato. 
 
E lei, all’estremo di quella cortesia, con le gambe allineate e i suoi piedi uniti, i suoi capelli bagnati, mentre si pulisce il mascara e lo guarda a volte curiosa, a volte delusa e a volte distratta . Il blu di quegli occhi sembra prendere accenti sempre nuovi ad ogni occhiata. E’ di sicuro la pioggia. In realta’ e’ lo stesso identico blu.
 
Ray non demorde e ci riprova:
"Di certo non fa caldo. Vuole un caffe’? C'e’ un bar qui vicino che fa dell'ottimo espresso... Ecco io, vorrei accompagnarla, non ci metteremo molto. Dopotutto l’espresso e’ servito in tazzine molto piccole, non le portera’ via tanto tempo!"- sorride lui, cercando di distenderla.
 
Alexandra gira la testa stupita prima verso la strada e poi verso di lui, d’impulso gli prende le mani, muove le gambe, come se si fosse immediatamente scongelata:
"La ringrazio infinitamente, ma le ho gia’ detto di no, ecco che sta arrivando il mio tram, ci vediamo al... Prossimo pagamento?"- sorride lei anche se gli occhi continuano a tradirla, e’ un sorriso grazioso, sembra solo per lui.
Ray guarda il tram andare via con lei dentro, fa un cenno con la mano e lei risponde, poi sale di nuovo in macchina. L’espresso sara’ per un’altra volta.
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Due South/Due poliziotti a Chicago / Vai alla pagina dell'autore: zorrorosso